23/07/15

La remora è un pesce (ma nessuno lo sa). Jung e l'Echeneis.






Echeneis è il nome latino di un pesce molto particolare.

Di esso racconta Plinio nella sua Historia Naturalis, in un passo ripreso da Jung, in Aion

“La remora “ scrive Jung, “piccola per statura e grande per la potenza costringe le superbe fregate del mare a fermarsi: avventura che come ci racconta Plinio in modo interessante e ameno tocco ‘ ai nostri tempi’ alla quinquereme dell’imperatore Caligola

Mentre questi ritornava dall’Astura ad Anzio, il pesciolino, lungo mezzo piede, si attaccò succhiando al timone della nave, provocandone l'arresto

Tornato a Roma, dopo questo viaggio, Caligola venne assassinato dai suoi soldati. 

L’ Echeneis“ continua Jung, “agì dunque come praesagium, come piscis auspicalis, rileva Plinio. Un tiro analogo esso lo giocò a Marc’Antonio, prima della battaglia navale contro Augusto, in cui dovette soccombere

Plinio non finisce mai di stupirsi del potere dell’ Echeneis. La sua meraviglia impressionò evidentemente gli alchimisti al punto di indurli a identificare il ‘pesce rotondo del nostro mare’ con la Remora. 

La Remora divenne così il simbolo dell’estremamente piccolo nella vastità dell’inconscio. Che ha un significato tanto fatale: esso è infatti il Sé, l’Atman, quello di cui si dice che è IL PIU’ PICCOLO DEL PICCOLO, PIU’ GRANDE DEL GRANDE."



22/07/15

L'elogio dell'Ombra di Tanizaki. Un prezioso libro.


Un piccolo gioiello  di sole novanta pagine, Libro d'ombra è un mormorante inno alla preziosità di tutto quello che non è in luce, a ciò che è in penombra, a quello che metaforicamente è segreto, non è dato di essere scoperto, dalla luce violenta del sole. 

In questi giorni di dura canicola estiva, il libro di Jun'Ichiro Tanizaki (Bompiani 1995/2015,  a cura di Giovanni Mariotti, traduzione di Atsuko Ricca Suga) offre conforto poetico e una lenta e pacifica meditazione.

Il titolo originale del libro è Elogio dell'Ombra. L'editore italiano non ha potuto sceglierlo perché esiste un famoso saggio poetico con lo stesso titolo, di cui abbiamo parlato qui nel blog.

E' un saggio sulla civiltà giapponese, e un elogio della cultura orientale, così in antitesi alla nostra. Se infatti in Occidente si è privilegiato e si continua a privilegiare sempre più il senso della vista (razionale, analitica, estetica), e tutto vuole essere illuminato (e pulito e asettico e formalmente compiuto), in Oriente tutto è stato funzionalmente costruito e adattato per curare l'ombra, per proteggere lo sguardo dalla dittatura della luce e privilegiare gli altri sensi. 

Tanizaki passa in rassegna in brevi poetici capitoli i mobili e i sistemi di riscaldamento e illuminazione, i gabinetti e i ristoranti, le pietre preziose e le stoviglie, le ricette di cucina e i generi teatrali: tutto viene misurato dall'occhio e dalla sensibilità aumentata dell'osservatore. La vita è ancora più preziosa e fragile, ancora più densa e misteriosa. 

In verità. non esistono né segreti, né misteri: tutto è magia nell'ombra, scrive Tanizaki. 

Nel bizzarro mondo d'ombra (per esempio quello del Teatro no descritto negli ultimi capitoli, c'è un mondo di bellezza e di intrinseca oscurità.  

Le case antiche giapponesi, le suppellettili di legno laccato scuro, fatte apposta per assorbire la luce, ogni angolo, ogni oggetto ha un suo posto, nella misericordia della penombra.

Fabrizio Falconi


13/07/15

Orione (La predica del silenzio) di Fabrizio Falconi






Orione



Questa è la predica del silenzio,
si innalza senza volere
sui muri gialli d’agosto
sui pallidi sentieri liberi
del tempo benedetto liberato
ridiventa musica
inascoltata come l’acqua
nel fosso di campagna
al margine del disinteresse
delle autostrade.

Prima che il sole scenda
quando essere qui
ha il senso stesso della lenta
quercia che allunga
i rami nella calura,
si spargono le parole del silenzio:
come lampi lontani,
come bocche di mare senza navi
come occhi che si chiudono
da soli
perché innamorati del sonno.



Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

12/07/15

Supplica collettiva al Maresciallo Pétain (1941) - La storia non insegna niente.




Supplica collettiva (195 firme ) inviata nel 1941 dagli abitanti di un paese francese al maresciallo Pétain, riportata da Léon Poliakov in Il nazismo e lo sterminio degli ebrei del 1955.


Noi sottoscritti, abitanti del capoluogo di cantone di Tournon-d'Agenais (Lot-et-Garonne) abbiamo l'onore di portare a vostra conoscenza i fatti seguenti.

La popolazione totale del nostro agglomerato è di 275 persone e ci viene annunciato il prossimo arrivo di 150 ebrei indesiderabili che dovranno abitare tra noi in residenza assegnata. Tutto ci porta a credere che tale informazione è esatta, poiché sono stati già trasportati letti e paglia nei nostri pubblici edifici. 

Noi tutti, signor Maresciallo, siamo fortemente emozionati da questa prospettiva. L'invasione di 150 Ebrei indesiderabili presso 275 Francesi dal carattere tranquillo per eccellenza equivale a una vera e propria colonizzazione e noi temiamo che questi stranieri, grazie al loro numero, vengano a soppiantarci oltraggiosamente. 

Secondo quanto ci è stato detto, sono degli indesiderabili quelli che noi dovremmo accogliere. Tali essi sono allo stesso titolo per tutti i Francesi e non potrebbero esserlo meno per noi e per le ragioni che vogliono sbarazzarsene. Centocinquanta indesiderabili possono, a rigore, passare quasi inavvertiti in mezzo a parecchie migliaia di abitanti.  La loro presenza diventa intollerabile e degenera in vessazione, per una popolazione che è meno del doppio di loro e che per tale motivo si trova costretta a una promiscuità, per non dire a una coabitazione rivoltante...

Le questioni di igiene e di alimentazione occupano certamente un grandissimo posto tra le preoccupazioni della vostra amministrazione; nel nostro caso, esse vanno unite strettamente e intimamente con la questione morale, etnica e prettamente francese.

Noi siamo sicuri, signor Maresciallo, che vi sarà sufficiente conoscere la penosa e ingiusta prospettiva che ci minaccia, per risparmiarcene la dolorosa realizzazione...  Se, nella vostra saggezza, voi riterrete che il bene superiore dello Stato esige da noi il sacrificio di sopportarli, non ci rassegneremo, non senza una incommensurabile amarezza; ma vi chiediamo se non vi sarebbe possibile attenuarci questo penoso contatto, alloggiandoli in un campo separato, presso una sorgente o presso un ruscello, dove tutte le questioni di sorveglianza, igiene e vettovagliamento potrebbero essere risolte vantaggiosamente per gli ospiti che la sventura ci ha imposto, sia per noi stessi.


11/07/15

Leonardo non era vegetariano : un nuovo libro.



Il volume "Leonardo non era vegetariano. Dalla lista della spesa di Leonardo alle ricette di Enrico Panero", di Maschietto Editore è una pubblicazione originale che fonde due elementi di ricerca e studio diversi fra loro e dedicati al genio da Vinci.

Il libro, la cui prefazione è a cura di Oscar Farinetti, fondatore e ideatore di Eataly, unisce testi e ricerche su Leonardo, su quanto ha detto, fatto, scritto in tema di cucina e alimentazione, a cura di Alessandro Vezzosi e Agnese Sabato del Museo Ideale Leonardo da Vinci, a quindici nuove ricette di Enrico Panero, Chef del Ristorante Da Vinci di Eataly Firenze.

Enrico Panero ha immaginato le nuove ricette basandosi sulle liste della spesa di Leonardo, tratte da diversi documenti e codici vinciani.

Arricchiscono il volume, e lo completano, un saggio sul Cenacolo di Leonardo di Cristina Acidini, fra le massime conoscitrici al mondo dell'arte leonardiana, e per la parte food l'intervento del gastronauta Davide Paolini che conduce il lettore in un viaggio, anch'esso inedito e assai suggestivo, fra i luoghi e i sapori delle terre vinciane, e soffermandosi sulle nuove invenzioni di Enrico Panero. 

Le ricette sono presentate da Annamaria Tossani e fotografate da Yari Marcelli.

Leonardo da Vinci fu grandissimo artista, scienziato, scopritore e inventore. Ma la sua passione e il suo genio si applicarono anche ai temi del cibo, della cucina, dell’alimentazione, tanto da poter ravvisare nei suoi contributi di più varia natura riferimenti importanti per la definizione della moderna cultura gastronomica e culinaria. 

Maestro di feste, cerimonie e banchetti a Firenze, Milano e Amboise, Leonardo studiò le materie prime, inventò macchine e utensili per la loro lavorazione, ragionò sulle caratteristiche dei territori di produzione, codificò disciplinari di prodotti come l’olio, il pane e il vino, esplorò le proprietà degli alimenti in relazione alla salute del corpo, scrisse favole, ‘profezie’, indovinelli e rebus ispirati al tema del cibo, realizzò straordinari disegni di macchine innovative per la produzione. 

E ovviamente il cibo è rappresentato in alcuni suoi dipinti, a partire dal Cenacolo milanese, che senza dubbio è la mensa più famosa del mondo.

Il libro è dunque un ritratto inedito del grande genio toscano – illustrato da opere, disegni e documenti leonardiani, compresi materiali inediti o poco noti – e allo stesso tempo un vero e proprio manuale di cucina contemporanea, con nuove ricette sfiziose con cui tutti si possono cimentare, illustrate fotograficamente in ogni fase di preparazione.

Le due anime del libro – storico/artistica e culinaria – sono armonizzate grazie agli interventi di Davide Paolini, che introduce le tappe di un viaggio tra i luoghi, le opere e i sapori di Leonardo e le invenzioni culinarie di Panero. La ricette sono introdotte dalle note di Annamaria Tossani, che collegano la cucina di Leonardo a quella del nostro tempo. Cristina Acidini, tra i massimi esperti mondiali di arte rinascimentale, racconta la poesia del Cenacolo più famoso del mondo.

In appendice, un glossario con gli ingredienti studiati da Leonardo e impiegati nelle ricette di Panero e una cronologia leonardiana.



10/07/15

Cosa è vero e cosa è la verità ? Una riflessione.





Guardiamo con attenzione questa foto. 

Dice parecchio sulle nostre percezioni. Ma anche qualcosa di più. 

Un cilindro è posto al centro di una stanza.  Due fasci di luce lo illuminano.  Una delle due luci (chiamiamola verticale) proietta una ombra circolare. L'altra luce (che chiamiamo orizzontale) proietta una ombra quadrata

Entrambe le figure - costituite dall'ombra - sono vere. Non c'è trucco. Sono reali.  Ma sorprendentemente contraddittorie.  L'una, ci dice dell'oggetto che ha qualcosa a che vedere con la figura del cerchio.  E se vedessimo soltanto questa potremmo concludere che ci troviamo veramente di fronte ad una sfera su cui è proiettata una fonte di luce.  Ugualmente, se vedessimo e potessimo dedurre soltanto dal raggio di luce verticale, non c'è dubbio che diremmo che un cubo è sospeso al centro della stanza. 

La cosa veramente interessante è che solo un punto di vista altro, esteriore, diagonale, non diretto, ci obbliga a scoprire la verità, e cioè che l'oggetto sospeso non è né un cubo, né una sfera, ma un cilindro, cioè un solido geometrico più complesso. 

Quante volte il nostro vero dipende dal fascio di luce che illumina la realtà ? Quante volte saremmo pronti a scommettere sul vero - ciò che relativamente è vero per noi, e che saremmo pronti a giurare come verità ?

L'immagine porta a due conclusioni:
- La verità esiste e non è necessariamente ciò che crediamo come vero.
- La verità dunque è qualcosa di sempre più complesso, che necessità di una iper-comprensione e di una valutazione di opposti. Soltanto nella valutazione (e nella integrazione degli opposti) possiamo tradurre la verità. 

Quando diciamo qualcosa di vero, diciamo spesso solo una parte della verità, e qualche volta nemmeno la più importante.  La verità sfugge al nostro vero.  E chiede di abbracciare, di integrare, di rovesciare, di valutare, di avanzare dubbi e sospetti: qualcosa che è fatica e vuole acume.  E solo a questo prezzo svela i suoi segreti. 


Fabrizio Falconi

09/07/15

Chi era Ezra Pound ? Un grande poeta in manicomio. Di Sergio Romano.





nella rubrica delle lettere del Corriere della Sera del 4 luglio 2015, Sergio Romano torna sulle vicende di Ezra Pound.


UN GRANDE POETA IN MANICOMIO LE AVVENTURE POLITICHE DI EZRA POUND

Ho trovato un articolo che riprende e rinfresca la vicenda di Ezra Pound. L’adesione al fascismo gli costò, dopo la fine della guerra, una perizia psichiatrica che lo dichiarò infermo di mente. Fu rinchiuso nell’ospedale criminale St. Elizabeth di Washington. I colleghi si divisero: Saul Bellow sostenne il giudizio, altri si adoperarono perché fosse liberato. So che fu anche candidato al premio Nobel per la letteratura che non ottenne in quanto ormai screditato. Ma era veramente schizofrenico o venne adottata una soluzione di compromesso tra quella che venne inferta a Brasillach e una dichiarazione di innocenza perché le idee non devono essere colpevolizzate? Potrebbe tracciare un profilo del personaggio?

Giovanni Allegri , giovanniallegrio39@gmail.com

Caro Allegri, Dietro le simpatie di Pound per il fascismo non vi era soltanto la speranza, comune a molti intellettuali europei nel periodo fra le due guerre mondiali, che il regime di Mussolini avesse individuato una terza via fra capitalismo e comunismo. Vi erano anche appassionate ma fumose teorie sulla natura malefica del capitalismo americano e la ferma convinzione che l’intero sistema economico degli Stati Uniti fosse fondato sull’usura

Pound pensava che il maggiore responsabile fosse Franklin D. Roosevelt, presidente dal gennaio 1933 e autore di un piano economico (il New Deal) per il risanamento della economia e della finanza americana, dopo il collasso di Wall Street nel 1929. 

Furono queste le ragioni per cui Pound non esitò, negli anni del fascismo e dopo la creazione della Repubblica Sociale Italiana, a sostenerne pubblicamente, con molte conversazioni radiofoniche, il programma economico e sociale. Per gli americani era un traditore e per molti di essi avrebbe meritato una condanna a morte, come quella che era stata inflitta dalla magistratura britannica a William Joyce, meglio noto come Lord Haw Haw: la voce di Radio Berlino che lanciava sarcastici messaggi dalla capitale del Reich contro l’Inghilterra.

Ma Pound era un grande poeta, rispettato e amato dalla migliore intellighenzia europea e americana. 

Il processo, se fosse stato celebrato, avrebbe creato imbarazzo e proiettato un’ombra sulla giustizia degli Stati Uniti. Fu scelta, come lei suggerisce nella sua lettera, caro Allegri, una via di mezzo. Anziché liberarlo o condannarlo, le autorità americane decisero di trattarlo come un matto. Niente di particolarmente nuovo. Era successo al Marchese de Sade, prima della Rivoluzione francese, e sarebbe successo, su scala maggiore, ai dissidenti sovietici di cui il regime voleva sbarazzarsi senza ricorrere a uno scomodo processo. 

Dopo la sua cattura a Rapallo (dove aveva stabilito la propria residenza italiana), Pound fu rinchiuso in una sorta di gabbia del campo di prigionia creato fra Pisa e Viareggio, e più tardi isolato in un ospedale psichiatrico americano a Washington. Grazie a una campagna organizzata da alcuni fra i maggiori scrittori del tempo, fra cui Ernest Hemingway, e da un giovane editore italiano (Vanni Scheiwiller), Pound fu liberato nel 1958 e tornò in Italia dove visse a Venezia sino alla sua scomparsa nel 1972. È sepolto nell’isola di San Michele.

07/07/15

750 anni di Dante: ricompare il ritratto del Bronzino, agli Uffizi.





Per me è forse il più bel ritratto esistente di Dante Alighieri. 

Da oggi, 7 luglio, sara' esposto in Galleria degli Uffizi il Ritratto allegorico di Dante Alighieri, dipinto nel 1532-1533 dal Bronzino.


Le vicende storiche di questa lunetta, spiega, una nota, sono legate a un episodio riferito da Giorgio Vasari nella Vita del Bronzino

Al suo ritorno da Pesaro il pittore ricevette da Bartolomeo Bettini la commissione dei ritratti dei tre padri della letteratura italiana, Dante, Petrarca e Boccaccio, da collocare nelle lunette di una stanza della sua abitazione

Dei ritratti dei tre grandi l'unico ad oggi conosciuto e' quello di Dante

"M'e' parso importante - commenta il direttore Antonio Natali - che in questo 2015, votato a celebrare i 750 anni dalla nascita dell'Alighieri, anche gli Uffizi fossero nel novero dei luoghi che rendono omaggio alla memoria del poeta".

06/07/15

Cerchi un libro introvabile ? Ora c'è Bookle.org.






L'iniziativa di un italiano, un senese, Simone Berni, appassionato biblofilo, è del tutto rimarchevole. 

Da quindici anni Berni si dedica alacremente alla ricerca bibliografica, esplorando archivi e biblioteche, virtuali (on line) e reali.

Dopo aver messo a frutto le sue conoscenze in un volume, il Manuale del cacciatore di libri introvabili Berni ha creato un bellissimo e utilissimo sito: Bookle.org, in definitiva un aggregatore di motori di ricerca che pesca e scava nei vari siti specializzati, maremagnum, abebooks, comprovendolibri, ebay, ibs, ma anche siti d'aste e mercatini on line, e inoltre librerie indipendenti e venditori privati. 

Il portale mette a confronto anche i diversi prezzi e rende possibile trovare qualunque titolo, anche fuori catalogo, si stia cercando. 

Una iniziativa lodevole, da diffondere.


03/07/15

Il dialogo tra due angeli - Il cielo sopra Berlino.





Cassiel: Alla fermata Zoo del metrò, un impiegato, invece di dire il nome della stazione, improvvisamente ha gridato: "Terra del Fuoco".

Damiel: Bello.

Cassiel: Sulle colline, un vecchio leggeva l'Odissea a un bambino, e il piccolo uditore smise di socchiudere gli occhi. E tu cos'hai da raccontare?

Damiel: Una passante, che sotto la pioggia chiuse di colpo l'ombrello, lasciandosi bagnare tutta. Ah, ecco: uno scolaro, che descriveva al suo maestro come una felce nasce dalla terra. Ha fatto stupire il maestro. Una cieca, che quando si accorse di me si mise a tastare l'orologio. Sì, è magnifico vivere di solo spirito e giorno dopo giorno testimoniare alla gente, per l'eternità, soltato ciò che è spirituale. Ma a volte la mia eterna esistenza spirituale mi pesa, e allora non vorrei più fluttuare così in eterno, vorrei sentire un peso dentro di me, che mi levi quest'infinitezza, legandomi in qualche modo alla terra. A ogni passo, a ogni colpo di vento, vorrei poter dire: "ora", "ora" e "ora". E non più: "da sempre", "in eterno". Per esempio, non so: sedersi al tavolo da gioco ed essere salutato, anche solo con un cenno. Ogni volta che noi abbiamo fatto qualcosa, era solo per finta.


Il dialogo tra i due angeli Damiel e Cassiel tratto da Wings of Desire, Il cielo sopra Berlino (1987) di Wim Wenders, dialoghi di Peter Handke.

02/07/15

'I due' di Hugo von Hoffmansthal.

Dante Gabriel Rossetti - Beata Beatrix



I due


Lei portava la coppa in mano -
Pari al suo orlo aveva il mento e la bocca -
Aveva un passo così leggero e sicuro,
Che dalla coppa non cadeva una stilla.

Non meno leggera e salda era la mano di lui:
Un giovane cavallo egli montava,
E con gesto noncurante
A una tremante immobilità lo sforzava.

Eppure quando dalla mano di lei
La lieve coppa egli dové prendere
Per entrambi fu troppo pesante;
Perché entrambi tremavano tanto
Che le mani non si trovarono,
E scuro vino corse sul suolo.



Hugo Von Hoffmansthal
(Trad. di Elena Croce)

01/07/15

Beethoven, La Sonata a Kreutzer, il filo della Demonicità.

Francesco Jerace, Beethoven, Conservatorio di San Pietro a Majella, Napoli


Una volta, complice il romanzo di Tolstoj dallo stesso titolo, la Sonata a Kreutzer era una delle pagine più eseguite di Beethoven; oggi la sua fortuna è un poco calata anche rispetto ad altre Sonate per violino e pianoforte, forse proprio per quella letterarietà demoniaca imprestatole dallo scrittore russo con troppa sensibilità autobiografica.

Tolstoj infatti la prese a simbolo come potere seduttivo della musica, come rappresentazione di passioni che una persona per bene dovrebbe tenere al guinzaglio, ma che qui sono espresse con tale evidenza plastica che c'è il pericolo di abbassare i ripari, entrare in fase con quell'onda montante e divenirne complici, ahimé con tragiche conseguenze. 

Eppure quest'opera tutta slancio di sperimentalità non sembra molto adatta a sopportare pesi di natura morale; Beethoven annotò sul manoscritto, nel suo italiano approssimativo: Sonata scritta in uno stilo brillante molto concertante come d'un concerto, intendendo accentuare la componente "concertante" dove la platea, il pubblico sono necessari all'opera non meno del compositore; in realtà, come nella "Sonata patetica" per pianoforte gli premeva sopra tutto sgrossare un blocco compatto di travolgente energia, senza curarsi di dare al primo movimento un seguito coerente e conclusivo, e probabilmente è questo aspetto di forma abbozzata a grandi tratti, sdegnosa delle raffinatezze consuete alla musica da camera, che Tolstoj percepì come demonicità in atto.

Una testimonianza di queste connessione è ancora palpitante nella storica esecuzione di Adolf Busch e Rudolf Serkin riportata in vita in un cd della Naxos; il primo movimento, più che in esecuzioni recenti più "castigate", grandeggia in tutti i suoi colpi di scena, dall'introduzione lenta, quasi invocazione alla musa, alla vastità dell'Allegro, ondeggiante tra le sponde estreme della violenza e della cantabilità più seducente; Serkin e Busch s'incalzano e si aggrediscono, e con i mezzi di appena due strumenti sembrano produrre veri sollevamenti geologici di materia sonora; è come se Tolstoj li avesse sentiti anche lui, quando ha fissato il carattere passionale di questa sonata nel suo romanzo.

Giorgio Pestelli, La Stampa sabato 7 agosto 2004.




30/06/15

Staccare i contatti.







C'è un pericolo imminente e io non so (o non posso) fermarmi. La cosa avviene oltre la mia disponibilità. Io sono impotente e non posso decidere nulla.

Il mio tentativo di fermare è risibile. Stavolta non ci sono scappatoie. E' stato deciso dall'Alto (o da Altro). Non posso ingegnarmi. Il cervello si scollega, stacca i contatti. E' il buio.

E' come una morte. Mi affido al buio senza nemmeno la possibilità di raccomandarmi con un'ultima preghiera. Sarà quel che sarà.

Ho paura e forse è meglio disconnettersi. In quel limbo buio non c'è niente, non è abitato. Io cado a corpo morto. Poi forse, ci si risveglierà.  Ma quando mi sveglierò sarà tutto diverso.

Dove sono ? Come sarò ? Sarò ancora lo stesso di prima ? Ritroverò tutti i pezzi di me stesso ? Come sarà il mio volto ? Questa disconnessione è stata in un certo senso propizia: non sentirò il dolore. Ma..come sarà quello che verrà dopo ? Sarà peggio del dolore ? O tutto finirà solo come finisce un brutto sogno ?

Fabrizio Falconi 

29/06/15

Grexit : la parola a Socrate .





Ho provato a chiedere a Socrate un parere sulla crisi greca - che i giornali ormai chiamano Grexit - sul conflitto Tsipras-Merkel, sul gioco dell'Unione Europea e del Fondo Monetario Internazionale, sulla quanto mai possibile uscita della Grecia dall'Europa.  
Ecco quello che, nel suo consueto stile affabulatorio e misterioso, ha detto:



La retorica, dunque, a quanto pare, è artefice di quella persuasione che induce a credere ma che non insegna nulla intorno al giusto e all'ingiusto. 

Accade invece che, quando ci si trovi in disaccordo su qualche punto, e quando l'uno non riconosca che l'altro parli bene e con chiarezza, ci si infuria, e ciascuno pensa che l'altro parli per invidia nei propri confronti, facendo a gara per avere la meglio e rinunciando alla ricerca sull'argomento proposto nella discussione

Dunque, il retore e la retorica si trovano in questa posizione rispetto a tutte le altre arti: non c'è alcun bisogno che sappia come stiano le cose in sé, ma occorre solo che trovi qualche congegno di persuasione, in modo da dare l'impressione, a gente che non sa, di saperne di più di coloro che sanno. 

Apposta noi ci procuriamo amici e figli! perché quando noi, divenuti più vecchi, cadiamo in errore, voi che siete più giovani, al nostro fianco, raddrizziate la nostra vita nelle opere e nelle parole

Se uno fa una cosa per un fine, non vuole la cosa che fa, bensì la cosa per cui fa quello che fa

Non bisogna invidiare chi non è degno di essere invidiato né gli sciagurati, ma averne piuttosto compassione. 

Io non preferirei né l'uno né l'altro; ma, se fosse necessario o commettere ingiustizia o subirla, sceglierei il subire ingiustizia piuttosto che il commetterla. 

I felici sono felici per il possesso della giustizia e della temperanza e gli infelici, infelici per il possesso della cattiveria. 

Anche un allevatore di asini, di cavalli e di buoi, che fosse tale quale Pericle fu, avrebbe la fama di essere un cattivo allevatore. 

Dai potenti vengono gli uomini più malvagi.


(Citazioni di Socrate, dal Gorgia di Platone). 

28/06/15

Gli orrori dei nostri tempi. Una pagina di Jung.



La moralità non è un malinteso escogitato da un ambizioso Mosè sul Monte Sinai, ma appartiene alle leggi della vita e risulta dal normale decorso della vita, come una casa o una nave o un altro strumento della civiltà. 

La normale corrente della libido, cioè appunto questo sentiero intermedio, significa una completa obbedienza alle leggi fondamentali della natura umana, e non si può stabilire alcun principio morale più alto della concordanza con le leggi naturali, dalla cui armonia deriva la direzione della libido nella quale consiste l'optimum della vita. 

L'optimum di vita non è rappresentato dal cupo egoismo; né l'uomo raggiungerà mai il suo optimum di vita attenendosi all'egoismo, giacché in fondo egli è fatto in modo che la gioia del prossimo, della quale egli è causa, costituisca per lui qualcosa di indispensabile.

E tanto meno l'optimum di vita può essere raggiunto per mezzo di uno sbrigliato impulso individualistico verso una superiorità di livello, giacché l'elemento collettivo è così forte nell'uomo che il suo anelito verso la società gli guasterebbe ogni gioia fondata sul puro egoismo.

L'optimum di vita può essere raggiunto solo obbedendo alle leggi che regolano il flusso della libido, le quali determinano il succedersi di sistole e diastole, che danno la gioia e la necessaria limitazione; le quali ordinano anche i compiti della vita, di natura individuale, senza il cui adempimento l'optimum di vita non potrà mai essere raggiunto. 

Ora, se il raggiungimento di questa via consistesse unicamente in un lasciarsi sospingere, appunto secondo un deprecato "naturalismo", la più profonda speculazione filosofica che la storia del pensiero conosca non avrebbe alcuna ragione d'essere.

Anche considerando di sfuggita la filosofia delle Upanisad si ha l'impressione che il raggiungimento del sentiero non sia un compito dei più facili.

Il tono di superiorità di noi occidentali di fronte alle concezioni indiane è frutto della nostra natura barbarica, ancora assai lontana dall'avere un'idea della loro straordinaria profondità e della loro sorprendente esattezza psicologica.

Noi siamo ancora così immaturi che abbiamo bisogno di leggi dall'esterno e di chi ci tenga a freno con la ferula (ossia di un padre) per poter sapere cosa è bene e pote agire correttamente.

Ed è perché siamo ancora così barbari che crediamo che la fiducia nelle leggi della natura umana e della via umana sia una specie di naturalismo pericoloso e immorale.  Perché ?

Perché nel barbaro sotto la scorza sottile dell'uomo civile spunta subito la bestia, e di questa bestia il barbaro ha giustamente paura. Ma non si domina la bestia limitandosi a chiuderla in una gabbia.

Non vi è moralità senza libertà. 

Se un barbaro lascia libera la bestia che è in lui, questo non è libertà ma esattamente l'opposto. Per poter essere liberi è necessario che prima la barbarie sia domata.

Ciò accade in linea di massima se il fondamento e la forza determinante della moralità sono avvertiti e sentiti dall'individuo come elementi costitutivi della sua stessa natura e non come limitazioni esteriori.  Ma come può l'uomo giungere a una tale sensibilità e perspicacia se non attraverso il conflitto degli opposti ?


Carl Gustav Jung, da Tipi psicologici, Edizione integrale di riferimento, Traduzione di Cesare L. Musatti e Luigi Aurigemma, Bollati Boringhieri Editore, Torino 2001, pag. 230-2. 

27/06/15

Il verso misterioso di Dante su Ugolino. Un meraviglioso piccolo saggio di Borges.



Riporto qui uno dei meravigliosi nove saggi danteschi di Jorge Luis Borges, pubblicati in Italia da Adelphi, dal titolo: Il falso problema di Ugolino.


Non ho letto (nessuno ha letto) tutti i commenti alla Commedia, ma ho l’impressione che, nel caso del famoso verso 75 del penultimo canto dell’Inferno, abbiano creato un problema che nasce da una confusione tra arte e realtà

In quel verso Ugolino da Pisa, dopo aver raccontato la morte dei figli nel Carcere della Fame, dice che la fame poté più che il dolore («Poscia, più che ‘l dolor, poté ‘l digiuno»). 

Da questo rimprovero devo escludere i commentatori antichi, per i quali il verso non è problematico, visto che tutti interpretano che non il dolore ma la fame poté uccidere Ugolino

Allo stesso modo intende Geoffrey Chaucer nel grossolano riassunto dell’episodio intercalato nel ciclo di Canterbury. 

Riconsideriamo la scena. Nel fondo glaciale del nono cerchio, Ugolino rode infinitamente la nuca di Ruggieri degli Ubaldini e si pulisce la bocca sanguinaria con i capelli del reprobo. Solleva la bocca, non il viso, dal feroce pasto e narra che Ruggieri lo ha tradito e incarcerato insieme ai figli. 

Attraverso l’angusta finestra della cella ha visto crescere e decrescere molte lune, fino alla notte in cui ha sognato che Ruggieri, con famelici mastini, cacciava sul fianco d’una montagna un lupo e i suoi lupacchiotti. 

All’alba sente i colpi del martello che spranga la porta della torre. Passano un giorno e una notte, in silenzio. Ugolino, spinto dal dolore, si morde le mani; i figli credono che lo faccia per fame e gli offrono la loro carne, che lui stesso ha generato. Tra il quinto e il sesto giorno li vede morire, ad uno ad uno. Poi diventa cieco e parla con i suoi morti e piange e li tasta nell’ombra; poi la fame poté più che il dolore. 

Ho detto quale significato danno a questo passo i primi commentatori. Così spiega Rambaldi da Imola nel XIV secolo: « come dicesse che la fame sconfisse colui che tanto dolore non aveva potuto vincere e uccidere»

Tra i moderni condividono tale opinione Francesco Torraca, Guido Vitali e Tommaso Casini. Il primo vede nelle parole di Ugolino stupore e rimorso; l’ultimo aggiunge: « moderni interpreti hanno invece fantasticato che Ugolino finisse cibandosi della carne dei figliuoli, che è contrario alla ragione della natura e della storia», e considera inutile la controversia.

Benedetto Croce la pensa come lui e sostiene che delle due interpretazioni la più coerente e verosimile è quella tradizionale. Bianchi, molto ragionevolmente, glossa: «Altri intendono che Ugolino mangiò la carne dei suoi figli, interpretazione improbabile ma che non è lecito scartare». 

Luigi Pietrobono (sul cui parere tornerò) dice che il verso è volutamente misterioso. Prima di intervenire, a mia volta, nell’ « inutile controversia», voglio soffermarmi un istante sull’offerta unanime dei figli. Questi pregano il padre di riprendere quelle carni da lui stesso generate: …tu ne vestisti queste misere carni, e tu le spoglia. Immagino che siffatte parole debbano causare un disagio sempre maggiore in chi le ammira. 

De Sanctis (Storia della letteratura italiana, IX) riflette sull’imprevista congiunzione di immagini eterogenee; D’Ovidio riconosce che « quest’espressione gagliarda e concettosa di un impeto filiale quasi incatena ogni libertà di critica». 

Quanto a me, penso che quella scena costituisca una delle rare falsità presenti nella Commedia. La giudico meno degna di quest’opera che della penna di Malvezzi o della venerazione di Gracián. 

Dante, mi dico, non poté non avvertirne la falsità, peraltro aggravata dal modo corale in cui i quattro bambini offrono, tutti assieme, il famelico convito. 

Qualcuno insinuerà che siamo di fronte a una menzogna di Ugolino, concepita per giustificare (per suggerire) il crimine commesso. 

 Il problema storico se Ugolino della Gherardesca abbia esercitato nei primi giorni di febbraio del 1289 il cannibalismo è, evidentemente, insolubile. Il problema estetico o letterario è di tutt’altra natura. Lo si può enunciare così: Dante ha voluto che pensassimo che Ugolino (l’Ugolino del suo Inferno, non quello storico) abbia mangiato la carne dei suoi figli? Arrischierei questa risposta: Dante ha voluto non che lo pensassimo, ma che lo sospettassimo (1).

L’incertezza è parte del suo disegno

Ugolino rode il cranio dell’arcivescovo; Ugolino sogna cani dalle zanne aguzze che dilaniano i fianchi del lupo («… e con l’agute scane / mi parea lor veder fender li fianchi»). Ugolino, spinto dal dolore, si morde la mani; Ugolino sente che i figli gli offrono inverosimilmente la loro carne; Ugolino, pronunciato l’ambiguo verso, torna a rodere il cranio dell’arcivescovo. Tali atti suggeriscono o simboleggiano il fatto atroce

Assolvono a una duplice funzione: li crediamo parte del racconto e sono profezie. Robert Luis Stevenson (Ethical Studies, 110) osserva che i personaggi di un libro sono filze di parole; a questo, per quanto blasfemo possa sembrarci, si riducono Achille e Peer Gynt, Robinson Crusoe e don Chisciotte. A questo anche i potenti che ressero la terra: una serie di parole è Alessandro e un’altra Attila. Di Ugolino dobbiamo dire che è una trama verbale, che consiste di una trentina di terzine.

Dobbiamo includere in quella trama l’idea di cannibalismo? Dobbiamo sospettarla, ripeto, con incertezza e timore. Negare o affermare il mostruoso delitto di Ugolino è meno tremendo che intravederlo

L’asserzione « un libro è le parole che lo compongono » rischia di sembrare un assioma banale. Eppure, siamo tutti propensi a credere che vi sia una forma separabile dal contenuto e che dieci minuti di dialogo con Henry James ci rivelerebbero il «vero » tema del Giro di vite. Penso che non sia così; penso che di Ugolino Dante non abbia mai saputo molto più di quanto non dicano le sue terzine

Schopenhauer ha dichiarato che il primo volume della sua opera capitale consiste di un solo pensiero e che non aveva trovato un modo più breve per trasmetterlo. 

Dante, al contrario, direbbe che quanto ha immaginato di Ugolino sta tutto nelle controverse terzine. 

Nel tempo reale, nella storia, ogni volta che un uomo si trova di fronte a più alternative opta per una di esse ed elimina e perde le altre; non è così nell’ambiguo tempo dell’arte, che assomiglia a quello della speranza o a quello dell’oblio. 

Amleto, in quel particolare tempo, è assennato ed è pazzo (2).

Nella tenebra della sua Torre della Fame, Ugolino divora e non divora gli amati cadaveri, e questa oscillante imprecisione, questa incertezza è la strana materia di cui è fatto. Così, con due possibili agonie, lo ha sognato Dante e così lo sogneranno le generazioni future.


J.L. Borges, tratto da Nove saggi danteschi (Adelphi, 2001)

 __________________________ 

 (1) Luigi Pietrobono osserva (Inferno, p. 47) « che il digiuno non afferma la colpa di Ugolino, ma la lascia indovinare senza scapito dell’arte o del rigore storico. Basta che la giudichiamo possibile». (2) A titolo di curiosità vanno ricordate due ambiguità famose. La prima, « la sangrienta luna » di Quevedo, che è al tempo stesso quella dei campi di battaglia e quella della bandiera ottomana; la seconda, la «mortal moon» del sonetto 107 di Shakespeare, che è la luna del cielo e la Regina Vergine.

26/06/15

La mia vita è un mistero. Una riflessione.


La mia vita – come quella di ogni naufrago occidentale in questo inizio millennio – si basa su due presupposti errati.

Il primo è quello che la mia vita psichica, cioè quello che succede dentro la mia mente, attimo per attimo, mentre sono vivo, sia completamente SEPARATO dalla vita fisica, da quello cioè che succede intorno a me nel mondo. 

Penso che ognuno di noi, se ci riflette per un istante, sa che esiste una connessione molto stretta tra quello che pensa e quello che accade intorno a lui. Ne abbiamo molte prove. 

E ormai abbiamo dato nomi stabili a fenomeni, come la psico-somatica, l’omeopatia, la medicina ayurvedica, che ci dimostrano ad esempio che esiste una stretta correlazione tra il nostro stato psichico e la salute del nostro corpo. 

Io ho avuto molte dimostrazioni di questo nella mia vita, osservando me e gli altri. Un solo esempio: mia madre, che ha goduto di una salute perfetta per tutta la vita – mai un giorno al letto, nemmeno per un’influenza – si ammalò in un periodo di profonda depressione psichica. Lamentava un forte dolore all’orecchio. 

I medici si arrovellarono a lungo per capire quale era il suo problema, finché non scoprirono che aveva contratto un rarissimo batterio che – ci dissero – si può contrarre soltanto nelle sale operatorie con ferri non sterilizzati. 

Ovvio che mia madre non avesse mai messo piede in una sala operatoria (se si escludono i parti, decine di anni prima). La scienza ancora non sa nulla di come funziona il rapporto tra psiche e corpo. La medicina usa la parola stress – come si definisce scientificamente ? – quando non sa trovare un motivo valido perché una persona si ammali. 

Ma cos’è lo stress ? Cos’è la depressione ? E perché quando siamo di buon umore le cose sembrano andare meglio,  gli altri si accorgono di noi, abbiamo ‘fortuna’, e quando siamo stanchi sfiduciati e depressi, tutto va male, e il destino sembra accanirsi ? Mistero. 

Quel che il pensiero filosofico – e ultimamente anche quello della fisica moderna – sospetta è che la nostra percezione del mondo esterno sia molto strettamente legata all’essenza del mondo stesso. 

Senza arrivare all’eccesso di George Berkeley, il quale arrivò ad escludere l'esistenza assoluta delle cose: secondo il teologo irlandese infatti tutto ciò che esiste è o idea o spirito, quindi le cose non sono altro che le idee. Ma siamo sicuri che si sbagliasse ? Che prove ne abbiamo ?

Eppure, nonostante questo io – come tutti noi – mi continuo a comportare, nella mia vita di tutti i giorni, come se la mia mente fosse qualcosa di separato dal mondo.

Il secondo presupposto errato, sul quale si basa la mia vita, è che tutto quanto accade nella vita, si basa su un principio di stretta CAUSALITA’

Tutta la mia vita di uomo occidentale è governata dalla convinzione che ogni azione (della mia vita) causa una reazione, e ogni stimolo una risposta. Siamo talmente pervasi da questa mentalità, che qualsiasi cosa accade nella nostra vita, l’unica domanda che ci interessa è : “perché è successa ? da cosa dipende ? cosa ho fatto io ? O cosa non ho fatto ? “ 

Ci piace molto ragionare così perché in questo modo abbiamo la sensazione – che ci sembra confortante – di essere sempre in grado di controllare la situazione, di staccarci dal mondo esterno e di poter influire su di esso. 

Senonché questa convinzione viene continuamente minata, nella nostra vita, da eventi e cose che non possiamo controllare e che semplicemente ‘accadono’.

Il nostro atteggiamento allora è quello di assorbire questi eventi e cercare di sistemarli – se ci riusciamo – in un ordine di senso. Ma questo è molto limitato. 

Nella mia vita – come, immagino nella vita di tutti, se soltanto ci riflettete un attimo – sono capitati eventi ‘casuali’ che noi chiamiamo ‘coincidenze’, che hanno profondamente segnato il nostro cammino. Avvenimenti che NON HANNO UNA CAUSA. Dovevo andare al mare. Ma era brutto tempo. Ho cambiato strada, sono entrata in un negozio e lì ho trovato casualmente l’uomo della mia vita. Mi sono messa a parlare ‘casualmente’ con lui e … Chi è che ha ‘causato’ questo evento ? Nessuno. Eppure è successo. 

Sono quelle che Carl Gustav Jung chiamò con il termine – successivamente divenuto molto popolare – di ‘sincronicità’: eventi a-causali, senza una causa specifica, che si accompagnano a profonde esperienze emotive, e – di solito – a cambiamenti di vita importanti. 

Perché accadono queste ‘sincronicità’ ? Cosa vogliono da me ? Cosa mi raccontano ? E perché quello che accade nella mia mente è così importante, rispetto al mondo ? Mistero. Decisamente, la mia vita è un mistero. Soltanto che, troppo spesso, me ne dimentico. E vivo, come un naufrago di inizio millennio, come se tutto fosse scontato e tristemente chiaro. 


 Fabrizio Falconi - riproduzione riservata (C)(Foto in testa tratta da 'Solaris' di Andrej Tarkovskij).

24/06/15

La poesia di Letizia Dimartino - "Stanze con case."




Mi piace molto la poesia di Letizia Dimartino.

Nata a Messina nel 1953, vive a Ragusa e ha pubblicato nel 2001 la sua prima raccolta di poesie, Verso un mare oscuro (Ibiskos), seguita nel 2003 da Differenze (Manni) e, nel 2007, da Oltre (Archilibri). Nel 2010 è uscito La voce chiama per Archilibri. La silloge Cose, tratta da La voce chiama, è stata pubblicata sull'Almanacco dello Specchio 2009 (Mondadori).

A maggio 2012 è uscito per Ladolfi Editore Ultima stagione e nel 2015 questo Stanze con case, testo di rara compattezza emotiva e stilistica.

Come scrive Giuliana Sica nella prefazione, lo spazio di Letizia, in queste poesie è la stanza, che è al tempo stesso lingua e tempo, nient'altro che lingua dell'infanzia... arco che unisce il passato al presente, teso dall'infanzia alla maturità, dall'origine alle ore, ai giorni e alle stagioni presenti e già fugaci.

In questi versi trovo intensità, trovo una magia temporale che tutto avvolge e tutto dipana in avanti e al contrario. Trovo una profonda meditazione sul vuoto e pieno, sulla mirabile pienezza della esistenza umana, e allo stesso tempo della sua disarmante fragilità.

Il tempo delle tre case, delle preghiere che si fanno melodia, dei piccoli gesti e simboli ignoti, del mistero che avvolge lo scorrere dei giorni, il riposo e la veglia delle notti, il mistero doloroso e il mistero gaudioso dell'amore, come diceva Elsa Morante.

trascrivo una delle poesie (pag.22).


Silverio ascolta, io vivo in una noce
nodosa. Nessuno che dia quel colpo
il suono deciso, il crac del legno. Ne uscirei
come da conchiglia, col flutto dell’onda.

Potremo ridere, pensare
che siamo lontani nella bolla.
Finché esisterà questa finestra
sarò bambina: le gonne che fanno la ruota
il vestito dal fiore giallo – non buttarlo mai –

le sere dell’Eterno riposo. Uno per ognuno.
Non scordare nessuno. La luce perpetua
risplenda, mamma guardava la porta della stanza
come dovesse spuntare d’un tratto col cappotto
chiuso nel collo, la borsa della spesa, i vetri degli occhiali
rigati dalla pioggia.

Il mio riposo è eterno già da tempo. Nella rima lo dico
e tu stai ad ascoltare.

Noi fummo folli.



Letizia Dimartino, da 'Stanze con Case', Giuliano Ladolfi editore, 2015.