02/10/16

E' morto Lucio Mariani - Poesia della domenica: "Giochi d'acqua."



E' morto ieri a Roma un grande amico poeta, Lucio Mariani. Lo ricordo con questa sua poesia, oggi, domenica. 



Giochi d'acqua 


Né una stella né un demone o un’avèrla
mi chiesero di esistere. Pure ti parla
ancora e ti sorride uno dei mille
e mille giochi d’acqua, un caso della forma,
la drupa lavorata dalle prove del tempo
fatta colma di sangue, che guardi ed accarezzi.

Né una stella né un demone domanderà
quando vorrò morire. Ma insiste l’ora e l’ombra
si propaga sulla spalla, insiste nelle frazioni
e i multipli a devastare puntigliosamente
mentre rifiuto il fratello sconosciuto
che mi rende
i suoi occhi malati dallo specchio.

Non mi chiede una stella di scrivere la vita
e con le dita stringere il sogno e la memoria.
Ma la penna è l’ago della mia ferita.


01/10/16

L'unica felicità possibile è nel presente - La Musica Brasiliana (Roberta Sà, Chico Buarque e il Samba).



L'unica felicità possibile è nel presente. 

Espressione di saggezza. Come sostiene Pierre Hadot, se si rincorre il passato, se si pensa di trovare la felicità nel passato, si è destinati all'infelicità; allo stesso modo se si insegue il sogno di una felicità futura, significa che si è infelici e quel sogno e quella possibilità sono continuamente spostati oltre, in un'altra dimensione. 

Non esiste al mondo musica più adatta ad esprime questo concetto che quella tradizionale brasiliana.

Quando ho visitato quel paese, in un lungo viaggio, ho capito come nella storia di quel paese - per molti motivi antropologici e perfino climatici - si è inscritto nei geni l'amore per la vita com'è

L'amore cioè per il tempo presente, per la vita che si vive momento per momento, per la meraviglia continua di essere partecipi di questo miracolo che scorre. 

Il Brasile di oggi certo è un paese ormai  civilizzato e globalizzato con mille problemi. E la vita delle persone è durissima come altrove.  Ma questo senso ancestrale è rimasto nella tradizione musicale. 

Lo si percepisce nei due minuti di video in testa un duetto tra Roberta Sà, una delle più dotate cantanti-autrici della nuova generazione e il maestro Chico Buarque de Hollande.

Un duetto vissuto soprattutto nella complicità degli sguardi (cui partecipa anche il chitarrista accompagnatore): sguardi pieni di gioia, luminosità, gioco seduttivo. 

Il Samba è la più completa espressione di questa joie de vivre: l'eterno Samba, che è lo spirito autentico della musica brasiliana.  Al Samba qualche tempo fa David Byrne ha dedicato una collezione di brani tradizionali al Samba degli anni '60 '70 e '80. 

Ripropongo qui una di queste meravigliose, semplici canzoni. Ascoltatela. C'è dentro tutta la felicità del presente, l'unica possibile in questa vita.

Fabrizio Falconi








30/09/16

Il libro del giorno: "Paul e Virginie" di Bernardin de Saint-Pierre.



Uscito nel 1788, il proto-romanzo romantico-naturalistico che influenzò intere generazioni con la storia primitiva e tragica di due giovani che si amano pudicamente nell'Ile de France (l'attuale Mauritius) e che il destino separa precocemente, senza riuscire a separare le loro anime.

Miracolo di scrittura pura, di fronte alla quale anche le ingenuità e le forzature passano in secondo piano, di fronte alla quale non resta che ammirare il mistero di qualcosa che è riuscito a cogliere il quid più intimo della natura umana, condannata ad essere in bilico, sempre. 

Un classico da riscoprire continuamente. 



28/09/16

Al via da oggi "Torino Spiritualità" 2016, dedicata al rapporto tra uomini e animali.



AL VIA OGGI LA DODICESIMA EDIZIONE DI TORINO SPIRITUALITÀ:il rapporto tra uomini e animali nel dialogo tra Shaun Ellis e Richard Francis,la sera viaggio nelle parole del Premio Nobel José Saramago con Angela Finocchiaro che rilegge Cecità
Taglio del nastro oggi per la 12. edizione di Torino Spiritualità, che fino a domenica 2 ottobre animerà Torino – con appuntamenti anche a Novara e ad Alba – con un calendario fitto di incontri, dialoghi, lezioni, spettacoli, meditazioni ed esperienze. Oltre 120 eventi e 130 voci da tutto il mondo per riflettere sul rapporto tra uomini e animali.
 L’inaugurazione, in programma mercoledì alle 18 nella Chiesa di San Filippo Neri, è affidata all’incontro Uomini tra cani e lupi con Shaun EllisThe Wolfman, il ricercatore che ha trascorso 18 mesi assieme a un branco di animali selvatici, condividendo con loro tane e prede, e Richard C. Francis, studioso dei meccanismi che abbiamo messo in atto, fin dalla notte dei tempi, per ammansire perfino noi stessi. Un dialogo per mettere a fuoco il filo rosso dell’edizione, D’ISTINTI ANIMALI, che si muove tra etica ed etologia lungo il confine che distingue umanità e naturalità. Una riflessione a due voci sulla capacità del tutto umana di renderci simili ai lupi, inseguendo la nostra parte più ferina, o docili come cani, addomesticando ciò che di selvaggio ci pulsa dentro. A moderare l’incontro Armando Buonaiuto, curatore del festival.
La giornata inaugurale prosegue alle ore 21 al teatro Carignano con CecitàLe pagine del Premio Nobel José Saramago sono protagoniste del reading tratto dal romanzo letto e interpretato dalla voce dell’attrice Angela Finocchiaro, con le sonorizzazioni di G.U.P. Alcaro, la voce registrata di Valter Malosti, ideazione e regia di Roberta Lena. Qui, alla deriva bestiale dell’umanità, si contrappone la figura del “cane delle lacrime”, sola creatura capace di consolazione in un mondo cieco e indifferente.
Un inizio così intenso, che indaga sull’essere umano a partire dallo sguardo animale, è la porta per una ricca varietà di argomenti e percorsi tematici. Così, insieme al ciclo di lezioni Guardate gli uccelli del cielo che, prendendo spunto dall’Antico Testamento e dal Vangelo di Matteo, accompagnano il pubblico a scoprire come gli animali possono aiutare l’uomo a sondare il mistero della sua identità e origine – da giovedì 29 settembre a domenica 2 ottobre con Remo Bodei, Ezo Bianchi, Vito MancusoMichela Murgia e Marinella Perroni – è possibile assistere a reading e spettacoli. A partire da Animali straordinari e infraoridinari (giovedì 29 alle 18.30 al Circolo dei lettori), realizzato con il contributo di Giubileo per la Cultura. Le parole di Ermanno Cavazzoni e Paolo Nori e i disegni di Leo Ortolani danno voce e corpo a un bestiario di vite in bilico tra lo straordinario, l’infraordinario e il difettoso, per imparare la sorpresa che gli animali portano con sé. Minima Animalia (giovedì 29 alle 21 al teatro Carignanocon Elio (voce) e Roberto Prosseda (pianoforte) per esplorare gli insospettabili legami tra musica e animali, spaziando con umorismo e ricercatezza tra i porcari baritonali dell’opera comica Il re nudo e le bizzarre miniature sonore che il compositore Luca Lombardi ha dedicato a zanzare, pidocchi e moscerini. Scorpione. Fuoco(venerdì 30 alle 21 al teatro Carignano) vede Neri Marcorè dare voce all’artropode nato dalla penna dello scrittore Ernesto Franco, alla sua natura guerriera, alla sua lucida, ultima confessione.
 Gli oltre 120 appuntamenti proseguono durante i cinque giorni del festival, seguendo quattro percorsi di indagine: il ruolo che gli animali hanno all’interno di differenti tradizioni spirituali; il confine – labile – tra noi e loro; il confronto tra istinto ferino e libertà selvaggia e, infine, gli animali che hanno popolato l’immaginario dell’uomo divenendo oggetti di espressioni artistiche.
 Solo per citare alcuni protagonisti e argomenti, si va dall’etologia e dal rapporto uomo-natura (Frans De Waal, Roberto Marchesini, Guido Barbujani), al linguaggio quale peculiarità umana (Andrea Moro); dagli istinti selvaggi che spesso tentiamo di addomesticare (Edoardo AlbinatiLuigi Zoja, Michel Maffesoli), all’immaginario bestiale di cui popoliamo storie e sogni (Philip Hoare, Vittorio SgarbiLeo Ortolani, Vittoria Baruffaldi); dalla vertigine che lo sguardo animale, ben più antico del nostro, ci provoca (Jo-Anne McArthr, Felice Cimatti); agli animali nelle tradizioni spirituali: quella ebraica (Roberto Della RoccaVictoria Acik), quella buddhista (Mario Thanavaro), quella cristiana (Paolo Trianni, Enzo BianchiGrado Giovanni Merlo).
 Torino Spiritualità è un progetto del Circolo dei lettori di Torino, con il sostegno di Regione PiemonteCittà di TorinoCompagnia di San PaoloFondazione CRTTeatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale eSistema Teatro Torino; il contributo di Giubileo per la Cultura ed Exki; partner tecnici Caffè VergnanoFerrafilm, Ibs.itPriolo Lab DesignSem – Scuola Estetica ModernaSparea,Hotel Victoria; media partner La Stampa.
Torino Spiritualità sostiene Fondazione Paideia.

27/09/16

L'Angelo di Francesco De Gregori - Una poesia-canzone da interpretare.




C'è una canzone sempre sottovalutata di Francesco De Gregori, contenuta nel suo album Calypsos, del 2006, che come altre sue, è una elegante poesia. 

Il testo, nella sua disarmante semplicità, si presta ad essere interpretato - nonostante le reali intenzioni di De Gregori, note soltanto ai poeti - come un piccolo trattato teologico-poetico.

Se L'angelo degregoriano non è soltanto una persona in carne e ossa, metaforizzato sotto forma divina, questa creatura che compare nel testo e nelle note del brano ha tutte le fattispecie di un essere trascendente che nessuno può vedere. 

Anche se nessuno può vedere, questo Angelo però fa segno di tacere. Dunque, pur essendo invisibile agli altri, è visibile al poeta, così come è a chiunque egli si manifesti, nello scorrere della vita quotidiana. 


E' dunque una presenza-assenza. Ma cosa vuole, esattamente questo angelo ?


Il suo scopo - come la sua essenza - è misterioso.  Egli infatti è venuto per sciogliere (e non per legare, né per spezzare).  Se tra sciogliere e legare la differenza è evidente, molto più sottile è quella tra sciogliere e spezzare.   Questo Angelo dunque non vuole legare (ricordiamo che legare è nell'etimo stesso della parola religione: re-ligo). Non vuole asservire sotto forma di dogmi, e non vuole spezzare, quindi creare fratture, dividere.  Egli vuole semmai sciogliere. Lemma dolcissimo il cui significato è appunto quello di liberare, di togliere da impaccio, di rendere possibile il volo. 

Questa creatura invisibile cioè, non si impone, non chiede e pretende ma lascia, scioglie: lascia passare.  E fa segno di andare. Vuole quindi lasciare libero il cammino.  Indica perfino la direzione, rassicura, sorveglia da lontano, guida. 

L'angelo è dunque una presenza amica, che offre da bere, che è solidale e che intrattiene. 

Poco più avanti però, il testo sembra suggerire che la presenza dell'Angelo non è soltanto esteriore, non vuole soltanto apparire e scomparire. Non è venuto soltanto per indicare o seguire. No, c'è qualcosa di più:   l'Angelo è venuto anche a prendere qualcosa. Prendere, appunto. Non rubare. Non vuole prendere senza il tuo consenso, non vuole sottrarre come un ladro, non vuole approfittarsi. Vuole da te qualcosa e chiede di non spaventarti. Proprio perché non è un ladro egli non si approfitterà di te, e non vuole fare del male.  Quello che prenderà da te, è per il tuo bene.  E' in un certo senso, anzi, il migliore complemento di te.  E questo Angelo, proprio come una presenza amica, andrà via con la parte migliore di te.  Una parte santificata dalla generosità (dall'amore e dall'amicizia) e vivificata con il vino, la pianta che fermenta e che nutre e che rende degna la vita di essere vissuta. 

Fabrizio Falconi 

*
Passa l'angelo passa l'angelo
E nessuno può vedere
Passa l'angelo passa l'angelo
E fa segno di tacere.

E dice sono venuto a sciogliere
E non a legare
Sono venuto a sciogliere
E non a spezzare
Passa l'angelo, passa l'angelo
E ti fa segno di andare
Passa l'angelo, passa l'angelo
E ti lascia passare

Passa l'angelo, passa l'angelo
E ti offre da bere
Passa l'angelo, passa l'angelo
E finisce il bicchiere
E dice sono venuto a prendere
E non a rubare
Sono venuto a prendere
E non a rubare
E dice non devi piangere
E non ti devi spaventare

Passa l'angelo, passa l'angelo
E nessuno può vedere
Passa l'angelo, passa l'angelo
E fa segno di tacere

Passa l'angelo, passa l'angelo
E ti offre da bere
Passa l'angelo, passa l'angelo
E ti offre da bere
*

Francesco De Gregori, L'Angelo, dall'album Calypsos, 2006. 

26/09/16

Fantasmi a Roma: Tulliola, la giovane signora e l'Appia Antica.



Un esempio recente di un fantasma contemporaneo ma dalle radici antichissime che a quanto pare si manifesta proprio nella zona delle catacombe sulla Via Appia  è quello che ha giocato un ruolo importante qualche anno fa, quando la Soprintendenza di Roma, nel 2006, è riuscita per una cifra pari a un milione e 400 mila euro ad entrare in possesso dei tre ettari di terreno – con villa e casale annesso – al quinto miglio della Via Appia Antica, in piena zona catacombale, per aggiungerli alla Villa dei Quintili, acquisita già nel 1985.

Il terreno, appartenente al demanio ecclesiastico già nel IX secolo, preziosissimo perché colmo di reperti archeologici d’epoca romana, apparteneva a una coppia di americani, gli Ewan Kimble, che dopo una lunga trattativa si decisero appunto nel 2006 a vendere la loro proprietà, e per un motivo specifico: la vecchia proprietaria, la signora Kimble, infatti, testimoniò che più volte era stata svegliata nel cuore della notte dal terrorizzante canto di una bambina, ascoltato anche dagli ospiti che frequentavano abitualmente la sua casa. 

La signora Kimble e il marito, dopo lunghe ricerche, erano giunti alla convinzione che a turbare i loro sonni, e la tranquilla vita nella loro splendida magione fosse proprio il fantasma di Tulliola: una bambina che si diceva fosse figlia nientemeno che di Cicerone, e che durante alcuni scavi compiuti alla fine del Quattrocento, lungo la Via Appia Antica, era stata ritrovata mummificata, intatta, all’interno del suo sepolcro

La meraviglia di quel corpo incredibilmente conservato, indusse ad organizzare una esposizione pubblica della mummia, che andò in scena al Campidoglio. 

Ma, al contatto con l’aria e con la luce, il corpicino evaporò senza lasciare traccia. 

Da quel momento, il fantasma di Tulliola fu più volte avvistato lungo l’Appia Antica, e ancora oggi, persiste la convinzione che sia facile incontrarlo nei paraggi ombrosi della Villa dei Quintili.



25/09/16

Poesia della domenica: Scalo ad Aleppo (di Fabrizio Falconi)






Scalo ad Aleppo

Contavo le ore e i ritardi
e il folle rullio delle facce
di esuli accaldati di ritorno
nel cielo primitivo e antistorico
di Anatolia, gocciava l'ala
quando scesi a respirare
sulla pista di Aleppo: mai vista
una notte così fonda, così
lontana, così tetra
con il respiro condensato, la luna
scialba sopra i luoghi dove oggi
finisce l'umano, si disossa
il vissuto, disperano, perché
non hanno più nemmeno fiato
le voci dei bambini
nel pozzo dell'inferno di Aleppo.

Fabrizio Falconi -© inedita 2016.

23/09/16

Salvador Dalì e la Sezione Aurea.




C'è un grande e celebre quadro di Salvador Dalì, chiamato L'ultima cena o più propriamente Il sacramento dell'Ultima cena, dipinto nel 1955 e conservato alla National Gallery of Art di Washington.

E' un quadro misterioso e pieno di fascino, come altri di Dalì.

Un ulteriore motivo di interesse è però contenuto nel suo stretto legame con la Sezione Aurea, o rapporto aureo.

La sezione aurea o rapporto aureo o numero aureo o costante di Fidia o proporzione divina,  è come si sa denominata in matematica con il simbolo Φ (oppure φ o ϕ; φ) ed esprime il numero irrazionale 1,6180339887... ottenuto effettuando il rapporto fra due lunghezze disuguali delle quali la maggiore a è medio proporzionale tra la minore b e la somma delle due (a+b).

Già le dimensioni originali del quadro - cm. 268 X 167 - sono in un rapporto molto vicino a quello aureo. 

Ma ancora più emblematico è l'enorme dodecaedro (un solido a dodici facce, ognuna delle quali è un pentagono regolare) che fluttua sopra la tavola e al tempo stesso la circonda. 

Come è noto in geometria, i poliedri regolari (come il cubo) possono essere inscritti in una sfera. In particolare poi, proprio il dodecaedro è legato al rapporto aureo.

La circostanza fu fatta notare ovviamente a Dalì, che - perfettamente in linea con il suo personaggio - diede una risposta sibillina: "l'Eucaristia dev'essere simmetrica".

Una risposta che apre o aprirebbe un intero capitolo filosofico o teologico.

Certo è che come molti altri artisti prima e dopo di lui, Dalì fu fortemente influenzato nella sua opera da quel  numero particolare, la proporzione geometrica scoperta da pitagorici, definita da Euclide e definita dal genio matematico Luca Pacioli in un trattato illustrato da Leonardo, "divina proporzione" e in seguito nell'Ottocento, "sezione aurea" che sembra inscritta nelle leggi dell'universo, e nei più disparati campi, dalla biologia, all'astronomia, dall'architettura alla psicologia, alla musica e perfino al misticismo. 

Fabrizio Falconi
(per approfondire vedi Mario Livio, La sezione aurea, Traduzione di Stefano Galli, Rizzoli 2003).



22/09/16

Il libro del giorno: "Ritorno dall'india" di Abraham Yehoshua.



Il dottor Benjamin Rubin, trentenne, vorrebbe fare il chirurgo, ma il primario dell'ospedale nel quale lavora (Hishin) lo preferirebbe internista.   Un'occasione per fare qualche passo in avanti gli arriva quando Hishin propone a Rubin di accompagnare il direttore sanitario Lazar e sua moglie Dori in un viaggio in India per andare a riprendere e portare a casa la loro figlia (Inat) malata. 

Alla fine del viaggio Benjamin scopre di essere innamorato di Dori, molto più grande di età, di lui. Avrà con lei tre fugaci rapporti, finirà per sposare una donna non amata (Michaela) e per avere una figlia da lei (Shiva), ma non riuscirà a rinunciare al suo amore, se non quando Lazar muore sotto i ferri dell'ospedale e Dori decide di troncare ogni rapporto e a Benjamin non resterà altro che rassegnarsi al suo ruolo di ragazzo-padre, visto che Michaela è tornata in India. 

Quattro parti (o movimenti) sontuose (innamoramento - matrimonio - morte - amore) dividono il voluminoso romanzo tradotto scandalosamente male da due traduttori diversi.  Yehoshua è un maestro della narrazione. Racconta, e il lettore non può sfuggire al perfetto meccanismo narrativo. La vita di Benjamin e di tutti gli altri personaggi di questo magnifico romanzo è la vita com'è: non sensata, sconnessa, inspiegabile, misteriosa, incongruente, come è la vita.

Non ci sono più regole sociali o convenzioni: si può essere padre senza provare nulla per la propria figlia e marito senza provare nulla per la propria moglie. Ci si può innamorare senza sapere perché della donna più sbagliata e sacrificare ad essa tutto.

Tutto vero, tutto reale, mai artificioso. Yehoshua conduce senza scorciatoie al punto atteso e vagheggiato dove l'anima è del tutto nuda.  
Un calo di intensità nell'ultima parte (amore), quasi che lo stesso Y. si smarrisca, sapendo di dover prendere congedo dai suoi personaggi.



21/09/16

Riapre la Scalinata di Trinità dei Monti dopo il Restauro. Strinati: "Non sia più luogo di bivacchi e vandalismi".





La sosta sulla Scalinata di Trinita' dei Monti, recentemente restaurata e che il 22 settembre sara' restituita alla citta', "deve essere consentita ma deve essere regolamentata, perche' la Scalinata e' stata concepita come via di transito".

A sostenerlo e' Carlo Strinati, storico ed ex sovrintendente a Roma, in un lungo documento diffuso dal presidente dell'Associazione Via Condotti Gianni Battistoni e sottoscritto da alcune personalita' del mondo della cultura, dell'arte e delle attivita' produttive: Roberto Wirth, Umberto Galimberti, Massimiliano Fuksas, Masolino D'Amico, Dante Ferretti,Paolo Giorgi, Bedy Moratti, Jas Gawronski, Michele Dall'Ongaro, Adriana Asti,Gianni Rivera, Anna Fendi,Giorgio Ferrara e Lucio Villari.

La scalina, dice Strinati, "deve essere vissuta, ma non puo' essere utilizzata come fosse l'uscita di uno pseudo pub irlandese all' italiana, dove si beve, ci si ubriaca, si schiamazza, si molestano le persone tra loro, si fanno i propri bisogni corporali e si rompono spesso e volentieri gli arredi urbani che abbiano la disgrazia di trovarsi nei dintorni".

 "Certo non si propone qui - aggiunge lo storico - di riprodurre i divieti della Spagna franchista ( visto che siamo a piazza di Spagna) per cui non ci si poteva riunire in più di poche persone pena l' arresto. Ma prima di tutto deve essere escluso a priori l' utilizzo della parte centrale della Scalinata per sedersi e sostare. Puo' e deve essere invece consentito nelle parti laterali e nelle due piazze lungo la salita ma senza riempire integralmente i gradini impedendo cosi' a chi cammina di passare. Il vincolo forse gia' esiste. Ove cio' fosse deve essere applicato. Ove non esista e vi siano le condizioni giuridiche, si applichi. Ove la proprieta' pubblica inibisca l' apposizione del vincolo venga allora la Scalinata regolamentata con norme di disciplina urbana apposite e venga vigilata da vigili urbani. Certo, si dira', e' una utopia, ma a ben vedere non e' utopistico che la nuova amministrazione capitolina ripristini la tipologia dei servizi di vigilanza su Ville, palazzi e transiti pubblici di rilevante interesse e qualita' storica, un servizio che esisteva al tempo della nostra infanzia e funzionava pure. Non e' impossibile, e l' amministrazione romana appena insediata - conclude - potrebbe individuare in questa riattivazione di funzioni un nobile e sacrosanto obbiettivo".

Fonte: ANSA

20/09/16

Le meraviglie della Via Francigena - Inaugurato l'ultimo (splendido) tratto verso Roma !




Storia e natura nell'ultima tappa della Via Francigena da Formello a Roma


Tra le bellezze di cui l'Italia è disseminata, ci sono i percorsi nati con l'Antica Roma, con le vie consolari che si sono consolidate durante il Medioevo, soprattutto attraverso i cammini dei pellegrini. 

Riscoperta negli ultimi anni, la via Francigena è presto diventata uno degli itinerari di maggior interesse turistico in Europa: l'antica via, che nel Medioevo univa Canterbury a Roma, e' oggi attraversata da pellegrini provenienti da ogni dove

L'ultimo tratto, di circa 30 chilometri, attraversa l'area archeologica di Veio, resa fruibile dall'apertura di un ponte sul fosso Cremera circa un anno fa, la Tomba dei Leoni Ruggenti, la riserva naturale dell'Insugherata e storici luoghi di culto come la Cappella della Visione di S. Ignazio e la Chiesa S. Lazzaro dei Lebbrosi, anticamente ultimo luogo di sosta dei pellegrini diretti a San Pietro. 

"Vogliamo ritrovare quei valori che i pellegrini cercavano: l'interiorità, la fede ma anche la natura, i monumenti storici, la vita delle persone dei borghi che si attraversano", ha detto Monsignor Pasquale Iacobone, responsabile del dipartimento Arte e Fede del Pontificio Consiglio della Cultura, durante il cammino organizzato in due giornate dall'Associazione Priorità Cultura

Lungo il percorso, ha aggiunto Francesco Rutelli, presidente dell'associazione, "sono state scoperte delle tombe etrusche risalenti al 700 a.C., i piu' antichi affreschi della riva Nord del Mediterraneo di quell'epoca: questo nuovo itinerario - ha proseguito - permette di percorrere la Francigena ammirando queste bellezze e non piu' camminando tra i camion come avveniva poco tempo fa e di entrare nel parco dell'Insugherata, una zona di straordinaria qualita' ambientale". Le due varianti del parco di Veio e dell'Insugherata "permetteranno a decine di migliaia di persone di arrivare a Roma percorrendo la via Francigena come avviene in Spagna con il cammino di Santiago di Compostela - ha detto poi Rutelli - che rappresenta, oltre che un'esperienza di fede, personale e collettiva, un'opportunita' di riscoperta, di valorizzazione del territorio, un fatto culturale ed economico perche' molte attivita' possono prosperare grazie a questi nuovi flussi turistici", ha detto poi Rutelli. 

Tre anni fa a Palazzo Chigi, nel centro storico di Formello, e' stato aperto un ostello dedicato ai pellegrini che da pochi giorni ha raggiunto il numero di mille ospiti nell'anno giubilare 2016, testimonianza dell'impatto economico che il percorso spirituale e turistico ha avuto sul territorio

"I numeri sono spettacolari - ha confermato il sindaco Sergio Celestino - abbiamo appena festeggiato il millesimo ospite proveniente dall'Emilia Romagna, hanno aperto quattro nuovi ristoranti e a dicembre apriremo il Museo dell'agro veientano". 

L'ultima tappa della via Francigena conduce nel parco di Monte Mario, per ammirare Roma: il traguardo. Non a caso era detto "mons gaudii", monte della gioia. A conclusione del cammino, durante il quale personalita' della cultura, come il professor Scarascia Mugnozzi dell'universita' della Tuscia e il direttore di Roma Natura Maurizio Gubiotti, sono stati protagonisti di narrazioni storiche, archeologiche e ambientali, i pellegrini saranno accolti dal Cardinale Gianfranco Ravasi nell'antica chiesa di Santa Maria in Camposanto, nel cuore della Citta' Eterna.


19/09/16

Perché Villa Pamphilj è così pulita (e le altre di Roma no) ? Un quesito insolubile.




Da molti anni, da romano che vive da sempre in questa città, e che porta nei suoi geni quelli di molte generazioni romane che l'hanno preceduto, mi sono chiesto come sia possibile che Villa Pamphilj - sotto le più diverse gestioni di sindaco e giunte - sia mantenuta così bene, sia così smagliante, così pulita, così preziosamente curata ?

Specialmente entrando dalla parte di Via della Nocetta o Via Aurelia Antica - la parte per intenderci con il laghetto delle tartarughe e il giardino botanico - apprezzo da molti anni - anche stamattina - una cura impossibile da trovare nelle altre meravigliose ville romane, in stato di completo o parziale abbandono. 

Villa Pamphilj, pur essendo molto estesa - 184 ettari, la più grande di Roma - presenta viali curati, nessuna traccia di immondizia o carte in terra o bottigliette in plastica (pur essendo pochi i cestini a disposizione), alberi ben tenuti e potati, corsi d'acqua limpidi, prati sempre sfalciati in ogni stagione dell'anno, staccionate e strutture ben tenute. 

Eppure i romani che la frequentano sono gli stessi che frequentano anche le altre ville. 

Oggi, non resistendo alla curiosità, ho chiesto ai giardinieri che come ogni mattina erano lì, con i loro pullmini del Servizio Giardini.  

"Come fate a mantenere la Villa sempre pulita?"
"Semplice," mi hanno risposto, "la puliamo ogni santo giorno, 365 giorni, con qualunque tempo, con qualunque clima, sempre.

Ho chiesto allora come mai questo metodo non sia applicabile alle altre ville di Roma.  Sono stato ripetutamente a Villa Borghese in agosto ed è in condizioni pessime, sporchissima, mal tenuta, piena di rifiuti ovunque, in ogni siepe in ogni giardino, con il laghetto ridotto un cumulo di alghe e invasa da milioni di risciò macchine a pedali, venditori abusivi, una vera casbah. Di Villa Ada non parliamo. Villa Glori è in uno stato di pietoso abbandono.

Mi hanno risposto che ogni Villa ha il suo servizio e se lì non si lavora è perché evidentemente non si ha voglia di farlo e nessuno controlla. 

Così vanno le cose a Roma (e non si vede all'orizzonte alcun cambiamento). 

Fabrizio Falconi

18/09/16

E' morto padre Gabriele Amorth. Il ricordo di un sacerdote che lo ha conosciuto.




E' morto ieri all'età di 91 padre Gabriele Amorth. Questo è il ricordo di un sacerdote, Don Alessio (nome convenzionale), che lo ha conosciuto. 


Lei ha avuto occasione di conoscerlo bene. Che ricordo ha di lui ?

L'ho frequentato quando celebrava esorcismi nella sua chiesa vicino a via Manzoni. Un individuo serafico anche davanti a casi che erano impressionanti pure per chi aveva i nervi saldi. Aveva una teoria eccellente sul male: l'essere umano non ha bisogno del demonio per farlo, ci riusciamo anche da soli, ma quando il male travalica una certa soglia e diventa troppo disumano è ragionevole pensare che intervenga il maligno. Dopo le sue benedizioni i suoi pazienti restavano anche mezz'ora in stato di incoscienza ed erano incapaci di camminare o di parlare. Mai visto cose del genere. E questo solo con semplici preghiere in latino.

Padre Amorth prima di essere ordinato prete nel 1954 fu anche partigiano, rifiutandosi di rispondere alla chiamata alle armi della Repubblica di Salò. In lui c'era anche impegno civico ?

In gioventù scampò una condanna a morte. Il suo impegno civile era quello di un sacerdote che desidera contribuire a migliorare il mondo con la preghiera e aiutando gli altri a stare meglio con sé stessi e con Dio. Poi a quanto ne so, ha aiutato moltissimo i bisognosi con fondi personali. Arrivava perfino a pagare degli affitti a persone vessate dal maligno che non erano in grado di mantenersi.

Con il tempo, Amorth, grazie alle sue pratiche esorciste, è diventato quasi un personaggio leggendario. Perché intorno a questa pratica esiste un alone così oscuro, gotico?

Perché il genere horror vende bene (sorride). Abbiamo una tradizione di film più o meno riusciti che parlano del demonio (L'Esorcista, L'esorcismo di Emily Rose etc) quindi il pubblico conosce gli esorcisti tramite il genere hollywoodiano ma in realtà l'esorcismo è innanzi tutto una attività di consolazione. Gesù dice "se scaccio il demonio col dito di Dio è giunto tra voi il regno dei Cieli". Si capisce quindi che l esorcismo e anzitutto un evento di gioia, una vittoria del bene sul male anche se ha risvolti talora drammaticissimi.

 Anche lei ha esercitato pratiche esorcistiche ? In quali casi esse possono essere messe in atto ?

Sono stato esorcista per qualche anno dopo aver seguito le sedute di don Amorth. Vanno messe in atto quando si ha la ragionevole certezza che dati disturbi abbiano origine malefica (malefici, fatture messe nere etc.). Quindi occorre prima una adeguata anamnesi del soggetto affinché si possa ricostruire la sua storia. Talora sono proprio gli psichiatri che richiedono l aiuto di un esorcista perché dati sinonimi non hanno riscontro nella letteratura scientifica!

E' una tradizione molto antica ?

Il primo esorcista fu proprio Gesù. E si badi che non curava malattie con l'esorcismo ma proprio cacciava i demoni perché nel Vangelo si dice "alcuni li guarì altri li esorcizzò". Anche la Madonna lo è. Di lei si dice che col calcagno schiaccia il capo del serpente che è simbolo del male. Un giorno chiesi a don Gabriele "ha mai avuto paura in un esorcismo?" Rispose "paura io? È il demonio che deve averne..."

Fabrizio Falconi - riproduzione riservata. 

17/09/16

Il mistero di Antinoo a Palazzo Altemps ! Il busto romano ritrova il suo volto da Chicago .




"Abbiamo trovato il busto!". La sorpresa deve essere stata incontenibile in quella telefonata. Una conferma ufficiale era tutta da costruire, ma l'egittologo W. Raymond Johnson, in visita a Roma, ne era convinto: il busto in marmo lunense che aveva davanti era l'altra meta' del volto riccioluto custodito al di la' dell'oceano all'Art Institute di Chicago. 

Proprio con quella telefonata, nel 2005, inizia a dipanarsi il mistero, lungo ormai secoli e ancora non del tutto risolto, intorno al celebre busto del II d.C. dedicato ad Antinoo, amatissimo pupillo dell'imperatore Adriano, fino al 15 gennaio protagonista di "Antinoo. Un ritratto in due parti", a Palazzo Altemps. 

Una mostra, promossa da Soprintendenza Speciale per ilColosseo e Museo Nazionale Romano con Electa, che ripercorre il giallo della scultura acquistata dallo Stato nel 1901 dalla Collezione Boncompagni Ludovisi e della quale gia' nel 1756 l'archeologo J.J. Winkelmann disse avere "un volto nuovo", rifatto. 

Oggi sono l'uno accanto: l'Antinoo "italiano", con l'aria piu' assorta, malinconica, i riccioli folti, i lineamenti aggraziati e rotondi; e l"'americano", creduto a lungo un bassorilievo, con lo sguardo piu' volitivo, sensuale e torbido

"Era il 2013 - racconta il direttore di Palazzo Altemps, Alessandra Capodiferro - quando Karen Manchester, del Dipartimento di arte greco-romana del'Art Institute, arrivo' portandoci una riproduzione in resina del loro frammento di volto"

Insieme agli specialisti del J. Paul Getty Museum e dell'Universita' di Chicago, "siamo andati per tentativi, seguendo quella grossa 'ferita' che segna un lato del viso che avevamo noi". 

Il risultato e' nel modello in gesso 1:1 esposto insieme agli originali, che riproduce, finalmente, come l'opera doveva apparire in eta' romana. 

"Per noi non ci sono dubbi che i due pezzi si appartengano - prosegue la Capodiferro - Ce lo dice la prova della materia e l'evidenza fisica". 

Il mistero pero' e' ancora tutto da dipanare. Se infatti il mito di Antinoo, incarnazione di bellezza e gioventu' adorato come un Dio da Adriano, si e' alimentato nei secoli, accendendo l'interesse antiquario soprattutto in eta' rinascimentale e barocca, ancora nulla si sa dell'origine dell'opera ne' della sua dolorosa mutilazione. 

Probabilmente il busto era nella Collezione del Cardinal Ludovisi esposta nella villa sul Quirinale. Nel 1641 nell'inventario compare un Busto di Antonio, forse errore di scrittura, e nel 1693 un Busto di Antino. 

Ma e' nel 1756 che Winkelmann lo vede, completamente restaurato, con quei riccioli dai volumi rinascimentali e perfettamente in linea con il gusto per l'archeologia 'perfetta' del tempo. 

Tanto che sul taccuino annota "volto nuovo". Il frammento del viso compare invece nel 1898 a Roma, quando C. L. Hutchinson, primo presidente dell'Art Institute di Chicago, lo compra dall'antiquario A. Simonetti. 

"E' possibile - ipotizza la Capodiferro - si fosse creata una frattura all'interno della testa: accade, dicono gli esperti, quando si lavora il marmo controverso. Ma e' vero anche che e' piu' facile 'portar via' un volto che un'intera statua". 

Senza contare che "a fine '800 le leggi impedivano ai privati come i Ludovisi di vendere opere del genere. Potevano farlo solo gli antiquari". Purtroppo le carte dell'archivio Ludovisi-Boncompagni in Vaticano "non dicono nulla di piu"' dell'Antinoo. "Le nostre speranze sono affidate ai documenti ancora di proprieta' della famiglia, al momento allo studio e di prossima pubblicazione".

16/09/16

Il film del giorno: "Giulia" di Fred Zinnman (1978).



Pluricandidato all'Oscar '78 Giulia, opera del grande Fred Zinnemann, e uno dei più bei film sull'amicizia e sulla solidarietà femminile.  

E' ambientato in due diverse fasi storiche ed è ispirato dal romanzo Pentimento di Lilian Hellman, scrittrice americana morta a Tisbury nel 1984. 

Tutto si svolge intorno all'amicizia passionale e quasi morbosa di due ragazze, la Hellman (Jane Fonda) e Giulia (Vanessa Redgrave), iniziata e sbocciata in solitari castelli di proprietà degli aristocratici nonni di Giulia e conclusasi durante la guerra, quando dopo molte peripezie, Giulia viene dapprima sfigurata durante l'occupazione nazista di Vienna, e poi ritrova la sua amica, parecchi anni più tardi, quando è arruolata in una organizzazione segreta e ha una figlia piccola da salvare. 

Un film incredibilmente lucido e mai compiaciuto, con la fotografia del grande Douglas Slocombe, e ricostruzioni storiche accuratissime. 

Ne viene fuori la figura di due donne molto diverse ma profondamente umane in un momento storico in cui anche Hollywood finalmente cominciò a interessarsi di storie e psicologie femminili non convenzionali. 

La Redgrave conquistò per questo film l'Oscar come migliore attrice non protagonista, anche se il suo ruolo è il vero fulcro del film. 

Oscar per il migliore attore non protagonista a Jason Robards. 





15/09/16

"Le nostre vite sdraiate" - una lezione di Remo Bodei, al Festival di Filosofia domani a Modena.



Remo Bodei terrà domani, venerdì 16 alle ore 18 a Modena, in Piazza Grande una lezione nell'ambito del Festival della Filosofia 2016. 
Il Sole 24 ore di domenica scorsa ha anticipato una parte del testo della sua lezione, una interessantissima riflessione sui meccanismi competitivi della società, sui termini e gli scopi dell'educazione, sul duro confronto con se stessi, e sulle vite sdraiate di molti occidentali, oggi


«Il Sole» Domenica 11 settembre 2016
Vite «sdraiate». Antagonisti verso se stessi
di Remo Bodei

Dalla lotta del passato fatta di doveri, codici e imposizioni si è arrivati oggi a un io fragile, indifeso e narcisistico 

La lotta di cui parlerò è quella che ciascuno combatte, fin dall’infanzia, per costruire se stesso confrontandosi con gli altri e con il mondo.

Essa comporta, inevitabilmente, l’obbligo di sottomettersi a una dura disciplina, fatta di doveri, codici di condotta e modi «appropriati» di pensare e sentire, dapprima imposti dall’esterno e poi interiorizzati e rielaborati.

La vittoria su se stessi, ammesso che si consegua, non è mai, tuttavia, completa e definitiva. Implica un aspro conflitto che scinde la volontà, opponendo una parte di noi che cerca di prevalere a un’altra riluttante a piegarsi e sempre pronta a ribellarsi o a negoziare compromessi al ribasso.

Ogni persona porta in sé le ferite e le cicatrici di questa guerra per distaccarsi dalla propria vita meramente biologica. Nello steso tempo, tenta di emendarsi da idee e forme di condotta riprovevoli in modo da conquistare una sempre maggiore autonomia.

In tale confronto l’individuo, rischiando di logorarsi e di perdersi, avverte la tentazione di lasciarsi andare, di abbandonare l’arena del conflitto, di cedere al desiderio di irresponsabilità o di dare retta ai richiami della nostalgia, che lo invita a mettere indietro l’orologio della propria storia e ad abbandonare la battaglia.

Troppe appaiono le «spine» che i comandi e gli obblighi hanno conficcato nella sua carne, troppi gli insuccessi e le inadeguatezze cui è andata incontro.

Nella nostra tradizione la sfida a combattere contro se stessi si è modellata non solo secondo tecniche di autocontrollo, ma anche grazie all’elaborazione di fini in grado di includere e orientare l’intera esistenza, ossia mediante ideali di «vita buona» o di perseguimento del «sommo bene».

Tra gli innumerevoli paradigmi predisposti nel tempo e nello spazio, ho deciso di esaminarne soltanto due, quelli canonici di cui – mediante molteplici filtri e ibridazioni – siamo noi stessi gli eredi. Entrambi si basano sulla metafora sportiva della corsa, declinata, in modi sostanzialmente diversi, da San Paolo e da Thomas Hobbes.

Leggiamo nella prima Lettera ai Corinzi: «Non sapete che nelle corse dello stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però, ogni atleta si sottopone in tutto alla disciplina. Essi lo fanno per poter ottenere una corona corruttibile, noi invece incorruttibile. Anch’io, dunque, corro ma non come chi è senza meta. Faccio pugilato, ma non come chi batte l’aria. Anzi, colpisco duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, perché non succeda che, dopo aver predicato agli altri, io stesso venga squalificato».

Il cristiano corre, dunque, per conseguire la vita eterna, il paradiso. Entra in una gara alla quale tutti possono partecipare, ma che ha i suoi campioni: i martiri, gli atleti di Cristo, coloro che, subendo torture e morte, hanno strenuamente lottato per testimoniare la propria fede. Essi sono perciò rappresentati con in mano il ramo di palma dei corridori vittoriosi (la simbologia rinvia anche al fatto che l’albero di palma produce un’inflorescenza quando sembra ormai morto). Una volta cessate le persecuzioni, la lotta dei cristiani si interiorizza: non più la coraggiosa resistenza a sofferenze stoicamente sopportate. Ora gli anacoreti, i monaci, i santi combattono contro se stessi, diventando dei virtuosi nelle battaglie contro le sollecitazioni al peccato, attribuite al Maligno che è in loro.

tratto da  http://www.orientamentoirreer.it/

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Remo Bodei

13/09/16

Ci passiamo davanti ogni giorno ma nessuno conosce la sua storia: La statua parlante di Madama Lucrezia in Piazza Venezia.




La statua parlante di Madama Lucrezia in Piazza Venezia. 

Nell’elenco delle sei cosiddette statue parlanti di Roma, quelle che tutte insieme formavano la cosiddetta Congrega degli Arguti e alle quali la tradizione popolare assegnava la proprietà di commentare, fustigare i costumi cittadini con motti arguti e sferzanti (ricordiamo soltanto le più note, Pasquino, il Marforio oggi al Campidoglio, il Babuino) ve n’è una che oggi è meno nota e che ha conosciuto un certo oblio forse a causa anche della sua non proprio felice collocazione, incassata in un angolo tra il Palazzetto Venezia e la Basilica di San Marco. 

Eppure si tratta di una statua dalle grandi dimensioni: un busto colossale alto tre metri, la cui provenienza di età imperiale è del tutto incerta e che gli archeologi identificano probabilmente come una vestale. 

La fantasia popolare ci mise poco a ribattezzare questa statua Madama Lucrezia per via di un motivo molto semplice: sembra infatti che il pezzo monumentale fosse stato donato dal Cardinale Barbo alla splendida favorita del Re Alfonso d’Aragona, Lucrezia d’Alagno, intorno al 1460 che aveva fatto il suo ingresso trionfale a Roma l’11 ottobre del 1457 accompagnata da uno sfarzoso corteo di madamigelle e gentiluomini e un incredibile corteo di più di cinquecento cavalli, e che dopo la morte di Alfonso (essendo osteggiata dal successore Ferrante) s’era stabilita proprio in questo sontuoso palazzo romano. 

Lucrezia finì i suoi giorni a Roma il 19 febbraio del 1479 e fu sepolta nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, dove però non esiste alcuna lapide o iscrizione che la ricordi. 

La memoria di questa Madama così amata dal popolo, però si protrasse incarnandosi proprio in quel maestoso busto che restava a far mostra di sé fuori della sua residenza. 

Una coloratissima festa si svolse per molti e molti anni, ogni primo giorno di maggio, di fronte al gigantesco busto marmoreo. Si trattava del cosiddetto Ballo dei Guitti, quello durante il quale gli uomini del popolo si divertivano ad infiocchettare il busto di Madama Lucrezia con nastri di ogni colore e collane di ortaggi e frutta e trecce di aglio e cipolle. 

In una sorta di rituale dionisiaco, di fronte alla grande statua prendevano ad esibirsi i guitti, ovvero gli sbandati, gli artisti di strada, i mendicanti: una folla di ogni tipo di eccentrici, compresi storpi e avventurieri che invitavano al ballo le donne del popolo più belle di Roma

Una festa pagana che si protraeva fino a notte fonda e che si concludeva davanti agli otri di vino messi a disposizione delle due taverne storiche che si affacciavano a pochi passi dal Campidoglio.



12/09/16

"Olalla" di Robert Louis Stevenson (Recensione).




Un prezioso racconto lungo di 100 pagine, che Robert Louis Stevenson scrisse in poche settimane alla fine del 1885, nello stesso periodo in cui compose Lo strano caso del Dottor Jekyll e Mr. Hyde.

Ambientato nella Sierra spagnola, il racconto narra le vicende di un anonimo narratore inglese, reduce dalla guerra iberica, che ferito e convalescente, si trova ad essere ospitato nella residencia, un sinistro maniero in mezzo alle montagne, dove abita una famiglia nobile, caduta in disgrazia. 

Il narratore ne conosce i proprietari, uno dei figli, Felipe, e la Senora madre che vive come ibernata, insensibile agli avvenimenti intorno a lui, perennemente assorta a fianco di una colonna nel cortile. 

Nei suoi giorni di permanenza ha anche modo di fare conoscenza con gli antenati di famiglia, immortalati in grandi tele appese alle pareti, che sembrano tutti posseduti dalla stessa luce, attraente e sinistra. 

Conosce infine anche Olalla, la ragazza del titolo, la seconda figlia della Senora, e se ne innamora - e lei di lui - a prima vista, anche se è proprio da lei che il protagonista apprende la terribile verità riguardo la residencia: un morbo o una tendenza macabra, che sembra trasmettersi di generazione in generazione e che Olalla è pienamente decisa a non perpetuare, rifiutandosi di sposarsi e avere famiglia, e rifugiandosi nella fede. 

Magistralmente scritto, Olalla parla direttamente dell'autore, di Stevenson e delle sue fobie. In particolare quella della tara familiare, che lo affliggeva: sia il nonno che la madre dello scrittore infatti erano già prematuramente malati di petto, come lo stesso Stevenson che combatté con la tubercolosi per buona parte della sua vita, fino alla morte che lo colse, come è noto, nelle Isole Samoa, dove si era trasferito nella illusione di trovarvi un clima più favorevole. 

Gotico e calibratissimo, Olalla è una piccola perla che non si dimentica. 



Robert Louis Stevenson