In una collezione di personaggi famosi maledetti a Roma – intorno ai quali sono
sorti racconti di apparizioni post-mortem – non potevano e non possono mancare i
rappresentanti della famiglia Borgia, o meglio Borja come sarebbe più corretto chiamarli visto che Rodrigo de
Borja (quarto papa spagnolo della storia) eletto al soglio pontificio col nome
di Alessandro VI, apparteneva come lo zio, Callisto III (al secolo Alonso de
Borja) ad una potente famiglia originaria di Xàtiva, a
Non è certo questa la sede per
approfondire i contorni di una vicenda umana e politico/ecclesiastica – quella
di Alessandro VI destinata a segnare,
insieme ai figli, Cesare e Lucrezia, nel
bene e nel male – ma soprattutto nel male, anche se oggi non mancano tentativi
di riabilitazione del personaggio – la storia della Chiesa di Roma.
Ci limiteremo quindi a qualche breve
cenno, soffermandoci soprattutto sui particolari misteriosi della morte e su
quel che avvenne dopo.
Eletto cardinale giovanissimo, a
venticinque anni, grazie ai potenti influssi dello zio, Papa Callisto III,
Rodrigo fu eletto papa nella notte tra il 10 e l’11 agosto del 1492 (due mesi
esatti prima della scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo) ,
quando aveva già 61 anni.
All’epoca della sua elezione, Rodrigo era
già un personaggio leggendario, a Roma. Dissoluto e libertino, asservito in
ogni modo ai piaceri della carne, il futuro Papa aveva già messo al mondo una
schiera di figli, tutti illegittimi, e – cosa ancora più grave per un
ecclesiastico, ma certamente non rara all’epoca – si era disinvoltamente
prestato alla simonia, cioè alla compravendita di cariche ecclesiastiche e
della pratica delle indulgenze e delle assoluzioni. Queste cattive
abitudini peggiorarono, anziché migliorare, una volta ottenuta la nomina
papale. Ebbe altri due figli illegittimi
dall’amante, ed esercitò uno spietato nepotismo per garantire ogni sorta di
immunità e di potere per il figlio Cesare, detto Il Valentino, uomo
particolarmente avido, violento e senza scrupoli, al quale il padre costruì un
regno su misura, permettendogli la conquista di città e signorie in Italia, con
l’aiuto perfino del nemico storico
del papato, l’imperatore Carlo VIII
di Francia.
In questo modo Rodrigo-Alessandro VI
riuscì nell’intento di farsi odiare dal popolo di Roma – arringato dalle piazzate del frate domenicano Girolamo
Savonarola, che per la sua pubblica denuncia
finì per essere arso vivo a Firenze nel 1498 - e dalla corte dei nobili che non vedevano
l’ora di sbarazzarsi di un despota di tali dimensioni, sfacciatamente arrogante
nella esibizione del lusso e della corruzione, adottata come lingua ufficiale
dello Stato, e usata soprattutto per favorire la parte spagnola della corte
papale.
Odio e maldicenza nei confronti del Papa
si trasmettevano inevitabilmente anche ai suoi figli, soprattutto a Cesare e a
Lucrezia, sul conto della quale – nata a Subiaco nel 1480 dalla relazione
clandestina di Rodrigo con Vannozza
Cattanei – cominciò a circolare ogni sorta di leggenda nera, compresa
quella che la vedeva protagonista di vere e proprie orge incestuose,
insieme al padre e al fratello.
In realtà molti testi recenti hanno
riabilitato la figura di Lucrezia, delineando la figura di una donna più
vittima degli eventi che realmente depravata: andata in matrimonio a soli
tredici anni a un Conte, e dichiarato il
matrimonio nullo, Lucrezia si sposò a diciotto con Alfonso, figlio del re di
Napoli. Alfonso fu brutalmente ucciso per ordine di Cesare Borgia, forse geloso
della sorella, o forse semplicemente desideroso di utilizzare nuovamente
Lucrezia come pedina di scambio per i suoi desideri di conquista: cosa che
puntualmente avvenne con un terzo matrimonio, stavolta con Alfonso I d’Este. Il
terzo matrimonio fu anche l’ultimo: Lucrezia morì a Ferrara, a soli 39 anni di
età, per una febbre infettiva.
Il grande caos messo in piedi da
Alessandro VI, e dalla sua dissoluta famiglia, come si vede, autorizzava
pienamente i nemici a tentare di escogitare ogni mezzo possibile per liberarsi
del papa-tiranno.
Ciò che alimentò per molto tempo, e per i
secoli a venire – anche se oggi la circostanza è oggetto di forte discussione
tra gli storici - la voce che la fine stessa del Papa fosse dovuta ad un
avvelenamento. Un avvelenamento che in realtà era stato, secondo il racconto,
organizzato dallo stesso Alessandro VI ai danni di un cardinale nemico, durante
un convivio, ma che per errore aveva finito per ritorcersi contro lo stesso
Papa, e contro il figlio Cesare (miracolosamente sopravvissuto) per un banale
scambio di calici.
Avvelenamento che fosse – o semplice
malaria come si sospetta oggi – il Papa cadde malato l’11 agosto del 1503. L’11 doveva essere il suo numero fatale: l’11
agosto, infatti era stato eletto, 11 agosto il giorno della malattia letale, e
11 anni esatti, dunque, la durata del suo Regno pontificio.
La
malattia del Papa tiranno, come raccontano le cronache dell’epoca, assunse da
subito contorni macabri: vi fu chi
affermò recisamente di aver visto distintamente sette dèmoni in guisa di
scimmie nere appollaiate di guardia nel
soffitto della camera dove Alessandro moriva, mentre nel delirio invocava
proprio il Principe delle Tenebre, il Maligno, affinché – in ossequio al patto
maledetto contratto all’epoca della sua elezione - gli consentisse di regnare ancora per qualche
anno, e di sopravvivere alla terribile congestione. L’appello, a quanto pare
non venne ascoltato, non solo: i servitori del Papa, i funzionari di curia,
perfino le suore che lo accudivano – secondo il racconto del cronachista Jacopo
da Volterra – abbandonarono in fretta e furia il papa agonizzante, nel terrore
certo che i dèmoni sarebbero presto giunti a impossessarsi dell’anima del
defunto.
Il corpo di Alessandro VI andò così in
fretta incontro ad una spaventosa putrefazione, al punto tale che i falegnami
dovettero incassarlo a calci e martellate per come e quanto si era gonfiato, si
trattava insomma del « più orribile e mostruoso corpo di defunto mai visto. Un
cadavere talmente deforme che non aveva più figura umana » come annotò il
diplomatico veneziano Antonio Giustiniani nel suo resoconto ufficiale (1) .
Ora, se è pur certo che molti di questi
particolari furono alimentati necessariamente dall’alone macabro che circondava
la figura di Alessandro, resta il fatto che le circostanze della sua inumazione
furono particolari, se non altro per il fatto che si svolsero nel caldo torrido
di ferragosto: il cadavere del Papa, esposto parzialmente (soltanto i piedi,
per l’adorazione dei fedeli) dietro l’inferriata del coro, cominciò ben presto
a puzzare orribilmente. Cosa che
consigliò l’immediata inumazione che fu celebrata a mezzanotte (!) nella
Rotonda degli Spagnoli (l’antica cappella che fiancheggiava la vecchia Basilica
di San Pietro, che venne distrutta nei lavori di riedificazione della
Cupola).
Narrare le peripezie del sepolcro dei
Borgia – di quello di Alessandro che poi divenne anche quello di suo figlio,
Cesare – sarebbe impresa ardua: basti dire che per quattro secoli queste
spoglie non trovarono mai pace, più volte violate, riassemblate in casse
comuni, trasportate da un luogo all’altro fino all’ultima destinazione, la
chiesa di Santa Maria di Via Monserrato, alle spalle di Via Giulia, dove furono
inumate nel 1881 e dove ancora si trovano, nella prima cappella dal lato
dell’Epistola.
E proprio questo luogo, o meglio questa
antica zona di Roma è teatro delle apparizioni del fantasma di Rodrigo de
Borja: per molti anni, le spoglie dei
Borgia giacquero nella chiesa del tutto dimenticate, ragione per cui non fu
facile mettere in relazione quella misteriosa apparizione di un uomo avvolto da
una tunica rossa e dal viso deforme più volte segnalata da terrorizzati
passanti che ne riferivano l’incontro a notte fonda nei vicoli intorno a Piazza
Farnese, in Via Giulia o lungo il Ponte Sisto.
Quando dei Borja si ricominciò a parlare
- anche per via della riabilitazione
storica che qualche studioso ne tentò, e per l’interesse suscitato dagli
spagnoli che vivevano a Roma, e che erano desiderosi di visitare quelle spoglie
di cui nemmeno i diretti discendenti (i conti di Gandìa) avevano voluto
occuparsi – fu naturale mettere in relazione la leggenda del terrorizzante
fantasma che agitava le notti romane con il Papa dissoluto le cui ossa più
volte profanate giacevano nella Chiesa di Santa Maria in Monserrato, denominata degli Spagnoli.
La leggenda nera dei Borja o dei Borgia,
non poteva poi coinvolgere anche la bella Lucrezia. Anche il fantasma di colei
che aveva soggiogato principi e regnanti, e che così infelicemente si era
prestata alle oscure trame famigliari, infatti ha trovato il modo di
manifestarsi più volte nella storia: in
particolare un pianto accorato sembra che sia il segnale che del fantasma di
Lucrezia Borgia è possibile ascoltare passando sotto il vecchio Forte di Nepi,
una cittadina non lontano da Roma, in provincia di Viterbo. Di Nepi, Lucrezia divenne in vita Signora
grazie ad una solenne cerimonia che si svolse nel 1499, e durante le quali le
furono affidate le chiavi della città.
Per Lucrezia, il padre Rodrigo fece costruire, alla confluenza di due torrenti,
quella grandiosa Rocca, negli appartamenti della quale, la ragazza riuscì a
vivere però – insieme allo sposo Alfonso – soltanto per un anno, prima che come
abbiamo detto i sicari di Cesare non la resero vedova.
Ed è nelle sale e nei giardini di questo
castello, a quanto pare, che il fantasma di Lucrezia ancora non ha smesso di
cercare pace.
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