Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti.
100 film da salvare alla fine del mondo: 63. "Roma" di Alfonso Cuaròn, 2018
Era da tantissimo tempo, più o meno da 35 anni, che non mi capitava, al cinema, di veder girare, di veder muovere la macchina da presa, di veder fotografare un film, come faceva Andrej Tarkovskij.
E' l'unico paragone - e direi quello definitivo - che mi è venuto, guardando il film del messicano Alfonso Cuaròn, che ha fatto incetta di premi in tutto il mondo (compreso l'Oscar 2018 per il miglior film straniero e 10 candidature complessive), affascinando pubblico e critica con una pellicola che - essendo stata prodotta interamente da Netflix - è stata distribuita solo per qualche giorno nei cinema (purtroppo) ed è stata poi universalmente vista mediante streaming.
Cuaròn ha scritto e girato una storia molto semplice, di chiarezza esemplare, e universale. Girandola con una fotografia stupefacente, in un bianco e nero scintillante e argenteo, con lenti o lentissimi movimenti di camera, pochissimi (quasi nessuno) primi piani, continue carrellate, con un senso dell'inquadratura incredibile, in cui ogni taglio diventa perfetto, incornicia un pezzo di realtà significante nella vita - apparentemente insignificante - di un gruppo di persone, che compongono una famiglia.
Un senso della visione orizzontale e verticale. Tutto in questa storia e in questo racconto è allo zenit. Tutto è come sotto una lente, che amplifica e scalda.
Al punto che chi osserva resta soggiogato, diventa parte della storia e della pellicola, perdendo la distanza che esiste tra osservatore e osservato. Si è immersi in una altra dimensione. I sensi restano vigili, allerta, l'emozione è palpitante, non si può che essere trasportati dentro (non con) quello che succede sullo schermo.
ROMA Era da tantissimo tempo, più o meno da 35 anni, che non mi capitava, al cinema, di veder girare, di veder muovere la macchina da presa, di veder fotografare un film, come faceva Andrej Tarkovskij.
E' l'unico paragone - e direi quello definitivo - che mi è venuto, guardando il film del messicano Alfonso Cuaròn, che ha fatto incetta di premi in tutto il mondo (compreso l'Oscar 2018 per il miglior film straniero e 10 candidature complessive), affascinando pubblico e critica con una pellicola che - essendo stata prodotta interamente da Netflix - è stata distribuita solo per qualche giorno nei cinema (purtroppo) ed è stata poi universalmente vista mediante streaming.
Cuaròn ha scritto e girato una storia molto semplice, di chiarezza esemplare, e universale. Girandola con una fotografia stupefacente, in un bianco e nero scintillante e argenteo, con lenti o lentissimi movimenti di camera, pochissimi (quasi nessuno) primi piani, continue carrellate, con un senso dell'inquadratura incredibile, in cui ogni taglio diventa perfetto, incornicia un pezzo di realtà significante nella vita - apparentemente insignificante - di un gruppo di persone, che compongono una famiglia.
Un senso della visione orizzontale e verticale. Tutto in questa storia e in questo racconto è allo zenit. Tutto è come sotto una lente, che amplifica e scalda.
Al punto che chi osserva resta soggiogato, diventa parte della storia e della pellicola, perdendo la distanza che esiste tra osservatore e osservato. Si è immersi in una altra dimensione. I sensi restano vigili, allerta, l'emozione è palpitante, non si può che essere trasportati dentro (non con) quello che succede sullo schermo.
Regia di Alfonso Cuarón.
Mexico, Usa, 2018
con Yalitza Aparicio, Marina de Tavira, Marco Graf, Daniela Demesa, Diego Cortina Autrey.
durata 135 minuti
Qui sotto la trama, con avvertenza di spoiler, per chi deve vedere ancora il film:
Gli eventi del film si svolgono nel 1970 e nel 1971, prevalentemente a Città del Messico. Cleo è una domestica nella casa di Sofia, suo marito Antonio, i loro quattro bambini piccoli, la madre di Sofia, Teresa e un'altra cameriera, Adela.
Tra scene della vita di Cleo con la famiglia - la pulizia, la cucina, portare i bambini a scuola, servire i pasti, mettere a letto i bambini e svegliarli - diventa chiaro che il matrimonio tra Sofia e Antonio è teso, fino a quando Antonio, medico, parte per due settimane per recarsi ad una conferenza in Québec. In realtà non tornerà alla fine del viaggio, ma Sofia tiene nascosto il suo allontanamento ai bambini, dicendo loro che il viaggio si è prolungato.
Nel loro tempo libero Cleo e Adela escono con i loro fidanzati, Fermín e Ramón, per andare al cinema. All'ingresso, però, Cleo e Fermín decidono di non vedere il film, ma di affittare una stanza per appartarsi. Fermín, mentre è nudo, mostra la sua abilità nelle arti marziali, usando come asta il bastone della tenda della doccia, raccontando che quella disciplina gli ha salvato la vita. Nell'appuntamento successivo Cleo e Fermín vanno al cinema e a un certo punto la ragazza dice che pensa di essere incinta; l'uomo dice di recarsi al bagno, ma non ritorna, e all'uscita del cinema Cleo rimane sola. Temendo di essere licenziata, rivela con preoccupazione la situazione a Sofia, che invece la sostiene e la porta a farsi visitare all'ospedale da una collega del marito Antonio, che conferma la gravidanza della ragazza
Arrivano le feste natalizie e Sofia porta Cleo, insieme ai suoi figli, nell'hacienda di un amico di famiglia per il Capodanno. Sia i proprietari terrieri che i lavoratori menzionano le recenti tensioni nella zona. Durante le celebrazioni, nella foresta scoppia un incendio. Tutti aiutano a spegnere il fuoco, mentre un uomo canta in primo piano. Di ritorno in città, mentre Cleo accompagna i bambini e la loro nonna al cinema, si vede Antonio correre nella direzione opposta insieme ad una giovane donna. Sofia continua a non rivelare ai bambini l'abbandono di Antonio, ma il figlio maggiore lo scopre ascoltando una conversazione telefonica. A quel punto Sofia gli chiede di non dirlo ai suoi fratelli più piccoli, che credono che il loro padre sia ancora in viaggio per affari in Canada.
Chiedendo aiuto al fidanzato di Adela, Cleo si reca da Fermín durante una lezione di arti marziali all'aperto, lo aspetta e gli conferma che il figlio è suo, ma lui rifiuta di riconoscere il bambino, insultandola e minacciandola. Teresa porta Cleo ad acquistare una culla per il suo bambino, in una zona della città dove gli studenti stanno protestando per le strade. Mentre sono in negozio, le proteste in strada si trasformano in scontri violenti tra manifestanti e un gruppo paramilitare, Los Halcones. Un uomo e una donna entrano nel negozio chiedendo aiuto e cercando di nascondersi, inseguiti subito dopo da altri uomini armati, che li trovano e uccidono brutalmente l'uomo a colpi di pistola. I clienti del negozio si riparano terrorizzati, e uno degli inseguitori armati si rivela essere Fermín, che, prima di scappare richiamato dagli altri, guarda Cleo per qualche istante. Proprio in quel momento, per lo spavento e lo shock della scoperta, a Cleo si rompono le acque.
Cleo, Teresa e il loro autista cercano di raggiungere rapidamente l'ospedale, ma sono ostacolati dalla violenza nelle strade e da un ingorgo automobilistico. Arrivano dopo due ore e Cleo viene portata d'urgenza in sala parto. Antonio la vede e va a rassicurarla, ma con una scusa evita di stare con lei. I medici, non rilevando tracce di battito cardiaco nell'utero di Cleo, la portano in sala operatoria, dove le fanno partorire una bambina che nasce morta, nonostante vari tentativi per rianimarla. Il dottore porge il corpo senza vita della bambina a Cleo, che lo abbraccia in lacrime e non vorrebbe staccarsene, ma dopo qualche istante il medico glielo toglie per preparare il cadavere.
Qualche tempo dopo Sofia organizza una gita in famiglia alle spiagge di Veracruz e chiede a Cleo di andare anche lei. Arrivati al mare, durante la cena Sofia dice ai bambini che lei e il loro padre si sono separati, e che il viaggio è stato fatto in modo che il padre potesse prendere le sue cose e portarle via dalla loro casa. Il giorno dopo, sulla spiaggia, Sofia si allontana in mare con il bambino più grande e lascia gli altri alla custodia di Cleo anche se quest'ultima non sa nuotare. Mentre Cleo asciuga uno dei bambini sotto l'ombrellone, i due bambini più piccoli in acqua vengono allontanati dalle onde. Cleo entra nell'acqua impetuosa dell'oceano per cercare di recuperarli, e riesce a salvarli riportandoli a riva. Sofia ringrazia la ragazza e tutti la abbracciano piangenti e affermano il loro affetto per lei; Cleo, commossa e provata dal grave pericolo scampato, rivela loro che non avrebbe voluto il bambino, liberandosi così dall'intenso senso di colpa che provava.
Ritornati a casa in città, nonostante i mobili e le suppellettili mancanti rimosse dal padre, i bambini sono contenti per le camere da letto riassegnate loro dalla nonna. Anche Sofia è di buon umore e Cleo ritrova l'amica Adela, alla quale dice che deve raccontare tante cose.
In una lunga scena finale, sulla quale scorrono i titoli di coda, mentre Cleo sale le scale esterne, si vede uno scorcio di cielo in cui passa un aeroplano, l'aeroplano che si era già visto specchiato nell'acqua con cui Cleo lava il pavimento nella scena di apertura. Si può cogliere la metafora, che indica la divisione fra le classi privilegiate che viaggiano in aeroplano e fanno parte di una società internazionale, e le classi subalterne, la cui vita si svolge nel compimento di mansioni ordinarie entro un orizzonte limitato.
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