I resti della grandiosa Meridiana di Augusto
nelle cantine dei palazzi di San Lorenzo in Lucina
Nel 1457 il
cardinale allora titolare della chiesa di San Lorenzo in Lucina, Filippo
Calandrino, fu involontariamente protagonista di una delle scoperte più
stupefacenti della storia archeologica di Roma. Durante i lavori di
ristrutturazione delle fondamenta del palazzo Fiano-Almagià, (sulla piazza di
San Lorenzo in Lucina, alla sinistra della chiesa) e di erezione della cappella
dei Santi Filippo e Giacomo (l’attuale sacrestia della chiesa), infatti, venne
in luce, a otto metri di profondità rispetto al piano stradale attuale, un
intero settore dell’horologium fatto
costruire dall’imperatore Augusto nel 10 a .C.: una delle più grandiose opere della
Roma antica, che originariamente misurava ben centosessanta metri per
settantacinque.
Di questo prodigio,
meraviglioso e ancora in parte misterioso, si erano perse, nei secoli, le
tracce.
Quella zona,
infatti, sulla quale si erano sedimentate le sabbie melmose portate da numerose
inondazioni del Tevere, si era densamente popolata in epoca
medievale.
La scoperta,
compiuta dai picconatori del cardinale Calandrino, suscitò l’enorme entusiasmo
degli antiquari, tra cui Pomponio Leto, il quale ne lasciò memoria nei suoi
appunti.
L’episodio, accaduto in epoca rinascimentale, fa il
paio con una molto più recente e altrettanto clamoroso, risalente al 1979,
quando a pochi metri di distanza dalla chiesa di San Lorenzo in Lucina, nelle
cantine di una casa in via di Campo Marzio, al civico numero 48, sotto uno
strato di dieci centimetri d’acqua, affiorò un’altra grande porzione di
quell’orologio: maestose lastre di travertino, lunghe più di dieci
metri, sulle quali sono chiaramente visibili le tacche di bronzo della
Meridiana, con le riproduzioni dei segni zodiacali di Ariete, Toro, Leone e
Vergine e le grandi scritte in lettere greche (vedi foto in testa al testo).
Visitando oggi
questo luogo segreto e misterioso, si può avere un’idea della grandiosità
dell’opera immaginata da Augusto e realizzata dal matematico Facundus Novius
(della cui vita non sappiamo quasi nulla).
Come è noto,
sovrapposto al grande horologium vi
era l’obelisco fatto trasportare dall’imperatore dall’Egitto e attualmente
posizionato sul piazzale di Montecitorio, di fronte all’edificio che ospita
oggi la Camera dei deputati.
L’obelisco era stato cavato dalle montagne di
Assuan, eretto dal faraone Psammeticoii nel sesto secolo a.C. e
portato da Augusto a Roma, insieme a quello Flaminio (oggi in piazza del
Popolo) per celebrare la conquista dell’Egitto.
Augusto lo fece erigere all’altezza del
civico 3 dell’attuale piazza del
Parlamento (dove ancora oggi una targa testimonia l’antica collocazione) sul
suo basamento originale, apponendovi l’iscrizione “Soli donum dedit” ,
presente anche sull’analogo monumento al Flaminio.
Nel 1792, rappezzato con il granito rosso ricavato dalla distruzione
della Colonna Antonina, fu spostato nella sede definitiva.
L’obelisco aveva dunque la funzione di
gnomone, cioè di ago indicatore: il raggio solare intercettava un globo dorato
posto a ventinove metri di altezza, sulla sommità del monolite, che proiettava
l’ombra della sfera sul quadrante monumentale, indicante il giorno dell’anno e
il mese, il segno zodiacale e l’ora, gli equinozi e i solstizi.
Una dettaglio stupefacente di quest’opera era la meridiana, costruita in modo tale che al tramonto del 23 settembre di ogni anno,
giorno e ora della nascita dell’imperatore, la luce solare proiettasse l’ombra della sfera esattamente sull’Ara Pacis,
l’altare voluto dallo stesso
imperatore nella medesima zona del
Campo Marzio.
Questa meravigliosa invenzione restò in
funzione, purtroppo, soltanto per poco più di cinquant’anni. Come racconta Plinio,infatti, fu distrutta
prima da un terremoto e poi dalle inondazioni del Tevere.
È bene anche segnalare come il globo di bronzo originale sia andato
perduto. Quello forato, realizzato con lo stesso materiale e recante gli stemmi
araldici di papa Pio vi, che
attualmente sovrasta il monumento in piazza Montecitorio, è un’invenzione degli astronomi settecenteschi,
ed è stato ideato sulla base delle ipotesi antiche, il più vicino possibile cioè a quello che si
ritiene fosse l’originale.
Fabrizio Falconi, tratto da: Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton Editori, Roma, Roma rist.2017.
Nessun commento:
Posta un commento
Se ti interessa questo post e vuoi aggiungere qualcosa o commentare, fallo.