

Specchio della materia
A forza di spiegare
diventa più confuso
il mormorio delle vele.
Che fantasmi muovono
le cose, che pallidi specchi
siamo noi, a credere ancora
alla destinazione concreta
dei giorni della vecchiaia,
altro non sono che materia
viva, disinteresse per la morte,
istinto, giravolta sui canapi
lasciàti cadere nel vuoto della tenda.
Non appaiono più all'orizzonte
fenici sulla punta dell'obelisco
triste il nostro passare
su una distesa di strati morti,
vivi più di quel che si immagina
e il respiro è nel tuo volto
arrossato di novembre,
nell'aria che si condensa
nella tristezza che è già oro.
Fabrizio Falconi - da 'Le finestre Verdi' - in 'Il respiro di oggi', Terre Sommerse, 2009.
“La resurrezione dei morti per la vita del mondo che verrà” è il fondamento dell’essere cristiani. Eppure ognuno, nella vita, sperimenta come questa semplice affermazione – espressa nel Credo dei cristiani e nel Symbolum Apostolorum - carnis resurrectionem et vitam aeternam – sia quanto di più lontano dall’esperienza comune, quanto di più distante dalle ragionevoli aspettative umane, da apparire, probabilmente oggi ancor più che nel passato, bizzarria o superstizione.
Eppure i racconti evangelici parlano chiaro. E anche se non siamo obbligati a pensare alla Resurrezione nei termini in cui la descrive il Nuovo Testamento – Gesù mangia, parla, cammina insieme ai suoi discepoli, dopo essere morto – è perfino ovvio che quel che si chiede a un cristiano è di “avere fede sperando contro ogni speranza” (Rm, 4,18).
Come scrive Sergio Quinzio, “il cristiano è tale perché fa della propria fede il criterio per giudicare il mondo, mentre non v’è dubbio che se volesse giudicare la fede secondo i criteri del mondo, non potrebbe far altro che respingerla.”
Ma per l’appunto: cosa è il mondo ? Cosa è quello che chiamiamo mondo ? Potremmo davvero dire che la nostra concezione di mondo è assai limitata. E’ celebre e folgorante l’aforisma di Lao-tse: Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla.
E’ un modo illuminante per comprendere come quello che noi chiamiamo ‘mondo’ dipende soltanto ed esclusivamente da quello che siamo noi. E la domanda allora si sposta: chi siamo noi ?
Noi, potremmo rispondere, siamo nella posizione più scomoda: come ha detto un celebre astrofisico recentemente, noi siamo esseri sospesi esattamente a metà strada tra il nulla e il mondo.
I cristiani, però, credono – perché lo hanno ascoltato – che proprio in questa sospensione esista un Senso, che è precisamente il Senso divino: siamo sospesi, e cioè a metà strada tra il nulla (la possibilità di essere nulla) e il mondo, cioè il tutto. Siamo creati, e quindi esistenti e siamo in un mondo creato ed esistente. Ma la nostra vera Vita – è quello che ci è stato detto – NON è di questo mondo.
Non si tratta qui, di rifiutare il mondo. Ma di ribaltarlo sulla base di quell’unica asse in sospeso che è Cristo, uomo – e quindi anche lui ‘a metà tra nulla e mondo, tra nulla e tutto’ – e Dio. La differenza tra Lui e noi, è che, come scrive Giovanni, Gesù Cristo “ha detto di essere la verità” (e lo ha manifestato con la sua resurrezione) - "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Gv.14,6) - mentre ai credenti è richiesto di “fare la verità” - Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio (Gv.3,21) - esercitare cioè la conformità a Cristo e alla sua promessa, vissuta nella manifestazione della sua giustizia. Qui sta l’evangelica contrapposizione tra Dio e il mondo. Che forse, mai come in questi tempi dissolutivi, è così evidente.
Fabrizio Falconi
Non ho rimpianti, né parole, né lacrime
Non ho rimpianti, né parole, né lacrime.
Tutto passerà, come la nebbia dai rami bianchi del melo.
Appassito in una decadenza dorata
mai più io sarò giovane.
Anche il mio cuore toccato dal gelo
ha smesso di battere come una volta.
E questo paese di betulle, di indiana,
più non mi attira, cammina a piedi scalzi.
Spirito vagabondo, di raro ormai
cerchi il fuoco delle mie labbra.
Dove siete, freschezza degli anni passati,
ardore degli occhi, piena impetuosa dei sensi!
Adesso, quasi, non ho desideri. Eppure vita,
che ho fatto io se non sognarti di continuo?
Era come se a primavera, in un mattino sonoro,
me ne andassi in giro sopra un cavallo rosa.
Tutti in questo mondo sono votati alla fine.
Dolcemente intristisce il rame degli aceri…
Ma chiamiamoci dunque felici, benedetti per sempre,
d’essere nati per fiorire e morire.
Sergej Aleksandrovič Esenin, (Konstantinovo, 3 ottobre 1895 – San Pietroburgo, 28 dicembre 1925) - tratta da 'Poemi rivoluzionari', a cura di Serena Vitale, Guanda, Quaderni della Fenice, 1988.
Sono piuttosto esterrefatto dalla lettura che sui giornali italiani alcuni osservatori hanno dato di ‘Hereafter’, il nuovo film di Clint Eastwood appena uscito in sala.
In verità, me lo aspettavo. Il fatto che il rude Clint, il prosaico Clint, il Cavaliere Solitario, abbia deciso di affrontare un tema scivoloso come l’aldilà e la vita dopo la morte, lo poneva a serio rischio di vedersi piovere addosso critiche liquidatorie.
In realtà va così da sempre, almeno già da un paio di millenni, da quando – per dire – quel Paolo di Tarso sull’Aeropago, ricevuto dai dotti ateniesi fu ascoltato e considerato finché non pensò di tirar fuori la storia della Resurrezione. “Sì, sì, di questo parleremo un’altra volta”… gli dissero, compatendolo. Arrivederci e grazie.
La stessa cosa succede oggi a chi si mette a tavolino a discutere con qualcuno che abbia tanto buon senso e sale in zucca, pretendendolo di convincerlo che sì, che forse una vita dopo la morte esiste, che forse anche l’eterno esiste, e che forse non è nemmeno tanto difficile averne contezza.
Viviamo infatti in un mondo – almeno in quello che oggi è l’Occidente (e che comprende anche molte parti di Oriente)– dove esercita la sua dittatura e il suo dominio l’hic et nunc. Il qui ed ora.
La prospettiva è asfittica, limitata, anzi quasi cieca. E risponde, semplicemente, a questo imperativo:
pensa a quello che hai ora, vivi il tuo presente, comprati la cintura firmata ai saldi, guardati la partita, fatti la tua vacanza in crociera, e vivi tranquillo. Per morire, c’è sempre tempo.
Chiunque osi ribellarsi a questa dittatura, viene guardato come un sabotatore, e anche come un tipo stravagante, tutt’al più da compatire per la sua ingenuità.
E’ questo forse il lato più bello del bellissimo film di Eastwood: la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando la bella anchorman che è rimasta sospesa tra la vita e la morte durante lo tsunami in Indonesia e ha visto l’aldilà, pretende di mettere questa cosa al centro dei suoi interessi; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il povero Marcus, il ragazzino sopravvissuto alla tragica morte del suo gemello, pretende di mettersi in contatto con lui, con il fratello morto, pretende di proseguire a dialogare con lui, a farlo parte della sua vita; la dittatura del mondo dell’hic et nunc si mette di traverso quando il sensitivo George Lonegan (Matt Damon) deve addirittura rinnegare le sue qualità di tramite con i morti, per poter vivere tranquillo e avere una vita normale.
E’ questo, credo, che dovrebbe farci riflettere tutti.
E come si fa a liquidare tutto questo con ‘melassa newage’ come fa Luca Doninelli sulle pagine de ‘Il Giornale’ ? Come si fa a scrivere che “Sapere o non sapere se esiste qualcosa dopo la morte non cambia quasi niente della vita di un uomo” ? (sic!).
Ma davvero ?
Eastwood non scollega affatto l’hic et nunc, la vita che viviamo ora e adesso su questa terra con quello che succede dopo. Fa anzi esattamente l'opposto. E la sua prospettiva non è né eretica, né pagana, né new age. E’ la più vicina al buon senso. Il fatto che non sia corrispondente a una logica ‘confessionale’ cioè religiosa, non toglie nulla al rigore di un’opera che va letta semplicemente per quello che è.
Gli esperimenti di Near Death Experience non sono new age. Le migliaia di persone che sperimentano nel mondo un legame – in qualsiasi modo questo avvenga - con coloro che non ci sono più, non sono new age. Sono parte – e che parte ! – della nostra vita. La parte che ogni lutto, qualsiasi lutto che affrontiamo nella vita, ci costringe, volenti o nolenti, ad affrontare.
Non è poco. E’ moltissimo, anzi. E non finiremo mai di ringraziare Clint Eastwood, il rude, prosaico, cinico Eastwood, per averci regalato, a 80 anni suonati, il film più spirituale degli ultimi dieci anni.
Fabrizio Falconi