30/04/21

La morte di Michael Collins e la faccia nascosta della Luna

 


Rendo omaggio alla scomparsa del grande Michael Collins, uno degli astronauti più importanti nella storia delle missioni spaziali, morto pochi giorni fa, con questo brano a lui dedicato dal mio libro, Le rovine e l'ombra, Castelvecchi 2018.

È la troppa luce che rende impossibile distinguere le ombre e le rende misteriose e spaventose.

   Il simbolo dell’oscurità si manifesta in ogni notte, dall’alba dei tempi: ogni notte, nei secoli e nei millenni da molto tempo prima che la razza umana si affacciasse sul pianeta e prima ancora che i nostri antenati primati cominciassero a sfidare la legge della gravità, ergendosi sulla linea verticale della propria colonna vertebrale, la luna – l’unico satellite terrestre – mostrava l’unica faccia, nascondendo agli occhi degli umani il suo lato oscuro.

   Per motivi difficilmente comprensibili a chi non è pratico delle leggi di astrofisica, l’ordine dell’universo ha stabilito che nel complicato moto di rivoluzione intorno alla Terra e di rotazione sul proprio asse, il satellite lunare mostri agli abitanti del pianeta – di tutti gli abitanti, di qualsiasi continente, di qualunque latitudine o longitudine – sempre la stessa faccia.

   È una legge che i fisici chiamano rotazione sincrona : il periodo di rivoluzione della Luna intorno alla Terra è infatti di 27,32 giorni ed è assolutamente identico al suo periodo di rotazione. Il doppio movimento fa sì che dalla Terra sia impossibile osservare il lato nascosto del satellite (26) che tuttavia non è oscuro, come lo si definisce, in quanto è illuminato dalla luce del sole anche in misura leggermente maggiore di quello che è rivolto al nostro pianeta, solo che noi non possiamo vederlo.  

   Da alcuni secoli, da quando cioè, si è avuta cognizione che la Luna – come la Terra  - è rotonda, e gira sul proprio asse, gli uomini hanno provato ad immaginare quel lato oscuro, mai visibile e lo hanno popolato di sogni, aspettative e timori, come sempre riguardo alle cose che non si mostrano.

   L’esplorazione della faccia oscura della Luna è avvenuta in tempi molto recenti, durante l’epica corsa alla conquista dello spazio, che negli anni della Guerra Fredda del Novecento, portò Stati Uniti ed Unione Sovietica a concepire e realizzare incredibili missioni, sempre più ardimentose e tecnologicamente avanzate, culminate con la conquista del suolo lunare, compiuta dall’Apollo 11.

   Le prime immagini in assoluto della faccia oscura della Luna furono inviate da una sonda automatica russa, denominata Luna 3 e furono elaborate dal centro di controllo di Baikonur, il 7 ottobre del 1959.

L’inizio dell’esplorazione spaziale coincise dunque con il primo tabù violato, nella storia dell’umanità.  Esaminando le prime sbiadite fotografie, i tecnici russi si resero conto che la superficie nascosta del satellite si mostrava simile a quella visibile, seppure diversa per l’enorme numero di crateri, l’aspetto molto più accidentato e privo degli estesi mari presenti sull’altro lato.

   Dopo altre immagini di più alta qualità scattate sei anni più tardi da un’altra sonda sovietica – la Zond 3 – era ormai tempo che occhi umani potessero finalmente vedere quel luogo inaccessibile:  accade questa volta con una sonda – e un equipaggio – americani, l’Apollo 8, partito da Cape Canaveral il 21 dicembre 1968, nell’anno fatidico di grandissimi cambiamenti sociali.

   La missione (considerata in assoluto la più importante di quelle spaziali, dopo quella dell’allunaggio, dell’Apollo 11, proprio perché fu la prima con equipaggio umano che arrivò ad avvicinare e a circumnavigare per la prima volta il satellite) contava su tre uomini esperti: Frank Borman, William Alison Anders e Michael Collins. Tre giorni dopo il lancio, nella mattina della vigilia di natale, la sonda  entrò nell’orbita lunare, in diretta televisiva e mentre gli astronauti a bordo leggevano ad alta voce le prime parole della Bibbia, dal primo libro della Genesi.

   Quella sera stessa, gli occhi dei tre membri dell’equipaggio furono dunque i primi, umani a gettare uno sguardo oltre l’ignoto.

   Senza poterlo comunicare in diretta: ogni volta infatti che durante la loro orbita, la navicella spaziale sorvolava il lato oscuro della Luna, il centro spaziale perdeva il contatto radio. Per circa 30 minuti – tanto durava il sorvolo dell’emisfero nascosto – gli astronauti erano soli di fronte al cosmo, completamente isolati dalla Terra.

   All’uscita dal cono d’ombra – che fece tremare il centro di controllo – William Anders scandì le celebri parole: «la parte posteriore si presenta come se fosse un mucchio di sabbia in cui i miei figli hanno giocato per qualche tempo. È tutta picchiettata, senza definizione, solo un sacco di dossi e di buche».

   Un altro brivido attraversò la sala controllo, quando il capitano dell’equipaggio accese i motori per uscire dall’orbita lunare, operazione anche questa che fu effettuata sorvolando il lato nascosto, e quindi senza contatto radio con la terra, con gli astronauti che dissero poi – nelle missioni seguenti - di aver ascoltato durante quel tempo uno strano suono. (27)

   A tutto questo, i giornali e le televisioni dell’epoca diedero, com’è logico, un’enorme eco. Per la  prima volta venivano violate le colonne d’ercole dell’universo, così sembrava, in un facile parallelismo con l’impresa di Cristoforo Colombo e delle sue navi, di cinque secoli prima.

   Nel clima di quegli anni, le imprese spaziali influenzarono prepotentemente il costume, il cinema, la musica, la letteratura.  Il mondo sembrava sull’orlo di un cambiamento rapidissimo, che avrebbe portato chissà quali imprevedibili sviluppi, perfino una veloce colonizzazione del vicino spazio (poi dimostratasi ben più complessa di quanto si immaginava).

   Space Oddity fu pubblicato da David Bowie soltanto sette mesi dopo (luglio 1969); mentre appena otto mesi prima della missione dell’Apollo 8, il 6 aprile del 1968 Stanley Kubrick aveva presentato alla stampa 2001: A Space Odyssey.

   Quattro anni dopo l’impresa di Borman, Anders e Collins – nel maggio del 1972 -  a simbolico suggello di quella prima epopea culminata con l’allunaggio del 1969, un gruppo inglese, i Pink Floyd, si riuniva nelle sale di registrazione londinesi di Abbey Road per il concepimento di un nuovo album che sarebbe stato significativamente chiamato The Dark Side of the Moon, destinato a diventare una pietra miliare della musica contemporanea (28).


Tratto da: Fabrizio Falconi - Le rovine e l'ombra - Castelvecchi Editore, 2018 




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