La mannaja romana e il Conte di Montecristo
L’invenzione di una macchina per la
decapitazione, cioè del taglio della testa per i condannati dei reati più
gravi, affonda nella notte dei tempi. Macchine simili alla ghigliottina erano
già in uso in Gran Bretagna a partire dal 1300 d.C. e ben prima che il dottor
Joseph-Ignace Guillotin mettesse la sua egida e il suo nome sulla macchina
taglia-teste (fu introdotta con un progetto di legge in sei articoli
all’Assemblea Nazionale il 9 ottobre del 1789 alla vigilia della Rivoluzione),
pochi sanno che un efficace e macabro precursore della Ghigliottina francese
era già usato a Roma, nella Roma papalina, da molto tempo, da almeno due secoli
prima, da quando nel Cinquecento si dava la morte ai rei confessi e agli
omicidi con la cosiddetta Mannaja romana
il cui uso restò in vigore fino alla conquista della città da parte del Regno
d’Italia, nel 1870.
Per molto tempo le esecuzioni a Roma
furono organizzate proprio all’inizio del celebre Carnevale Romano, erano
pubbliche – vi assisteva una grandissima folla – ed erano accompagnate spesso
da torture, come quella della frusta:
i ladri venivano caricati su somari, con le mani legate sulla schiena e un
cartello appeso al collo che descriveva con minuzia il delitto commesso. Il
macabro corteo attraversava le vie cittadine capeggiato da un subalterno del
boia (in genere vestito con l’abito da Pulcinella) che conduceva il corteo,
chiuso dal boia in persona, la faccia coperta da un cappuccio bianco. Al
cosiddetto cavalletto, situato
all’inizio della Via del Babuino, tra le urla di scherno della folla, il
condannato veniva frustato a sangue con il nervo di bue. Oppure, sempre a Via del Corso, all’angolo
con Via della Frezza, nello slargo che viene chiamato Piazzetta della Corda, si
praticava un'altra spaventosa tortura che era appunto quella della corda: il condannato veniva appeso ad
una specie di carrucola e legato ad un’asta per i piedi, e quindi veniva
sollevato e tirato per l’alto finché non si arrivava a slogargli del tutto le
giunture. Ma era nell’anfiteatro classico di Piazza del Popolo che si celebrava
invece il rito più cruento, quello riservato ai delitti più gravi: la
decapitazione.
Della Mannaja e del suo funzionamento
si ha una fedele e accurata descrizione nel celebre capolavoro di Dumas, Il Conte di Montecristo, che il
romanziere ambientò tra Italia e Francia tra il 1815 e il 1838.
A Roma Dumas era giunto una prima
volta nell’estate del 1835 e qui era rimasto per tre settimane, prendendo
affitto nell’Hotel de Londres, una
locanda famosa in quei tempi, in Piazza di Spagna, che il romanziere trovò il
modo di riprodurre fedelmente nel suo romanzo, compreso l’eccentrico
proprietario Pastrini, che finì anche lui nel libro come personaggio di
contorno, tenutario dello stesso albergo nel quale Dumas fece scendere i principali protagonisti della
storia, in visita a Roma.
A Roma Dumas si fermò anche sei mesi
più tardi, nel viaggio di ritorno, quando conobbe la nobildonna Teresa
Guiccioli (che era stata l’amante di Byron), di cui si innamorò. Le circostanze
dei due soggiorni offrirono al romanziere la possibilità di documentarsi con
esattezza sui luoghi e sulle usanze romane, specialmente quelle del grandioso
carnevale e delle brutali esecuzioni che avvenivano nella Capitale.
Nella celebre scena del carnevale
romano, nel Montecristo, a Franz
d’Epinay, in compagnia del Conte, capita di assistere ad una cruenta
decapitazione in Piazza del Popolo.
Dumas, che era sempre scrupoloso nelle sue ricostruzioni attinse a
testimonianze dirette. Il passo in questione recita:
Franz non intese che
imperfettamente le parole del conte, e forse non apprezzò al giusto valore
questa nuova gentilezza, poiché tutta la sua attenzione era rivolta allo
spettacolo che rappresentava la piazza del Popolo ed allo strumento terribile
che ne formava in quell'ora il principale ornamento. Era la prima volta che
Franz vedeva una ghigliottina. Noi diciamo ghigliottina, ma la falce romana è
presso a poco della stessa forma del nostro strumento di morte. La falce ha la
forma di una mezza luna, taglia dalla parte convessa cade da minore altezza:
ecco tutta la diversità! Due uomini, seduti sulla tavola ad altalena, dove
viene steso il condannato, aspettavano, e mangiavano, a quanto sembrò a Franz,
del pane e della salsiccia. Uno di essi sollevò l'asse, e ne estrasse un fiasco
di vino, ne bevve e passo il fiasco al suo compagno: erano gli aiutanti del
carnefice!
A questa sola vista,
Franz aveva sentito venirgli il sudore fino alla radice dei capelli. I
condannati erano stati trasportati, dalla sera innanzi, dalle carceri nuove
alla chiesa di Santa Maria del Popolo, ed avevano passata tutta la notte
assistiti ciascuno da due preti in una cappella chiusa da un cancello, davanti
al quale passeggiavano le sentinelle cambiate d'ora in ora. Una doppia fila di
gendarmi posti da ciascun lato della chiesa si estendeva fino al patibolo,
intorno al quale formava un circolo di dieci piedi di spazio fra la
ghigliottina ed il popolo. Tutto il resto della piazza sembrava un selciato di
teste d'uomini e di donne delle quali molte avevano i loro bambini sulle
spalle, e questi vedevano meglio di tutti, perché venivano ad aver la testa al
di sopra delle altre... Ciò che diceva il conte era dunque vero: ciò che vi è
di più curioso nella vita è lo spettacolo della morte.
L’evidenza che la mannaja romana cioè un prototipo della ghigliottina fosse usata a
Roma da molto tempo, e anche alcuni secoli prima della decapitazione raccontata
da Dumas, c’è nel resoconto della esecuzione pubblica forse più famosa che si
sia mai svolta nella Capitale, quella di Beatrice Cenci, accusata di
parricidio, e della sua matrigna Lucrezia Petroni, decapitate nella piazza
antistante il Castel Sant’Angelo l’11 settembre del 1599. Nella relazione del supplizio della Cenci si
legge che Lucrezia – la prima ad essere giustiziata – anche a causa della sua
mole, della sua corporatura, faticò non poco a cavalcare la tavoletta del ceppo – come gli comandò il boia - e accomodarsi con il corpo sotto la mannaia, a
cagione che, non essendo la tavoletta più larga di un palmo, non era capace per
l’appoggio delle mammelle. E quando toccò a Beatrice, essa cavalcò senza
indugi la tavola e pose il collo sotto la
mannaia, affrettando questo suo ultimo atto, circostanza che causò la tardanza del colpo. E se il colpo non poteva affrettarsi come aveva
fatto la condannata, è chiaro che questo non poteva venire dal braccio del
boia, ma dal congegno di una macchina, la mannaja
romana, per l’appunto, predisposta per fare giustizia dei condannati con la
freddezza chirurgica del taglio della testa.
Al supplizio di Beatrice fra l’altro,
si ispirò direttamente proprio Alexandre Dumas che alla celebre donzella romana
e alla sua sfortunata vicenda umana dedicò una serie di racconti: Les crimes celebres: Les Borgia; La marquise
de Ganges; Les Cenci.
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