Un restauro esemplare, ancora oggi in
ottime condizioni, quello che 40 anni fa restitui'
all'originario splendore il gruppo marmoreo della Pieta' di
Michelangelo dopo le 12 martellate inferte il 21 maggio 1972 dal
geologo australiano di origini ungheresi Laszlo Toth sul volto e
sul busto della Vergine.
A consentire (in soli sei mesi) il
recupero almeno formale del capolavoro giovanile del Buonarroti
contribui' senza dubbio l'esistenza di un calco in gesso, fatto
auspicabile per tutte le opere d'arte a rischio di gesti
vandalici e che al giorno d'oggi puo' essere sostituito dalla
messa a punto di piu' economici modelli virtuali in 3D.
A discuterne, un convegno dal titolo 'La Pieta' di San
Pietro, in memoria del 21 maggio 1972. Storia di un restauro',
che nell'anniversario della vicenda che sconvolse il mondo
intero ha riunito ai Musei Vaticani gli esperti che a suo tempo
si occuparono del caso e le nuove generazioni di studiosi per
proporre ulteriori strategie per mirati interventi di recupero.
Prima di tutto, pero', l'incontro presieduto dal direttore dei
Musei Vaticani Antonio Paolucci ha voluto indagare ancora una
volta la magia sprigionata da quel marmo che sotto lo scalpello
di Michelangelo si e' fatto carne.
"Miracolo di suprema
bravura", tanto da volerla firmare, la Pieta' del Buonarroti,
ha detto Paolucci, vede nella sua straordinaria "finitezza
formale il carattere distintivo dell'opera, la ragione del suo
fascino".
Proprio questa caratteristica ha imposto, dopo la
devastazione inflitta dalle martellate di Toth (spezzato il
braccio di Maria, la mano, le dita, parte del velo, l'occhio
sinistro, il naso), di contravvenire a principi consacrati del
restauro e optare per un intervento integrale invece che
critico.
"Lo stesso Cesare Brandi la pensava cosi' - ha proseguito
Paolucci - in qualsiasi altra scultura la visibilità della
lesione, ancorché dolorosa, sarebbe stata tollerabile", ma il
capolavoro firmato nel 1499 da un Michelangelo appena
ventiquattrenne era da secoli una "figura base della devozione
popolare".
Grazie a una copia in gesso dell'opera realizzata
nel 1930 e conservata nella Sagrestia della basilica, i
restauratori dei Musei Vaticani e della Fabbrica di San Pietro
poterono puntare "alla restituzione perfettamente mimetica
dell'immagine violata".
Sei mesi di lavori, raccontati nel
documentario del regista Brando Giordani (co-produzione dei
servizi culturali Rai e della Ds Cinematografica, oggi in
versione Hd) riproposto in apertura del convegno, in cui vennero
recuperati i circa 50 frammenti, realizzato un mastice
trasparente, ripulito il marmo, colmate tutte le lacune con
precisione millimetrica.
"Attualmente il restauro sta bene, e'
duraturo - dice Nazareno Gabrielli dei Musei Vaticani - nella
forma ora tutto cio' che vediamo e' Michelangelo. Quel calco fu
provvidenziale". "Oggi non avremmo potuto fare di meglio",
conclude Ulderico Santamaria, nuova generazione di restauratori
che ipotizza una 'Gipsoteca virtuale', dove la tecnologia
tridimensionale sostituisca il calco in gesso.
fonte ANSA - Nicoletta Castagni.
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