16/10/21
Libro del giorno: "La Tranquillità dell'animo" di Seneca
15/10/21
Davvero a Stephen King non piacque lo Shining (tratto dal suo romanzo) di Stanlely Kubrick? Leggenda di una rivalità
12/10/21
La violenza nelle strade, la tracotanza dei novax: Le parole profetiche di Dietrich Boenheffer su cosa è la stupidità e su come sia inutile combatterla
Il nemico del bene
In questo stato di cose sta anche
la ragione per cui in simili circostanze inutilmente ci sforziamo di capire che
cosa effettivamente pensi il "popolo", e per cui questo interrogativo
risulta contemporaneamente superfluo - sempre però solo in queste circostanze -
per chi pensa e agisce in modo responsabile. La Bibbia, affermando che il
timore di Dio è l’inizio della sapienza (Salmo 111, 10), dice che la
liberazione interiore dell’uomo alla vita responsabile davanti a Dio è l’unica
reale vittoria sulla stupidità.
Del resto, siffatte riflessioni
sulla stupidità comportano questo di consolante, che con esse viene
assolutamente esclusa la possibilità di considerare la maggioranza degli uomini
come stupida in ogni caso. Tutto dipenderà in realtà dall’atteggiamento di
coloro che detengono il potere: se essi ripongono le loro aspettative più nella
stupidità o più nell’autonomia interiore e nella intelligenza degli uomini.
11/10/21
Quando Marlon Brando rifiutò l'Oscar per "Il padrino" e la giovane donna Apache salì sul palco a leggere il motivo del rifiuto
08/10/21
Sting compie 70 anni e pubblica: "The Bridge", un ponte metafisico pieno di speranza. "Amo sempre più l'Italia"
Intervistato da Luca Valtorta per Robinson di La Repubblica, Gordon Sumner, in arte Sting, leggendario front man del gruppo dei Police e autore contemporaneo tra i più noti, racconta della sua scelta di vita in Italia, dove risiede ormai da molti anni, nella Tenuta Il Palagio, a Figline Valdarno, e di quello che ha messo dentro il suo nuovo album, The Bridge, scritto e inciso durante il lockdown.
Adesso sono quasi vent'anni che vive anche in Italia: che cosa ha imparato del nostro paese?
"Amo l'Italia. Ma è perfetta? Ovviamente no (ride, ndr). Ci sono un sacco di cose sbagliate in ogni paese però amo la capacità di apprezzare le cose buone della vita, la capacità di sedersi attorno a una tavola con del buon cibo, il senso della famiglia, queste cose. E la gente ha un atteggiamento veramente gentile nei miei confronti. E poi mi interessa molto la storia: sono ossessionato dalla storia Romana e leggo tutto quello che trovo a riguardo: Cicerone, la transizione tra la repubblica e la dittatura con l'avvento di Giulio Cesare. Mi affascina per i parallelismi con quello che è successo nel Senato americano con la folla e i populisti: esattamente come 2000 anni fa. Il che è spaventoso ma anche molto coinvolgente. Ho sempre saputo dei romani perché la mia città nel nord dell'Inghilterra, Wallsend, era proprio ai margini dell'impero: da lì iniziava il Vallo di Adriano che segnava il confine tra la Britannia occupata e le tribù dei Pitti. E anche in questo caso: l'Impero Romano non era sicuramente un sistema perfetto ma comunque molto, molto interessante".
Dell'Inghilterra di oggi, con la Brexit in atto, cosa pensa?
"Non mi faccia parlare. Vorrei trovare una sola persona capace di spiegarmi oggi perché la Brexit è una buona idea ma nessuno lo può fare perché è una cosa assolutamente stupida. Gli piaceva così tanto questa idea purista: 'Noi dobbiamo essere soli!'. Non sta andando bene. E questo non mi rende felice. Amo la mia nazione e sono triste nel vederla soffrire".
Come ha passato il periodo del lockdown?
"Sono molto fortunato perché ho una grande casa, un grande giardino e uno studio dentro la casa, per cui anche se non ho potuto andare in tour ho comunque lavorato: per un anno intero entravo in studio alle dieci e ne uscivo solo per cena. Alcuni giorni non riuscivo a tirar fuori granché ma in altri mi veniva qualche buona idea e alla fine ne è uscito fuori un album di cui sono molto orgoglioso, l'ho chiamato The Bridge. Il titolo è una sorta di metafora per quello che io, ma credo un po' tutti noi, stiamo cercando in questo momento: un ponte verso qualcosa di più sicuro, di più felice, perché siamo in un momento di difficile transizione, pieno di incognite, dalla pandemia al cambiamento climatico, alla dura situazione sociale e politica. È un ponte metafisico in un disco pieno di speranza ma anche di realismo nel cercare di essere comunque ottimista".
Leggi qui l'intervista originale - fonte: Luca Valtorta - Robinson/La Repubblica
05/10/21
Matthew McConaughey, un attore strepitoso e il suo incredibile dimagrimento in Dallas Buyers Club
C'è un grande e doloroso film che non ci si stanca di rivedere: Dallas Buyers Club diretto da Jean-Marc Vallée nel 2013, con protagonisti Matthew McConaughey e Jared Leto. La pellicola ricevette sei candidature ai premi Oscar 2014, vincendo in tre categorie, tra cui miglior attore protagonista e miglior attore non protagonista, assegnati rispettivamente a Matthew McConaughey e Jared Leto.
Come si ricorda, il film racconta la storia di Ron Woodroof, un malato di AIDS diagnosticato a metà degli anni '80 quando i trattamenti per l'HIV/AIDS erano poco studiati, mentre la malattia non era compresa e altamente stigmatizzata. In quel periodo, parte del movimento sperimentale per il trattamento dell'AIDS, contrabbandava farmaci farmaceutici non approvati in Texas per curare i suoi sintomi e li distribuiva a persone con AIDS istituendo il "Dallas Buyers Club" mentre affrontava l'opposizione della Food and Drug Administration (FDA).
E' stupefacente il cambiamento fisico che McConaughey affrontò per girare questo film, e che lui stesso ha raccontato in una intervista di quell'anno:
Fonte Silvia Bizio, Matthew McConaughey, la trasformazione: "Questa volta ho messo in gioco il mio corpo", La Repubblica, 13 settembre 2013
04/10/21
Come faceva Chet Baker a suonare senza denti? Il mito di un grande musicista
03/10/21
Franzen sul nuovo romanzo Crossroads: "I Vangeli sono un documento politico radicale che la sinistra americana ha completamente dimenticato"
Ci sono dei passaggi nella bella intervista a Jonathan Franzen pubblicata sul Corriere della Sera il 25 settembre scorso e realizzata da Cristina Taglietti a proposito del suo nuovo romanzo Crossroads (Einaudi) tra poco disponibile anche in Italia, nei quali ho trovato, espresso con molta chiarezza, uno dei temi (o dei fenomeni) fondamentali della società contemporanea (o post-contemporanea), che molti intellettuali, anche italiani, hanno finora ignorato.
Franzen spiega la genesi del suo lungo romanzo a partire dallo spunto iniziale: All’origine del romanzo - dice - c’è un gruppo giovanile cristiano, mondo che conoscevo bene. Io stesso ho frequentato la chiesa per 12 anni e come Perry, il figlio di mezzo degli Hildebrandt, conoscevo ogni angolo della chiesa, ogni porta segreta, ogni passaggio, tutti i ministri. Per me è importante partire da ciò che conosco bene, da un luogo in cui mi sento a casa.
Aggiunge poi Franzen:
Può sembrare sciocco, ma per me essere un romanziere non significa scrivere ciò che voglio, ma ciò che so scrivere. Non uso mai il materiale che potrei usare, ma quello che possiedo. Sono un grande fan di Dostoevskij, di Flannery O’Connor, amo l’arte religiosa, la scultura gotica italiana, l’architettura delle chiese romaniche. Per me tutto ciò è commovente anche se non sono credente. Anche questo è un mondo in cui mi sento a casa, non mi interessa tanto mettere al centro le grandi domande dell’esistenza. Diciamo che mi sento come un falegname che costruisce mobili e tutto ciò che ha a disposizione sono i pezzi di legno avanzati dal progetto precedente.
A Cristina Taglietti, che lo intervista, Franzen conferma che Crossroads, il nome del gruppo giovanile che dà il titolo al romanzo, ricorda molto Comunità, il gruppo che lo scrittore ha frequentato da ragazzo e di cui parla in «Zona disagio».
Sì, ne sono stato membro attivo per sei anni. A dire il vero ci andavo più per socializzare, come credo la maggior parte dei ragazzi, ma è stata un’esperienza intensa. Molti dei dettagli del romanzo vengono da lì.
Nel passaggio successivo, Franzen spiega cosa lo ha particolarmente interessato della questione, del fenomeno religioso, di come abbia influito assai diversamente, nel passato e nel presente, nella vita politica occidentale. Negli anni '70 infatti, all'epoca in cui Crossroads si riferisce, la religione e la politica progressista erano assolutamente compatibili.
In seguito le cose sono radicalmente cambiate.
Che cosa si è dimenticato nel tempo? chiede l'intervistatrice.
Che allora la religione e la politica progressista erano assolutamente compatibili. Uno dei piaceri di scrivere Crossroads è stato tornare alla Bibbia. Sono andato in chiesa per 12 anni, ho frequentato il catechismo, le funzioni religiose e, anche se non la rileggo da quarant’anni, mi sono reso conto di conoscerla bene. Io non credo ai miracoli, alla trascendenza, ma ci sono storie molto potenti dentro la Bibbia. L’intertestualità, per usare un parolone, mi interessa sempre e scrivere un libro nuovo in qualche modo legato a uno così antico mi piaceva. Negli anni Settanta, nella mia chiesa e soprattutto nei gruppi giovanili, c’era molta attenzione a ciò che Gesù aveva detto, ci si chiedeva che cosa avrebbe pensato della guerra in Vietnam, della segregazione razziale. I Vangeli sono un documento politico molto radicale che rivela il paradosso del cristianesimo: per tutta la storia umana si è creduto che bisogna cercare di essere ricchi e potenti, il Vangelo dice che essere poveri e deboli è il modo di trovare Dio. Oggi questa componente si è quasi completamente persa nella sinistra americana (anche in quella italiana o europea, nota mia). Il primo atto è stato la legalizzazione dell’aborto che ha attivato gli elementi religiosi più conservatori: i cristiani evangelici sono diventati una potente forza politica, hanno sostenuto Reagan e ogni presidente conservatore fin dalla metà degli anni Settanta. E oggi sono così aggressivi che la cristianità si identifica con le loro posizioni aberranti: l’omofobia, l’adorazione per la ricchezza, l’ingerenza in ogni decisione personale delle donne. A Santa Cruz, in California, dove vivo, se dici a un liberal che vai in chiesa si ritrae terrorizzato, meglio dire che adori Satana nel seminterrato.
Parole molto chiare e forti, che dovrebbero far molto riflettere, anche dalle nostre parti.
02/10/21
Libro del Giorno: "Lezioni e conversazioni" di Ludwig Wittgenstein
29/09/21
Mistero per gli scienziati : Nata senza bulbi olfattivi, eppure ora sente gli odori - "Il nostro cervello è qualcosa di miracoloso"
28/09/21
Libro del Giorno: "Ponte Milvio 312 d.C." di Ross Cowan
27/09/21
L'incredibile, terribile, suicidio di Seneca
L'occasione del fallimento della cosiddetta Congiura dei Pisoni, nell'aprile del 65 d.C. offrì a Nerone, ormai sempre più invasato e assetato di potere, di potersi liberare di Seneca, che era stato suo tutore e dal quale si era dopo cinque anni progressivamente e completamente emancipato, con gravi conseguenze per l'Impero.
In realtà sembra che della famosa Congiura Seneca fosse solamente informato, e che non vi prese parte direttamente.
Nerone però fu inflessibile e il sessantunenne Seneca ricevette quindi l'ordine di togliersi la vita, o meglio gli venne fatto capire che se non lo avesse fatto, morendo "onorevolmente" secondo i principi del mos maiorum, cioè della tradizione romana, sarebbe stato giustiziato comunque.
Non volendo sottrarsi, Seneca optò per il suicidio.
I particolari di questa morte sono però particolarmente raccapriccianti.
Seneca dapprima si rivolge agli allievi, poi alla moglie Pompea Paolina, che vorrebbe suicidarsi con lui: il filosofo la spinge a non farlo, ma lei insiste.
Per Seneca il suicidio era in perfetta armonia con i principi professati dallo stoicismo, di cui Seneca fu uno dei maggiori esponenti: il saggio deve giovare allo Stato, res publica minor, ma, piuttosto che compromettere la propria integrità morale, deve essere pronto all'extrema ratio del suicidio.
E' Tacito, qualche decennio dopo, a raccontarne i particolari, elogiandone la coerenza di vita:
«Frenava, intanto, le lacrime dei presenti, ora col semplice ragionamento, ora parlando con maggiore energia e, richiamando gli amici alla fortezza dell'animo, chiedeva loro dove fossero i precetti della saggezza, e dove quelle meditazioni che la ragione aveva dettato per tanti anni contro le fatalità della sorte. A chi mai, infatti, era stata ignota la ferocia di Nerone? Non gli rimaneva ormai più, dopo aver ucciso madre e fratello, che aggiungere l'assassinio del suo educatore e maestro.» |
(Annales, XV, 62) |
Seneca affrontò l'ora fatale con la serena consapevolezza del filosofo: egli, come racconta Tacito, come ogni vero saggio deve raggiungere infatti l’apatheia, ovvero l'imperturbabilità che lo rende impassibile di fronte ai casi della sorte.
Dopo il discorso ai discepoli, Seneca compie l'atto estremo:
«Dopo queste parole, tagliano le vene del braccio in un solo colpo. Seneca, poiché il suo corpo vecchio ed indebolito dal vitto frugale procurava una lenta fuoriuscita al sangue, si recise anche le vene delle gambe e delle ginocchia.» | |
(Annales, XV, 63) |
Con l'aiuto del suo medico e dei servi, si tagliò quindi le vene, prima dei polsi, poi - poiché il sangue, lento per la vecchiaia e lo scarso cibo che assumeva, non defluiva - per accelerare la morte si tagliò anche le vene delle gambe e delle ginocchia, fece trasferire la moglie in un'altra stanza facendo ricorso anche ad una bevanda a base di cicuta, il veleno usato anche da Socrate. Tuttavia nemmeno quello ebbe effetto: la lenta emorragia non permise al veleno di entrare rapidamente in circolo. Così, memore del suicidio di un amico, Seneca si immerse in una vasca d'acqua bollente per favorire la perdita di sangue «spruzzandone i servi più vicini e dicendo di fare con quel liquido libazioni a Giove».
Ma alla fine raggiunse una morte lenta e straziante, che arrivò, secondo lo storico, per soffocamento causato dai vapori caldi, dopo che Seneca fu portato, quando fu entrato nella tinozza, in una stanza adibita a bagno e quindi molto calda, dove non poteva respirare (ed essendo lui sofferente da sempre di problemi respiratori). I soldati e i domestici invece impedirono a Paolina, priva ormai di sensi, di suicidarsi, proprio mentre Seneca stava assumendo il veleno:
«Nerone però, non avendo motivi di odio personale contro Paolina, e per non rendere ancora più impopolare la propria crudeltà, ordina di impedirne la morte. Così, sollecitati dai soldati, schiavi e liberti le legano le braccia e le tamponano il sangue; e, se ne avesse coscienza, è incerto. Non mancarono, infatti, perché il volgo inclina sempre alle versioni deteriori, persone convinte che Paolina abbia ricercato la gloria di morire insieme al marito, finché ebbe a temere l'implacabilità di Nerone, ma che poi, al dischiudersi di una speranza migliore, sia stata vinta dalla lusinga della vita. Dopo il marito, visse ancora pochi anni, conservandone memoria degnissima e con impressi sul volto bianco e nelle membra i segni di un pallore attestante che molto del suo spirito vitale se n'era andato con lui. Seneca intanto, protraendosi la vita in un lento avvicinarsi della morte, prega Anneo Stazio, da tempo suo amico provato e competente nell'arte medica, di somministrargli quel veleno, già pronto da molto, con cui si facevano morire ad Atene le persone condannate da sentenza popolare. Avutolo, lo bevve, ma senza effetto, per essere già fredde le membra e insensibile il corpo all'azione del veleno. Da ultimo, entrò in una vasca d'acqua calda, ne asperse gli schiavi più vicini e aggiunse che, con quel liquido, libava a Giove liberatore. Portato poi in un bagno caldissimo, spirò a causa del vapore e venne cremato senza cerimonia alcuna. Così aveva già indicato nel suo testamento, quando, nel pieno della ricchezza e del potere, volgeva il pensiero al momento della fine.» |
(Annales, XV, 64) |
Vista la lunga serie di metodi di suicidio messi in atto da Seneca (anziché un solo metodo diretto ed immediatamente efficace, come quelli scelti da Bruto o da Nerone stesso: ad esempio pugnalarsi alla gola o al cuore, dalla clavicola, mentre un servo o un amico reggeva la spada; questa era in effetti la consuetudine più diffusa tra i romani nobili e i militari) e la somiglianza evidente in certi particolari (il discorso, la cicuta, poi la libagione alla divinità) con la morte di Socrate, è stato anche ipotizzato che Tacito abbia costruito lui stesso il racconto ad imitazione del testo platonico della morte di Socrate, e che la morte del filosofo sia stata più rapida.
24/09/21
C'è una fotografia sul suolo lunare. Chi l'ha lasciata?
E' veramente una storia bella e poco conosciuta.
23/09/21
Quella volta che Pasolini perse le staffe e si scatenò la rissa