Vi propongo qui di seguito - nel contesto delle riflessioni che stiamo pubblicando negli ultimi giorni - un intervento di Marco Guzzi sulle dimissioni di Benedetto XVI.
Dal 28 di febbraio, alle ore 20, Benedetto XVI non è più Papa, la Santa Sede è vacante, anche se Joseph Ratzinger è ancora vivo
Questo evento è sostanzialmente un unicum nella storia bimillenaria della Chiesa, in quanto gli antichissimi e rarissimi precedenti non sono comparabili a questo evento mediatico mondiale del 2013.
Gli effetti di queste dimissioni saranno immensi e duraturi nei prossimi decenni, anche se da più parti si tenta invano di normalizzare una situazione evidentemente eccezionale, e di sminuirne la portata storica.
Paradossalmente proprio questo Papa, che tanto ha insistito sulla necessità di ribadire la “continuità” nella storia della Chiesa, ha compiuto uno dei gesti di più radicale discontinuità che potessimo immaginare, un gesto che sarà ricordato come una rottura senza precedenti, una cesura epocale, un punto finale e un nuovo inizio.
Questo gesto si pone d’altronde nel novero dei grandi momenti di assoluta novità che segnano la storia della Chiesa dalla seconda metà del XX secolo in poi.
Che il Concilio abbia determinato un punto di svolta e di ricominciamento, all’interno ovviamente della stessa storia del cristianesimo, ma che comunque abbia avviato processi anche caotici e ambigui che stanno tuttora mettendo in crisi e rigenerando forme secolari della liturgia come della catechesi, della pastorale come dell’intero assetto giuridico ecclesiale, è del tutto evidente.
Che la richiesta di perdono, compiuta da Giovanni Paolo II, durante la prima domenica di Quaresima del 2000, sia stata un evento anch’esso unico e sconvolgente lo ribadì lo stesso documento Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato, redatto dalla Commissione teologica internazionale: “In nessuno dei giubilei celebrati finora c’è stata una presa di coscienza di eventuali colpe del passato della Chiesa, né del bisogno di domandare perdono a Dio per comportamenti del passato prossimo o remoto. E’ anzi nell’intera storia della Chiesa che non si incontrano precedenti di richieste di perdono relative a colpe del passato, che siano state formulate dal magistero”.
Questi eventi, come il gesto di Benedetto, indicano la direzione ineluttabile di un vero e proprio punto di svolta, esplicitano il bisogno di una conversione radicale della Chiesa, di una purificazione seria e progressiva da tutte quelle forme distorte che ne hanno deturpato il volto e indebolito la testimonianza e quindi l’azione salvifica nella storia per secoli.
Un bisogno di conversione/trasformazione che d’altra parte tocca l’intera umanità contemporanea, giunta tutta insieme ad un punto estremo, ad un bivio sempre più evidente e allarmante tra autodistruzione e rigenerazione profonda.
La Chiesa cioè, come tutta l’umanità sempre più globalmente unificata, si trova a vivere nel vortice di una grandiosa svolta di portata antropologica, come scrisse Benedetto nel suo libro-intervista “Luce del mondo”, allorché ci indicò di “vedere attraverso il momento attuale la necessità di una svolta, annunciarla, annunciare che essa non può avvenire senza una conversione interiore”.
In questa prospettiva credo si inserisca anche il gesto delle dimissioni di Benedetto.
Egli ha voluto annunciare al mondo la sua decisione dopo avere celebrato l’Ora Sesta, e cioè proprio nell'Ora in cui Gesù è messo in Croce: "Dall'ora sesta all'ora nona si fece buio su tutta la terra” (Matteo 27,45). Ed ha voluto spalancare questo abisso di inquietudine il lunedì prima del Mercoledì delle Ceneri, ultima cerimonia pubblica che ha guidato.
I suoi segni mi sembrano evidenti: il ricominciamento del cristianesimo deve partire da una profondissima spoliazione penitenziale, da una sorta di abdicazione rispetto ad ogni forma di potere estrinseco e mondano. Dobbiamo in un certo senso gustare la libertà della riduzione in cenere di tutto ciò che non appartiene alla Nuova Umanità inaugurata dal Cristo, ma alle vecchie strutture mentali proprie del nostro egoismo atavico.
Così d’altronde Benedetto ha ripetutamente interpretato il senso della Nuova Evangelizzazione in atto: conversione, innanzitutto, vita spirituale rinnovata, comunità e piccoli gruppi che sappiano trasmettere questa vita nuova: meno apparati istituzionali perciò e più contemplazione, meno chiasso anche liturgico e più ascolto, silenzio, gaudio e dilatazione del cuore, meno ideologia religiosa e più iniziazione reale ai misteri, meno burocrazia e più profezia, meno chiacchiera teologica o sociologica e più pensiero meditato, più visione, più poesia, più fede, più lode, più gloria.
L’annuncio cristiano deve liberarsi da incrostazioni mentali e comportamentali secolari che lo hanno appesantito e reso troppo omologato alle logiche del mondo, logiche (e teologiche impostazioni) di potere e di controllo, logiche quindi in definitiva sataniche, in quanto, come dice Satana stesso, tutta la potenza di questo mondo “è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio” (Luca 4,6).
L’uomo e la donna di oggi non hanno affatto bisogno di troppe strutture sacralizzate e marmoree che li esaltino nelle piazze o li intimoriscano coi sensi di colpa, ma di parole e di persone e di gruppi umani in carne e ossa che li aiutino uno per uno a liberarsi dal terrore della morte e dalla menzogna che dilagano in questo mondo.
Stiamo tutti passando, a livello planetario, da una religiosità preminentemente rappresentata nei suoi riti ad una spiritualità più personalmente realizzata.
Perciò tutte le tradizioni religiose della terra sono in crisi.
Il rapporto tra Spirito e Struttura, per dirla con Schelling, va ripensato, e riequilibrato, ricordando che è solo e sempre lo Spirito che dà la vita, mentre ogni struttura sana deve solo porsi al servizio dell’espansione della vita.
L’Europa, l’Occidente, e l’intero pianeta hanno bisogno di voci cristiane potenti perché povere, profetiche perché pazzescamente libere, senza poteri mondani, ma dotate dell’unico potere travolgente della parola ispirata.
Solo queste minoranze creative, che Benedetto ha sempre invocato, potranno rianimare la vita della Chiesa e la cultura cristiana, ricordando al contempo a questo Occidente, che sembra odiare e detestare se stesso, la grandezza della propria storia e della propria missione, purificandole però da tutte quelle forme di presunzione ego/euro-centrica che ci portiamo ancora dietro.
Solo una Chiesa leggera, come è leggero lo Spirito che la anima e la guida, potrà ridare luce e orientamento ad una cultura che sprofonda nel nichilismo omicida tecno-mercantile e nel frastuono di mille e mille lingue sempre più biforcute.
Dobbiamo perciò ripartire dai processi spirituali della rinascita personale.
Dobbiamo ripartire dal Battesimo, cioè, dal mistero di una umanità che viene trans-figurata e divinizzata, liberata, perdonata, e guarita.
Dobbiamo ripartire dall’esperienza quotidiana di questa rinascita, attraverso la quale l’Amore di Dio diventa in ciascuno di noi potenza creativa, carità poetica, che rinnova la faccia del mondo.
Dobbiamo perciò ripartire dalla riformulazione di tutti i cammini iniziatici.
E quindi dobbiamo ripartire dall’essenziale, e l’essenziale è la Nuova Umanità di Cristo, che diventa la sorgente della mia, personale, realizzazione divino-umana, come disse il Papa nell’Omelia ai Primi Vespri per la chiusura dell’Anno Paolino, il 28 giugno 2009: “Dobbiamo diventare uomini nuovi, trasformati in un nuovo modo di esistenza. Paolo ci dice: il mondo non può essere rinnovato senza uomini nuovi. Solo se ci saranno uomini nuovi, ci sarà anche un mondo nuovo. Diventiamo nuovi se ci lasciamo afferrare e plasmare dall’Uomo nuovo Gesù Cristo. Egli è l’Uomo nuovo per eccellenza”.
Questo mi pare il grande insegnamento di questo gesto al contempo finale e inaugurale, e cioè tipicamente pasquale, compiuto da Benedetto.
Da oggi in poi la Chiesa entra gloriosamente nel suo tempo quaresimale, e cioè nella preparazione della sua nuova giovinezza: il Corpo di Cristo, il Corpo di tutta l’umanità è in Trans-Figurazione.
Marco Guzzi
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