25/05/14

La poesia della domenica - 'La messe di pensieri' di Fabrizio Falconi.




La messe di pensieri

La messe di pensieri
dipana improvvisa, tra molte
orazioni di ore pallide
e sommerse, una: all'alba,
come sempre,
nell'attimo più ventoso
uno scrollare di spalle,
quieto risveglio
al riparo dalla scure dei fantasmi.
Quieto nella casa vuota
venni a sedermi sulla poltrona azzurra.
Nel drappo disadorno
del cielo, senza neve
e senza uccelli
un solo filo di fumo bianco.
Nel domino degli oggetti
intorno, manca un pezzo: quello
che tu spostavi,
in un inizio di riso
lasciato a risplendere nell'aria.

da: Fabrizio Falconi, Poesie 1996-2007  (prefazione di Robert P.Harrison, postfazione di M.Guzzi), Campanotto, 2007


in testa: foto dell'autore

23/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (5 - fine)



Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (5 - fine)

Vincendo la resistenza a quel gesto, Etty Hillesum tornerà ad inginocchiarsi molte volte su quel ruvido tappeto di cocco, e a implorarlo: Signore, fammi vivere di un unico, grande sentimento – fa’ che io compia amorevolmente le mille piccole azioni di ogni giorno, e insieme riconduci tutte queste piccole azioni a un unico centro, a un profondo sentimento di disponibilità e di amore. (13)

E ancora: Mio Dio prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza.  Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace… Andrò dappertutto allora, e cercherò di non aver paura.  (14)
      Ma chi è questo Dio che la ragazza ebrea invoca, insegue e accoglie ?  Etty, come scrive Cristiana Dobner in un recente volume, “ha coscienza precisa di essere creata a immagine e somiglianza di Dio. E’ il suo appartenere al popolo della berith dell’alleanza, che le ha trasmesso questa certezza. Non è un vago progetto ma una realtà rivelata, approfondita dalla teologia che la ritiene forza innata, donata e presente, nella persona; Dio, a motivo della sua immensità in quanto causa efficiente di tutto l’essere e di tutto l’operare, inerisce intimamente a tutte le creature con un’esistenza interiore alla stessa sostanza.” (15)

Il percorso verso Dio di Etty è insomma, pienamente consapevole ed è frutto di una doppia conoscenza, quella tutta interiore del corpo – Etty sente Dio dentro di sé, come un nascente che preme e che lotta contro le distorsioni   - ed esteriore, quella che avviene – come per grazia – nell’incontro con l’altro, con il servizio e con il darsi incondizionato.

      Come ha fatto notare Patrick Lebeau, la conversione di Etty è il frutto di tre incontri differenti:  “Spier, del quale abbiamo ricordato il ruolo e che la aiuterà a convertire la sua forza amorosa ed erotica in un’unica forza raggiante di amore spirituale verso gli altri, Dio e, infine, l’incontro di Etty con se stessa.   Quest’ultimo incontro non è aneddotico o narcisistico: le darà un’immagine di sé che non si aspettava, un’immagine in cui si riconoscerà progressivamente per appropriarsene, rendendola trasparente ai suoi occhi e poi visibile agli occhi degli altri.” (16)  

Etty manifesta questa il senso di questa triplice ricerca in modo paradigmatico e limpido in un passaggio del suo Diario, scritto il 17 settembre del 1942: In fondo la mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro me stessa, gli altri, Dio.  E quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La parte più essenziale e profonda di me che ascolta parte più essenziale e più profonda dell’altro. Dio a Dio.   (17)
       L’introspezione dolorosa di Etty nei propri ‘inferni personali’ non è mai dunque fine a se stessa.   Etty sembra inconsciamente convinta di quello che Shakespeare annotava nei suoi Sonetti, ovvero che “ ripeness is all ”, la maturità è tutto: la maturità è andare fino in fondo, nella discesa verso il centro di se stessi dove è possibile trovare la faccia dell’altro e con essa il volto stesso di Dio.  Una discesa verso l’autenticità più profonda del proprio essere, che non scantona, non prende scorciatoie,  non pretende di glissare e vive il dolore personale come una strada maestra verso l’affermazione di un senso divino dell’esistenza.  Anche il lutto di Spier – lacerante per Etty -  viene vissuto come il tramite per qualcosa di altro e qualcosa di oltre.   Spier, dotato di una personalità così straordinaria, ‘magica’ secondo molti dei suoi contemporanei – è l’aggettivo che si dà quando le cose sono razionalmente inspiegabili,  sembra quasi farlo intenzionalmente, una specie di addio al mondo volontario:  si ammala improvvisamente, infatti, e muore il 12 settembre 1942, esattamente il giorno prima di essere inviato anch’egli, ebreo e intellettuale, al campo di smistamento di Westerbork.

Etty scrive nei giorni seguenti, pagine accorate dedicate a lui:  Sei tu che hai liberato le mie forze, tu che mi hai insegnato a pronunciare con naturalezza il nome di Dio.   Sei stato l’intermediario tra Dio e me,  e ora che te ne sei andato la mia strada porta direttamente a Dio e sento che è un bene, Ora sarò io l’intermediaria per tutti quelli che potrò raggiungere. (18)
        Sarà esattamente così. 
        Nelle testimonianze dei sopravvissuti c’è fino all’ultimo istante il ricordo di una ragazza dai modi indimenticabili, che anche nel momento stesso di salire sul treno per la Polonia, ha “una parola gentile per tutti quelli che incontra, piena di umorismo scintillante anche se forse un pochino malinconico, proprio la nostra Etty come voi la conoscete..:” (19)

E’ il segno di una consapevolezza piena, di una maturità piena, che Etty ha trovato nel fondo della sua anima, come presenza di Dio, una consapevolezza e una maturità che è presumibile non l’abbiano abbandonata del tutto neanche nei giorni della prova finale, nel recinto spinato del campo di Auschwitz, prima della doccia  a gas fatale.

Quella stessa consapevolezza e maturità che espresse in modo così cristallino e toccante in una delle ultimissime pagine del Diario, il 18 agosto del 1943,  venti giorni prima di partire (20):   Mi hai resa così ricca, Dio, lasciami anche dispensare agli altri a piene mani. La mia vita è diventata un colloquio ininterrotto con te, mio Dio, un unico grande colloquio.   A volte, quando me ne sto in un angolino del campo, i miei piedi piantati sulla tua terra, i miei occhi rivolti al cielo, le lacrime mi scorrono sulla faccia, lacrime che sgorgano da una profonda emozione e riconoscenza. .. Sono molto, molto stanca, già da diversi giorni, ma anche questo passerà, tutto avviene secondo un ritmo più profondo che si dovrebbe insegnare ad ascoltare, è la cosa più importante che si può imparare in questa vita. Io non combatto contro di te, mio Dio, tutta la mia vita è un grande colloquio con te. 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

    
13.      E. Hillesum, Diario … op.cit. pag. 82.
14.      E.Hillesum, Diario… op.cit. pag. 74.
15.      Etty Hillesum, Pagine mistiche, tradotte e commentate da Cristiana Dobner, Ancora edizioni, Milano 2007, pag.35.
16.      P. Lebeau, Il Diario di Etty Hillesum, in “La Civiltà Cattolica” q. 3603-3604 (2000), pag.240.
17.      E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 203
18.      E. Hillesum, Diario, Op. cit. pag. 196
19.     E’ il commovente resoconto dell’addio di Etty dalla stazione di Westerbork, narrato dall’amico Joseph (Jopie) Vleeschouwer e che conclude il racconto del Diario nella edizione curata da J.G. Gaarlandt.  Ho con me i miei diari, la mia piccola Bibbia, la mia grammatica russa e Tolstoj e non so quante altre cose, furono le sue ultime parole all’amico.
20.     E. Hillesum, Diario, Op. cit. pag.253.

22/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (4./)



Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (4./)

Cos’è che spinge una persona in questa condizione - nella condizione di vittima designata di un sistema folle che opera per distruggere e cancellare dalla faccia della terra una intera genia di innocenti -  a prendere le parti di Dio, a proporre addirittura di aiutarlo, anziché protestare contro di lui, inveire contro la Sua ingiustizia profonda, il suo silenzio complice, il suo assistere impassibile alla rovina e all’abominio che si consuma ?

Per spiegarlo dobbiamo capire il senso della teologia personale di Etty, il cui disegno coraggioso appare chiaro – pur con tutte le sofferenze e le lacerazioni  - nel dipanarsi febbrile delle pagine del diario e delle lettere  scritte negli ultimi mesi prima della sua morte.

L’atteggiamento della Hillesum di fronte agli spaventosi eventi della modernità è radicalmente diverso da quello della maggioranza delle intelligenze ebraiche che angosciosamente si interrogano sul silenzio di Dio. Pensiamo ad esempio ad esempio ad Elie Wiesel  per il quale questo silenzio rappresenta la fine della fede o almeno di quella fede tradizionale. Se l'Eterno ci sta mandando tutta questa manna senza poter far nulla – scrive Wiesel -  o questo Eterno è impotente o talmente sadico che nessun disegno Provvidenziale e Imperscrutabile potrà giustificarlo (agli occhi di un uomo e soprattutto di un uomo disperato che vive l'esperienza del campo) (11).

Di fronte a questo umanissimo pensiero, Etty offre invece una prospettiva del tutto rovesciata:  Sono pronta in ogni situazione e nella morte a testimoniare che questa vita è bella e piena di significato, e che non è colpa di Dio, ma nostra, se le cose sono così ora… dentro di me c’è una fiducia in Dio  che in un primo tempo quasi mi spaventava per la sua crescita veloce, ma che sempre più diventa parte di me..   

Questa fiducia, questo abbandono non sono, per la Hillesum gratuiti, non scaturiscono dal cuore in modo immotivato: sono piuttosto il prezzo di una presa di consapevolezza, di una umanità raggiunta al prezzo di un coraggio personale introspettivo che non cerca infingimenti o facili consolazioni e nemmeno mai cerca scorciatoie liquidatorieIl misticismo deve  fondarsi su una onestà cristallina, scrive,  quindi prima bisogna aver ridotto le cose alla loro nuda realtà, cioè come è stato fatto notare recentemente da una studiosa del pensiero di Etty, “ sempre dentro lo spessore del contraddittorio e difficile. Di lì si è rimandati all’Oltre, all’Inafferrabile vicino che sollecita aperture inattese, e crescite impensate, itinerari sconosciuti (12).”

Esempi di questa fede contraddittoria e difficile ma sempre vissuta fino in fondo, sempre vissuta senza sconti e visceralmente, nel senso che oggi si definirebbe più autentico, sono disseminati lungo il diario, nel racconto personale di Etty che si segue come lo svolgimento di un romanzo: l’esperienza dell’aborto, vissuta con determinazione lucida e dolorosa (ho giurato che nel mio grembo non nascerà mai un essere altrettanto infelice, scrive dopo aver assistito all’ennesima scenata del labile fratello Mischa, che viene portato in una casa di cura); quella del darsi a uomini diversi (solo dodici ore fa ero tra le braccia di un altro uomo e gli volevo e gli voglio bene)  quella della totale mancanza di autostima (Etty, mi disgusti, così egocentrica e meschina)  sono stazioni di una via crucis personale, che hanno come epilogo la partenza del vagone dalla stazione di Westerbork e l’annientamento nel campo polacco.


Eppure, in questo cammino  così controverso e difficile, Etty riesce a non perdere di vista l’essenziale.  Sa che Dio non le scapperà di mano, se lei non lo lascerà scappare.  Lo insegue, lo ricerca, lo ascolta, lo accoglie.  E una specie di grazia salvifica sembra scendere a proteggerla, a illuminarla, feconda di nuove scoperte:  ieri sera, scrive in una domenica mattina del 1941, subito prima di andare a letto, mi sono trovata improvvisamente in ginocchio nel bel mezzo di questa grande stanza, tra le sedie di acciaio sulla stuoia chiara. Un gesto spontaneo: spinta a terra da qualcosa più forte di me.

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.   

      
11.     E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 169.
12. Così Elie Wiesel in quello che è considerato il suo capolavoro-autobiografia, il romanzo La notte, edito in Italia da La Giuntina, 1992.

21/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (3./)




Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (3./) 


Lo stesso percorso di vita di Etty parla il linguaggio della coerenza e del coraggio. L’adesione incondizionata, a prezzo della sofferenza personale, all’ideale della giustizia e del bello.    Dai tempi del ginnasio, che frequentò a Deventer, dove cominciò a frequentare un gruppo di giovani sionisti, imparando anche l’ebraico.  E poi, da studentessa universitaria, quando pur non facendo parte di alcun gruppo politico, mise in campo la sua passione personale nei rapporti con un’infinità di conoscenti, amici e colleghi universitari, fino al conseguimento della laurea in legge, e al fatale incontro con Julius Spier, lo psicologo e psicoanalista ebreo tedesco, allievo di Jung, che Etty conobbe casualmente il 3 febbraio del 1941 durante un concerto in ambito domestico e che praticava la psicochirologia, basata sulla lettura della mano.

Spier fu l’incontro determinante per Etty: divenne la segretaria e anche l’amante di un uomo carismatico e molto ambito, che la prese in terapia, le insegnò a dominare i suoi stati depressivi e caotici, la spinse ad iniziare la stesura di quel Diario che diventerà un testo capitale della spiritualità moderna, la protesse dall’angoscia opprimente del cerchio che la persecuzione nazista andava stringendo giorno dopo giorno intorno a lei e a quelli come lei.

Come ha scritto F. MichaelDavide: “la duplice esperienza di umanità – la relazione con Spier – e di disumanità – lo sterminio nazista – sono state la trama sulla quale si tesse la tela di questa vita che seppe trovare consistenza nell’ordito della presenza intima e discretissima del Dio dei padri: così vicino e così lontano. Senza la relazione con Spier, fatta di delicatissima e ardita umanità, Etty sarebbe stata senza dubbio sopraffatta dall’orrore e dal logoramento della persecuzione.  Senza queste ultime, non sarebbe stata sollecitata con tanta forza ad andare avanti nel cammino di interiorità fino a scegliere di essere consapevolmente sterile per essere feconda nella trasmissione di un amore più grande sempre pronto alla morte, come paradigma di incompiuta prontezza al dono di sé in ogni momento. (8)”

Le pagine del Diario raccontano di una relazione – quella con Spier – che nella sua profonda umanità, e anche con il corollario di una passione erotica a tratti travolgente (sto proprio rischiando di rovinare questa amicizia con l’erotismo, scrive Etty)  diventa la chiave per maturare e per crescere, e “attraversare la vita senza finzione ma nel coraggio di una verità su se stessi talora assai dura”. (9)


Julius Spier


Questo stesso metodo    che non concede sconti a sé stessa, sul piano del cammino personale, Etty applica, con la pazienza di un entomologo al suo “Discorso con Dio”, che procede di pari passo lungo le pagine del Diario stilato in quei due anni terribili per la storia dell’Europa e del mondo.

E’ soltanto la fedeltà a questo metodo che permette a Etty di non perdere mai totalmente La fiducia in Dio, nonostante l’orrore che vede ogni giorno, nonostante la sensazione di una ingiustizia così conclamata che vede diffondersi nel mondo, nel suo mondo, tra i suoi amici, tra i suoi più stretti famigliari, perseguitati per essere semplicemente appartenenti ad una razza sbagliata.  Il dramma del silenzio di Dio, in questi anni così orribili, Etty lo risolve a suo modo, con una professione di fedeltà interiore commovente, che giunge a spalancare nuovi orizzonti di comprensione spirituale. E’ una consapevolezza nuova – quella di essere il cuore pensante della baracca, come lei stessa si definisce – a permettere ad Etty Hillesum di poter scrivere una pagina come questa:

       Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano… Ti prometto una cosa Dio, soltanto una piccola cosa… Cercherò di aiutarti  affinché tu non venga distrutto in me, ma a priori non posso promettere nulla.  Una cosa però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo noi aiutiamo noi stessi.    L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. … Dicono: me non mi prenderanno.  Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia.  (10)

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.   


1.    Fr. MichaelDavide, Etty Hillesum: Dio Matura, edizioni La Meridiana (Pagine altre), Molfetta (BA) 2005, pag.16.
2.     F.MichaelDavide, Etty Hillesum… Op.cit, pag. 151
3.     E. Hillesum, Diario, Op.cit. pag. 169.

20/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (2./)



Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (2./) 


Ma – prosegue nella ricostruzione Klaas A.D. Smelik – la pubblicazione a parte di due lettere che Etty aveva scritto da Westerbork, lo incoraggiò a non demordere. Arrivò così l’incontro, nel 1979, con l'editore J.G. Gaarlandt.  Nel frattempo il padre di Klaas era morto.  L’editore  diede ordine di far trascrivere i diari – la calligrafia di Etty era pessima – e procedette alla pubblicazione di tutti, tranne due – quelli contrassegnati con il n.6 ed il n.7 che nel frattempo erano scomparsi.   Presentata nel 1981, l’antologia ebbe un successo immediato, enorme.  In poco tempo si consumarono diciotto ristampe e traduzioni in Inghilterra, Stati Uniti, Italia, Spagna, Brasile, Svezia, Norvegia, Danimarca, Finlandia, Israele e Giappone. 


Nel frattempo era anche ‘miracolosamente’ tornato alla luce il sesto quaderno – il settimo è a tutt’oggi introvabile – ed era stata istituita, il 17 ottobre 1983, la Fondazione Etty Hillesum che si è impegnata in questi anni in un prodigioso recupero dei testi originali, di quelli mancanti – con il ritrovamento di venti lettere indirizzata all’amico Osias Korman, detenuto anche lui a Westerbork (4) – nella pubblicazione di un’edizione integrale dell’opera, critico-scientifica,  accessibile a tutti,  e nella ricerca dei testimoni, di tutte quelle persone ancora in vita che ebbero occasione di conoscere Etty Hillesum.


Leggere di queste traversie che accompagnarono la pubblicazione delle lettere e dei diari –  durate 40 anni – prima che un editore si rendesse conto della eccezionalità assoluta degli scritti che gli erano capitata tra le mani, lascia solo in parte stupefatti:  le pagine di Etty Hillesum, infatti, anche se destinate a tutti, a ogni potenziale lettore, non sono mai facili.

Etty era quella che si definirebbe infatti, una anima inquieta. Sempre in bilico, sempre alla ricerca di un equilibrio tra stati di profonda e introspettiva sofferenza ed estasi improvvise, tra illuminazioni maturate al termine di impietosi percorsi di autoconoscenza e autoanalisi e cedimento o volontario abbandono  al dominio dei sensi.

Un po’ di questa inquietudine l’aveva forse ereditata dallo spirito russo della madre, Rebecca Bernstein, nata nella provincia del Potsjeb nel 1881, e finita in Olanda a seguito del pogrom del 1907.  

Ad Amsterdam cinque anni dopo, nel 1912 aveva sposato Louis (Levi) Hillesum, anche lui ebreo, insegnante liceale.  Dal matrimonio erano nati tre figli, la primogenita Etty, nel 1914,  e poi  i due maschi Jacob (Jaap) nato due anni dopo e Misha nato nel 1920.  Una intera famiglia che fu spazzata via dal nazismo.  

Insieme ad Etty, nel lager di Auschwitz trovarono infatti la morte i genitori e il più piccolo Misha. A Jacob toccò invece l’amaro destino di sopravvivere loro, scampando al viaggio verso il campo di concentramento, e di morire dopo la liberazione, nell’aprile del 1945, durante il viaggio di ritorno a casa.

Una inquietudine, quella di Etty, che risulta dichiarata in modo quasi programmatico in un passo di una sua lettera: Io credo che nella vita si possa ricavare qualcosa di positivo in tutte le circostanze, ma che si abbia il diritto di affermarlo solo se personalmente non si sfugge alle circostanze peggiori. (5)


Dichiarazione che costerà ad Etty una fedeltà totale al suo destino, fino al consapevole sacrificio finale.  Quella fedeltà che gli farà scrivere, in una delle ultime lettere dalla prigionia di Westerbork, quando ormai è imminente la partenza per Auschwitz: La vita qui non consuma troppo le mie forze più profonde. Fisicamente forse si è un po’ giù e spesso si è immensamente tristi, ma il nostro nucleo interiore diventa sempre più forte (6).  E ancora:  Una volta è un Hitler, un’altra è Ivan il Terribile; per quanto mi riguarda; in un caso è la rassegnazione, in un altro sono le guerre, o la peste e i terremoti e la carestia. Quel che conta in definitiva è come si sopporta, e risolve il dolore, e se si riesce a mantenere intatto un pezzetto della propria anima. (7)

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4.   Korman, ebreo di origine polacca, ha a sua volta una storia straordinaria:  fu infatti uno dei passeggeri della Saint Louis, la nave salpata dal porto di Amburgo  il 13 maggio del 1939 con destinazione L' Avana e con 936 ebrei tedeschi in fuga dalla Germania. Il rifiuto delle autorità cubane e poi di quelle statunitensi di accogliere i rifugiati costrinse il comandante a tornare in Europa. Osias Korman, quattro anni dopo finì a Westerbork. In una lettera a lui indirizzata  Etty scrive: L'unica cosa che si può fare è di lasciare scaturire in ogni direzione quel po’ di buono che si ha in sè. Tutto il resto viene dopo. Se Osias sopravvisse alla difficile esistenza nel campo di transito, fu anche grazie a Etty.
5.   Etty Hillesum, Lettere (1942-1943),  a cura di Chiara Passanti, prefazione di Jan G.Gaarlandt,  Adelphi, 1990, pag. 27.
6.    E. Hillesum, Lettere, Op.cit. p.88
7.    Etty Hillesum, Diario (1941-1943),  a cura di J.G. Gaarlandt, Adelphi, 1985  pag. 161. 

19/05/14

Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (1./)


  


     

 Dieci grandi anime. 9 . Etty Hillesum (1./) 

      E’ piuttosto difficile spiegare il fenomeno Etty Hillesum. Al contrario di altre celebri vittime dell’Olocausto, come Anna Frank, infatti – il cui diario fu pubblicato la prima volta nel 1947, subito dopo la fine del secondo conflitto mondiale – di Etty Hillesum, oggi divenuta una delle fonti spirituali più feconde e più frequentate nell’occidente non solo cristiano, nessuno aveva sentito parlare, fuori dai confini olandesi,  fino al 1981, quando l’editore Jan Guert Gaarlandt fece stampare ad Amsterdam  una selezione dei manoscritti, seguita, l’anno seguente da 40 lettere.   Per avere una edizione completa, in lingua olandese (1),  bisognò attendere il 1986 mentre la prima opera completa tradotta in inglese uscì soltanto nel 2002 presso la casa editrice Eedermans.

      Prima dell’edizione inglese c’era stata quella in italiano, nel 1985 per meritoria e felice intuizione dell’editore Roberto Calasso (Adelphi) che pubblicò in quell’anno il Diario, e due anni dopo le Lettere

     E’ incredibile considerare come, in un brevissimo lasso di tempo – dopo un così lungo oblio durato dalla morte di Etty avvenuta il 30 novembre del 1943 nel lager nazista di Auschwitz – l’opera della Hillesum sia divenuta così universalmente nota, appassionando ed emozionando intere generazioni di lettori, nel mondo.

     Eppure già le circostanze strettamente editoriali delle lettere e dei diari di Etty appaiono indicativi di un percorso spirituale del tutto particolare.  

     Fu proprio Klaas A.D. Smelik, l’uomo a cui si deve il salvataggio di questi meravigliosi testi, a raccontare qualche anno fa in un appassionato intervento durante un convegno (2) a Roma le peripezie che portarono nel corso di quattro decenni, all’emersione dei diari e dei quaderni.

      Ma prima di tutto l’antefatto: come è noto Etty Hillesum tenne negli anni 1941 e 1942 ad Amsterdam, un diario. Probabilmente, come racconta lo stesso Smelik, “lo fece su consiglio di Julius Spier, psicochirologo e terapeuta ebreo-tedesco, come momento della sua terapia. I diari non le servivano solo per la sua salute psicologica, ma anche per esercitare il suo talento di narratrice; Etty Hillesum infatti aveva l'ambizione di diventare scrittrice dopo la guerra, voleva scrivere un romanzo sulle sue esperienze, che tentava di fissare meticolosamente.” (3) 

      Una volta rinchiusa definitivamente nel campo di transito di Westerbork – dal quale passarono tutti i deportati dei Paesi Bassi, comprese Edith Stein e Anna Frank -  nel giugno del 1943, Etty diede in custodia i diari che teneva ad Amsterdam alla sua amica e coinquilina Maria Tuinzing, con l’indicazione di consegnarli ad uno scrittore Klaas Smelik, che come amico, doveva prendersi cura della pubblicazione dei diari.  

Il figlio dello scrittore, nella occasione di quel convegno, ha continuato così il suo racconto: “Ella aveva fatto conoscenza con mio padre a metà degli anni Trenta e sperava ovviamente che egli, attraverso le sue relazioni con vari editori, fosse in grado di trovare una via per realizzare la pubblicazione.  

Quando, dopo la Liberazione, risultò che Etty Hillesum era stata assassinata ad Auschwitz, Maria Tuinzing si mise in contatto con mio padre e gli consegnò gli undici quaderni dei diari, nonché le lettere. La figlia maggiore di Smelik, Johanna (nei diari chiamata Jopie) dattiloscrisse una parte dei diari e delle lettere, poiché la scrittura di Etty Hillesum era difficilmente leggibile. Alla fine degli anni Cinquanta e poi, di nuovo, a metà degli anni Sessanta, mio padre si mise in contatto con vari editori, che si rifiutarono di pubblicare i diari. Veniva considerato troppo filosofico.”


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 



1.    Il titolo originale dell’opera è Etty, De nagelaten geschriften van Etty Hillesum 1941-1943 (Gli scritti postumi di Etty Hillesum). Si tratta di un’opera di 864 pagine contenente tutti i quaderni e le lettere. Recentemente pubblicata anche in Italia dall'editore Adelphi. 
2.     Il Convegno internazionale su Etty Hillesum si tenne a Roma il 4 e 5 dicembre 1988 e i relativi atti furono pubblicati nel volume:  L’esperienza dell’Altro, Apeiron Editori, Sant’Oreste 1990.

3.     Klaas A.D. Smelik, intervento in L’esperienza dell’Altro, op.cit. pagg.121-125. 

18/05/14

La poesia della Domenica - 'E qual è il sentiero?' di Ezra Bayda.




E qual’è il sentiero?
Impara ad abitare ciò che la vita propone.
Impara a prestare attenzione alle cose
che bloccano il flusso di una vita più aperta
e vederle come la vera via del risveglio:
costrutti, identità,
esitazioni, difese,
paure, autocritiche e accuse,
tutto ció che ci separa dall’accettare la vita.

E qual’è il sentiero?
Rinunciare alla ricerca di consolazione
e alla fuga dal dolore.
Aprirsi alla volontà di essere
semplicemente in questo istante
così com’è.
Non più tanto pronti a cadere
nel vortice inarrestabile della mente.
Praticare è risvegliarsi al vero Sé:
nessuno in particolare, nessuna meta.
Abitando nel cuore, basta essere.

Siamo tanto di più che questo corpo,
che questo dramma personale.
Abbarbicati alla paura,
alla vergogna, al dolore,
perdiamo la gratitudine di una vita spontanea.

Come si manifesta, adesso, il nostro aggrapparci alle opinioni?

Rilassando il giudizio incessante della mente ci risvegliamo al cuore che cerca il risveglio.

E quando si alza il velo della separazione,
La vita si rivela come vuole.
Liberi dal sogno autocentrato
possiamo donarci agli altri,
come un uccello bianco nella neve.

Il tempo vola.
Non esitare.
Accogli grato questa vita preziosa.



Ezra Bayda, tratto da Cuore Zen.

17/05/14

'Il cardellino' di Donna Tartt: il piacere (effimero) di leggere una storia.




Di solito - premetto - non leggo libri così.   
Intendo libri che arrivano preceduti da un enorme battage pubblicitario, da premi (Pulitzer 2014) e investiture sul campo come 'libro dell'anno', che non si può evitare di leggere. 

Ma non avendo letto nulla di Donna Tartt ero abbastanza incuriosito. I libri poi arrivano sempre nel momento deciso da loro, ed era evidentemente il momento giusto per sobbarcarsi una lettura come questa, quasi 900 pagine, una storia perfino estenuante, scritta interamente in prima persona, in unità di tempo e luoghi, senza flashbacks, senza quegli espedienti di frammentarietà che vanno così di moda oggi. 

La Tartt è molto brava, nel congegno narrativo: la macchina funziona - non per niente proviene da quel Bennington College dal quale sono usciti anche Bret Easton Ellis e Jonathan Lethem - con efficacia implacabile, pagina dopo pagina, con tutti gli snodi che rendono un libro leggibile e una storia accattivante. Si va a dormire incuriositi e con la voglia di farci raccontare cosa succederà quando riprenderemo in mano il libro. 

Theo, un ragazzino di dodici anni, resta orfano di madre - il padre, un ex attore sbevazzone ha già mollato il tetto coniugale da tempo, sparendo nel nulla - durante un misterioso attentato in un museo, nel centro di Manhattan.  Sepolto dalle macerie - la scena madre del libro si dipana all'inizio per cinquanta pagine ed è scritta con la necessaria magniloquenza e precisione dei dettagli di chi sa che è essa ad innescare il meccanismo narrativo che ti terrà avvinto per le successive 850 pagine - Theo scoprirà solo in seguito che la madre è morta, ma intanto avrà fatto in tempo a portare con sé, nello stordimento generale, un preziosissimo piccolo quadro, Il Cardellino, dipinto dal fiammingo Carel Fabritius nel 1654. 

Quella tela diventa il talismano di Theo, la sua àncora per sopportare i dolori del mondo che gli proverranno dalla nuova condizione di orfano: la scoperta del mondo di Hobie, l'antiquario nobile e silente che prende ad occuparsi di lui;  l'adozione da parte di una ricca famiglia di Manhattan, i Barbour; il ritorno del padre, che torna a farsi vivo accompagnato da Xandra, una svitata e lo porta a vivere con loro a Las Vegas; l'amicizia totalizzante con Boris, il Lucignolo che avvia Theo sulla strada della perdizione e della droga; la fuga solitaria per tornare a casa a New York; l'escalation nel mondo dell'antiquariato occupandosi della bottega di Hobie; i guai che ne seguiranno e le vicende gangsteristiche che porteranno il libro alla sua conclusione. 

Il Cardellino è un libro con molte ambizioni. Ma la qualità letteraria non è adeguata, ahimé, a supportarle.  

Contrariamente al facile entusiasmo di quelli che anche qui in Italia hanno scomodato paragoni con Saul Bellow o Henry Roth,  la scrittura della Tartt non è assolutamente all'altezza di questi confronti. 

Siamo cioè molto più dalle parti di Stephen King - che infatti ha recensito entusiasticamente il romanzo - che di Saul Bellow. 

Pur nella ricchezza del testo, nelle invenzioni narrative, nell'impianto Dickensiano così apparentemente solido, Il Cardellino ha un vuoto di fondo che non si riempie. 

Non si tratta soltanto della filosofia nichilista che pervade il romanzo, quasi come un teorema scontato. L'anima della storia resta ad un livello superficiale. 
Funzionano alcuni personaggi - il migliore è Hobie - altri molto meno, così come non funzionano affatto quelle trappole per il lettore che sono molto artificiose e di facile individuazione per chi non è proprio di primo pelo. 

Il personaggio di Theo resta, ma sono insopportabili a lunghi tratti le sue tirate vittimistiche, autocompiacenti e autocompiaciute, così come è insopportabilmente descritta - con eguale compiacimento - la parossistica caduta nel gorgo delle droghe (del vomito, della nausea, dei collassi, delle visioni) che avvita il libro su ritmi più stantii. 

Il vuoto comunque resta. E forse è proprio questo vuoto che sta a cuore alla Tartt, come lei stessa ci mostra nelle ultime pagine del romanzone. 

Senza compiere nessuno spoiler, si può affermare che il Cardellino resta alla corda, alla catena, esattamente come l'uccellino dipinto da Carel Fabritius nel 1654. 

Si ha cioè l'ìmpressione che un tale sfoggio di tecnica narrativa - al contrario dei grandi maestri che, dando voce poetica alla tecnica trasformano l'immateriale narrativo in reale-concreto-per-le nostre-vite - resta, come i vivaci colori del Cardellino fiammingo: pura manifestazione esteriore. 

Il pianto di Theo non riesce mai a scuoterci o a commuoverci fino in fondo.  La vita interiore richiede un surplus di  mondo reale e di mediazione poetica che nessuna raffinata tecnica narrativa, da sola, può restituire. 


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 






15/05/14

'La giovinezza è sopravvalutata' - Tilda Swinton.






In una recente intervista ad Alessandra Venezia (per IoDonna/Corriere della Sera), Tilda Swinton, che è una grande attrice e una donna molto intelligente, ha espresso un pensiero molto interessante:

'La giovinezza è sopravvalutata. La vita diventa molto più interessante col passare degli anni e arrivare a 97 anni, come mia nonna - che è ancora la mia stella polare - a me piacerebbe. Chi disse che la gioventù nei giovani è sprecata aveva ragione. Sì, d'accordo, l'energia dei giovani.. ma tutto il resto è un disastro. Le cose migliorano e continuano a migliorare col passare del tempo. Almeno per me.' 

Mi sembra una considerazione profonda e coraggiosa in un'epoca che ha deificato la giovinezza - e la bellezza esteriore ad essa legata - al punto tale che si pretende di imporre - nei linguaggi della pubblicità, dei media.. - il modello di una età eternamente giovane, quasi come se la vecchiaia (parola scomparsa dal vocabolario) non esistesse più.

Invece, avverte la Swinton - che incarna sullo schermo spesso personaggi fuori dal tempo e dal genere - la gioventù è un'età immatura.   In particolare, oggi. 

E' il (nostro) tempo mortale a definire il passaggio ad una vita più piena, più autentica e quindi più gustosa. 

Oggi ne abbiamo tutti i mezzi. 

Ripeness is all,  scriveva Shakespeare.  La maturità è tutto. 

L'energia giovanile, la forza, la ribellione, l'istinto, la bellezza, l'esibizione, la sfrontatezza, sono ben poca cosa se non si è capaci di capire che ogni conquista di sé - e del Sé - passa attraverso la relazione con l'altro.

Con tutto ciò che - in termini di godimento e sofferenza, di consapevolezza e prova - esso comporta. 

Ma soltanto quando si cresce le cose continuano a migliorare col passare del tempo. 


Fabrizio Falconi 

14/05/14

Il Festival dei comportamenti a Lodi - fino al 20 maggio.



Giorgione, Le Tre età dell'uomo, 1501


Dal 12 al 20 MAGGIO 2014 a LODI, il Festival dei Comportamenti, 9 giorni di incontri, spettacoli e laboratori per conoscere meglio sé stessi e gli altri.

 Il Festival dei Comportamenti da quest’anno rientra nel più ampio progetto sostenuto dalla Fondazione Cariplo “Lodi Ruota della Cultura”, una rete che raccoglie festival, eventi e rassegne esistenti e future in un continuo confronto e dialogo, per permettere alla cultura di non fermarsi mai. 

Gli incontri dedicati ai Comportamenti intendono offrire momenti di approfondimento e dibattito. Per questo motivo sono chiamati a Lodi scrittori, artisti e testimoni del nostro tempo, che ci aiutino a guardare il mondo da nuove prospettive. 

Nove giorni di laboratori, spettacoli e incontri che ci fanno riflettere e che ci spronano a comprendere qualcosa di più su di noi e sulle relazioni con noi stessi, con gli altri e con il mondo. 

Il Festival dei Comportamenti ci parla della nostra vita: dalla genitorialità ad un nuovo modo di vivere la socialità, la scuola e gli affetti, dall’elaborazione del lutto a nuovi modelli di produzione e di mercato sostenibili.

Tra gli ospiti: Luis Sepúlveda, Giuseppe Catozzella, Paolo Legrenzi, Nadia Toffa, Eraldo Affinati, Ian Leslie, Marina Sozzi, Giorgio Manzi, Massimo Recalcati, Giacobbe Fragomeni con Valerio Esposti, Gino Nebiolo
con Pier Luigi Vercesi, Diego Fusaro, Davide Longoni Luis Sepúlveda e Enzo Bianchi ci raccontano una società sempre più veloce, innaturale ed egoista. 

Una società dove, per ritrovarsi, bisogna riappropriarsi – sostiene Sepúlveda – del tempo per la vita, per noi e per le nostre relazioni. 

Bisogna riscoprire – ci insegna Bianchi – il dono e la capacità di dare, di offrire un gesto in grado di introdurre relazioni rigeneranti.

Perché non possiamo vivere senza mentire? Lo spiega Ian Leslie; Matteo Rampin suggerisce che per ogni problema c’è una via d’uscita; Giorgio Manzi racconta il meraviglioso viaggio dell’evoluzione; Eraldo Affinati spiega i disagi dei nostri adolescenti; Cesare Moreno, maestro di strada, sogna un incontro con i giovani che costituisca una comunicazione interumana al riparo da competizioni e ideologie; Marina Sozzi aiuta a ripensare e accettare la morte per cambiare la vita e Massimo Recalcati affronta l'eterno problema del perdono nelle relazioni amorose. 

Tre nonne riportano l’esperienza di vita ricca di felicità con i propri nipoti adottivi; con Eleonora Mazzoni si prende in considerazione il tema della ricerca della maternità, talvolta una ricerca disperata e ossessiva; Giacobbe Fragomeni racconta l’infanzia difficile, la droga e l’alcol come illusorie soluzioni e poi la passione per il pugilato, che da ragazzo allo sbando lo porta ad essere due volte campione del mondo WBC massimi leggeri; Massimiliano Verga testimonia la sua paternità un po’ speciale, quella di un bambino disabile, che obbliga a una nuova quotidianità, un nuovo modo di essere padre e genitore.

Il festival non poteva non approfondire due grandissime emergenze sociali: quella dell’immigrazione e quella della Ludopatia. Lo fa attraverso la voce di Giuseppe Catozzella e la storia di Samia, la ragazza africana che riesce a qualificarsi alle Olimpiadi di Pechino ma che trova la morte nelle acque di Lampedusa, mentre cercava di raggiungere l'Europa. Il gioco compulsivo è una malattia che affligge 800.000 italiani, distrugge persone e intere famiglie, ma gli interessi in ballo sono enormi e di fatto viene incentivato. 

Per maggiori informazioni www.festivalcomportamenti.org

13/05/14

Jung: La nevrosi collettiva.





Più l'uomo è civile, ossia più è consapevole e complicato, meno sa seguire l'istinto;  le sue complesse condizioni di vita e l'influenza dell'ambiente son così forti da soverchiare l'esile voce della natura. 

Allora opinioni e convinzioni, teorie e tendenze collettive si fanno avanti in sua vece e danno il loro appoggio a tutte le aberrazioni della coscienza. 

Igiene e prosperità non bastano perché l'uomo sia sano; altrimenti gli uomini più ricchi e più illuminati starebbero meglio degli altri.

Per quanto riguarda le nevrosi, le cose non stanno così, al contrario. 

La perdita delle radici e l'abbandono della tradizione nevrotizzano le masse e le predispongono all'isteria collettiva.  E questa  richiede una terapia collettiva consistente nella privazione della libertà personale e del terrore. 

Là dove predomina il materialismo razionalistico, gli Stati tendono a diventare non più prigioni, ma manicomi.


Carl Gustav Jung, da Aion, Ricerche sul simbolismo del Sé, Bollati Boringhieri, 1982, citazioni tratte da pag. 20 e da pag.170.  

12/05/14

Lotta di classe al terzo piano - un romanzo coraggioso di Errico Buonanno.




Ci pensavo di recente: il coraggio è proprio quel che manca, che sembra mancare agli scrittori italiani. 

In molti scrivono bene, imbastiscono storie ben costruite, affilano personaggi che riescono a suscitare empatia.  Però.. però alla fine manca quasi sempre qualcosa. 

Come ha detto una volta con incredibile sintesi, Michel Serres, è proprio il coraggio la qualità umana che sembra mancare di più di questi tempi (dove tutto, anche la passione, è sotto tono, sotto traccia, dove tutto sembra tiepido e confortevolmente privo di profondità). 

Errico Buonanno, invece, il coraggio ce l'ha.  E lo dimostra con un romanzo che mette insieme una storia, un ambiente, personaggi, apparentemente del tutto inattuali, del tutto fuori moda, del tutto lontani dal gusto contemporaneo, da quello che sembra gradito al mercato. 

Buonanno ci invita - con tono leggero, divertito e divertente, ma pieno di implicazioni attuali (eccome) - a Londra, nel 1861, dove in un vecchio, fatiscente condominio, vive - a spese del sodale, pazientissimo e devoto Engels - Karl Marx.  Proprio lui.  Il personaggio e il filosofo che dopo aver dominato la scena del mondo per buona parte del Novecento, sembra oggi caduto in una specie di damnatio memoriae, come quella che capitava agli imperatori romani, dopo aver esaurito il loro Regno. 

Oggi quasi nessuno più - a parte i circoli accademici - parla più di Marx, e se è vero come è vero che anche nei periodi di massimo fulgore della diffusione del suo pensiero in Occidente si poteva affermare che quasi nessun marxista o dichiarato tale avesse mai letto una sola pagina del Capitale (un certo oblio dunque già esisteva), oggi ad essere dimenticata sembra anche la vicenda umana del filosofo, che pure già di per sé contiene molti motivi di interesse.

Buonanno mette al centro del suo romanzo proprio Karl Marx, con tutte le sue smanie e le sue idiosincrasie, a quarantatré anni, mentre è alle prese con la scrittura del libro (Das Kapital), che incendierà il secolo successivo e che vedrà la luce soltanto sei anni più tardi, nel 1867. 

A Londra Marx se la vede malissimo.

Lui e la sua famiglia, che qui sono approdati nel 1852, hanno vissuto con gli esigui proventi della sua attività di pubblicista.

Abitano in uno dei peggiori quartieri di Londra, occupano due stanze con la moglie che lo ama profondamente e crede nelle sue idee, nonostante le gravissime difficoltà e la morte, in pochi anni, per denutrizione, di tre figli, Heinrich (1850), Franziska (1852) e Edgar (1855).

Nonostante ciò, Marx non smette di studiare, scrivere, riflettere: il mondo, l'Europa, sono in rivolta.  E ovunque sembra di respirare soltanto un'attesa di qualcuno che sappia interpretare e definire questo sentimento.

In questo clima dickensiano, Buonanno costruisce un romanzo formidabile, che pagina dopo pagina diverte e commuove.  Il segreto - l'espediente - è quello di introdurre la figura del padrone di casa,  Alan John Huckabee, che sembra l'opposto di Marx: sfruttatore, cinico, invidioso, letterato fallito e vero e proprio capitalista.

Marx è un inquilino scomodo: moroso impenitente, pericolosa testa calda, frequentatore di brutti soggetti.

Tra i due opposti caratteri comincia una guerra che si stempererà, pagina dopo pagina, in una imprevista e imprevedibile empatia, una lotta solidale, dalla stessa parte, in nome dell'utopia: in fondo ogni uomo alla fine, desidera cambiare il mondo, e desidera che il mondo sia un posto migliore di quello che viviamo.

A corollario dei due, Buonanno dispone poi una serie di personaggi di contorno particolari che arricchiscono la narrazione - imbastita soprattutto sui dialoghi, che sono la vera arma in più di questo scrittore - come quello di Natasha Ivanova, che sembra uscita da un libro di Tolstoj e che con La promessa del Tamigi, "romanzo in presa diretta", regala al lettore momenti di divertimento puro.

E alla fine con quella frase così spontanea: "Huckabee, su: si guardi intorno! Non è bella la vita, anche qui fuori ? E non è bella la realtà? Il futuro, il progresso, quello vero!" concede al romanzo l'esito più appropriato.

Il futuro, il progresso, lontano dall'utopia, sono nel coraggio della vita ordinaria, nelle battaglie quotidiane, nel riso e nel pianto della vita.  E questo, anche Karl Marx, prima ancora di comprenderlo forse, lo ha vissuto interamente con la sua esistenza.

Fabrizio Falconi



Errico Buonanno

11/05/14

La poesia della domenica - 'Incontro nel Viale dei castagni' di Rainer Maria Rilke.




All'ingresso l'avvolse il buio verde
come in un fresco mantello di sera;
e mentre ancora al corpo s'accordava
ecco lontana nella trasparente

opposta estremità, da un sole verde
come da vetri verdi, luminosa,
emerse una sola figura bianca
e restò a lungo lontana; poi luci
spiovendo ad ogni passo l'inondarono

e all'indietro le corse un chiaro brivido i capelli
timido propagarsi nel biondo.
Ma a un tratto l'ombra si fece profonda
e occhi vicini erano aperti

ora in un volto nuovo, chiaramente visibile
e fermo come in un ritratto
in quell'istante che tornò a dividerli:
prima era per sempre e poi non era più.

Parigi, estate 1908, prima del 15 luglio

Rainer Maria Rilke, da Nuove poesie, a cura di Giacomo Cacciapaglia, Einaudi, 1995.