21/04/22
"L'uomo è un distruttore": La profezia della "Terra Desolata" di Eliot
19/04/22
La Basilica di San Lorenzo fuori le Mura - 2000 anni di storia, compreso il bombardamento del 1943
San
Lorenzo fuori le mura e le spoglie di Santo Stefano il primo martire cristiano.
Quando il 19 luglio del 1943 il primo bombardamento degli alleati piovve dal cielo, per Roma fu uno choc inaudito: dall’inizio della guerra infatti, in città i romani non facevano altro che rassicurarsi a vicenda, garantendosi che mai e poi mai gli alleati americani o inglesi avrebbero osato bombardare la città del Vaticano e del Papa.
La pioggia di bombe del 19 luglio
smentì clamorosamente queste previsioni e mandò un chiaro avviso all’esercito e
ai vertici fascisti, alleati con i tedeschi. Le foto del Papa, Pio XII con le
braccia allargate in una specie di grido disperato lanciato verso il cielo,
scattate proprio nelle vicinanze della Basilica di San Lorenzo fuori le Mura,
gravemente danneggiata, fecero il giro del mondo in poche ore.
Oltre ad
aver inferto un duro colpo ai romani infatti, quel primo bombardamento aveva
anche colpito uno dei più preziosi simboli della cristianità a Roma. San
Lorenzo fuori le Mura infatti custodisce i suoi tesori dall’epoca di Costantino
Imperatore quando fu edificato il primo nucleo della Basilica sotto la
supervisione di Papa Silvestro, per ospitarvi le tombe dei primi martiri
cristiani.
E anche
se la Basilica fu intitolata a San Lorenzo, uno dei sette diaconi di Roma,
martirizzato sotto l’imperatore Valeriano nel 258 d.C., pochi sanno che essa
custodiva da secoli anche le spoglie di Santo Stefano, colui che la Chiesa
cattolica venera come primo martire cristiano, la cui festività si celebra il
26 dicembre, il giorno dopo la Natività del Signore. Il martirio di Stefano,
tra i primi diaconi scelti dai Dodici Apostoli subito dopo la crocefissione di
Gesù, è descritto infatti negli Atti degli Apostoli e viene fatto risalire al
36 d.C. quindi appena pochi anni – o mesi ? (considerando l’errore di datazione
sulla nascita di Gesù ) – dalla morte di Cristo.
A Stefano gli Atti degli Apostoli dedicano quasi tre interi capitoli (6,7,8) con informazioni
anche piuttosto precise sulla sua morte visto che in quel Testo viene affermato
che alla morte per lapidazione di Stefano, a Gerusalemme, assiste anche Paolo, che ancora non si è
convertito (dunque prima del 40 d.C.).
.
In quanto a chi fosse realmente Stefano, a quale fosse la sua professione, e la sua vita, sappiamo soltanto che dovette essere un erudito, perché con la sua eloquenza tenne testa ai suoi interlocutori pagani, al punto che per farlo essi dovettero ricorrere alla violenza.
Essendo
poi il primo martire Cristiano, Stefano ha anche una lunghissima vicenda che
riguarda le sue reliquie, vere e presunte, che furono disperse e rinvenute in
disparati angoli d'Europa.
L'episodio
più famoso è però sicuramente il rinvenimento miracoloso avvenuto nel 415 d.C. a Cafargamala (raccontato anche nella Leggenda
Aurea di Jacopo da Varagine), nei pressi di Gerusalemme, dove poi furono
solennemente portate dal vescovo Giovanni II.
Qualche
anno più tardi, nel 439 d.C. l'imperatrice Eudossia Atenaide,
dopo aver fatto costruire una basilica in onore di Stefano, portò con se a Costantinopoli parte del corpo. E durante il
pontificato di Pelagio II (579-590), per interessamento dell'imperatore Giustiniano I, quelle insigni reliquie furono traslate da
Costantinopoli a Roma, dove insieme a quelle dei
Santi Lorenzo e Giustino, furono sistemate nella Basilica di San Lorenzo fuori le
Mura.
La
reliquia della testa di Santo Stefano, invece, si esponeva nella Basilica Ostiense di San Paolo fuori le
mura. Il braccio destro, sotto il pontificato di Alessandro III
(1159-1181), era esposto in una nicchia dell'Oratorio dedicato a Maria SS.ma a
S. Pietro in Vaticano, dove è ancora oggi esposto in un reliquiario d'argento, dono del
cardinale Scipione Cobelluzi.
18/04/22
"The Gilded Age", la nuova serie di quel genio di Julian Fellowes
17/04/22
Poesia della Domenica di Pasqua: "Fede nella primavera" di Ludwig Uhland
Le dolci brezze si sono risvegliate
spirano e sussurrano giorno e notte;
si muovono ovunque.
Oh, aria fresca, oh nuovo suono !
Ora, povero cuore, non temere,
Ora tutto, tutto deve cambiare.
Il mondo diventa più bello ogni giorno,
non si sa cosa diventerà.
La fioritura non accenna a finire
fiorisce anche la valle più lontana e profonda.
Ora, povero cuore, dimentica il tuo tormento.
Ora tutto, tutto deve cambiare.
Ludwig Uhland, (Tubinga, 1787 – 1862) Fede nella Primavera
16/04/22
Ingeborg Bachmann e Roma, un destino tragico
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Quando "Ultimo Tango a Parigi" di Bertolucci finì al rogo, e come il regista riuscì a salvare dalle fiamme i negativi
07/04/22
Le ultime foto di Kurt Cobain, a Roma, un mese prima di morire
06/04/22
Libro del Giorno: "Stefan Zweig, L'anno in cui tutto cambiò" di Raoul Precht
E' di grande interesse, e anche di grande attualità, l'uscita in queste settimane del nuovo libro di Raoul Precht, edito da Bottega Errante, che si concentra sulla vicenda personale, umana e letteraria di Stefan Zweig, inquadrata in un anno cruciale della sua vita, il 1935.
Precht, studioso attento della letteratura europea e tedesca in particolare (lingua quest'ultima che egli conosce come la madre lingua italiana), dopo Kafka (Kafka e il digiunatore, Nutrimenti, 2014) e Sternheim (Carl Sternheim, Schulin, La Camera verde, 2015), si rivolge alla figura di Stefan Zweig, prolificissimo scrittore ebreo, nato a Vienna nel 1881, vissuto a cavallo tra i due secoli, profondo pacifista e umanista, travolto dagli eventi drammatici del Novecento, il quale abbandonò definitivamente il suo paese dopo l'Anschluss nazista, finì i suoi giorni nel lontano Sud America, suicidandosi, nel 1942, insieme alla sua seconda moglie Lotte.
Dal suo primo racconto pubblicato a 19 anni, Primavera al Prater, Zweig fu instancabile, pubblicando una mole incredibile di romanzi e racconti, poesie e testi teatrali, memorie e lettere, saggi e articoli, raccolte e antologie, e numerosissime biografie che vanno da Tolstoj a Fouché, da Maria Stuarda a Toscanini, da Magellano a Montaigne e tantissimi altri.
Il libro di Raoul Precht incrocia la vita di Zweig nel suo anno cruciale, da gennaio del 1935 al gennaio successivo, lo scrittore si trova ad attraversare le sliding doors che ne decideranno il destino: è l'anno in cui la moglie Friderike (che Zweig aveva sposato prendendo con sé anche le due figlie avute dalla donna dal suo precedente matrimonio) scopre la sua relazione con Lotte Altmann, la sua segretaria, alla quale lo scrittore si legherà definitivamente in seguito, sposandola, e condividendo con lei il gesto estremo del suicidio.
Ma è anche l'anno in cui, a seguito di un primo scontro con la polizia locale, Zweig decide di lasciare Salisburgo e l'Austria e di stabilirsi in Gran Bretagna. Il suo paese infatti, come la Germania, è irretito dalle sirene naziste e il clima per gli ebrei comincia a farsi irrespirabile.
Zweig inizia un inquieto pellegrinaggio che lo porta in dodici mesi a spostarsi tra Nizza e New York e poi Vienna, Zurigo e le alpi svizzere, Marienbad, Parigi, Londra e infine nuovamente Nizza.
In questo errare lo scrittore incontra, in giro per l'Europa, scrittori e artisti con i quali è in rapporti di amicizia, da Thomas Mann a Joseph Roth, da Sigmund Freud a Arturo Toscanini.
Precht sceglie la cifra stilistica di un romanzo biografico: né una vera biografia, né un vero romanzo. La ricostruzione accuratissima degli spostamenti, degli incontri, dei particolari anche apparentemente trascurabili, contribuiscono a ricostruire il clima di un tempo difficile, che lo spirito inquieto di Zweig attraversa come sotto effetto di una febbre cerebrale.
Si stringe la morsa intorno a lui e intorno ai suoi amici: si impone di abbandonare le scelte di una vita comoda, facile, colma - nel caso di Zweig - anche di riconoscimenti e onori. Si impone di predisporsi ad abbandonare ciò che è più caro e salpare verso l'ignoto.
Non solo: la vita di quei mesi obbliga anche a scegliere quale atteggiamento opporre di fronte all'avanzare dell'orrore, della discriminazione, dell'odio, incarnata dal tiranno Hitler, pronto a spaccare il mondo in due e a metterlo a ferro e fuoco.
Zweig, anche rischiando l'incomprensione o la censura dei suoi amici più cari - magari ebrei come lui, come è il caso di Roth - sceglie un atteggiamento riservato, di non aperta denuncia: non si schiera, non fa appelli, non dà la caccia al mostro.
Altri gli dicono che è ora, invece, di rompere gli indugi e chiamare il demonio con il suo nome. Ma Zweig temporeggia: la sua indole, il suo credo profondamente pacifista, gli impongono prudenza e desiderio di distacco. E' la natura umana a deluderlo, la triste evoluzione di un destino collettivo - e quindi anche personale - che distrugge il sogno della vita bella, della vita dedicata alla conoscenza, al sapere, alla consapevolezza.
Zweig si avvicina alla fine della sua vita, sentendo che le forze gli vengono meno, dopo anni di vagabondaggio e sa che il porto del ritorno per lui è precluso per sempre. Cerca rifugio dunque, nell'unica cosa che può dargli piacere e in fondo salvezza: il lavoro, il lavoro intellettuale.
Verrà un tempo - e verrà presto, di lì a sette anni - in cui anche questo non basterà più e Stefan abbraccerà il suo desiderio di dissoluzione in compagnia della donna che ha deciso di condividere con lui il suo destino.
Il libro di Raoul Precht, letto in questi tempi in cui i tamburi di guerra hanno ricominciato a rullare così forte - e proprio nel cuore della vecchia Europa - si impone come una lettura non solo qualitativa, ma necessaria.
Stefan Zweig, L'anno in cui tutto cambiò
Fabrizio Falconi - aprile 2022
05/04/22
Qual è il ruolo effettivamente avuto da Giuda Iscariota nella Passione e nella Morte di Gesù Cristo?
04/04/22
Perché la Shoah (l'Olocausto) è un "unicum" nella storia umana?
Specialmente in questi anni così confusi, di negazionismi sfrenati, benaltrismi, narcisismi piccoli e grandi che si esaltano nella confutazione spavalda dell'ovvio e del naturale, col pretestuoso e l'inaccettabile, vale la pena riportare qui la risposta forse più chiara ed esaustiva possibile alla domanda che spesso si sente ripetere, ovvero: per quali motivi la Shoah, l'Olocausto degli ebrei da parte dei nazisti, durante la Seconda Guerra mondiale è un "unicum" nella storia umana, e perché è sbagliato concettualmente e materialmente equipararlo ad altri tipi di genocidi terrificanti che sono stati compiuti nella storia.
01/04/22
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29/03/22
Pochi lo sanno, ma sotto il Roseto comunale di Roma c'è il grande cimitero ebraico di Roma
Il Roseto comunale di Roma, noto per la bellezza e l’enorme varietà di
specie che ospita – circa millecento tipi di rose diverse – sorge oggi sul
declivio destro del Circo Massimo che sale verso l’Aventino, in un’area divisa
in due da Via di Villa Murcia. E per una specie di scherzo del destino, in
quest’area sorgeva nel III secolo avanti Cristo un tempio dedicato alla
divinità di Flora, dea romana delle piante.
La collocazione attuale del Roseto però è piuttosto recente. Esattamente risale al 1950 quando il Comune di Roma decise di spostare in questo luogo il Roseto comunale che dal 1931 sorgeva invece poco lontano, sul Colle Oppio dove era stato realizzato su incarico del Governatore di Roma Francesco Boncompagni Ludovisi.
La nuova sistemazione, nell’area attuale dell’Aventino ebbe una storia
piuttosto travagliata a causa della particolarità di questa area. Chi oggi
visita il Roseto comunale, infatti, non sa di trovarsi proprio sopra una enorme
distesa (si calcola siano decine di migliaia) di antiche tombe. Per l’esattezza tombe ebraiche. Le prime sepolture risalgono al 1645, quando venne istituito in quest’area un cimitero, il
cosiddetto Ortaccio degli ebrei. Più
anticamente, almeno dal Trecento, il cimitero ebraico di Roma si trovava
all’interno della vecchia Porta Portese, nel rione Trastevere. Poi, quando
furono costruite le nuove mura, nel 1587, il vecchio cimitero fu abbandonato e
spostato proprio nell’area dell’Aventino.
Al primo terreno, concesso da papa Innocenzo X agli israeliti, presto
seguirono, a causa del sovraffollamento, altri due lotti. In questi tre spazi contigui, per circa 250
anni gli ebrei seppellirono i loro morti.
L’area dell’Aventino, però cominciò, in tempi più recenti a fare gola alle
autorità comunali, per la sua vicinanza alla zona archeologica. Falliti i primi tentativi di esproprio, per
la opposizione della comunità israelitica, nel
Così il nuovo piano regolatore fascista ricoprì di terra una gran parte
dell’antico cimitero per realizzarvi una nuova arteria di collegamento tra Via
della Greca e Viale Aventino (l’attuale Via del Circo Massimo) per farvi
sfilare gli atleti in ricordo della Marcia su Roma.
Del vecchio cimitero si salvarono circa ottomila sepolture che furono in gran
fretta traslate al Verano.
I terreni dell’Aventino, quelli che non erano stato interessato
dall’asfalto per la costruzione di Via del Circo Massimo divennero, durante i
combattimenti della seconda guerra mondiale, orti di guerra. E soltanto nel 1950 il comune decise di
trasferirvi il Roseto comunale del Colle Oppio, che era stato distrutto dalle
bombe.
La nuova sistemazione fu decisa con il consenso della Comunità ebraica ed
il Comune, consapevole che il Roseto avrebbe fatto da copertura e da custodia a
tombe e sepolture secolari, decise di rendere omaggio e ricordo della
originaria funzione del luogo: così anche oggi si può osservare come i vialetti
che dividono le aiuole nel settore delle collezioni delle specie pregiate,
formino esattamente la trama visibile dall’alto, di una menorah, il celebre candelabro a sette braccio simbolo degli ebrei.
Ancora oggi, i kohanim, i
sacerdoti ebrei, non possono calpestare quelle aiuole e quel giardino, per il
divieto imposto dal capitolo XXI della Torah.
Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e Segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma, 2013
28/03/22
Il film definitivo sulla guerra: "Apocalypse Now" e i versi profetici di T. S. Eliot che Coppola utilizzò nel film