"Non è un mistero per nessuno quello
che dovremmo effettivamente fare. Sappiamo, senza ambiguità né controversie, che ci sono quattro cose con cui ogni persona puo'
fare la differenza. E sono: avere meno figli, prendere meno
l'aereo, vivere senza automobile e seguire una dieta piu'
vegetariana. Tre di queste cose sono molto difficili, una, la
quarta, invece potrebbe essere fatta subito".
Lo ha detto, in
un'intervista con askanews, lo scrittore americano Jonathan
Safran Foer, a Festivaletteratura a Mantova per presentare il suo
libro "Possiamo salvare il mondo prima di cena", edito in Italiada Guanda e dedicato al tema dei cambiamenti climatici.
Un saggio
che indica nell'allevamento intensivo, e quindi nella nostra
alimentazione fortemente incentrata sulla carne, una delle piu'
gravi e taciute cause della crisi climatica.
"Ho avuto un momento - ci ha raccontato Foer a proposito della
genesi del libro - nel quale mi sono detto: quando e' troppo e'
troppo. Me lo ricordo molto bene, ero a casa e ho pensato che
dovevo assolutamente fare qualcosa. E non solo sul cambiamento
climatico, ma anche su Trump o sul controllo delle armi o sui
problemi dell'immigrazione, ma sul clima questa sensazione e'
stata ancora piu' forte, pensavo agli incendi in California, alle
super tempeste, allo scioglimento dei ghiacci. Bisogna fare
qualcosa, mi dicevo, bisogna fare qualcosa. E lo dicevano
continuamente anche i miei amici, ce lo ripetevamo
ininterrottamente. E a u certo punto mi sono reso conto che era
assurdo dirlo e poi non fare nulla".
A quel punto, per lo scrittore, la cosa piu' naturale e' stata
pensare a un nuovo libro, anche se, ci ha spiegato Foer,
all'inizio non era chiaro quale sarebbe stato il risultato finale
della ricerca.
"Scrivere - ci ha pero' detto - e' il mio modo
migliore per essere serio, per essere attento a qualcosa. Quindi
mi sono preso del tempo per prestare attenzione e pensare a
questo tema".
"La gente - ha concluso Jonathan Safran Foer - di solito non fa
nulla fino a quando non viene toccata profondamente, e questo e'
necessario, ma non sufficiente. E il problema e' invece che
tendiamo a credere che sia sufficiente: se partecipo o a una
manifestazione mi dico che ho fatto qualcosa; se piango quando
vedo un'immagine dei profughi climatici mi dico che ho fatto
qualcosa, ho pianto; se sostengo le posizioni della scienza quel
sostegno lo considero fare qualcosa o addirittura se dico che
bisogna fare qualcosa anche questo è già fare qualcosa. Ma non e'
cosi'".
Per questo il libro ha uno dei suoi pregi maggiori nella
non indulgenza, nella consapevolezza che lo stesso narratore e'
"compromesso", nel mettere sulla pagina tutte le difficoltà. Ma
in queste difficoltà e in questa compromissione, che e' la
metodologia per escludere ogni forma di integralismo, c'e'
probabilmente l'unica possibilità di un approccio che abbia un
minimo di speranza di successo.
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