Il quartiere Alessandrino, alla
estrema periferia est di Roma, che prende il nome dall’acquedotto fatto
costruire dall’imperatore Alessandro Severo,
si è sviluppato a partire da un nucleo originario conosciuto come Quarticciolo,
una borgata costruita al quarto miglio della Via Prenestina, proprio lì dove
sorgeva una grande tenuta agricola di proprietà della famiglia Santini, durante
gli anni trenta e quaranta del Novecento, per accogliervi soprattutto gli
immigrati del sud d’Italia che in quel periodo venivano a cercare lavoro a Roma
e gli sfollati delle zone del centro città interessati dai vari sventramenti
urbanistici che furono attuati durante il Ventennio per la realizzazione delle
vie imperiali.
Il Quarticciolo fu realizzato con
criteri di architettura razionalista – gli stessi utilizzati per l’edificazione
delle nuove città dell’Agro pontino – con vie lineari, edifici a quadrilateri
compresi in giardini, la piazza rettangolare, con la chiesa, polo di attrazione
del complesso.
Questa stessa struttura si può
vedere ancora oggi, nonostante i grossi cambiamenti esteriori ed un certo
degrado, causato dallo sviluppo della metropoli e dalla urbanizzazione
massiccia della zona.
Il Quarticciolo, negli anni della
occupazione nazista, della resistenza romana e del dopoguerra, ospitò una delle
figure più note e controverse della storia recente della città: quella di
Giuseppe Albano, un partigiano nato in provincia di Reggio Calabria, giunto a
Roma con la sua famiglia all’età di dieci anni, nel 1936, divenuto noto per
tutti con il soprannome di Gobbo del
Quarticciolo: a capo di una banda di
piccoli malfattori, a partire dagli anni Quaranta, Giuseppe Albano si rese
protagonista di una serie di episodi e imprese che lo fecero identificare, agli
occhi della popolazione di allora, come una sorta di Robin Hood, le cui
finalità erano quelle in primis di combattere gli odiati invasori tedeschi e
poi quella di punire gli italiani che approfittando della situazione avevano,
in tempo di guerra, malversato i loro concittadini, con il mercato nero e
l’usura.
Le avventure di Giuseppe Albano e
della sua banda divennero così note in quegli anni che anni dopo, nel 1960, il
regista Carlo Lizzani, recentemente scomparso, pensò bene di realizzarvi un
film, cui prese parte, tra i vari protagonisti, anche Pier Paolo Pasolini.
Il Quarticciolo, con le sue vie
nascoste, con i suoi sentieri che sbucavano nell’aperta campagna, divenne per
Albano, una sorta di Quartier Generale. All’età di sedici anni cominciò a
mostrare le sue doti di coraggio nelle lotte partigiane che si svolsero dopo
l’8 settembre nella zona di Porta San Paolo.
Seguirono numerose azioni di
sabotaggio ai danni delle truppe naziste compiute insieme ad una piccola banda,
che rispondeva principalmente agli ordini di un altro partigiano, Franco
Napoli, detto Felice. Se Napoli era la mente, Albano era però il braccio: in breve tempo tutta Roma
cominciò a parlare delle sue imprese, che rinfrancavano il popolo soggiogato
dalla occupazione tedesca. Riusciva
sempre a farla franca, dopo ogni azione di sabotaggio, durante la quale veniva
ucciso uno o più soldati nemici, o veniva fatta saltare in aria una garitta o
un mezzo blindato. Albano appariva e
scompariva senza lasciare traccia, nonostante la sua evidente malformazione
dovesse rendergli più facile l’essere identificato dai nemici. Eppure l’efficiente polizia tedesca non
riusciva a catturarlo. I primi mesi del
1944 registrarono una vera e propria escalation di azioni della banda del Gobbo del Quarticciolo. Centocelle e
Quarticciolo, le borgate dove Albano e i suoi si nascondevano, divennero zona
off-limits da parte dei nazisti che avevano timore ad entrarvi per la paura di
imboscate. Fu perfino emanato un ordine
di arresto che riguardava tutti i gobbi di Roma. E lo stesso Albano fu preso, al seguito di un
sanguinoso episodio accaduto il lunedì di Pasqua del 1944, quando in una
osteria del Quadraro furono uccisi a sangue freddo tre soldati tedeschi. Herbert Kappler, al comando delle truppe di
occupazione, decise che si era passato il segno e fece rastrellare Quadraro e
Quarticciolo. Albano fu preso tra gli
altri, ma incredibilmente riuscì a farla franca anche stavolta, e poco dopo fu
liberato.
Terminata la guerra, Albano non rinunciò al suo ruolo di vendicatore. Con l’arrivo degli alleati,
il Gobbo fu assoldato dalla questura per rintracciare i responsabili delle
torture di Via Tasso. Albano andò oltre il compito che gli era stato assegnato,
mettendosi personalmente alla ricerca di tutti quelli che si erano resi
colpevoli, negli anni dell’occupazione di usura e borsa nera.
Per mettere fine alle scorribande
del Gobbo fu organizzata una vera e propria operazione militare che riguardò il
Quarticciolo. Albano riuscì in un primo momento a fuggire, ma poco tempo dopo, il 16 gennaio del 1945,
fu rintracciato e ucciso in una casa del quartiere Prati, in Via Fornovo 12,
dopo uno scontro a fuoco con i carabinieri.
Albano non aveva ancora compiuto vent’anni.
Le circostanze della sua morte non
furono mai chiarite del tutto: sono state ipotizzate trame più o meno oscure e
soprattutto un regolamento di conti tra diverse bande di partigiani, una delle
quali sarebbe stata strumentalizzata dai servizi segreti di allora, per creare
destabilizzazione e favorire il ritorno della
monarchia.
Resta il fatto che dopo la morte
del Gobbo, anche il resto della banda
fu presto sgominato con un’altra operazione militare concentrata nel
Quarticciolo, casa per casa.
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