Niente è più autentico e salvifico della poesia
La poesia era stata dichiarata morta: da un esiliato di fama, da Adorno. Che dopo Auschwitz non si potessero più scrivere poesie, lo aveva già dichiarato a New York nel 1949. Una frase tanto impressionante quanto sbagliata – ma molto difficile
da annullare. Non tanto dall’autore, che ha ritrattato, dichiarandola espressamente un errore nel 1966.
Ancora nel 1964, dopo una lezione a Harvard, Herbert Marcuse mi scrisse una dedica sul suo libro Eros e civiltà: «perché lei [cioè io] dopo Auschwitz, scrive poesie e ha dovuto scriverle».
Se non l’avessi conosciuto così bene non avrei osato provocarlo alla difesa della poesia e rinfacciargli la sua involontaria collaborazione alla distruzione della poesia
tedesca.
No, non “nonostante”, ma proprio “a causa di” Auschwitz le poesie sono necessarie e più necessarie che mai. Ancor prima che la frase fatale fosse formulata, era già stata negata dai grandi poeti. Celan aveva già scritto Fuga di morte. E Nelly Sachs, prima di allora un’autrice graziosa, epigonale, come attestano gli studi sulle sue prime opere, si mutò in quella voce che è impossibile ignorare, appena le notizie dell’orrore giunsero a Stoccolma: le notizie della conferenza di Wannsee e della deportazione e dello sterminio degli ebrei di Berlino.
Le dimore della morte (Die Wohnungen des Todes) scritto nel 1943, fu pubblicato a Berlino Est nel 1947.
Horst Bienek, a quel tempo diciottenne, lesse Nelly Sachs. Il libro deve aver scosso molto le giovani generazioni. «Era il libro di un supertestimone», scrive lui, «che non rimane invischiato nel realismo. Proprio ciò di cui avevamo bisogno».
HILDE DOMIN, Lezione di Francoforte, Il coltello che ricorda, Del Vecchio Editore 2016.
Hilde Domin
Il coltello che ricorda
In questo volume, il terzo della serie che Del Vecchio Editore dedica alla poetessa, si dà conto degli sviluppi letterari di Hilde Domin negli ultimi anni della sua attività poetica, presentando al pubblico italiano un compatto insieme di testi autobiografici, teorici e lirici, che si commentano e presentano gli uni con gli altri rendendo evidente la compatta organizzazione del pensiero creativo e filosofico di Hilde Domin.
Al centro della riflessione restano e si fanno più nitide la potenza della parola poetica e l’incitamento al coraggio civile, che è innanzitutto la capacità di uscire dagli schemi e accettare la propria umanità aprendosi all’incontro con l’altro: «Solo colui che è crocifisso/ le braccia/ spalancate/ dell’Io–sono qui».
*** Genesi
Cambiare
la parola
lo sguardo
creare la realtà
il sogno della realtà
l’incubo della realtà la realtà
il suo nocciolo
(traduzione di Paola Del Zoppo) ***
Genesis
Das Wort
der Blick
ändern
erschaffen die Wirklichkeit
den Traum der Wirklichkeit
den Angsttraum der Wirklichkeit
die Wirklichkeit
ihren Kern
HILDE DOMIN, Il coltello che ricorda, Del Vecchio Editore 2016.
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