04/12/14

"Dovete dirmi una cosa di cui avete l'assoluta certezza." James, Tòibin e un gioco su Facebook.


In questi giorni mi è capitato di rileggere un libro uscito una decina d'anni fa e considerato uno dei migliori romanzi dell'ultimo ventennio, The Master, dell'irlandese Colm Tòibin.

Con un prodigio stilistico, Tòibin ricostruisce gli ultimi anni di vita di Henry James, mutuandone l'inconfondibile eleganza che ne fa uno dei più grandi scrittori di sempre.

Struggente è, nel libro, il rapporto tra Henry James e l'affascinante cugina Minny Temple, morta giovane, intelligente e sensibile, eternamente indecisa tra nobili corteggiatori e pretendenti, innamorata della vita, che ispirò a James alcuni dei suoi memorabili personaggi femminili, da Isabelle Archer, protagonista di Ritratto di signora a Daisy Miller. 

Tòibin immagina James che dopo la morte di Minny, la rievoca nei ricordi e nei sogni. La rivive attraverso le frasi che lei diceva o scriveva.

In una di queste lettere indirizzata a James, Minny scrive una frase che ritorna a tormentare il pensiero dello scrittore, al quale, in una pagina di The Master  (115, nella edizione Bompiani 2014), pare di sentire la voce della cugina, sussurrarla di notte, vicino a lui. 

Dovete dirmi una cosa di cui avete l'assoluta certezza. 

James si sente interrogato da questa frase, alla quale non ha voluto o saputo, o potuto rispondere, mentre Minny era in vita.

Per gioco, ho postato questa frase in un social network, senza citare la fonte. Sapevo che coloro che avrebbero letto l'avrebbero presa come un suggerimento a rispondere. 

Ne è venuto fuori un meraviglioso catalogo contemporaneo, con 80 e più commenti, che forniscono un ampio ventaglio di quello che noi oggi crediamo 'certo', o possiamo dire che sia 'certo.'

Eccolo:


02/12/14

Lettera notturna al dirimpettaio nascosto.






Alle cinque del mattino, ti scrivo.  

Non c'è più ora, non c'è più notte. Ci sei tu che attendi invano che io mi mostri.  Ma sono rintanato in un corpo non mio, lontano lontano.  

Scende una brezza pura prima dell'alba, la sento dalla finestra. Tu sei diverso da me, tu vivi senza rischi d'apprendista, sei franco nel parlare, sei pieno di calmo desiderio. Ho visto solo la tua ombra, dietro la tenda ma so come sei. 

Non c'è più un rumore in strada.  Ci sono io sveglio e c'è la tua luce ancora accesa. 

Da sempre, ora che ci penso. 
Potrei telefonarti. Non ho il numero. Potrei scendere in strada, non mi apriresti. Potrei pensarti, il sogno mi supererebbe. 

Alle cinque e pochi minuti ti scrivo. 

Io sono diverso da te.  Ho passato un inverno intero ad aspettarti. Ho stretto le mani per implorarti.  Ho i denti guasti, le mani fredde, la barba lunga.  Ho ancora fiato per essere sveglio. 

Dormire ? Io non dormo più.  
Vivo come sempre, vegliando.  Ti invidio molto, poi passa. E preferisco così. 
Dentro di me s'apre un fiore bianco. 
E' ancora intatto, dal giorno che sono nato.
Sono perfino stanco di custodirlo.  Lo affido a te, fanne buon uso.  Buonanotte. Spegni la luce. 



Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
foto in testa: David Lynch



01/12/14

Il cammello e l'ago. Solo quello che passa, serve.




Un ago è la nostra vita.

Come aghi, siamo strumenti potenzialmente duttili.

La nostra cruna è sufficientemente ampia per lasciar passare qualcosa di sottile e flessibile, ma non abbastanza da accogliere qualcosa di s-misurato, di eccessivo.

La nostra punta ci permette di infilarci, di pungere, di far sanguinare.
Ma anche, meravigliosamente, di cucire, di tenere unito, di stringere in forma permanente.

Una abilità è quel che si richiede per fare dell'ago uno strumento utile. Un senso grossolano è quello che permette all'ago di diventare un oggetto scarno e pericoloso.

Un cammello non passerà mai dalla cruna dell'ago (Mt, 19-24), ma niente che serva veramente (di duraturo e creativo) potrà non passare attraverso quella fessura.

Conoscere i rischi, imparare, essere abili. E' il cammino quasi zen, che la nostra vita continuamente ci ri-chiede.



Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata

30/11/14

Poesia della domenica - "E' molto semplice e chiaro" di Anna Achmatova.




E' molto semplice e chiaro

E' molto semplice e chiaro,
comprensibile a tutti:
non mi ami, non ne dubito,
né mai potrai amarmi.
Perché dunque un estraneo
in tal modo mi attira ?
Perché, sera per sera,
prego il Signore per te ?
Perché lascio il compagno
e il ricciuto bambino,
la città che amo tanto
e la mia terra natale
per aggirarmi, mendicante oscura,
nelle vie di una città straniera ?
Quale gioia, il pensare
che qui ti rivedrò !


Anna Achmatova  (1899-1966) da Poeti russi del novecento, Achmatova, Mandel'stam, Cvetaeva, Esenin, a cura di Raffaella Belletti e Gabriele Mazzitelli, Lucarini, Roma, 1990.

in testa: Kuzma Petrov-Vodkin, Ritratto di Anna Akhmatova, 1922

28/11/14

Ci vuole parecchio per conoscere (e per diventare) un uomo. Damien Rice.




Ci vuole parecchio per conoscere un uomo, scrive Damien Rice, nell'ultimo cd My Favourite Faded Fantasy. Un piccolo grande gioiello.

Lo canta: ci  vuole parecchio per imparare a dare e a chiedere aiuto. Per essere se stessi conoscere e amare ciò che si vive.

Sì, ci vuole parecchio.

Come si impara crescendo, le  cose belle non sono mai facili, le cose che cambiano non sono mai facili, le cose che restano non sono mai facili, le cose che completano non sono mai facili.

Nulla di quello che fa crescere è facile. Ma accade alle persone illuminate (e anche a quelle che lo diventano nella vita) che il tuo mondo interiore se ne freghi delle cose facili.

Bisogna ascoltare bene questa lunga canzone. 

Bisogna ascoltare bene cosa diventa dal minuto 5.01 quando sembra che sia finita (una canzone normale, banale dopotutto).  

No. Bisogna lasciarsi sopraffare da questa onda. 




It takes a lot to know a man
It takes a lot to understand
The warrior, the sage
The little boy enraged

It takes a lot to know a woman
A lot to understand what's humming
The honeybee, the sting
The little girl with wings

It takes a lot to give, to ask for help
To be yourself, to know and love what you live with
It takes a lot to breathe, to touch, to feel
The slow reveal of what another body needs

It takes a lot to know a man
A lot to know, to understand
The father and the son
The hunter and the gun

It takes a lot know a woman
A lot to comprehend what's coming
The mother and the child
The muse and the beguiled

It takes a lot to give, to ask for help
To be yourself, to know and love what you live with
It takes a lot to breathe, to touch, to feel
The slow reveal of what another body needs

It takes a lot to give, to ask for help
To be yourself, to know and love what you live with
It takes a lot to breathe, to touch, to feel
The slow reveal of what another body needs

It takes a lot to live, to ask for help
To be yourself, to know and love what you live with
It takes a lot to breathe, to touch, to feel
The slow reveal of what another body needs

What are you so afraid to lose?
What is it you're thinking that will happen if you do?
What are you so afraid to lose?
(You wrote me to tell me you're nervous and you're sorry)
What is it you're thinking that will happen if you do?
(Crying like a baby saying "this thing is killing me")
What are you so afraid to lose?
(You wrote me to tell me you're nervous and you're sorry)
What is it you're thinking that will happen if you do?
(Crying like a baby saying "this thing is killing me")
You wrote me to tell me you're nervous and you're sorry
Crying like a baby saying "this thing is killing me"


Ci vuole parecchio per conoscere un uomo
Ci vuole molto per capire
Il guerriero, il saggio
Il bambino infuriato

Ci vuole un sacco per conoscere una donna
Molto a capire che cosa sta canticchiando
L'ape, il pungiglione
La bambina con le ali

Ci vuole un sacco per dare, per chiedere aiuto
Per essere se stessi, per conoscere e amare ciò che si vive 

Ci vuole un sacco per respirare, toccare, sentire
La lenta rivelazione di ciò di cui  un altro corpo ha bisogno

Ci vuole un sacco per conoscere un uomo
Un sacco per conoscere, per  capire
Il padre e il figlio
Il cacciatore e la pistola

Ci vuole un sacco per conoscere una donna
Un sacco per comprendere quello che sta arrivando
La madre e il bambino
La musa e l'ingannato

Ci vuole un sacco per dare e chiedere  aiuto
Per essere se stessi,  conoscere e amare ciò che si vive 
Ci vuole un sacco per respirare,  toccare,  sentire
La lenta rivelazione di ciò di cui un altro corpo ha bisogno (3)

Di che cosa hai tanta paura di perdere?
Che cosa è che stai pensando che accadrà, se lo farai ?
Di che cosa hai tanta paura di perdere?
(Mi hai scritto per dirmi che sei nervoso e che ti dispiace)
Che cosa è che stai pensando che accadrà, se lo farai ?
(Piango come un bambino che dice "questa cosa mi sta uccidendo")
Di che cosa hai tanta paura di perdere?
(Mi hai scritto per dirmi che sei nervoso e che ti dispiace)
Che cosa è che stai pensando che accadrà se lo farai ?
(Piangere come un bambino che dice "questa cosa mi sta uccidendo")
Mi hai scritto per dirmi che sei nervoso e che ti dispiace
Piangere come un bambino che dice "questa cosa mi sta uccidendo"



27/11/14

E' l'amore che obbliga (Ricoeur).



Nel 1996 intervistai per la radio italiana Paul Ricoeur, uno dei più grandi filosofi del Novecento, nella sua casa a Parigi.

Il pensiero di Ricoeur mi aveva molto colpito per la sua limpidezza. Non è facile trovare infatti un pensiero filosofico che non sia almeno in parte oscuro, poco chiaro. 

Ricoeur confermò questa semplicità del pensiero, con i gesti della sua persona.

Parlammo per quasi un'ora, soprattutto dell'amore, dell'amore nella filosofia del cristianesimo e nella complessità delle dinamiche studiate da Freud.

A un certo punto gli chiesi ragione di quella sua celebre frase, che Ricoeur aveva ripetuto spesso nei libri e nelle conferenze.  C'est l'amour qui oblige.  E' l'amore che obbliga.

Gli chiesi di spiegarlo, se poteva, nuovamente.

Mi rispose sorridendo che quel che aveva scritto era una cosa semplice, semplicemente sperimentabile, anche se piena di conseguenze.

Viviamo, disse, sempre più in un mondo che rifugge dalle responsabilità, dal coraggio vero, da un senso e una direzione. Ed è solo il legame con l'altro che genera un senso. Il quale non può mai arrivare dall'alto.

L'amore, mi spiegò, è l'unica condizione umana in cui si sperimenta l'obbligo spontaneo, non coercitivo, non imposto dall'altro.

Chi ama è legato per sempre.

E questo legame è precisamente ciò che obbliga. Senza condizioni e senza condizionamenti.  L'unica via che in fondo porta veramente dentro se stessi. Perché solo chi si conosce, sa amare.  E solo chi riesce ad amare, attraverso l'obbligo verso l'altro, ritrova se stesso.

Fabrizio Falconi





26/11/14

"Abbastanza" non è (mai) abbastanza.



La parola abbastanza è una delle più misteriose, inafferrabili. 

L'etimologia dice il riferimento a qualcosa che basta (a-bastare).

Ma cosa basta davvero ? Chi stabilisce quanto basta, quanto è abbastanza ? Sembra del tutto aleatorio: non lo è. 

Nelle ricette di cucina, si scrive comunemente, di alcuni ingredienti, 'q.b.', 'quanto basta'. Per alcuni ingredienti c'è il peso esatto, il numero esatto, ma per alcuni - sale, olio, ecc... - è indicato solo 'q.b.' .  E si sa che quel q.b. nelle mani di un non esperto può rovinare tutto quel che si è fatto prima.

Il soggettivo è bastante. Ciascun bravo cuoco SA 'quanto basta'. Ciascun essere umano sa quando ha mangiato 'abbastanza', o quando ha dormito 'abbastanza'. Eppure 'abbastanza' non è mai affermabile in via definitiva. 

Ciò che sembra per qualcuno o per qualcosa 'abbastanza' può essere o non è mai 'abbastanza'. C'è un margine di incompletezza, uno scompenso, un di più, avvertibile soltanto da chi vive la mancanza dell'abbastanza e che chiede di essere colmato per giungere alla completezza del quanto basta.

La misura, si direbbe, è interiore.  Solo qualcosa di molto vicino alla nostra natura di dice ogni volta quanto basta. E qualche volta questo quanto basta è indefinibile, oltre che per sé anche per gli altri, sempre. 

Il gioco degli innamorati lo dimostra:

'mi ami dunque ?'
'sì.'
'ma mi ami quanto? mi ami abbastanza ?'

Ma abbastanza per che cosa ? Forse per essere fedeli a se stessi nella misura (essendolo quindi anche per gli altri).

Fabrizio Falconi

25/11/14

Per dirmi che sei fuoco (Santa Maria di Portonovo, Conero).





Camminano verso la chiesa, Nico davanti e Valentina subito dietro, e in pochi minuti sono al cancelletto verde che delimita il recinto all’interno del quale c’è l’antica costruzione. C’è una targa dove sono riportate notizie storiche, Valentina inizia a leggere. Nico intanto si guarda intorno alla ricerca della casa bianca. La individua nel fitto degli alberi che risalgono il crinale del monte, a pochi metri di distanza.
«Vieni».
Valentina lo segue lungo un sentiero di terriccio. Arrivano su di un piccolo spiazzo, al centro del quale c’è questa casupola di calce, di pochi metri di superficie, cilindrica, con il tetto di legno e tegole, e una finestrella munita di zanzariera.
La porta di legno non è fornita di campanello. Nico batte le nocche più volte, ma sembra proprio che non vi sia nessuno. Provano a sbirciare attraverso la finestra, le cui imposte lasciano spazio a sufficienza. C’è penombra, non si vede null’altro che il profilo di qualche mobile. Nico fa il giro della casa, nota ad un certo punto affisso al muro un quadratino di terracotta raffigurante un cane o un lupo. Nient’altro. Valentina si volta indietro: constata come dalla soglia della casetta bianca si goda una gran bella vista: il profilo della chiesa romanica, i tronchi dei pini, il fianco della montagna, il mare con le scie dei motoscafi al largo.
Tornano indietro.
Quando arrivano alla chiesa, Valentina si accorge che l’antico portone è socchiuso, ed entra. Non ha capito, non sa che intenzioni abbia Nico, se voglia aspettare lì il ritorno a casa del padre, ma intanto lei ne approfitta per visitare l’interno dell’abbazia. Però c’è poco da vedere: è stata da poco restaurata, le forme architettoniche sono romanico puro, ma è completamente spoglia, non c’è nemmeno un quadro alle pareti e agli altari, né un oggetto d’arte, un ciborio, un baldacchino, niente. Soltanto, sulla parete di fondo, una icona della Madonna. Valentina scopre una piccola targa inchiodata al muro: copia della Sacra Madonna di Kazan.
«Andiamo!»
È la voce di Nico, che la chiama, da fuori.
Valentina si prende un altro poco di tempo, poi esce dalla porticina al lato dell’abside e vede Nico già incamminato lungo il sentiero verso il mare. Tornano allo stabilimento dove si sono fermati prima. Nico entra prima di Valentina e va diretto al tavolino dov’era seduto il vecchio. Soltanto che quello nel frattempo non c’è più. Al suo posto, una ragazzina grassa, guarda anche lei la televisione. Nico le chiede del vecchio, e lei fa cenno fuori, verso la spiaggia.
Il vecchio indossa adesso un cappello di paglia, e armato di un rastrello rassoda la ghiaia, tra le fila di ombrelloni.
Nico e Valentina si avvicinano sotto il sole, che fa sudare.
Il vecchio nemmeno si accorge di loro, continua a rimestare col suo rastrello. Nico gli tocca il braccio. Lui si volta, e li guarda come se li vedesse per la prima volta. «Siamo stati alla casa bianca,» dice Nico, «ma non c’è. Ha idea di dove sia? Di quando ritorna?»
Il vecchio lo fissa con aria interrogativa.
«Montefiori!» dice Valentina.
«È una parola,» sbotta allora il vecchio, gettando via il rastrello, e passando il dorso della mano sulla fronte, «che volete che vi dica? Chi ci capisce con quello? Scompare, riappare. Chi sa dov’è… Sarà… tra i monti».


Fabrizio Falconi - Per dirmi che sei fuoco, Gaffi 2012, pag.38

La chiesa che ha ispirato questo brano è Santa Maria di Portonovo, al Conero.