02/04/13

La Necropoli Vaticana - (Dieci Luoghi dell'Anima).


       


Ieri un Papa - Papa Francesco/Bergoglio - è per la prima volta sceso all'interno della Necropoli Vaticana, e ha sostato in preghiera di fronte alla tomba dell'apostolo Pietro, nel luogo dove - secondo le acquisizioni archeologiche di M.Guarducci e altri - sono custodite da due millenni le sue ossa.  Riporto qui un brano dal capitolo che ho dedicato alla Necropoli Vaticana nel volume 'Dieci Luoghi dell'Anima'  (Cantagalli - 2009).

  L’esperienza di discendere nella Necropoli, sotto la Basilica, è una esperienza raccomandabile se si vuole capire meglio l’origine della fede cattolica, proprio perché – come scriveva Maria Zambrano – Roma non è soltanto viva e divoratrice, a Roma i morti parlano.  Ma non è impresa facile: i recenti restauri e i continui scavi hanno indotto i responsabili della Fabbrica (di S.Pietro) a limitare gli accessi a un numero di persone al giorno che non supera le poche centinaia. E considerando che le richieste arrivano da tutto il mondo, può anche capitare di aspettare mesi e mesi, prima che si offra la possibilità di visitare il sotterraneo.
           Quando accade, si è accompagnati da una guida autorizzata e da un gruppo che non supera le venti unità.  Si accede al piano degli scavi da una entrata laterale, sul fianco sinistro della basilica, proprio di fronte alla lapide interrata che ricorda il luogo esatto dove si ergeva l’obelisco neroniano, prima dello spostamento cinquecentesco.
           Per entrare nel corpo della basilica si attraversa un pertugio che fora il muro perimetrale della basilica, spesso diversi metri.   Poi si scende una ripida scala, fino ad una doppia porta a vetri elettrica che mantiene sigillato l’ambiente della necropoli. 
           Uno alla volta, in fila indiana, si entra trovandosi subito di fronte il primo dei mausolei, quello degli Aebutii.
           A questo punto ci si trova a circa 9 metri al di sotto del pavimento della Basilica Odierna, e circa 4 metri sotto il piano delle Grotte Vaticane, che è ad esso sottostante. 
           La ricostruzione delle vicende storiche che portarono alla scoperta e alla restituzione della Necropoli è – come ho già scritto – appassionante, e composta di diverse fasi. Perché se è vero che l’impulso definitivo e sistematico agli scavi venne dato nel secolo scorso da Papa Pacelli, in realtà sondaggi estemporanei al di sotto della Basilica erano stati fatti più volte nel corso dei secoli, specialmente in occasione della costruzione della nuova Basilica nel Cinquecento, che sostituì quella costantiniana.
          E in una di queste perlustrazioni, attraverso di un buco grezzo nel pavimento delle Grotte, si era intravista proprio una porzione del Mausoleo M, quello di Maximus e di sua moglie Iulia.  
            Era esattamente il 1547. E si lavorava alla realizzazione di un piccolo portico davanti all’altare maggiore dell’antica San Pietro. Da un anno architetto della Basilica era stato nominato Michelangelo Buonarroti.
            Il primo ritrovamento del sepolcro degli Iulii avvenne per opera di Tiberio Alfarano, chierico beneficiario di San Pietro, di origini calabresi, archeologo, letterato ed architetto che in undici anni realizzò una monumentale opera, il De Basilicae Vaticanae antiquissima structura, dove con certosina passione annotò minuziosamente ogni arredo, epigrafe, lapide, fregio o iscrizione contenute all’interno della Basilica, accumulate nel corso di più di un millennio di vita.
           Alfarano, dunque,  descrisse anche cosa era stato ‘visto’, mentre si scavava per trarre la fondazione di quel portico: un antichissimo sepolcro, decorato riccamente, con una epigrafe sepolcrale – oggi purtroppo perduta – che doveva trovarsi sopra la porta d’ingresso, ed era appunto proprio quella che faceva menzione dei coniugi Iulii e del loro figlio prematuramente scomparso.
           Per giungere oggi al Mausoleo M, bisogna invece seguire il percorso indicato dalla guida, che si snoda lungo la fila dei sepolcri (ciascuno contrassegnato da una lettera dell’alfabeto) ancora oggi allineati, com’erano all’origine, prospicienti un antico vicus divisorio,  che doveva essere, all’epoca del suo interramento,  lungo centinaia di metri .
           E’ bene non dimenticare infatti, la guida lo ricorda ai visitatori, che la Necropoli oggi restituita alla luce, e quindi scavata,  è soltanto una piccola porzione di quella che esisteva fino al IV secolo dopo Cristo. Originariamente, i sepolcri correvano a valle, fin quasi al Tevere, e ancora oggi molto ci sarebbe da scavare, al di sotto dell’attuale Piazza San Pietro e  di Via della Conciliazione.
           Il Mausoleo M è, come detto, il più piccolo tra quelli visitabili, e per accedervi, o meglio, per poterlo osservare da vicino, i visitatori devono entrare uno alla volta in uno stretto cunicolo, dal soffitto assai basso, che termina davanti ad una vetrata.
           Si ha modo soltanto attraverso il cristallo protettivo di ammirare il minuscolo interno, a pianta quadrata, con la decorazione disposta su due ordini, com’era consuetudine di allora.



          Così, quando toccò a me, quella prima volta che scesi nella Necropoli,  ammirai una ad una le figure disegnate:  il pescatore che getta tra le onde la  lenza, alla quale un pesce abbocca, e un altro fugge; il Buon Pastore; e poi, nella splendida volta, il Cristo è un Sole che sale al cielo sulla Sua quadriga di splendidi cavalli bianchi.   Dalla testa nimbata del Redento, i raggi compongono una croce perfettamente simmetrica.
            E infine, sulla parete di destra, ecco: Giona inghiottito dal mostro. Due figure, in piedi sulla barca assistono alla scena, mentre Giona, con il dettaglio assai realistico delle sue braccia alzate in un’invocazione di aiuto, ha già perduto le gambe, finite nella bocca dell’orrido tritone.
           Quale impressione dovettero suscitare in quei primi cristiani, frastornati dalla propaganda pagana, costretti a nascondersi come criminali, quelle parole scritte nel dodicesimo capitolo di Matteo ?
            Allora alcuni scribi e farisei lo interrogarono: «Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno». Ed egli rispose: «Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona! La regina del sud si leverà a giudicare questa generazione e la condannerà, perché essa venne dall'estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui c'è più di Salomone! 
               Quali ‘folli’ speranze riuscirono ad accendere, queste parole ?  
               Adesso che il canto dei morti, dissepolto dopo innumerevoli generazioni, torna a farsi sentire, pensavo, in quel recesso nove metri sotto il pavimento della Basilica, e pochi metri, forse solo centimetri, distante dalla prima tomba dell’Apostolo,  adesso che il canto dei morti ritorna, sembra viva anche la voce del piccolo Iulius. Iulius che aveva soltanto un anno.  E che i suoi genitori affidarono a qualcosa di più del ricordo.
               Una nuova speranza, una prima speranza, una ‘primizia’ si faceva lentamente spazio nell’intrico di terra e fango della Necropoli.  E quella semplice voce perduta reclamava adesso un posto nella storia. Aspettava di essere restituita al suo valore originario, dopo la polvere di secoli e secoli.
               “Ecco, ora qui c’è più di Giona.”

© Fabrizio Falconi - Cantagalli editore - Dieci Luoghi dell'Anima, 2009.

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