Non c’è epoca nella storia dell’uomo che sia stata più lontana dall’idea di morte, che questa che stiamo vivendo.
Per secoli e millenni l’uomo ha con-vissuto con la morte. La morte è stata una sorella fedele, la morte ha fatto parte a tutti gli effetti della vita. Vita e morte si sono mischiati continuamente, nelle guerre, nelle epidemie, nel piccolo mondo di ruvide certezze delle comunità contadine.
La morte, il lutto, il sacrificio, la carne erano parte – a tutti gli effetti – della vita di ogni giorno.
Oggi la morte è scomparsa.
I funerali vengono celebrati frettolosamente, il lutto è scomparso. Parlare di morte, o di lutti, in società, è considerato di cattivo gusto.
La morte è esorcizzata, tenuta lontano, sull’onda di un’euforia pagana, che rende sempre più adrenalinici e sempre più disperati.
Ma è una esperienza tipicamente umana, che più una cosa si allontana forzatamente dal nostro orizzonte psicologico, più la si esorcizza, e più essa ritorna, più potente e simbolica, più minacciosa.
Quindi, anche se siamo nell’epoca della storia umana in cui siamo più lontani dall’idea di morte, siamo certamente nell’epoca in cui la morte fa più paura.
E la ragione è proprio questa.
Conosciamo sempre meno la morte, ed essa ci fa sempre più paura.
La morte continua a dominare i nostri pensieri – è normale, e il pensiero della morte che non riusciamo più ad elaborare, ritorna sotto forma di incubi, depressione, disagio, disturbo, nevrosi.
Sì, perché l’uomo non riesce a vivere sotto il peso schiacciante della morte. Come infatti ci ricordano gli antichi Greci – ha scritto recentemente U. Galimberti - l’uomo per vivere ha bisogno di una costruzione di senso, in vista della morte, che è l’implosione di ogni senso.
Questa visione tragica del greco, che non nutriva speranze ultraterrene, venne oltrepassata dal Cristianesimo che ha iscritto l’uomo in un orizzonte di senso che ha il suo riferimento nell’immortalità dell’anima e quindi, come ci ricorda Paolo di Tarso, nella vittoria sulla morte.
Oggi questa speranza e questa costruzione di senso del cristianesimo sembra – dal comune sentire, ce ne accorgiamo specialmente in un paese ‘cattolico’ come l’Italia – spappolata.
Domina una rimozione collettiva del problema della morte, in vista della nostra incapacità di dare alla morte un senso, e quindi di accettarla nelle nostre vite.
Così, mi sorprendo moltissimo della meraviglia di quanti scoprono con ipocrita scandalo che la sera della morte di Eluana, la puntata del ‘grande fratello’ con le beghe da cortile dei palestrati e il loro futile e insensato vociare, abbia ottenuto il record di ascolti.
Se la proposta è:
- da una parte la morte come OGGI la viviamo e la sentiamo
- e dall’altra il dis-impegno, la disinvoltura, il dis-interesse, la deriva di un ostinato NON-domandarsi nulla,
CHI – secondo voi - potrà mai prevalere ?
La morte, il lutto, il sacrificio, la carne erano parte – a tutti gli effetti – della vita di ogni giorno.
Oggi la morte è scomparsa.
I funerali vengono celebrati frettolosamente, il lutto è scomparso. Parlare di morte, o di lutti, in società, è considerato di cattivo gusto.
La morte è esorcizzata, tenuta lontano, sull’onda di un’euforia pagana, che rende sempre più adrenalinici e sempre più disperati.
Ma è una esperienza tipicamente umana, che più una cosa si allontana forzatamente dal nostro orizzonte psicologico, più la si esorcizza, e più essa ritorna, più potente e simbolica, più minacciosa.
Quindi, anche se siamo nell’epoca della storia umana in cui siamo più lontani dall’idea di morte, siamo certamente nell’epoca in cui la morte fa più paura.
E la ragione è proprio questa.
Conosciamo sempre meno la morte, ed essa ci fa sempre più paura.
La morte continua a dominare i nostri pensieri – è normale, e il pensiero della morte che non riusciamo più ad elaborare, ritorna sotto forma di incubi, depressione, disagio, disturbo, nevrosi.
Sì, perché l’uomo non riesce a vivere sotto il peso schiacciante della morte. Come infatti ci ricordano gli antichi Greci – ha scritto recentemente U. Galimberti - l’uomo per vivere ha bisogno di una costruzione di senso, in vista della morte, che è l’implosione di ogni senso.
Questa visione tragica del greco, che non nutriva speranze ultraterrene, venne oltrepassata dal Cristianesimo che ha iscritto l’uomo in un orizzonte di senso che ha il suo riferimento nell’immortalità dell’anima e quindi, come ci ricorda Paolo di Tarso, nella vittoria sulla morte.
Oggi questa speranza e questa costruzione di senso del cristianesimo sembra – dal comune sentire, ce ne accorgiamo specialmente in un paese ‘cattolico’ come l’Italia – spappolata.
Domina una rimozione collettiva del problema della morte, in vista della nostra incapacità di dare alla morte un senso, e quindi di accettarla nelle nostre vite.
Così, mi sorprendo moltissimo della meraviglia di quanti scoprono con ipocrita scandalo che la sera della morte di Eluana, la puntata del ‘grande fratello’ con le beghe da cortile dei palestrati e il loro futile e insensato vociare, abbia ottenuto il record di ascolti.
Se la proposta è:
- da una parte la morte come OGGI la viviamo e la sentiamo
- e dall’altra il dis-impegno, la disinvoltura, il dis-interesse, la deriva di un ostinato NON-domandarsi nulla,
CHI – secondo voi - potrà mai prevalere ?
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..se uno dicesse a un piccolo feto, prima che il ventre materno diventi stretto es espulsivo, guarda che fuori di qui c'è un mondo bellissimo, pieno di verde, di acque a volte con un cielo in cui l'azzurro sembra sfumare verso l'infinito, e montagne, fiumi e tanta gente, persone belle quindi non aver paura a uscire di qua; il feto probabilmente risponderebbe - fingiamo che sia in grado di farlo- ma che dici? io qui sto bene, è un posto caldo sento il respiro e la protezione di tutto quello che mi sta attorno, non mi manca niente, no da qui non voglio uscire. Quando viene espulso, violentemente espulso dal ventre materno, fa un esperienza di morte, angosciante: spazi immensi, rumori assordanti, luci laceranti e specialmente il soffocamento, sino a che non si aprono i polmoni. Ognuno di noi che siamo qui,in questo mondo, in questa storia, abbiamo già fatto l'esperienza della morte e scoperto che quello che stava attorno al corpo di nostra madre, è veramente bello ci si appassiona a starci dentro, al punto che non vogliamo più uscirne e siamo angosciati all'idea della morte.Certo, razionalmente sappiamo che moriremo ma rinviamo la cosa a domani. Siamo circondati dalla morte, di fame, di guerra, di povertà, di solitudine, siamo sommersi da immagini di morte e cerchiamo di non pensare alla nostra, personale, effettiva morte fisica.Abbiamo mille droghe e i preti o la parola che ci invita ad avere confidenza con la morte ci provocano scongiuri di vario tipo. Eppure se cosi bella è la vita in questo mondo che abbiamo conosciuto dopo la nostra prima morte perchè non dovrebbe essere ancora più bello quello che ci aspetta dopo la nostra seconda morte nonostante il fatto che dovremo passare ancora attraverso quella porta di angoscie e paure? C'è un bellissimo libro, che io consiglio a tutti di leggere di Alfonso Maria de Liguori, s'intitola - apparecchio alla morte- E' una rappresentazione della vita come un apparecchiare e preparare la tavola per u grande pranzo, anzi per l'unico, vero pranzo di cui la nostra anima è affamata.
RispondiEliminaCaro Alessandro,
RispondiEliminami piace moltissimo questo tuo discorso, perchè credo molto - e credo che biologicamente sia proprio così - alla morte come 'seconda morte' dopo la prima morte, che è la fine della vita intrauterina, e la nascita alla vita extrauterina.
Mi viene in mente anche la celebre citazione di Lao-tse che dice:
" Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla. "
Insomma, la morte, questo dovremmo capire, è un concetto molto relativo, che riguarda soltanto il modo da cui noi umani osserviamo - e non abbiamo altri strumenti per farlo.
In fondo, feto e essere umano vivente vivono in due mondi separati, e nessuno sa niente dell'altro, se non per deboli segnali che arrivano 'di scambio', tra i due mondi.
La cosa più avvilente è verificareche ormai tutti - anche, ahimè molti credenti - sembrano vivere prigionieri di un'ottica completamente 'finita', che identifica la morte come fine di tutto.
... si anche a me Faber stupisce questa posizione dei credenti.Qualche anno fa in una supervisione che facevo a operatori sanitari di una istituzione di emanazione ecclesiale che si occupavano di malati terminali e accompagnamento alla morte, la maggior parte dei quali credenti, chiesi, all'inizio del mio lavoro, come avrebbero preferito morire,e sottolineai di riflettere in silenzio prima di rispondere, ebbene tutti, ma proprio tutti mi dissero che preferivano morire di colpo e senza sofferenze. Allora dissi loro, bene, ma in che posizioni vi mettete rispetto alla sofferenza dei vostri pazienti e della loro malattia,che li porterà sicuramente alla morte? Segnalai loro, che rilevavo un problema di comunicazione e ascolto e che non erano semplicemente in grado di mettersi in comunicazione con i loro pazienti.Se noi immaginiamo una bilancia come quelle antiche e mettiamo sui due piatti da una parte la finitezza di questa vita e dall'altra ognuna delle nostre piccole grandi vicende e chiaro che queste assumono sempre un peso rilevante a volte insostenibile; se al contrario su un piatto della bilancia mettiamo l'eternità ecco che tutto assume un peso relativo, magari potremmo anche scoprire che il -giogo è leggero- Ecco i cristiani non credono più all'eternità come dicevi tu nella tua riflessione iniziali ma se non c'è l'eternità e se prima di questa vita non vi è nulla e dopo, ancora, vi è il nullo è chiaro che la morte è solo un immane , angosciante irreversibile tragedia alla quale pensare il meno possibile. Ed è la stessa paura che c'è rispetto all'invecchiamento, vi sono persone che non vogliono invecchiare e inventano le cose più impensabili per trattenere una parvenza di giovinezza nell'illusione che la morte possa essere rinviata, incapaci di vivere il tempo perché nel suo incedere inesorabile avvicina alla morte.Si io credo che dovremmo reimparare a pregare il Signore perché ci consenta una buona morte consapevole e per questo esperienza di vita e intanto godere veramente del tempo che abbiamo e dei mille doni che questa vita comunque ci fa.
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