06/09/11
Le vite concitate, il caos, e il senso che non si trova.
Si avvicina la ricorrenza del decennale dell'11 settembre, l'attentato alle Torri Gemelle di New York. Su La Stampa mi è capitato di leggere l'intervista ad Edward Fine, il celebre sopravvissuto che fu immortalato con la sua valigetta 24 ore negli attimi successivi alla tragedia, diventando di essa un simbolo.
Mi ha colpito questa sua frase: "Prima lavoravo anche quando ero in vacanza, telefonate, computer e non sapevo neanche chi fosse mia moglie. Ora conosco e apprezzo le cose della mia vita che contano."
Questa frase ha ronzato nelle mie orecchie per alcuni giorni, sommandosi a quest'altra, che il grande Woody Allen - sempre più avvitato in una specie di ostentato nichilismo personale - ha rilasciato a 'La Repubblica':
"continuo a girare film in modo forsennato perché se lavoro e sto sul set, non ho tempo di fermarmi. Se mi fermassi mi deprimerei constatando che la vita non ha alcun senso."
E' il problema di molti, oggi.
Molte persone sembrano convinte che il senso della vita non esista, ma non fanno nulla per fermarsi a riflettere. Temendo, anzi, che la riflessione corrisponda a un vuoto, ed essendo del tutto terrorizzati da quel vuoto, non fanno altro che rimpinzare la vita di quante più cose possibili, per la maggior parte del tutto inutili.
Sono convinte, più o meno inconsciamente, che questo rappresenti una formidabile protezione da quel vuoto che attira e terrorizza, per l'appunto.
Il problema però è che, dentro esistenze così stipate, così enormemente sovradimensionate, si pretende di trovare un 'senso' a questa vita.
E' ovvio che nessun senso si può trovare.
Anche perché con esistenze sempre più caotiche, e sempre meno ordinate (nel flusso di cose semplici) è molto molto difficile percepire un senso, a meno che - come sembra oggi diventata 'vulgata' comune - non si teorizzi che il caos stesso, cioè il disordine E' il senso.
Ma l'uomo, che è principalmente - e resta sempre tale - materiale biologico enormemente organizzato, quindi ordinato (ché altrimenti nessuna vita biologica potrebbe esistere) non può trovare nessun senso nel caos e nel disordine assoluto.
E' perfino troppo ovvio che il senso - un senso o IL senso - può essere trovato solo se e quando siamo capaci di fermarci, e di creare un vuoto e di abitare quel vuoto, senza lasciarsene spaventare, ascoltarlo, lasciarlo crescere dentro di noi, e sentire se e come ci parla, se e come ha qualcosa da dirci.
Non è un caso che Edward Fine abbia capito soltanto ora quali sono le cose da conoscere e apprezzare nella vita. Solo ora, quando la giostra si è fermata, indipendentemente dalla sua volontà.
Il problema è proprio questo: che spesso ci fermiamo soltanto quando non possiamo farne a meno, per una crisi improvvisa, per una empasse della nostra vita, un lutto, una crisi, la perdita del lavoro. Soltanto allora siamo costretti a mettere ordine. A comprendere che la vita è - sarebbe - del tutto semplice, e ha - avrebbe - bisogno di molto poco.
La prima cosa da fare dunque è quella di smetterla di dire "ho troppo da fare per farmi domande." Dovremmo tutti comprendere che le domande - e solo le domande - danno senso all'esistenza. E che senza mai porsi domande si possono soltanto compiere disastri, nelle proprie vite individuali e in quella collettiva, come la storia dovrebbe averci abbondantemente insegnato.
Fabrizio Falconi
nella foto in testa: Woody Allen alle prese con la pennichella durante le riprese del suo film romano, agosto 2011.
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