28/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 5. "Il numero come archetipo in architettura. La fortezza di Castel del Monte, in Puglia." (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)

5. IL NUMERO COME ARCHETIPO IN ARCHITETTURA.  La fortezza di Castel del Monte, in Puglia.

Ma i numeri, sono da sempre considerati archetipi  – nella storia della civiltà umana, per l’architettura.
Come sappiamo, a partire dall’antichità, templi e regge furono infatti costruiti sul presupposto di regole matematiche semplici o complesse, nella consapevolezza che l’adeguamento a criteri numerici avrebbe conferito alla costruzione poteri magici o esoterici. 
Nascondere un numero in una costruzione, edificarla nel nome di quel numero è stata la sfida di geniali costruttori del passato.
Si potrebbero citare innumerevoli esempi.  Qui ne faremo soltanto due, tra i più misteriosi.
Il primo, relativo al celebre Castel del Monte, in Puglia, una costruzione talmente perfetta che – si dice – perfino Umberto Eco l’abbia avuta in mente come ispirazione per concepire la sinistra Abbazia al centro dei delitti e delle indagini di Guglielmo da Baskerville, ne Il Nome della Rosa.



La fama di Castel del Monte, straordinaria apparizione gotica dalle forme perfette e concluse, nel bel mezzo dell’altopiano pugliese delle Murge, è oramai universale.
Non smette di affascinare e di interrogare quella fortezza che sembra obbedire ad una velleità di perfezione assoluta, con la sua singolarissima forma, ottagonale con otto torri (ciascuna di esse ottagonale a sua volta) agli spigoli.


Il castello è definito dall'Unesco un capolavoro unico dell'architettura medievale, che riflette l'umanesimo del suo fondatore: la sua forma fortemente geometrica e unica rispetto ad altri edifici medioevali, l'articolazione su due livelli, la collocazione geografica, ha prodotto almeno 500 ricerche in tutto il mondo, nessuna delle quali però, a quanto pare,  è riuscita a svelare e a convincere fino in fondo i perché di quel castello così' diverso.
Per quali scopi fu costruita ? A quali leggi, a quali simboli risponde la pianta della costruzione ? Quale era la finalità che inseguiva il suo costruttore ?
Per capirlo si è a lungo indagato intorno a colui che intorno all’anno 1240 si fece promotore di questa straordinaria costruzione: l’imperatore Federico II di Svevia, una delle figure centrali del Medioevo italiano.

Federico II nacque a Jesi, nelle Marche nel 1194, discendente della nobile casata degli Hohenstaufen, figlio di Enrico VI – a sua volta figlio di Federico Barbarossa – e di Costanza d’Altavilla (figlia di Ruggero II il Normanno).
Un predestinato, dunque, al quale spettava di diritto l’immenso Regno di Sicilia, che si estendeva dalle Marche, appunto, fino al più remoto angolo della Sicilia.
In soli 4 anni, Federico perse entrambe i genitori. Alla morte della madre Costanza, nel 1198, fu affidato da lei alla tutela di papa Innocenzo III.
Iniziarono da qui i difficilissimi rapporti tra Federico e la Chiesa,  che perdurarono per tutta la sua (per i canoni di allora) lunga vita.
In un primo momento i favori papali, nell’interesse di suddividere l’impero dal regno di Sicilia, si orientarono su Ottone di Baviera, ma quando costui accampò diritti sul Regno di Sicilia, fu colpito da immediata scomunica, cosicchè, alla morte di Innocenzo III, Federico si ritrovò,  a soli 20 anni, libero dalla tutela papale, e titolare di un potere immenso: Re di Germania (essendo decaduto Ottone), di Sicilia e di Puglia e perlopiù designato all’impero.
Federico che era stato educato dalle migliori guide esistenti all’epoca - l’erudito frate francescano Guglielmo Francesco; Gentile dei Paleari, conte di Manoppello;  e un imam musulmano del quale non si conosce il nome – acquisì una vastissima cultura di ispirazione greco-araba e ben presto fu in grado di parlare il latino, il greco, il francese, l’arabo e il tedesco.
Questa voracità intellettuale e culturale, si accoppiava alla passione per i piaceri materiali e alla abilità politica.
Federico – da vero talent scout, come si direbbe oggi – era sempre pronto a percepire ogni grande novità soffiasse dai più diversi campi della conoscenza. Quando sentì che si presentava alla notorietà un grande matematico di trentadue anni, autore di uno stupefacente Liber Abaci, trattato di aritmetica e algebra, decise di convocarlo immediatamente. A Pisa, Fibonacci – lo scopritore di quella straordinaria serie che è alla base di molta scienza moderna -  fu messo a confronto con mastro Giovanni da Palermo, matematico di corte, il quale gli sottopose alcuni problemi numerici considerati all’epoca tra i più difficili da risolvere.
Fibonacci

Fibonacci risolse genialmente tutti i quesiti. Non solo, usò questi problemi nel prologo di un libro – il Liber quadratorum, il libro dei quadrati – che volle dedicare al colto imperatore.
E pur mancando prove certe che Fibonacci sia intervenuto anche soltanto dal punto di vista teorico, o come contributo esterno, alla realizzazione della pianta di Castel del Monte, salta subito agli occhi come il numero 8, che è centrale nella costruzione, e che ricorre in tutta la sua struttura, sia per l’appunto uno dei numeri di Fibonacci.




8 come dicevamo sono le torri esterne, ottagonale è la pianta e ottagonale è ciascuna delle torri, otto metri misurano i lati dell’ottagono che corrisponde alla corte interna e otto metri è il diametro di ogni torre. Anche il cortile, ovviamente, ha pianta ottagonale, otto sono le stanze interne,  e otto è il numero delle diverse decorazioni superstiti che abbellivano la costruzione (i quadrifogli, le foglie di vite, di girasole, di acanto sui capitelli delle colonne), ottagonale anche la vasca al centro del cortile, oggi scomparsa, dove antiche leggende risalenti al mito dei Templari, volevano fosse stato custodito addirittura il Santo Graal, il calice dell’ultima cena di Cristo. 
E infine, ultima delle meraviglie: soltanto due volte all’anno, e cioè l’8 del mese di aprile e l’8 del mese di ottobre (che era considerato l’ottavo mese dell’anno) la luce del sole entra da una delle finestre esterne e si riflette nel cortile interno illuminando una precisa porzione di muro, dove esisteva un bassorilievo, purtroppo scomparso.

Le stranezze di questa costruzione non smettono mai di stupire. Ad esempio: perché le scale a chiocciola delle torri sono disposte – caso unico – in senso antiorario, rendendo impensabile dunque una loro funzione militare ?  A cosa servivano i cinque camini della costruzione, collegati simbolicamente forse alle cinque cisterne o vasche destinate alla raccolta delle acque piovane ? Quei camini, è stato fatto osservare, sono troppo piccoli (rispetto alla estensione dei locali) per pensare ad una loro funzione termica, cioè di riscaldamento dell’edificio. Erano allora strumenti utili per l’infusione, cioè per la realizzazione di procedure alchemiche ?
Di alchimia, astronomia, geometria ed ogni altra scienza capace di avvicinare l’uomo a Dio o alle leggi della trascendenza, Federico aveva fatto il suo mantra.
Ogni cosa che esiste a Castel del Monte porta la firma di questa ricerca dell’assoluto.  Se non era quella una fortificazione militare, né tantomeno una residenza imperiale (nessuna struttura architettonica fa pensare a questo) e neanche un maniero di caccia (pur essendo Federico un appassionato e un cultore di falconeria),  è molto probabile allora che l’edificio fosse per davvero un tempio o una costruzione metafisica, dove la numerosophia – cioè la sapienza dei numeri – giocava un ruolo fondamentale.
Certamente, ad alimentare queste elaborate teorie contribuisce la perfezione enigmatica di Castel del Monte, fondata come abbiamo visto interamente sul numero 8 e sulla figura geometrica dell’ottagono, che rappresenta il punto di passaggio ideale tra il quadrato e il cerchio. 
L’ottagono e il numero 8 sono poi chiari e consolidati simboli, che nella storia dell’architettura hanno avuto grande rilievo. Sette, dice la tradizione giudaico-cristiana, sono i giorni della Creazione secondo la Genesi, sette dunque i giorni della settimana e l'ottavo è il giorno in più, che non esiste, simbolo dell’infinito e dell’altra dimensione, quella dello spirito.
In un trattato, il teologo e filosofo francese Ugo di San Vittore, vissuto solo qualche anno prima di Federico II, esponendo i dati numerici simbolici secondo le Scritture, spiegava il significato delle ineguaglianze tra i numeri: “8 maggiore del 7 è l'eternità dopo la vita terrena”
E non è dunque un caso che l' 8 dell'ottagono si ritrovi ad Aquisgrana, nella pianta della Basilica di San Vitale, a Ravenna, nel Battistero di Parma e in quello di Firenze, come nel Santo Sepolcro, la Gerusalemme Celeste.
E anche Castel del Monte, con caratteristiche tutte proprie, fu pensato e realizzato, evidentemente sotto la suggestione di questo numero, di un ottavo giorno, impensabile per i criteri mortali umani: quello nel quale Cristo risorge dalla tomba e ascende ad una nuova condizione, superiore, perfetta e divina. 


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26/10/14

Poesia della domenica - 'Sonetto' di Stéphane Mallarmé.




Sonetto


(Per la vostra cara morta, un suo amico)
2 novembre 1877

- “Sui boschi obliati quando passa il buio inverno,
Solitario prigioniero della soglia, ti lamenti
Che questa doppia tomba futuro nostro orgoglio 
Solo di ricchi fasci assenti ahimè ! si grava.

Inascoltata Mezzanotte, che il vano numero gettò, 
Ti esalti nella veglia per non chiudere gli occhi
Fin che nelle braccia della vecchia poltrona
L’ultima fiamma non rischiari la mia Ombra.

Chi vuol sovente avere la Visita non deve
Di troppi fiori opprimere la pietra che il mio dito
Solleva nello stremo di una forza defunta.

Anima che trema d’assidersi al chiaro focolare,
Per rivivere mi basta alle tue labbra cogliere
Il soffio del mio nome a lungo sussurrato una sera."



Da: Stéphane Mallarmé - Sonetti, a cura di Cosimo Ortesta, Quaderni della Fenice, Ugo Guanda Editore, 1980.

QUI il testo in francese originale.

25/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 4. "3.628.800, il numero del tutto" (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)

4.   3.628.800

Abbiamo detto del 13.
Ma in passato c’è anche chi ha ritenuto di identificare in un solo numero perfetto l'essenza di una cosa imponderabile come la verità dello spirito.
Costui era tutt’altro che uno sprovveduto.  Parliamo infatti del grande AthanasiusKircher (1602-1680). Gesuita, esploratore, vulcanologo, decifratore di geroglifici, matematico, una delle menti più straordinarie del XVII secolo. 



Nato a Fulda, in Germania nel 1602, Kircher giunse diciannovenne - dopo un viaggio molto molto avventuroso - a Roma, e a Roma visse fino in vecchiaia, diventando consigliere ed erudito al servizio di Papi e di regnanti di casa nell'Urbe come Cristina di Svezia. 
Sempre alla ricerca di una teoria che potesse dare ragione della perfezione dell’universo – oggi i fisici moderni la chiamano Teoria del tutto - Athanasius Kircher pervenne, dopo anni di ricerca ossessiva, quasi delirante ad una Tabula Alphabetorum  Artis Nostrae, che costituisce la sua Pietra Filosofale.
Era l'invenzione di una macchina grazie alla quale ognuno, senza bisogno di studiare, solo con un po' di sforzo fisico, avrebbe avuto l'agio di comporre addirittura libri di filosofia, politica, giurisprudenza, matematica, e teologia.
In seguito, studiando l'Ars Magna di Raymond Lullo,  Kircher arrivò a comporre la sua opera più ambiziosa, che chiamò  Ars Combinatoria.   Una enciclopedia sistematica basata su una classificazione di principio di tutte le cose.
Alla base dell'Ars Combinatoria di Kircher, c'è proprio questo numero:  3.628.800 che è il prodotto di tutte le combinazioni possibili dei numeri da 1 a 10.


La spiegazione scientifica è questa:
la probabilità di ordinare alfabeticamente due lettere, ottenuta dividendo il numero delle sistemazioni ordinate (1) per quello di tutte le sistemazioni possibili (2) è ½ = 0,5 c'è cioè una probabilità su due che la combinazione tra due lettere sia quella giusta (ordinata) e allo stesso identico valore si arriva  per la probabilità che si possa avere una sistemazione non ordinata.

Se passiamo a 10 lettere, la sistemazione ordinata rimane sempre una, mentre quelle possibili divengono 3628800 e quindi la probabilità dell’ordinamento diviene 1/3628800 = 0,0000002, o - se si preferisce - 2 decimilionesimi, numero decisamente modesto.

Invece le sistemazioni disordinate sono 3628799 e quindi la probabilità di realizzare sistemazioni di lettere non ordinate alfabeticamente è 3628799/3628800 = 0,9999997,  un numero assai prossimo all’uno, un numero 4999998,5 volte più grande della possibilità della combinazione ordinata. 

E' questo, spiegava Kircher, il motivo del disordine del mondo.  Se infatti questa considerazione viene riferita ad un sistema costituito da 10 elementi, figuriamoci un sistema ordinatorio basato su molti più elementi.
Il calcolo di Kircher, che viene dalla tradizione cabalistica, influenzò non solo i contemporanei.    
Tra le carte lasciate dal poeta Stephane Mallarmè al momento della sua morte fu trovata una annotazione con il nostro numero:  3628800. 

Stephane Mallarmé


Mallarmè  era, come è noto, uno sperimentatore, ma della parola, anzi un vero alchimista, che voleva "operando delle permutazioni logico-verbali, portare alla luce le relazioni nascoste tra le cose".      
Le annotazioni fanno parte di un abbozzo per  un super libro che purtroppo Mallarmé non scrisse mai, e del quale era forse una anticipazione il celebre poemetto Un coup de dés jamais n'abolira le hasard, "un colpo di dadi non abolirà mai il caso."




Per i maniaci della matematica la tabella è questa




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24/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 3. "ll 13 cristiano." (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)

3.  IL 13 CRISTIANO

Abbiamo parlato di coppie di numeri. Ma se i numeri sono archetipi, la loro importanza può trascendere anche il contesto strettamente matematico, rivestendo un significato puramente simbolico.
Un numero a se stante, può essere cioè considerato un simbolo – raffigurazione di figure inconsce – e legarsi ad una tradizione religiosa.
Come sappiamo, nella storia del Cristianesimo e nei suoi stessi fondamenti (i libri Sacri), ricorrono alcuni numeri particolarmente significativi che sono stati di volta in volta variamente interpretati.  Pensiamo per esempio al 70, al 7, o al 666, legato alla figura della Bestia nell’Apocalisse di Giovanni e quindi al Diavolo,  a Satana.
Ma c’è un altro numero che sembra fondare l’intero edificio cristiano: per alcuni  numerologi esso  è il 13.
Bisogna ovviamente precisare che per i credenti non vi è alcun bisogno di ricorrere a teorie numerologiche.
Ma l’attenzione a certi particolari prescinde anche la fede.
Citiamo, a volo d’uccello:
- Gesù chiama a sè 12 apostoli (Matteo 10,1-26). Quindi su 1+12 si basa la fondazione del messaggio di Cristo.
- Sono sempre 12+1 nel momento dell’Ultima Cena (Marco,14,22), cioè quando a tutti gli effetti nasce la Chiesa.


- Sono ancora una volta in 13 (12+1: i dodici apostoli con Maria, al posto di Gesù), quando lo Spirito Santo scende su di loro, e Maria Vergine diventa Madre della chiesa universale (Atti, 2,1).
Da un certo momento in poi, la storia del numero 13 si associa inoltre a quella di Maria, la madre di Gesù e alle sue apparizioni.

Per rimanere a quella forse più famosa, a Fatima, la Madonna si presentò ai tre bambini dal 13 maggio al 13 ottobre del 1917, ogni mese, e cioè 13 maggio, 13 giugno, 13 luglio, 13 agosto, 13 settembre e 13 ottobre (con il miracolo del sole danzante di fronte a una folla di 70.000 persone).


Giovanni Paolo II, a cui Suor Lucia, unica sopravvissuta dei tre bambini di Fatima affidò i celebri tre segreti, viene colpito in Piazza San Pietro il 13 maggio 1981, cioè lo stesso giorno e lo stesso mese della prima apparizione di Fatima(precisamente alle h.17.17).


Di fronte a queste singolari coincidenze, c’è chi intravvede un segno divino, chi un puro caso, chi vi ritrova perfino i segni di un complotto per irretire le masse (basta indagare il web per trovare anche chi è disposto a ipotizzare un complotto dei Lupi Grigi e di Ali Agca in realtà assoldati dai servizi segreti vaticani o da chissà chi per compiere un attentato nel giorno della Madonna di Fatima).
Insomma, la materia è altamente aleatoria e come recita un famoso proverbio indiano:   
Più l’evidenza di un mistero si fa eclatante, più aumenta il chiasso degli uccelli, scrisse una volta un saggio.


L’ultimo fotogramma di queste coincidenze riporta la morte di Suor Lucia, avvenuta, naturalmente il 13 febbraio 2005.

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23/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 2. I "numeri amici" (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)

2. I NUMERI AMICI

Da sempre, uno degli argomenti a favore della tesi che i numeri siano stati scoperti e siano scoperti in continuazione è quando si scopre per l’appunto – e così è stato sin dalla notte dei secoli – una qualche proprietà che riguarda i numeri, che li lega in modi apparentemente misteriosi,  per noi umani abituati, per forma mentis a fare caso, a constatare a sottolineare, a farci interrogare da quelle che noi percepiamo come coincidenze.
Noi  tendiamo a pensare cioè  sempre che dietro ogni coincidenza, ci sia un segnale o un simbolo che ci interroga, da interpretare.
Cosa interroga questo mistero ? Interroga la nostra interiorità profonda,  quella che nel tempo abbiamo indifferente chiamato in diversi modi, come spiega James Hillman ne Il codice dell’anima: istinto, anima, carattere, predisposizione, destino.
Destino:  da sempre i numeri hanno parlato all’uomo anche dal punto di vista del destino. Sempre, in ogni civiltà, dai numeri sono state tratte conseguenze significative, per il mondo collettivo (pensiamo ai Maya) e per quello individuale.
Un esempio non molto conosciuto di questa interpretazione psicologica e simbolica dei numeri deriva dai cosiddetti numeri amici. I quali hanno proprietà molto particolari che inducono un certo stupore anche nel principiante.
Vediamo:
Due numeri sono definiti amici dalla matematica, se ciascuno è uguale alla somma dei divisori dell'altro. Sembra difficile, ma tutti possono comprenderlo subito. 


Tutto nasce da un aneddoto, che non si sa se sia vero:  Qualcuno chiese un giorno a Pitagora se avesse un amico. Lui rispose "Ne ho due".   E nominò i numeri amici 284 e 220. 
Questi due numeri sono infatti amici perché i numeri interi per cui 220 può essere diviso senza resto (1,2,4,5,10,11,20,22,44,55 e 110) danno la somma di 284; mentre i numeri interi per cui 284 può essere diviso senza resto (1,2,4,71 e 142) danno la somma di 220. 





E’ una proprietà molto singolare.
Può essere solo un caso. Ma può essere anche un indizio, come lo sono stati molti apparenti ‘casi’, nella storia della matematica.
I numeri amici, cioè, possono essere solo un altro appassionante paragrafo della matematica, o avere qualche impiego utile. Per ora, nessuno lo sa. 
"Non è affatto un'impresa facile trovare tutte le coppie possibili di numeri amici," scrisse Wolfgang Pauli (2), uno dei più grandi scienziati del XXo secolo che ritroveremo più avanti accompagnato da Carl Gustav Jung,  affascinato dall'enigma, negli anni '50.
Difatti solo poche centinaia di numeri amici furono note fino alla metà del Novecento. Con l'aiuto dei computer ad alta velocità siamo oggi arrivati alla decina di milioni di numeri amici conosciuti. 
Ed è comunque affascinante pensare a come si sia arrivati alla scoperta di questa coppia, da parte di un genio come Pitagora: bisogna figurarsi, come è stato in gran parte della storia della scienza, una grande quantità di duro lavoro, culminato in un'ultima, geniale intuizione.

Erma di Pitagora

La coppia di numeri amici 284 e 220 è comunque nota da molto tempo. E da sempre ha colpito l’immaginazione degli uomini. I quali sono stati portati ad immaginare straordinarie proprietà che dovevano essere per forza associate ad una proprietà così singolare.
Nel Libro della Genesi, Giacobbe dà 220 capre a Esaù perché il numero, in quanto preso da una coppia di numeri amici, testimonia l'affetto di Giacobbe per Esaù. (3)
Nel Medioevo talismani con incisi quei numeri erano portati dagli innamorati a significare il reciproco attaccamento.
Cultori arabi della numerologia citano l'usanza di scrivere 220 sulla buccia di un frutto e 284 su quella di un altro, poi cibarsi di uno dei due e offrire l'altro all'amante: una sorta di afrodisiaco matematico. 

7184 e 1210 sono altri due numeri amici

I numeri amici, in definitiva, con la loro perfezione simmetrica rappresentano un altro argomento a favore di chi ritiene che i numeri siano indubbiamente degli archetipi, qualcosa cioè che appartiene ad una realtà  simbolica profonda,  preesistente e prescindente dalla intelligenza individuale umana. 

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note:  

2. Arthur J. Miller, L'equazione dell'Anima, Rizzoli, 2009.
3. Gen. 32: 13-16. 

22/10/14

I numeri come archetipi e l'Anima. 1. La matematica è stata scoperta o inventata ? (Conferenza Riva del Garda, L'arte di Essere, 19 ottobre 2014)




1. LA MATEMATICA E’ STATA SCOPERTA O E’ STATA INVENTATA ?

Iniziamo da una domanda:

- La matematica è stata scoperta o è stata inventata ?

C’è una bella differenza, se soltanto ci pensiamo. Le cose cambiano se si afferma che la matematica esiste già – che è nelle cose – e l’uomo la può soltanto scoprire, nell’universo, nel mondo, ecc..; o se si afferma piuttosto che la matematica è solo una astrazione umana, qualcosa che non è nelle cose, ma che l’uomo usa per cercare di comprendere il mondo.
Eppure più andiamo avanti con le nostre conoscenze, più ci appare evidente che il mondo e l'universo che tutto contiene, comprese le nostre vite, si fondano su principi matematici. La matematica è infatti anche alla base della nostra vita biologica. Tutto dunque, dall’enormemente grande all’enormemente piccolo, sembra ridursi a questo, sembra rispettare poche fondamentali leggi matematiche: e anche la nostra mente sembra essere predisposta per leggere secondo criteri matematici.
Ma ammesso che sia così, da dove deriva tutto questo, e perché esiste ?
Ecco un brano di una intervista rilasciata poco tempo fa da Giandomenico Boffi, ordinario di algebra all'Università degli Studi Internazionali di Roma (UNINT) e considerato uno dei più esperti matematici italiani. Ci servirà per partire nella nostra indagine:

Che la matematica sia pura creazione della mente è un fatto largamente condiviso. 
Desta perciò meraviglia l'eccezionale efficacia che questa scienza ha dimostrato nel consentire da un lato l'interpretazione della realtà e dall'altra l'intervento concreto, anche tecnologico, su di essa. 
La matematica è una delle poche cose universali che noi sperimentiamo, e già questo è sorprendente. 
Lo è ancora di più il fatto che l'universo risponde in qualche modo alle nostre sollecitazioni basate sugli strumenti matematici. 
Da questa attività creativa dell'uomo emerge quasi un potere predittivo nei confronti della realtà, che è alquanto sconcertante. 
Nella misura in cui non si è ancora riusciti a giustificare l'indubbia consonanza verificabile tra una creazione della nostra mente, la matematica, e una realtà data a prescindere da noi, diventa legittimo ipotizzare l'esistenza di un Ente superiore intelligente che si pone alla radice tanto della realtà che ci circonda, quanto della nostra stessa mente. 
Il dato fondamentale è che esiste in qualche modo una sintonia tra la mente e la realtà esterna alla mente, sintonia che si spiega bene con l'esistenza di qualcosa che sta sopra e unifica. (1)

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Note: 1.  Matematica e mistero intervista a Gindomenico Boffi di Antonio Giorgi, Avvenire, 22.11.2006.

21/10/14

Essere maturi - Shakespeare e "Il giovane Holden".


Fanny e Alexander (Ingmar Bergman, 1982)


Che significa essere pronti ?

Che significa essere maturi ? Significa non essere perennemente incompiuti, insoddisfatti, bisognosi, fragili, incerti, oscillanti come canne al vento. In fondo, per tutta la vita, combattiamo contro le nostre stesse debolezze, alla ricerca di qualcosa che ci dia stabilità e ci faccia crescere.

Ma che significa: 'crescere ?'

Ripeness is all scriveva William Shakespeare, in uno dei suoi drammi più efferati e più alti, King Lear.

Se i malvagi non trionfano alla fine del dramma, la bontà comunque è caduta vittima delle loro trame, sicché la sola morale che resta è quella contenuta nelle parole di Edgardo al padre cieco e disperato: Gli uomini debbono pazientare per uscir di questo mondo come per entrarvi: tutto sta d'esser pronti (Men must endure Their going hence, even as their coming hither: Ripeness is all: V, sc. 2).

Essere pronti, o più metaforicamente, essere maturi.

Ma cosa vuol dire questa maturità? Oggi molti sono convinti che essere maturi significhi essere noiosi, e che invece essere fighi,  significhi fare quel che si vuole.

Ma, in un romanzo cult di intere generazioni di ribelli veri (non come i molti sembianti di oggi, che poco o nulla hanno di ribelle), c'è la risposta assai chiara. 

E' Il Giovane Holden, di Salinger. 

Alla fine del romanzo, il professor Antolini al confuso Holden in cerca, nonostante tutto, di dialogo con gli adulti intelligenti dice:
Ciò che distingue l'uomo immaturo è che vuole morire nobilmente per una causa, mentre ciò che distingue l'uomo maturo è che vuole umilmente vivere per essa.

Fabrizio Falconi.

17/10/14

Handke: "Modiano è un grande scrittore, ma aboliamo il Nobel."



Lo scrittore austriaco residente a Parigi, Peter Handke, ha dispensato grandi lodi al collega francese Patrick Modiano, insignito quest'anno del Nobel per la letteratura, criticando pero' il prestigioso premio letterario e proponendo anzi di abolirlo.

"Modiano e' davvero un autore notevole con un'opera unica", ma il riconoscimento, con la sua "falsa canonizzazione" della letteratura, non porta nulla di buono: "il Premio Nobel andrebbe finalmente abolito", ha detto Handke in dichiarazioni all'agenzia austriaca Apa. 

Secondo il 71/enne scrittore austriaco, autore di capolavori come i romanzi', Breve lettera del lungo addio, Infelicita' senza desideri, il Nobel porta "un momento di attenzione, sei pagine nel giornale", ma per la lettura non porta nulla. 

Handke ha ammesso che l'essere stato lui stesso quest'anno nella rosa dei candidati al Nobel, non lo ha lasciato indifferente: "certo che ti prende, ti infastidisce, e allora ti infastidisci con te stesso perché ci pensi: è una cosa così indegna e al contempo si diventa per un po' se stessi indegni". 

Handke aveva scoperto e presentato al pubblico tedesco Modiano negli anni '80 e tradotto fra l'altro in tedesco anche il suo romanzo 'Una gioventù". Modiano scrive quello che ha in mente e il risultato continua poi a librarsi, ha spiegato: "in molti autori dopo non si libra nulla". 

A differenza dell'ultimo Nobel francese, Jean-Marie Gustave Le Clezio, Modiano e' davvero un bravo scrittore: "questa e' una cosa molto rara".

16/10/14

Morto Giovanni Reale. Una delle ultime interviste.



E' morto ieri nella sua casa di Luino (Varese), a 83 anni, uno dei più grandi filosofi italiani, Giovanni Reale.
Nato a Candia Lomellina nel 1931, il filosofo si e' formato presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove in seguito e' stato a lungo ordinario di Storia della Filosofia Antica e ha anche fondato il Centro di Ricerche di Metafisica. Nel 2005 era passato a insegnare alla nuova facolta' di Filosofia del San Raffaele di Milano.

Professore, come si è avvicinato alla filosofia?
Giovanni Reale: Dirò subito che la mia vita è stata tutta contro corrente. Vengo da una famiglia di contadini, proprietari di una piccolissima azienda agricola, in un paese della Lomellina dove lo studio era considerato assurdo. Io, invece, dopo la terza media dissi in famiglia che volevo fare il liceo classico. Mi risposero chiedendomi se fossi pazzo e dicendomi che al massimo mi avrebbero concesso gli studi di ragioneria. Esisteva ai tempi un pregiudizio di carattere sociale secondo cui il liceo poteva essere frequentato solo dal figlio di un borghese. Per un motivo misterioso riuscii però a iscrivermi al ginnasio ingannando tutti, e trovandomi subito tra i primi della classe, suscitando lo stupore di Casale Monferrato. Alla fine della seconda liceo mi fecero una proposta di viaggio intorno al mondo, iniziativa che riservavano a chi aveva ottimi voti. Al preside risposi di no, nonostante tutte le sue promesse di aiuto con lo studio e gli impegni scolastici. Mi tolse il saluto.
Al liceo ebbi subito un attrattiva forte per la filosofia, tanto che dopo la maturità dissi che a me interessava pensare, girare il mondo e vedere non come gli uomini avevano costruito le loro città ma come si differenziavano per il loro pensiero. Scelsi quindi la filosofia e mi iscrissi all’Università Cattolica, con la ferma intenzione di diventare professore di filosofia e insegnare nel liceo dove avevo studiato. Il giorno dopo la laurea il mio professore mi invitò a casa sua e mi disse che sarei dovuto andare in Germania quattro anni per imparare bene il metodo e portare la filosofia antica in Italia, nel modo in cui la studiavano i tedeschi. Chiesi perché non la filosofia contemporanea o quella moderna, che allora preferivo, ma lui rispose che volevano tornare ai classici, aggiungendo questa frase: “La divina Provvidenza ci propone delle cose che non sono quasi mai coincidenti con i nostri desideri, e in questo momento parla attraverso di me”. Quando accettai egli rincarò la dose, dicendo: “Riportaci in piazza Sant’Ambrogio quanta più Atene ti è possibile”. In questo modo imparai alcune lezioni particolari.
Erano gli anni dal ’54 in poi e i tedeschi allora ci odiavano, ma essendo laureato avevo l’onore di sedere al tavolo dei professori. Dopo qualche mese di cortese ostilità e dopo parecchi interrogatori di quarto grado, il professore capo mi diede le chiavi per entrare nella biblioteca anche di sera. Imparai così a trattare con i tedeschi. Francesco Olgiati mi disse un giorno che non mi avrebbe potuto aiutare ai concorsi universitari. Per vincere avrei dovuto fare il triplo o il quadruplo degli altri; soltanto allora le mie opere e la Provvidenza mi avrebbero potuto aiutare. A casa mia però il lavoro era sacro, così come l’amore dato al prossimo senza aspettarsi un ritorno. Questo mi aiutò moltissimo. Nonostante gli studi sulla filosofia antica, non dimenticai mai la moderna e la contemporanea, che amavo. Prima che mi recassi in Germania, per imparare quel metodo che mancava in Italia, sempre Olgiati mi fece un grande complimento dicendomi: “Quando tornerai, se ti faranno delle critiche, anche se sarò io a fartele, tu non ascoltare”.
Imparai in quegli anni di studio una cosa fondamentale per lo scienziato: l’onestà della ricerca. Quando si studia un autore bisogna prima cercare di capirlo: capire che cosa ha detto, come l’ha detto e perché l’ha detto. Soltanto dopo aver esaurito questi indispensabili punti ci si può schierare, dandogli ragione o torto. Gli antichisti a quel tempo erano quasi tutti marxisti e a causa della mia formazione cattolica e della mia fede, mi accusavano di non poter essere uno scienziato. Lo scienziato deve trattare le idee in vitro, in modo indifferente. Mi è sempre piaciuto avere avversari intelligenti perché mi insegnavano, dialetticamente, a trovare la verità. Sapete dove è stato il successo più grande del Reale-Antiseri? in Russia. E sapete chi ha dato il giudizio più entusiasta e positivo? La moglie di Gorbaciov, professoressa di filosofia. Il testo, che era vietato dal partito comunista, ebbe un enorme successo in Russia, tanto che insignirono me e Antiseri del titolo Professor honoris causa. Il complimento più bello fu quando ci dissero: “Ci avete insegnato cos’è la democrazia nel pensiero filosofico greco”. Essi infatti non potevano trattare altro che il pensiero filosofico di Marx.
Io ho fatto filosofia perché, imparando al liceo il pensiero dei grandi filosofi, mi ha molto interessato il fatto che l’uomo abbia un’intelligenza così grande, sia in positivo che in negativo. Nessuno può chiedere alla filosofia di dargli la verità assoluta, perché l’uomo è homo viator, uomo in viaggio, alla ricerca della Verità. Gli antichi infatti la chiamarono non σοφία, ma φιλοσοφία. Platone disse σοφός è Dio e io non sono σοφός, sono φιλοσοφός, ricercatore di verità. Se fossimo capaci di insegnare questo ai giovani sarebbe un’occasione di crescita non solo per loro, ma anche per noi. Molti oggi dicono: “Quello che penso io è la verità”. Invece non è così: essi ricercano la verità, non la possiedono.
Perché insegno ancora, a ottant’anni compiuti? Perché credo nei giovani. Il futuro non è il vecchio, ma il giovane. Il vecchio è per il giovane, in questo senso dinamico. La filosofia è questo: ricerca della verità, con tutte le fatiche che essa impone. Platone, il mio filosofo preferito, scrittore di capolavori assoluti, è tuttora il più venduto al mondo e mi ha insegnato la cosa più bella. Egli ha rivoluzionato il sapere umano, sostenendo che le verità si devono scrivere nella mente dell’uomo e non sui rotoli di carta. È questa l’idea di scuola. Alcuni anni fa il provveditore agli studi di Palermo mi invitò a un corso di aggiornamento dei presidi di tutte le scuole. Essi mi dissero questo: “Professore, se noi riuscissimo a far capire alla gente che l’insegnante scrive nell’animo degli uomini, ridaremmo a quella figura una dignità che la cultura contemporanea ha perso.”

15/10/14

Senza autunno.





Come questo tempo fisso e permanente, la vita scandisce un cerchio che si assottiglia, pur rimanendo uguale all'apparenza. 

Ogni giorno si accorcia, ogni nube si sfila nel cielo biancastro senza confini. Nemmeno un confine c'è in questi pensieri, che ritornano sempre uguali e non si annacquano, ma si ripetono ossessivamente come i giorni.  

L'allontanamento dello sguardo è la cura, il cambio di prospettiva da sotto a sopra. Da sopra a sotto. Solo nella prospettiva dei millenni anche questo cambiamento ti apparirà sensato. La fine dell'autunno, la morte apparente, la vita perpetua l'ignoto e il certo, l'assecondato e il devoto, l'ostile e il perduto.

Calma di vento o tempesta, il tuo respiro è in questo tempo disteso e arrovellato, minaccioso o finale. 
Tutto passa niente resta, tutto resta niente passa.

Fabrizio Falconi

13/10/14

Memling a Roma. Una mostra preziosa.



Per la prima volta in Italia una grande rassegna dedicata ad Hans Memling, l'artista che nella seconda metà del Quattrocento, dopo la morte di Rogier van der Weyden sotto cui si era formato, divenne il pittore più importante di Bruges, cuore finanziario delle Fiandre e centro di produzione artistica tra i più avanzati dell'area fiamminga. 

Una monografica mai prima realizzata nel nostro Paese che mette in luce le eccelse qualità di uno dei protagonisti del Rinascimento fiammingo. 

La mostra prende in esame ogni aspetto della sua opera, dalle pale d'altare monumentali ai piccoli trittici portatili, oltre ai celeberrimi ritratti, genere in cui Memling seppe perfezionare lo schema campito su uno sfondo di paesaggio, che esercitò una fortissima seduzione anche presso numerosi artisti italiani del primo Cinquecento. 

La mostra si propone inoltre di approfondire le forme di mecenatismo che fecero da propulsore per la carriera dell'artista. Più di tutti i suoi contemporanei, 

Memling divenne il pittore preferito della potente comunità di mercanti e agenti commerciali italiani a Bruges, diventando l'erede dei venerati maestri fiamminghi ormai scomparsi, Jan Van Eyck e Rogier van der Weyden. 

Fin dall'inizio della sua attività indipendente come pittore di tavole, Memling riuscì a creare una sintesi dei notevoli risultati di entrambi quei maestri, già tenuti nella più alta considerazione dalla nobiltà italiana e dalle élite urbane che ne fecero il loro pittore di riferimento. 

 Oltre a capolavori di arte religiosa provenienti dai più importanti musei del mondo, tra cui dittici e trittici ricomposti per la prima volta in occasione della mostra come il Trittico Pagagnotti (Firenze, Uffizi; Londra, National Gallery), il Trittico di Jan Crabbe (Vicenza, Museo civico; New York, Morgan Library; Bruges, Groeningemuseum) o il monumentale Trittico della famiglia Moreel (Bruges, Groeningemuseum) che farà da spettacolare conclusione del percorso espositivo, la mostra presenterà una magnifica serie di ritratti tra cui Ritratto di giovane dalle Gallerie dell'Accademia di Venezia, il Ritratto di uomo dalla Royal Collection di Londra - un prestito eccezionale della Regina Elisabetta II -, Ritratto femminile di collezione privata americana, il Ritratto di uomo della Frick Collection di New York nonché il magnifico Ritratto di uomo con moneta romana (ritenuto l'effigie dell'umanista Bernardo Bembo) proveniente da Anversa. 



Memling. Rinascimento fiammingo.
da sabato 11 ottobre a domenica 18 gennaio Scuderie del Quirinale 11 ottobre 2014 – 18 gennaio 2015

12/10/14

Poesia della Domenica - "Nuit de l'enfer" di Artur Rimbaud




Muoio di sete, soffoco non posso gridare. E' l'inferno, la pena eterna ! (...)
Qui c'è vergogna, qui c'è rimprovero: Satana dice che il fuoco è ignobile, che la mia collera è talmente sciocca.
- Basta!... con gli errori suggeriti dagli altri, magie, falsi profumi, musiche purerili.
- E dire che ho in mano la verità, che vedo la giustizia: il mio giudizio è sano e sicuro, sono pronto per la perfezione (...)
Le allucinazioni sono innumerevoli. Proprio quello che ho sempre avuto: più nessuna fiducia nella storia, dimenticare i princìpi (...)
Questa poi ! L'orologio della vita si è fermato poco fa. Non sono più al mondo.
- La teologia è seria, sicuramente l'inferno sta in basso - e il cielo in alto .
Estasi, incubo, sonno in un nido in fiamme. (...)
Fra poco svelerò tutti i misteri: misteri religiosi e naturali, morte, nascita, avvenire, passato, cosmogonia, niente. Sono maestro di fantasmagorie (...)
Su fidatevi di me, la fede rincuore, guida, guarisce.  Venite tutti - anche i fanciulli - che io vi consoli, che per voi effonda il suo cuore, - il cuore meraviglioso! (...)
Muoio di spossatezza. E' la tomba, me ne vado ai vermi, orrido dell'orrido ! Satana, burlone, tu vorresti dissolvermi, con i tuoi sortilegi. (...)
Mio Dio, pietà, nascondetemi, io mi comporto troppo male ! - Sono nascosto e non lo sono. E' il fuoco che si ravviva con il suo dannato.


da Saison en enfer, Arthur Rimbaud, 1873.


11/10/14

Vita oltre la morte: un recente studio da Southampton University.

Wings of Desire (Der Himmel über Berlin) Wim Wenders, 1987

Riporto questo articolo pubblicato da Corriere.it (Emanuela Di Pasqua) sul recente studio riguardo l'oltremorte realizzato dalla Southampton University.

La possibilità che la vita si estenda oltre l’ultimo respiro è una materia che è stata trattata ampiamente, spesso giudicata con aperto scetticismo. Le esperienze riportate dalle persone così fortunate da poterle raccontare sono state generalmente spiegate come allucinazioni dovute alla grave condizione psicofisica. 

È di questi giorni però la pubblicazione di uno studio inglese che comproverebbe il mantenimento di un certo grado di coscienza da parte di persone in arresto cardiaco. 

Per quattro anni i ricercatori della Southampton University hanno esaminato i casi di 2.060 persone, tutte vittime di arresto cardiaco, in 15 ospedali sparsi tra la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e l’Austria. 

Secondo i dati in possesso degli studiosi inglesi, circa il 40 per cento dei sopravvissuti ha descritto esperienze coscienti provate mentre il loro cuore aveva smesso di battere. 

In cifre, dei 330 scampati alla morte 140 hanno raccontato di essere rimasti parzialmente coscienti durante la rianimazione. 

Singolare il caso di un assistente sociale cinquantasettenne di Southampton che ha raccontato di avere lasciato il proprio corpo e di avere assistito alle procedure di rianimazione dello staff medico da un angolo della stanza nella quale era ricoverato. 

L’uomo, benché il suo cuore si fosse fermato per tre minuti, ha raccontato nei dettagli le azioni dei medici e degli infermieri e ha ricordato anche i suoni delle apparecchiature mediche. 

Il particolare che ha attirato l’attenzione dei ricercatori è stato che l’uomo ricordava i beep emessi da un particolare apparecchio, programmato per emettere segnali sonori ogni tre minuti

«Quell’uomo ha descritto tutto quello che è avvenuto in quella stanza - ha dichiarato Sam Parnia, direttore della ricerca -, ma la cosa più importante è che si è ricordato di aver udito due beep. Questo ci permette di comprendere quanto è durata la sua esperienza». 

Le altre testimonianze tendono a essere piuttosto uniformi nel loro contenuto. 

Un paziente su cinque ha sperimentato un inusuale senso di pace e circa un terzo dei 330 sopravvissuti ha assistito a un rallentamento o a una accelerazione del tempo. 

Alcuni hanno rammentato una forte luce simile a un flash o a un sole splendente, mentre altri hanno raccontato di una sensazione di paura di affogare e venire trascinati in acque profonde. 

Infine, il 13 per cento di coloro che sono stati rianimati ha ricordato delle esperienze extracorporee e un aumento delle percezioni sensoriali. 

Sam Parnia è uno specialista in anestesia e rianimazione, attualmente primario del reparto di Terapia intensiva e direttore del dipartimento di ricerca sulla Rianimazione presso la Scuola di Medicina della Stony Brook University di New York.

È considerato uno dei massimi esperti mondiali nel campo della morte, del rapporto mente-cervello e delle esperienze ai confini della morte. 

Dal 2008 Parnia fa parte del progetto AWARE, uno studio internazionale promosso da Human Consciousness Project al quale hanno aderito venticinque ospedali tra Europa e Nord America. 

Lo scopo del progetto è quello di verificare se le percezioni riportate da pazienti che hanno superato un arresto cardiaco possono essere provate.

10/10/14

L'importanza dei dettagli . Anna Karenina e lo svelamento del mondo.





Non si finisce mai di stupirsi della qualità di Tolstoj e della sua narrazione. 

Anna Karenina è, come si sa, un romanzo unico, totalizzante. Un romanzo-universo, dentro cui l'esplorazione dell'animo umano raggiunge vertici di profondità assoluti. 

George Steiner rievoca, in Tolstoj o Dostoevskij (il suo capitale saggio del 1959), la capacità di Tolstoj di definire con un solo tocco o pennellata, con un solo dettaglio il sentimento umano, anche quello più inconfessabile. 

E' la scena in cui Anna, fa ritorno a casa a Pietroburgo dopo il primo incontro con Vronskij che l'ha seguita e in treno nel mezzo di una tempesta di neve le ha confessato la sua passione. 

Ad Anna, scrive Tolstoj "Tutto l'orrore della tormenta parve adesso ancora più magnifico. Egli aveva detto la stessa cosa che l'anima di lei desiderava, e di cui però essa aveva paura con la ragione."

Il treno finalmente arriva a Pietroburgo.

Anna scorge subito il marito, Aleksej Aleksandrovic Karenin, venuta a prenderla al binario.

" 'Ah, Dio mio! Perché gli sono venute quelle orecchie?', pensò (Anna) guardando la sua figura fredda e rappresentativa, e specialmente le cartilagini delle orecchie, che ora l'avevano colpita e che sostenevano le falde del cappello. "

E' solo una frase. Tre righe. Eppure è l'inizio del mutamento di Anna, il segno che per lei da questo momento tutto è veramente cambiato. Il mondo, dopo la rivelazione di ciò che ha sentito, al momento della dichiarazione di Vronskij, non può essere più lo stesso. 

Il genio di Tolstoj è casto, scrive Steiner.  La sessualità è solo accennata, sottintesa.  Tolstoj non ha bisogno d'altro. Un dettaglio, per lui è già tutto.  Nella sua luminosa interpretazione della passione fisica, Tolstoj era almeno fino ai suoi ultimi anni, più vicino a Omero.


 Fabrizio  Falconi

09/10/14

Premio Nobel per la Letteratura 2014 a Patrick Modiano. VIDEO.



Molti oggi sentendo l'annuncio di Patrick Modiano come Premio Nobel per la letteratura 2014 hanno insistito sulla bizzarria dell'Accademia svedese, che da un po' di anni a questa parte si diverte a spiazzare il pubblico dei lettori forti e meno forti, con i quali evidentemente non è in sintonia.  

Anche Modiano è in Italia un quasi perfetto sconosciuto, anche se le Edizioni Einaudi pubblicano dal 2005 quasi regolarmente ogni sua nuova uscita (si immagina con poco successo di vendite.. prima di oggi).

In Francia Modiano è un autore molto conosciuto, da sue opere sono stati tratti parecchi film.  Per i lettori italiani questo qui sotto è un piccolo ritratto-video in due minuti.



Mentre QUI potete trovare una bella intervista a Modiano realizzata da Bernard Pivot, all'uscita del suo romanzo Le petit Bijou, tradotto in italiano soltanto come Bijou ed edito, come gli altri da Einaudi.

Al prossimo Nobel.