fonte Giorgio Gosetti per ANSA
E' il 1981 quando il quarantenne
Jean-Jacques Annaud si vede affidare una scommessa produttiva
che solo la sua felice incoscienza gli permette di accettare:
trasferire in immagini il best seller "Il nome della rosa" che,
da mesi, appassiona i lettori di tutto il mondo.
Annaud e' reduce
da un'impresa altrettanto spettacolare che lo ha impegnato per
quasi quattro anni e lo ha reso famoso: il racconto preistorico
"La guerra del fuoco".
Proprio quest'impresa ha convinto un
gruppo di produttori capeggiato da Franco Cristaldi che ha
coinvolto il tycoon tedesco Bernd Eichinger e il francese
Alexandre Mnouchkine, oltre alla Rai. Ma raccogliere i capitali
(quasi 19 mln di dollari), ottenere una sceneggiatura che venga
a capo del rompicapo "sherlockiano" del giallo di Umberto Eco,
trovare luoghi e volti adatti a un thriller medievale tanto
celebre quanto complicato, richiederà cinque anni di lavoro.
Il film esce nel settembre '86 in America. In Italia approda
il 17 ottobre, subito campione d'incasso. Raccoglie i premi piu'
prestigiosi, dai David ai Nastri, rilancia perfino le vendite
del romanzo.
Lo sceneggiatore Gèrard Brach lavora a piu' stesure in
compagnia di Andrew Birkin, Howard Franklin, Alain Godard e lo
stesso Annaud; lo scenografo Dante Ferretti e' chiamato a
ricostruire vicino a Roma la chiesa dell'abbazia e gli interni
di Cinecitta'; Gabriella Pescucci firma i costumi, Tonino Delli
Colli la fotografia.
Alla fine si decide per una stesura che
rispetta la struttura del romanzo, semplifica i passaggi
narrativi, sfoltisce i personaggi. Con Eco concorda una totale
libertà di riscrittura, fissata nei titoli di testa dalla
dizione "tratto dal palinsesto di 'Il nome della rosa'".
Il
risultato piacera' ad ogni tipo di pubblico: ottime recensioni,
70 mln di dollari di incasso mondiale, e poi anche record
d'ascolto su Raiuno (quasi 15 mln di spettatori nell'88,
superato negli anni solo da "La vita e' bella" di Benigni).
Ambientato con scrupolo filologico nel 1327, in un'abbazia
benedettina del nord Italia, in realta' ritrovata nella tedesca
Eberbach e a Castel Del Monte in Puglia (di cui ho parlato a lungo nel mio libro Monumenti esoterici d'Italia ndr), costruito intorno al
carisma del protagonista Sean Connery e a una catena di
misteriosi delitti che profumano di maledizioni ancestrali, il
film mette in piena luce quell'enigma deduttivo che per lo
scrittore era solo un pretesto.
Ma mantiene ben evidente il
clima della prima inquisizione, quando il papato sedeva ad
Avignone e l'imperatore Ludovico sosteneva gli ordini religiosi
pauperistici che mettevano in crisi il potere temporale della
Chiesa.
Oggi si può ben dire che il successo del libro e del
film stanno all'origine della rinnovata passione per il mondo
medievale che ha contagiato legioni di appassionati per i
decenni successivi e lo stesso Eco, piu' di una volta, ha
maledetto il suo best seller ritenendolo "colpevole" di mode che
portano fino a Dan Brown e al "Codice Da Vinci".
fonte Giorgio Gosetti per ANSA
Benche' l'autore del libro si sia sempre limitato a un generico
"endorsement" verso il film, spendendo parole di vera
ammirazione solo per il protagonista Sean Connery, va
riconosciuto a Jean-Jacques Annaud un senso dello spettacolo, un
rispetto filologico di temi e ambienti, un acume nella scelta
degli interpreti (da Christian Slater a Murray Abraham, da
Michel Lonsdale ai formidabili Fdor Fdorovi aljapin e Leopoldo
Trieste, senza contare le apparizioni di Francesco Maselli e Kim
Rossi Stuart) che fanno del kolossal europeo un monumento mai
piu' ripetuto, l'emblema di una narrazione colta e intelligente
che si fa capire da ogni genere di spettatore.
Dei generi popolari del cinema, il mystery in prima fila,
Umberto Eco era da sempre un appassionato cultore come dimostro'
in un formidabile duetto sul film noir con Irene Bignardi al
primo festival della comunicazione di Camogli.
In
quell'occasione, sfoggiando memorie di prima mano e passioni
segrete, il semiologo-narratore viaggiava attraverso intrighi e
personaggi mostrando come il genere rivelasse la faccia segreta
della nostra civilta', parlando al cuore e alla fantasia mai
trascurando la ragione nella ricerca della verita'.
Ed e' proprio
questa liberta' inventiva che Umberto Eco poteva apprezzare di
piu' nel film dal suo romanzo. Cresciuto con il cinema e la pop
art, fine interprete dei fenomeni di massa fin dal celebre
saggio su James Bond del '65, appassionato cultore di gialli ed
enigmi, Umberto Eco porto' la sua passione per cinema e fumetti
in un altro dei suoi romanzi piu' personali, "La misteriosa
fiamma della regina Loana" del 2004. Ma, strano a dirsi, nessun
produttore ebbe piu' la visionaria lungimiranza di Franco
Cristaldi che al progetto de "Il nome della rosa" dedico' tutta
la sua passione negli anni '80. Anche per questo l'incontro con
Jean-Jacques Annaud, diventato negli anni il piu' spericolato
esploratore di nuovi continenti della fantasia, rimarra' un caso
unico.
fonte Giorgio Gosetti per ANSA
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