08/12/10

John Lennon - gli eroi idealisti non muoiono mai.


Sono molto colpito oggi - trentesimo anniversario della morte, avvenuta violentemente a NewYork l'8 dicembre 1980, poco dopo aver compiuto il 50mo anno di età - dal proliferare di ricordi, ovunque, dedicati a John Lennon. Una vera invocazione collettiva per una mancanza.

Sono colpito perché è la dimostrazione eclatante di quanto nel mondo si senta la mancanza di idealismo. Lennon lo era per eccellenza, al punto che certe sue battaglie oggi fanno perfino sorridere. E degli idealisti è sempre facile ridere, sorridere, burlarsi. E' lo sport più facile del mondo: il cinismo vince sempre contro l'idealismo. Sembra una partita senza speranza: il cinismo può distruggere ogni idealismo - specie il più innocente - con una alzata di spalle, con un ringhio da iena, con una battuta fulminante. Sei un idealista? Peggio per te... Svegliati, il mondo è questo. Non sei un bambino, cos'è: fai ancora la pipì al letto ?

E però...

Però alla fine, la vicenda Lennon lo conferma: quanto abbiamo bisogno di questi idealisti, di questi stupidi, quanto ci mancano, quanto ne sentiamo la rumorosa assenza, quanto tristi sono le nostre vite senza lo straccio di un pensiero, di una speranza. Quanto buio e angoscioso è questo vuoto, senza nessun canto che lo abiti.


La lezione di civiltà di Brembate - Claudio Magris.




Sembra incredibile, ma ogni tanto gli uomini, le istituzioni e l'opinione pubblica mostrano anche segni di umana civiltà. Un muratore marocchino che lavora a Brembate di Sopra, presso Bergamo, è stato sospettato di aver assassinato Yara Gambirasio, la ragazza scomparsa da alcuni giorni; sospettato ingiustamente e poi rilasciato in base alla traduzione sbagliata di una sua frase in arabo detta al telefono.

Non si è scatenata, come purtroppo è avvenuto in altri casi (lo stupro commesso da un romeno che ha creato una feroce psicosi verso i romeni accusati quasi in blocco d'essere stupratori, l'indiscriminata violenza verso gli zingari), alcuna bestiale caccia al marocchino, non si sono sentiti idioti insulti razzisti rivolti globalmente agli arabi.

La comunità di Brembate di Sopra ha dato in generale un esempio civile oggi più che mai prezioso nel clima teso ed eccitato - anche comprensibilmente, per le difficoltà dei problemi legati all'immigrazione e al contatto fra culture diverse - che stiamo vivendo, in cui spesso si sentono risuonare selvagge parole di odio generico e si assiste a violenze gratuite. Non sarebbe male se tutta l'Italia, sotto tale profilo, assomigliasse a questa Brembate.

C'è sempre, e sempre più drammatica, l'angoscia per la sorte di Yara, la speranza o meglio la necessità di trovarla; e - nella tragica eventualità di una sua morte per mano di un assassino - la necessità di individuare quest'ultimo e punirlo con tutti i rigori della legge. Troppo spesso si dimentica che Dio è anche collera.

Mohamed Fikri, il manovale accusato ingiustamente, ha rischiato una sorte terribile per una traduzione sbagliata. La lingua regge il mondo, nel suo potere di comunicare, informare, plasmare e talora plagiare gli animi. Determina la giustizia o l'ingiustizia, può far trionfare la verità o la menzogna, chiarire o avvelenare la vita. Se non si mette correttamente il soggetto al nominativo e il complemento oggetto all'accusativo ma si inverte la sintassi, non si capisce più chi ruba e chi è derubato, si mette in galera la vittima e si manda libero il colpevole. Una punteggiatura sbagliata o alterata può falsare e sconvolgere l'ordine delle cose.

Oggi è sempre più necessaria, nello scambio e nel contatto sempre più a gomito di genti e culture diverse, la conoscenza delle lingue ovvero la possibilità di comunicare, capire, incontrarsi, difendersi, aiutare. L'insegnamento reale delle lingue, così carente in Italia, dovrebbe essere una pietra angolare dell'istruzione, a tutti i livelli. Se il ministro dell'Istruzione - colpito da questo episodio che mostra come la conoscenza linguistica possa dannare o salvare una vita - recedesse dall'assurdo provvedimento che ha abolito i lettori di madre lingua straniera all'università, la vicenda di Mohamed Fikri sarebbe stata, tra le tante altre cose, pure utile al nostro Paese.

05/12/10

Invocazione per voce sola.



Nel vento di Novembre se ne sono andate anche le speranze.
Viaggiano come voci sperse che il vento sospinge malinconiche, e un nuovo orizzonte non appare. Si disinteressa il caso al ricordo e alla dimenticanza. Tutto è come sempre avvolto da un misterioso sospiro, quando i capelli sparsi sul cuscino si perdono in tutto quel bianco e la luce li sfiora appena perché il giorno non può ancora nascere. Viene di notte il tuo battito appena percepito, lo sento dentro, nessuno può più svegliarci, nemmeno il rumore della pioggia o il silenzio intero di una assenza, divenuta insopportabile.
Ritorna, rinnova, dài un senso.
Riprendi il gesto, muovi l'ombra nel gelo dei tuoi occhi, torna a svernare al tepore brumoso dei tropici, resta sospesa tra me e te, descrivi questo niente che è un momento e rendilo eterno, come deve essere e come è sempre stato.


30/11/10

La morte di un grande Maestro: Mario Monicelli.



'Beat' a iss..' : è la magnifica 'chiosa' del povero ignorante alla morte di 'Abacucco', uno degli straordinari personaggi inventati da Mario Monicelli in quel capolavoro assoluto che è 'L'armata Brancaleone,' del 1966, scritto insieme ad Age e Scarpelli (che vale da solo più di un centinaio di pesantissimi saggi di politica culturale, per comprendere l'antropologia storica dell'homo italicus) uno dei moltissimi film che il grande maestro viareggino ha lasciato in eredità al cinema e alla cultura italiana.

In questa scena c'è tutta la filosofia di vita del 'pessimista' Monicelli (la vita come una condanna, una croce da portare): sembrava anzi, nel suo consolidato scetticismo toscano, che nessun altro approccio che il pessimismo fosse consentito di fronte alla vita.

Eppure, tutto il suo cinema è uno straordinario inno alla vita. La vita in tutti i suoi aspetti più folgoranti e grotteschi, in tutte le sue misere e grandi esaltazioni e in tutte le sue rovinose cadute.

Se c'è stato un innamorato della vita, questi era Monicelli. Che nel suo cinema non si è limitato a descrivere - forse come meglio non si poteva - l'italia e gli italiani (ai quali era legato da un sentimento di amore/odio che 'Brancaleone' massimamente esprime), ma ha fornito una visione autentica dei fatti della vita, dei contenuti della vita per quello che è. Non a caso i suoi film, privilegio della vera arte, si sono rivolti e sono stati compresi da ogni tipo di pubblico, di ogni età, di ogni censo, di ogni nazionalità.

Il suicidio del novantacinquenne Monicelli è l'ultimo disperato atto di appropriazione del proprio destino: la vita, anche nel distacco finale, ha voluto come sempre dirigerla lui, fino all'ultimo.

29/11/10

La poesia della Domenica - 'Solo te' di Else Lasker-Schüler


Solo te

Il cielo si porta nel cinto di nuvole
La luna ricurva.

Sotto la forma di falce
Io voglio riposarti in mano.

Sempre devo fare come vuole la tempesta,
Sono un mare senza riva.

Ma poiché tu cerchi le mie conchiglie,
Mi si illumina il cuore.

Stregato
Giace sul mio fondo.

Forse il mio cuore è il mondo,
Batte –

E cerca ancora te –
Come ti devo invocare?



Else Lasker-Schüler (Elberfeld, 11 febbraio 1869 – Gerusalemme, 22 gennaio 1945)

26/11/10

Maupassant - La passività, la mancanza di coraggio: un tema moderno.



Ho finito da poco di rileggere 'Una vita', di Guy de Maupassant. E, ancora una volta, ho avuto conferma che da un romanzo classico si possono trarre utili insegnamenti per la nostra vita, la vita di oggi.

Una vita scuote nel profondo, perché mette a confronto i disastri che sorgono tra una vita immaginata e idealizzata (quella di Giovanna, la protagonista, 'prima' di entrare nella vita, e cioè quando è chiusa in convento, dove i genitori l'hanno chiusa per preservarla e prepararla al futuro) e la vita reale. L'isolamento di Giovanna, la sua 'preparazione' nel convento, ne ha fatto una impreparata alla vita. Ella è convinta che un destino solare l'attenda: non può essere altrimenti. E il viaggio verso 'il Castello' - la casa avita - in quella terribile giornata di pioggia (che pure sembra un presagio) è per lei tutto un incantamento.

Da qui, nasce il suo lungo calvario di disillusioni, una più amara dell'altra.

Ma Giovanna, non è per me innocente. Per tutto il romanzo si aspetta la 'reazione' di Giovanna (è esattamente lo stato d'animo in cui Maupassant mette il lettore), ma la reazione di Giovanna, per l'appunto, NON ARRIVA MAI.

Giovanna è una passiva. Il suo atteggiamento ai limiti dell'ignavia, genera e amplifica tutte le disgrazie che le arrivano: accetta Giuliano senza nemmeno conoscerlo, passivamente. Passivamente si fa trasportare da una idea di amore coniugale (che del resto subito si dimostra falsissima). Passivamente accetta il tradimento con la serva (con tanto di figlio illegittimo) subito convinta dal pistolotto del curato (quello 'buono' è quasi più insopportabile e odioso dell'esaltato Tobiac). Passivamente accetta il nuovo tradimento con la contessa che avviene sotto i suoi occhi e che finge di non vedere, consolata dall'arrivo del figlio. Passivamente si concede perfino per un secondo figlio, nonostante la conclamazione del tradimento ! Passivamente accetta che sia l'energumeno marito della contessa a togliere di mezzo i due fedifraghi. Passivamente giunge perfino a rimpiangere il marito (un essere totalmente meschino). Passivamente riversa ogni sua frustrazione sull'unico bene rimastole del figlio, viziandolo in ogni modo.

Passivamente accetta che anche il figlio si dimentichi di lei (aspetta un tempo immemorabile prima di metterlo di fronte a quello che ha combinato). E passivamente accetta il risarcimento tardivo della sorte, con quel fagotto che le piove dal cielo.

Giovanna non può lamentarsi: ha avuto dalla vita quel che ha dato, cioè NULLA.
Rosalia, la serva, è l'esempio, opposto, di chi, pur segnato dalla vita, la prende per mano, la affronta: non si bea delle avversità, non si piange addosso, non si sente vittima perché ha troppo idealizzato la vita. Come enuncia alla fine, la vita per lei "non è nè bella, nè brutta". E' la vita, appunto. E va vissuta.

Non c'è niente di peggio, che prendere la propria vita e chiuderla in un cassetto. E' forse il peccato più grande che possiamo fare, di fronte alla vita che abbiamo ricevuto.

Il difetto più grande di Giovanna è dunque proprio quello che appare, anche nella nostra contemporaneità, un limite im-perdonabile: la mancanza di CORAGGIO.

22/11/10

La poesia della Domenica - "Sonetto" di Giovanni Raboni





Invecchiando un corpo vorrebbe un'anima
diversa, ma come si fa? Non serve
prendere calmanti, stordire i nervi
e la mente, il problema è proprio l'anima,

l'anima che non vuole pace, l'anima
insaziabile, ostinata che ferve
per sempre più comicamente impervi
labirinti o abissi e si sa che l'anima

non solo è immortale, ma immortalmente
immatura. Così, temo, non resta
che rassegnarsi, finchè non s'arresta

la fontanella del respiro niente
può cambiare, non è di questo fuoco
spegnersi come gli altri a poco a poco.

Giovanni Raboni (Milano, 22 gennaio 1932 – Parma, 16 settembre 2004) - da 'Ogni Terzo pensiero' - Mondadori 1993.

17/11/10

Corpo Morto





Corpo morto

è avvelenato e celebrato morto
anche se il vento ancora non ha chiuso
la porta, riprende a parlare col fiato corto
l’anatomopatologo dice che è un delitto
e non un semplice torto,
lasciarlo lì a marcire come muffa nel parco
bisogna svellerlo e toglierlo
portarlo a posto
chiuderlo all’istante, riporlo
celebrarne le esequie
e seppellirlo,
il tuo cervello si dispone all’ascolto
ma non ancora per molto
germoglia del pensiero
il fiore non ancora colto,
e subito svanisce insieme al corpo caldo
bisognoso di cura e composizione
come la nave che affonda nel porto
a un passo dalla riva,
nel freddo del fiordo
compensa con calma il trapasso
finale, la presentazione
del conto,
riunisce le forze, disattiva il contatto
e cade finalmente nel pozzo,
cade e nessuno ci penserà più,
cade come una storia che cade,
come un corpo corrotto
come una cosa che si rompe
e succede, come una ferita grave
o un gioco senza scopo e senza morale,
come un semplice corpo morto, cade.


Fabrizio Falconi - 16 novembre 2010
-tutti i diritti riservati-

15/11/10

I rassegnati e i resistenti.




Come atteggiamento complessivo di fronte alla vita, gli esseri umani potrebbero essere divisi in due grandi categorie: i rassegnati e i resistenti.

I rassegnati sono quelli che hanno (o avrebbero) una decisa opinione della vita, frutto di idealizzazione e, di conseguenza, grosse aspettative. La vita, perciò, non è mai – o quasi mai – ‘all’altezza’ di queste aspettative. E di conseguenza i rassegnati vivono la loro frustrazione aspettando continue conferme al fatto che la vita ‘reale’ non può e non potrà mai essere congrua alle aspettative che si nutrono, in forma del tutto ideale.

I resistenti invece sono coloro che privilegiano la vita reale, così com’è, che idealizzano poco e che affrontano i problemi uno alla volta, senza trarre conclusioni definitive, e senza perdere definitivamente la speranza. Ma capaci anche di godere del frutto del proprio lavoro. Il loro atteggiamento è quello di considerare la vita per quel che è: come fa un contadino quando la mattina esce di casa. Piove, bisognerà portare l’ombrello. C’è il sole, si potrà mangiare frutta all’aperto.

L’atteggiamento di fronte alla vita è importante, è anzi tutto. I rassegnati corrono il rischio di rinchiudersi nella fatalità e nel senso di impotenza, e di imbucare le loro vite nel cassetto. I resistenti rischiano ugualmente di soccombere alle avversità, ma vogliono farlo lo stesso.

La vita, però, indipendentemente dai risultati raggiunti, non è – bisognerebbe esserne coscienti – mai qualcosa di ‘separato da noi.’
Qualcosa che ‘ci’ succede.

La vita è una continua e dinamica interazione tra quello che succede e quello che noi facciamo succedere.

In questo senso ha ragione chi dice che il destino è quello che è in noi, e che noi facciamo esistere, ogni giorno, adattandoci e cambiando – con la nostra presenza di resistenti e non di spettatori – il destino pre-dato della realtà esistente. Un destino che noi – unico elemento cosciente di questa creazione e di questa realtà – possiamo e dobbiamo interpretare. Compito coraggioso, molto più alto di quello che siamo soliti immaginare.

14/11/10

La poesia della Domenica - 'Veramente io dovrò dunque morire' di Giovanna Bemporad.



Veramente io dovrò dunque morire

come un insetto effimero del maggio

e sentirò nell’aria calda e piena

gelare a poco a poco la mia guancia?

Più vera morte è separarsi in pianto

da amate compagnie, per non tornare,

e accomiatarsi a forza della celia

giovanile e del riso, mentre indora

con tenerezza il paesaggio aprile.

O per me non sarebbe male, quando

fosse il mio cuore interamente morto,

smarrirmi in questa dolce alba lunare

come s’infrange un’onda nella calma.



DaEsercizi”, Garzanti, 1980

08/11/10

Non sarà così lasciare questa vita ?



Proprio ieri riecheggiavano in me quelle parole: "Dio non è dei morti, ma dei viventi." Una delle pagine più oscure del Vangelo, tra le parole più oscure che Cristo pronuncia di fronte ai sadducèi i quali, come molti oggi, sono increduli sul contenuto stesso della resurrezione. Che significa risorgere?

Gesù non offre una risposta chiara. Sembra anzi, voler restare nell'ambiguo. Dio non è dei morti, ma dei viventi. Sembra dunque che quel qualcosa che ci attende - per chi crede - è qualcosa che non è 'dominio della morte', come scriveva Dylan Thomas.

Nell'aldilà, nell'oltremorte, non sarà la morte a dettare il suo dominio. I viventi non sono i viventi di questa terra. Sono i nuovi viventi, quelli che attraverseranno la morte, e saranno perdonati dal Padre, o accolti direttamente nel suo Regno.

L'incomprensibilità di cosa sia la resurrezione - di come essa si manifesti - è stato sempre un problema per chi crede. E ancora oggi sono pochissimi i cristiani (specie i cattolici) che credono effettivamente alla resurrezione dei corpi.

Eppure, costoro dovrebbero ricordare che dichiarano di credere proprio ad una religione che si basa, che è edificata sulla resurrezione del suo fondatore, resurrezione avvenuta e raccontata dai Vangeli, con il suo vero corpo reale, con le sembianze conosciute e addirittura con le ferite della morte ancora visibili e fresche.

Come sarà dunque risorgere ? Qualcosa di suggestivo per noi, è immaginare un seme. Un piccolo seme di sicomoro. Cosa ha a che vedere l'albero gigantesco di sicomoro con il seme da cui è generato ?? E' la stessa cosa ? Non è vero che il seme deve morire per far nascere il germoglio, che è cosa diversissima (apparentemente) dal seme ?

Oppure provare ad immaginare il confronto tra vita intrauterina e vita extrauterina. Che rapporto ha il bambino prima della nascita con quello che vivrà dopo ? Sono indubbiamente la stessa cosa, ma non sono anche due cose diversissime ? la vita intrauterina non è completamente DIVERSA ? Non è proprio un'altra dimensione ? Che ne sa il bambino nell'utero di cosa esiste dopo ?? Non è per quel bambino nell'utero, il parto una specie di MORTE a tutti gli effetti ? E la nascita al mondo una SECONDA nascita ?

Non sarà così lasciare questa vita ?


07/11/10

La poesia della Domenica - 'Francesca' di Ezra Pound.


Francesca

...Venivi innanzi uscendo dalla notte
recavi fiori in mano
ora uscirai fuori da una folla confusa,
da un tumulto di parole intorno a te.
Io che ti avevo veduta fra le cose prime
mi adirai quando sentii dire il tuo nome
in luoghi volgari.
Avrei voluto che le onde fredde sulla mia mente fluttuassero
e che il mondo inaridisse come una foglia morta,
o vuota bacca di dente di leone, e fosse spazzato via,
per poterti ritrovare,
sola.


...You came in out of the night
and there were flowers in your hands,
now you will come out of a confusion of people,
out of a turmoil of speech about you.

I who have seen you amis the primal things
was angry when they spoke your name
in ordinary places.
I would that the cool waves might flow over my mind,
and that the world should dry as a dead leaf,
or as a dandelion seed-pod and be swept away,
so that I might find you again,
alone...


Ezra Pound, nome completo Ezra Weston Loomis Pound (Hailey, 30 ottobre 1885 – Venezia, 1º novembre 1972).

04/11/10

Perché ci concentriamo con tanta intensità sui nostri problemi ?



Viviamo giorni difficili. Mi piace andare in giro ed annusare gli stati d'animo della gente, ascoltare le chiacchiere da bar. Lo spaesamento collettivo è anche sintomo di un disorientamento personale, singolo, individuale.

Il malessere che si avverte, personale, è grave e complesso. Molte persone sono oppresse da problemi concreti molto seri. Molte altre persone, sono alle prese con problemi di carattere personale-psicologico, relazionale, amoroso, e tendono ad essere totalmente assorbite da se stesse.

Scrive J. Hillman: Perché ci concentriamo con tanta intensità sui nostri problemi ? Che cosa ci attira verso di essi ? Perché ci affascinano tanto? Perché posseggono la forza magnetica dell'amore: in un certo senso ne siamo innamorati nella stessa misura in cui vorremmo liberarcene e si direbbe che essi esistano a priori, prima che inizi un rapporto, prima che inizi un'analisi.
I problemi ci tengono in vita; per questo forse non se ne vanno mai. Che cosa sarebbe la vita senza di essi ? Totalmente sedata e senza amore. Dentro ciascun problema è nascosto un amore segreto.

E' un rovesciamento sorprendente, ma suggestivo: i problemi sono come l'amore. Come l'amore, i problemi pretendono da noi una risposta, e in questo senso sono la vita.
Un problema vissuto e liberato è come un amore realizzato. Un problema non autentico e vissuto come un'abitudine è come un amore incompiuto, una passione che non consuma e non lascia traccia.

Per questo, tutti noi dovremmo lavorare, nelle nostre vite, per dare un posto ai problemi, e scegliere di dare loro un peso e un corpo, non lasciarli a galleggiare vagamente nella testa come una consolante abitudine fine a se stessa.

Scegliere significa fare, scriveva John Donne. Scegliere di dare un teatro effettivo ai problemi, ascoltare la sofferenza vera e fare a meno di quella non autentica, è già un passo avanti verso la maturità interiore: che è il fine ultimo per il quale siamo nati.


Fabrizio Falconi

in testa: fotogramma da Stromboli, Roberto Rossellini (1950) 

01/11/10

I morti non sono soltanto ossa.


Sono personalmente convinto che il luogo di sepoltura di un uomo, non sia soltanto il luogo dove riposano le sue ossa.

Non è una mia idea, ovviamente, ma una idea sulla quale è stata edificata l'intera storia della civiltà umana, come sa bene l'antropologia. Maya e Romani, ad esempio, edificavano addirittura le loro case sui luoghi di sepoltura dei cari estinti. E questo non certo come gesto simbolico, ma perché si credeva che l'anima dei defunti continuasse a vivere e fosse importante rimanervi in contatto, attraverso il corpo che quelle anime aveva ospitato.

Oggi il 'sentire comune' dominante viaggia in tutt'altra direzione: la rimozione collettiva della morte, sulla quale si basa la civiltà contemporanea, impone che anche i luoghi di sepoltura degli uomini abbiano poco significato. I cimiteri sono ormai luoghi quasi del tutto abbandonati. Vige anche il pensiero dominante che 'per ricordare o pensare ad una persona cara', non c'è bisogno di recarsi sulla sua tomba.

Io invece continuo a pensare che questi luoghi abbiano un senso e abbiano un significato. Ne abbiamo testimonianza quando visitiamo la tomba di un grande uomo, di una grande anima, come la tomba di Ezra Pound nel cimitero dell'Isola di San Lazzaro degli Armeni a Venezia, che vediamo nel video commentato da Massimo Cacciari.

Domani è il giorno dei morti. Forse hanno ancora da sussurrarci qualcosa. Se soltanto abbiamo la bontà e la pazienza di fare almeno un poco di silenzio.


31/10/10

La poesia della Domenica - Walt Whitman.


C’è questo in me – non so che cosa sia – ma so che è in
me

Contorto e sudato – il mio corpo poi diventa calmo e
fresco, ed io dormo – dormo a lungo.

Non lo conosco – non ha un nome – è una parola non
detta,non si trova in nessun dizionario, in nessun simbolo, in
nessuna espressione.

Qualcosa lo fa oscillare più che la terra dove oscillo io,
la creazione è la sua amica che mi sveglia con un
abbraccio.

Forse potrei dire anche di più. Abbozzi! Io tutelo i miei
fratelli e le mie sorelle.

Vedete, fratelli miei, sorelle mie?
Non è caos, non è morte – è forma, unione, piano, – è
vita eterna – è Felicità.

Walt Whitman da ‘Calamus’

27/10/10

La nostra cultura è inadeguata (Tarkovskij).



Sono soltanto due minuti di monologo. Ma racchiudono l'essenza del pensiero e dello spirito di quella grande anima che ha attraversato il nostro tempo, quella di Andrej Tarkovskij.

Tarkovskij ha incarnato nella sua vita - con l'esilio, la distanza, la sofferenza, la separazione dai suoi affetti, la coerenza, l'intelligenza, lo spirito - le difficoltà del vivere, in un mondo che appare sempre più lacerato dalla separazione tra ciò che conta davvero (che è dentro di noi, e che non sappiamo neppure più dire cosa sia) e tutto ciò che NON è necessario (quello che in termini spirituali si direbbe 'il peccato') e che invece sembra essere diventato il nostro unico scopo, la nostra unica finalità.

Tornare all'uomo. Era questa la più grande preoccupazione del grande maestro russo. La grande lezione che ci ha lasciato, e che dovremmo ricordare.

26/10/10

Cosa è il Dono.



Come nel finale di 'Luci della Città', il capolavoro chapliniano, a tutti noi è capitato nella vita di ricevere o di offrire un dono.

Charlot, il miserabile girovago ha regalato alla povera venditrice cieca, la vista. E in questa scena finale, ritrovandola sana, non può offrirle più nient'altro. Può soltanto ricevere da lei il fiore e la moneta che si offrono a un vagabondo.

Ma lei, che lo riconosce, sa. Sa che il dono non è mai SOLO una festa. Che il dono - ivi compresa la nostra vita, che ci è stata donata (dai nostri genitori, per chi non crede), da qualcun'Altro per chi crede) - comporta conseguenze, doveri, obblighi, responsabilità, prima fra tutte quelle di essere all'altezza del dono ricevuto.

Viviamo in un'epoca oggi, in cui tutto appare stemperato. Una persona uccide qualcuno, e neanche poche ore dopo si dichiara 'pentito'. Ma pentito di cosa ?

Il dono sappiamo dire cosa è, esattamente ? Dal dono nascono, possono nascere, cose molto diverse. Una - ed è una virtù molto umana (anche se poco praticata) - è la gratitudine.

Quella vera, che nasce dal cuore, vive di fatti e sguardi, e quasi sempre non necessita di parole.

Fabrizio Falconi

22/10/10

Dag Hammarskjold, un martire della Pace.


Dag Hjalmar Agne Carl Hammarskjöld(Jönköping, 29 luglio 1905 – Ndola, 18 settembre 1961) fu un diplomatico, economista, scrittore e pubblico funzionario svedese, presidente della Banca di Svezia e poi noto internazionalmente quale segretario generale delle Nazioni Unite per due mandati consecutivi, dal 1953 fino alla sua morte nel 1961 a causa di un incidente aereo occorsogli in Africa meridionale durante una missione di pace. Gli fu conferito postumo il premio Nobel per la pace per la sua attività umanitaria.

Ultimo di quattro figli maschi, trascorre gli anni della propria infanzia e adolescenza seguendo gli spostamenti del padre, uomo politico svedese: dapprima in Danimarca, poi a Uppsala, poi a Stoccolma - nei tre anni in cui il padre è Primo Ministro - poi ancora a Uppsala.

Compiuti gli studi universitari in economia, a Parigi, nel 1941 torna come presidente alla Banca Nazionale di Svezia, incarico che terrà fino al 1948, per entrare poi al Ministero degli Esteri.

In questa veste è vice-presidente della delegazione svedese alla VI Sessione dell'Assemblea generale dell'ONU a Parigi (1951-1952) e poi Presidente alla sessione successiva (New York 1952-1953). Il 7 aprile 1953 viene eletto all'unanimità per succedere al norvegese Trygve Lie nella carica di Segretario generale dell'ONU, carica nella quale viene riconfermato nel 1957 allo scadere del mandato.

Insignito della laurea honoris causa nelle principali università degli Stati Uniti, Canada e Inghilterra, nel dicembre 1954 succede al padre quale membro dell'Accademia Svedese. Muore nella notte tra il 17 e il 18 settembre 1961 in un incidente aereo - le cui cause non saranno mai del tutto chiarite - a Ndola (nell'attuale Zambia) nel corso di una missione per risolvere la crisi congolese. L'ipotesi di un possibile attentato al suo aereo, pur non essendo dimostrabile, non è mai stata dissipata.

In quell'anno gli verrà attribuito il Premio Nobel per la Pace alla memoria, "in segno di gratitudine - come dirà la motivazione del Comitato per il Nobel - per tutto quello che ha fatto, per quello che ha ottenuto, per l'ideale per il quale ha combattuto: creare pace e magnanimità tra le nazioni e gli uomini"

Dopo la sua morte, nel suo appartamento di New York fu ritrovato un diario, contenente brevi pensieri non datati. Allegata agli scritti c'era una lettera, indirizzata a un amico, in cui spiegava come avesse iniziato ad appuntarsi certe riflessioni senza avere alcuna intenzione di pubblicarle; tuttavia, lo autorizzava a un'eventuale pubblicazione, che riteneva utile a dare un'idea della sua vera personalità. Il diario, pubblicato in Italia col titolo "Tracce di cammino", è oggi considerato uno dei testi spirituali più intensi del Novecento e fu definito dall'autore stesso "una sorta di libro bianco che narra i miei negoziati con me stesso e con Dio".

Riguardo la sua morte oggi sappiamo per certo che si tratto' di omicidio , voluto dalla compagnia franco-belga Unione Miniere.

« E ora, dopo quarantanni, nelle pagine molto interne dei giornali, leggiamo quello che abbiamo sempre saputo: che l'Unione Miniere condanno' a morte (per "incidente aereo") anche Hammarskjold, il segretario generale dellOnu,colpevole di opporsi alla secessione del Katanga,preda avita dellUnione Miniere » (Luciano Canfora "Critica della retorica democratica". 2002) .

Su Hammarskjold e sui suoi meravigliosi diari torneremo presto qui, nel Mantello di Bartimeo.