10/05/18

Libro del Giorno: "La città bucata", le poesie di Antonella Palermo.


Nelle curate edizioni di Interno Poesia esce con la prefazione di Franca Mancinelli, La città bucata, ultima raccolta di Antonella Palermo, nata a Campobasso, ma romana d'adozione, nota voce radiofonica, che ha esordito nel 2012 con Le stesse parole (Lietocolle).

E' il risultato di una lingua conquistata attraverso il dolore, come scrive Franca Mancinelli, che in questa raccolta, divisa come una piccola sinfonia in 4 movimenti (A ferri scoperti; Del voi; In levare; Onora le spine) snodandosi, perde le spigolosità più acute, apre brecce nel mondo intorno e nel mondo interiore che ne è corrispettivo.  

Dettagli esteriori, corporei, minimi, quasi si potrebbe dire cinematografici, sospesi, aprono spiragli sulla nudità interiore, nel clima raffreddato/a livello di cuori lenti; così come, là fuori, la giungla e i suoi animali/ irrompono tra i santi/ e le capriole del fotografo / che vuole immagini pulite spalancano invece visioni in cui il verso obliquo a scendere / riporta nelle grotte / di una città bucata.

C'è un dialogo ininterrotto con un tu che si dichiara, ma non possiede nessuna struttura, né sincerità: Non sai nemmeno come è fatta, la mia spalla/ che curva prende... Questo mio odore che dici buono/ dove ti resta ?  

Le parole di oggi non vanno, suonano come una moneta falsa, non distinguono il vero dall'effimero, devono essere scacciate, alla ricerca di qualcosa di più autentico, che non teme la rovina e il contatto: Ma io cercavo il tuo ginocchio/per ricominciare, dalla folla,/ il nostro paio. 

I vecchi, muti testimoni del nostro disorientamento, ripetono in leggero asincrono/le formule del prete.

E' necessario il coraggio di una rinascita, per la quale occorre una forza intensa: Le braccia all'unisono, larghe/ saranno il punto./ La sorpresa della lettera grande/ che verrà dopo/ la grazia che ha la resistenza sulle lunghe distanze.

E' questo il punto: la ricerca di quello che resta quando tutto passa, l'unica cosa che può condurci in salvo. Non è una voce assordante: è un sussurro: Se accettassi questa ritmica in levare/ mi affrancherei dalla dispensa piena/ e brinderei con l'aria. 

La ricerca di quella crepa nel basamento, che decentra gli egoismi; sì bisogna onorare le spine, e giocare, avere il coraggio di giocare a spavento/ spauracchio in precipizio al mare.

Il dono di sé, come una lunga eco, chiude la raccolta: 

Sono bianco
papavero raro.
Mi serve un tuo soffio
per non esserci più
e lasciare che estesa
e spudorata e grande 
tu sia.

Un cammino di iniziazione breve e intenso, che raggiunge, pagina dopo pagina il suo culmine, con una scrittura sempre misurata, che tiene sorvegliata e libera, allo stesso modo, una voce poetica autentica, miracolosamente in bilico tra estasi e pena quotidiana. Solo nell'accettazione della caduta, nella consapevolezza della distanza, si giunge ad ascoltare se stessi, e solo ascoltando se stessi ci si può per davvero regalare a un altro.





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