Il più grande romanzo italiano degli ultimi 15 anni è inedito. Succede anche questo nell'editoria italiana. Pietro Zullino, che ho avuto la fortuna di avere come amico, scrisse questo suo libro qualche anno prima di morire.
E' un romanzo fiume, dedicato a Lucio Properzio, il grande poeta romano vissuto nel I sec. a.C., penalizzato dalla critica storica per secoli, e in tempi recenti riscoperto come forse il più moderno dei poeti antichi.
Zullino ha scritto un libro memorabile. Con l'uso di una lingua geniale e modernissima, erudito (ritraducendo ex novo tutte le poesie di Properzio) e passionalmente coinvolto, enormemente attuale nei suoi risvolti, su ciò che è la ribellione nel campo dell'intelligenza e della produzione artistica.
Zullino, che era autore di lustro, e aveva pubblicato con i più grandi editori italiani, scelse volontariamente (esacerbato dalle logiche editoriali) di autoprodursi il libro e di stamparlo in poche copie da distribuire agli amici (senza nemmeno firmarlo, ma attribuendolo direttamente al nume di Properzio).
Sono dunque ben pochi quelli che hanno avuto il privilegio di leggerlo.
Nell'attesa che qualcuno - di quelli che contano (ma cosa contano?) si accorga di lui, è già stata fatta una traduzione in americano moderno del romanzo.
E a Pietro e alla sua opera è stato dedicato post-mortem un volume di studi a cui ho contribuito proprio con questo testo, su Cinzia.
Che qui ripropongo.
Testo scritto per PIETRO ZULLINO, UNA VITA PER LA SCRITTURA, Carabba, 2014
Cinzia
con i suoi occhi
di Pietro Zullino: “Chi ama può vagare”, il romanzo di una ribellione
di Fabrizio Falconi
La
fortuna dei libri di Pietro Zullino presso i maggiori editori italiani –
Mondadori e Rizzoli tanto per citare soltanto i più blasonati – durò oltre un
decennio, a cavallo tra gli anni ’70 e la fine degli anni ’80.
A
partire da quella data, qualcosa si spezzò: a Zullino, come ad altri autori di
quegli anni, che si erano concentrati, nella loro produzione, sulla adesione
profonda agli ideali interiori (autenticità, fedeltà, vero) invece che
all’inseguimento delle mode del momento e dei diversi conformismi del mondo
editoriale italiano, capitò di sentirsi sempre più ai margini, sempre più fuori posto, sempre meno in sintonia con
i gusti prevalenti.
Zullino, con la sua propensione per lo studio,
con il suo rovesciamento dei canoni storico-accademici, con il suo spiccato
senso per la colta provocazione che gli permetteva di leggere la realtà
contemporanea con occhi sempre nuovi, sentiva di non appartenere alla folta
schiera dei narratori per una stagione. Il
suo sguardo era rivolto all’oltre, ciò che gli premeva era la continuazione
dell’indagine del contesto storico-politico come conformazione ed estensione
delle contraddizioni individuali umane, quelle cioè celate nel cuore di ogni
uomo.
Da
questo punto quindi l’esplorazione del mondo classico e delle sue radici era
per Zullino il terreno ideale per dare corpo a quella esplosione multiforme di
ripensamenti sulla realtà che si vive (nell’oggi) e su quella che si immagina,
se è vero che proprio nei reconditi del mondo antico, e in specie nella vicenda
della Roma imperiale, è possibile rintracciare i segni sensibili e tutte le
contraddizioni del presente storico e antropologico, come scriveva Ungaretti a
proposito di Virgilio che – diceva - ci accompagna non più come un emblema ma
come uno dei fatti della nostra vita (1).
I
fatti della nostra vita, dunque,
quelli che più interessavano Zullino e che nei primi anni del 2000 lo portarono
a cimentarsi in un lungo, estenuante progetto rappresentante la summa di una meticolosa ricerca capace
di coniugare lo studio e l’esercizio linguistico – da sempre cifre
caratteristiche della sua opera – con la pura narrazione, con il disegno di un
amplissimo (e definitivo) affresco su quel mondo, il mondo degli amati classici
latini, di quei cantori che prima e
forse meglio di tutti gli altri seppero scendere nei recessi dei fondamentali
umani.