Guardiamo con attenzione questa foto.
Dice parecchio sulle nostre percezioni. Ma anche qualcosa di più.
Un cilindro è posto al centro di una stanza. Due fasci di luce lo illuminano. Una delle due luci (chiamiamola verticale) proietta una ombra circolare. L'altra luce (che chiamiamo orizzontale) proietta una ombra quadrata.
Entrambe le figure - costituite dall'ombra - sono vere. Non c'è trucco. Sono reali. Ma sorprendentemente contraddittorie. L'una, ci dice dell'oggetto che ha qualcosa a che vedere con la figura del cerchio. E se vedessimo soltanto questa potremmo concludere che ci troviamo veramente di fronte ad una sfera su cui è proiettata una fonte di luce. Ugualmente, se vedessimo e potessimo dedurre soltanto dal raggio di luce verticale, non c'è dubbio che diremmo che un cubo è sospeso al centro della stanza.
La cosa veramente interessante è che solo un punto di vista altro, esteriore, diagonale, non diretto, ci obbliga a scoprire la verità, e cioè che l'oggetto sospeso non è né un cubo, né una sfera, ma un cilindro, cioè un solido geometrico più complesso.
Quante volte il nostro vero dipende dal fascio di luce che illumina la realtà ? Quante volte saremmo pronti a scommettere sul vero - ciò che relativamente è vero per noi, e che saremmo pronti a giurare come verità ?
L'immagine porta a due conclusioni:
- La verità esiste e non è necessariamente ciò che crediamo come vero.
- La verità dunque è qualcosa di sempre più complesso, che necessità di una iper-comprensione e di una valutazione di opposti. Soltanto nella valutazione (e nella integrazione degli opposti) possiamo tradurre la verità.
Quando diciamo qualcosa di vero, diciamo spesso solo una parte della verità, e qualche volta nemmeno la più importante. La verità sfugge al nostro vero. E chiede di abbracciare, di integrare, di rovesciare, di valutare, di avanzare dubbi e sospetti: qualcosa che è fatica e vuole acume. E solo a questo prezzo svela i suoi segreti.
Fabrizio Falconi
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