(Dieci grandi anime) - 3. Clive Staples Lewis (1)
3. Clive Staples Lewis
Credo sia difficile trovare una vita più
esemplare di quella di Clive Staples Lewis, come appare dal resoconto che egli
stesso ne ha fatto e dal racconto dei molti biografi - tutta giocata sulla
drammatica dicotomia gioia-dolore. In
effetti la vicenda umana del grande scrittore irlandese si può riassumere
semplicemente in questi due estremi e in un confine poco ampio tra queste due parole.
Sorpreso
dalla gioia si chiama l’autobiografia scritta e pubblicata da Lewis nel
1955. (1) Il titolo non è casuale. Da
molti anni, prima di quella data, lo scrittore ha usato quella parola – joy – per descrivere il fine della
ricerca con l’assoluto, con Dio. Joy è quel sentimento
indescrivibile indistinto intorno a cui
tutta l’opera di Lewis sembra ruotare, che comincia ad affascinare lo scrittore
quando egli è poco più di un ragazzo. All’inizio è semplicemente il piacere
fisico che deriva dalla lettura delle grandi saghe, dei miti del nord, delle opere di John Donne e di Milton. Poi si trasforma in un misto di amore per la
natura, fascino per il mistero e l’insondabile, propensione a conoscere e
svelare gli arcani che si celano dietro un destino, respiro di un disegno
divino dietro l’apparenza delle cose.
Questa gioia prenderà, durante
la vita di Lewis strade diverse e apparentemente contraddittorie: a soli 15
anni abbandona la fede cristiana con motivazioni molto dettagliate, espresse
proprio nella autobiografia. E’ un
distacco dalle stesse radici famigliari: il padre, Albert James Lewis era un avvocato
con ascendenze gallesi, cattolico; la madre, Flora Augusta Hamilton veniva da
una famiglia molto religiosa, suo padre era un pastore protestante. Sembrerebbe
un distacco definitivo.
Ma nel 1931 Lewis fa ritorno al
cristianesimo con una profonda conversione (nelle pagine autobiografiche di
quel periodo c’è la descrizione ancora più circostanziata di quello spirito di gioia) e l’adesione alla
chiesa anglicana, alla vigilia della esplosione di un successo letterario
enorme, che farà di lui uno degli autori più popolari di lingua inglese nel
periodo a cavallo della seconda guerra mondiale.
Quella parola – joy – ha però in serbo altre sorprese per lui: si presenta infatti,
molti anni più tardi, quando ormai è uno scrittore celebre, sotto forma di un
nome proprio, di una persona che sconvolgerà la vita di Lewis. Un incontro fatale maturato dapprima
attraverso una corrispondenza: comincia a scrivergli, alla fine del 1950, una
donna americana, poetessa dilettante, che si dichiara appassionata lettrice
delle sue opere. Si chiama Helen Joy Davidman-Greshman, ha trentasette anni, un
marito con il quale non va più d’accordo, e due figli. Si è convertita da poco al cristianesimo
grazie anche alla profonda impressione che le ha suscitato la lettura dei libri
di Lewis. Forse anche nella speranza di incontrare e conoscere lo scrittore, si
trasferisce nel 1953 In
Inghilterra, a Londra, insieme ai figli, dopo aver concordato un periodo di
separazione dal marito, che si concluderà con la concessione del divorzio,
nello stesso anno. Joy e Lewis cominciano a scriversi lettere
dapprima formali, e che riguardano soprattutto i romanzi dello scrittore. Poi,
entrano sempre più in confidenza, decidono di incontrarsi. Scoppia,
imprevedibilmente (Clive ha all’epoca
cinquantacinque anni) l’amore. I due si
sposano dapprima civilmente – per permettere alla donna il rinnovo del permesso
di soggiorno che le è stato negato dalle autorità inglesi - nel 1956, e l’anno
seguente anche con rito religioso.
Clive Lewis scriverà nella sua autobiografia
che questa singolare circostanza di chiamarsi Joy – proprio come la qualità
spirituale che aveva cercato per tutta la vita - avrà
un peso particolare, nel racconto di
questa storia.
Una favola ?
Non proprio, perché – come dicevamo
all’inizio – la vita di Clive Staples Lewis è un continuo ondeggiare tra gioia
e dolore. Il dolore, anzi, sembra
seguire quest’uomo, questo scrittore affermato, come un’ombra fedele durante
tutta la sua vita. Al dolore – anzi –
finirà per dedicare un testo capitale (2).
Il dolore gli si presenta subito, il 23
agosto del 1908 – il piccolo Clive ha dieci anni - quando muore la madre. E’ una perdita
disperante, per un bambino dalla straripante immaginazione. E’ stata proprio
l’adorata madre, Flora, ad iniziarlo all’amore per i romanzi e la letteratura.
Il resto l’ha fatto il trasloco, al seguito del padre, nella nuova casa, un
nuovo elegante ed enorme cottage immerso nella campagna – chiamato nel libro di
memorie, Little Lea - e la lettura dei
libri di Beatrix Potter (l’inventrice di Peter
Coniglio), di Mark Twain e di Edith Nesbit. La morte della madre cambia
completamente il quadro di una infanzia felice e fantasiosa. Clive, insieme al
fratello Warner (Warnie) più grande
di tre anni, finisce al seguito di diversi tutori, scelti dal padre per
proseguire lo studio delle lingue classiche, poi nel campo di concentramento -
così le definisce Lewis nella sua autobiografia – di severe scuole
inglesi, infine al fronte, in guerra, dove gli capita anche, nel 1918, di veder morire il suo migliore amico, Paddy
Moore, e di essere a propria volta ferito, prima di essere ricoverato a lungo
in ospedale e ammalarsi di depressione.
(segue -1./)
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
1.
Surprised by Joy: The Shape of my Early
Life è edito in Italia
da Jaca Book, Milano, 1981, con il titolo Sorpreso
dalla Gioia.
2.
A Grief Observed, pubblicato da Clive Staples Lewis con
lo pseudonimo di N.W.Clerk nel 1961, è edito in Italia da Adelphi con il titolo
Diario di un dolore, Milano 1990,
traduzione di Anna Ravano.
Nessun commento:
Posta un commento
Se ti interessa questo post e vuoi aggiungere qualcosa o commentare, fallo.