Prefazione di Robert Pogue Harrison al volume Poesie 1996-2007 di F.Falconi, Campanotto Editore, 2008.
Il filosofo americano Ralph Waldo Emerson inizia il suo saggio L’esperienza con una domanda: “dove ci troviamo?” È una domanda disorientante, innanzitutto a causa dell’uso della prima persona plurale. Questo “ci” si riferisce ad un soggetto collettivo impersonale? Alla comunità dei lettori di Emerson? Ai suoi compatrioti? È solo quando si arriva alla fine del saggio che si comincia a capire che pochi di noi si fanno questa domanda in modo serio, sin quando non riusciamo a renderci conto del fatto che siamo, in effetti, persi.
Quando leggo e
rileggo le poesie di Fabrizio Falconi in questa raccolta, ho la sensazione che
queste poesie rispondono ad una domanda simile – Dove ci troviamo? –
quasi come se quella domanda fosse una cassa armonica nella quale le poesie
risuonano. Nel caso di Falconi, la
domanda sembra avere una inflessione
distintamente storica: Dove ci troviamo
in questo momento nel tempo, in questo momento della storia? Il “ci” qui si nasconde dietro la maschera
del soggetto personale, il così-detto “io” lirico. Dico che si nasconde dietro quella maschera
perchè l’ “io” lirico qui sembra alla fine
parlare per tutti quei poeti italiani, che, come Falconi, guardano alla
tradizione poetica lasciata alle spalle,
della quale sono presumibilmente gli eredi, e vedono davanti un nuovo
millennio nel quale il passato non
mostrerà necessariamente una via attuabile.
Il primo verso
della prima poesia del primo volume della poesia di Falconi dichiara: Vieni nei miei passi falsi. Con questo verso di apertura entriamo
come iniziati dentro l’ombra del
ritorno. Quest’ombra è
decisamente infestata dai fantasmi. È,
tra le altre cose, l’ombra degli antenati.
E quanti antenati tornano qui!
Quando Falconi parla dei suoi passi falsi, è impossibile non
vederlo come uno che segue i passi di molti
predecessori, sopratutto Dante, i cui passi erranti lo condussero alla selva oscura dell’Inferno,
1. È ugualmente impossibile non pensare
ai famosi passi falsi del Canzoniere di Petrarca. E poi c’è questa ingiunzione: Vieni. Questa seconda persona singolare evoca anche
l’ombra di Montale. Man mano che si
procede nella lettura, si avvertono numerosi gli echi di poeti come Ungaretti e
Leopardi. Dove ci troviamo? Ne L’Ombra
del ritorno Falconi risponde: nell’ombra gettata dal predecessore.
In inglese si
direbbe che Falconi deliberatamente consente alle sue prime poesie di essere overshadowed
dal predecessore. Ma questo non è
esattamente il suo idioma. Lui parla,
invece, di quell’indelebile geranio da balcone, / scivolata tutta la vita, /
staccata, / mangiata dalla terra. Questo
è un geranio che cresce in una terra che ha ospitato un enormità di vita
precedente. Ed è in questa terra
essiccata, esposta ad un sole impietoso, che la poesia alla fine del ventesimo
secolo si trova radicata, in fin dei conti.
La poesia di Falconi si presenta
precisamente come un geranio / consunto dagli anni – un geranio
che non è vecchio in sé, ma che si trova a crescere in una terra talmente
anziana da essere quasi esausta.
Nel suo rifiuto
di morire, questo geranio della poesia italiana contemporanea prova nuovi
colori: tenta nuovi colori, / nella
stessa morta terra. Se un poeta può
produrre nuovi colori in una terra quasi morta, questo è un trionfo
significativo. E non c’è dubbio che L’Ombra
del ritorno rappresenta un trionfo, precisamente perchè i suoi colori nuovi
non sono forzati. Meglio un grigio
indistinto che i colori artificiali che si trovano in tanta poesia oggi. L’Ombra del ritorno ci rivela quanto è
difficile produrre colori genuinamente nuovi in una terra del genere. Le immagini qui sono spesso solo contorni o
ombre che sono visibili solo perchè sono illuminati o da un lampo improvviso o
da una luce persistente ma morente (come
per esempio in Come scende la
sera qui). Fuori dall’ombra incolore
lo sguardo del poeta a volte trova un colore esuberante. Di solito è messo in evidenza da una metafora
- per esempio i lampi in luminoso corteo - che ricorda tanto Montale, e che presta a Falconi
la luce momentanea per un’immagine poetica fuggente ( l’azzura frana delle
ore, etc.). La riuscita della poesia di Falconi si trova nella intensità
straordinaria delle immagini e nella straordinaria precisione linguistica con
la quale trascrive tali momenti di lucidità spirituale.
Montale è
l’antenato predominante che torna nelle prime poesie di Falconi. Come Montale, Falconi sembra preferire l’accecante
luce del mezzogiorno (p.25) e il calore pesante di agosto (p.32),
che lasciano poche ombre, ma allo stesso tempo questa luce meridionale e
schiacciante lascia il poeta con un desiderio di ombra, come luogo di riposo e riparo. Forse è per questo
che le immagini del mezzogiorno sono mischiate con immagini del crepuscolo e
della notte. In questo immaginario, dove
i colori e gli oggetti diventano relativamente indistinguibili, si trovano le
ombre del Crepuscolarismo presenti in questa prima raccolta.
Il mondo poetico
che Falconi ha eredito dai suoi vari predecessori è diventato col tempo un
paesaggio incolore nel quale il poeta deve sforzarsi di ricreare la vita del
passato e infonderla dentro una vita nuova.
Questa ri-creazione è anche un ritorno, in un certo senso. L’Ombra del Ritorno si conclude con un
trio di poesie che guardano avanti, al nuovo millennio. Qui l’importanza della memoria diventa la
chiave per capire l’ennui crepuscolare di essere in un mondo
monocromatico.
Non vogliamo ricordare il passato, dichiara,
perchè abbiamo un terribile senso di colpa, però senza memoria saremo condannati a non abitare lo stesso mondo morente del predecessore e
saremo destinati a ripetere meccanicamente o senza pensiero i loro passi
falsi. Questa è la sfida formidabile
che L’Ombra del Ritorno affronta:
la sfida di riappropriarsi del passato senza ripudiarlo e nemmeno
semplicemente riproducendolo.
Le nuove poesie
cha accompagnano questo volume (Le finestre verdi) sono molto più
fiduciose di sé, in voce e in
registro. Falconi prende le distanze
sempre di più dagli oggetti del mondo quotidiano, con i loro colori sbiaditi e
la loro vitalità esausta. Del resto è
però ancora ossessionato dal peso della
memoria, e dalla persistenza evanescente dell’ombra. In queste poesie le immagini sono dominate da
una mescolanza libera di colori, come nella poesia Rua da janelas verdas , e
dai vortici di vento, pioggia e altri fenomeni naturali, i quali confondono la
memoria del poeta che cerca di comunicare quel che vede. Ombre si manifestano ancora, però qui esse
non sono lo sfondo indifferente a visioni epifaniche di colore o di
bellezza. Come scrive in Il contempo
degli ossessi
ora il mondo è cambiato
si soffre
nell’ombra, e non si spera.
Si sverna senza gioia
al canto friabile
di infelicità tutte uguali.
C’è una sensazione pervadente
di perdita nelle descrizioni di vita e
di creazione. Nella creazione poetica il
poeta perde qualcosa di irrecuperabile,
che cerca continuamente di rianimare su un nuovo terreno, in opposizione
alla “stessa morta terra” dell’ Ombra del Ritorno:
Vivere è perdere
ogni giorno un poco di sé
ogni giorno un poco di sé
e ricrearlo nuovo
in un altrove sconosciuto
La
morte e l’assenza sono altri temi che percorrono queste poesie
metafisiche. Se, ne L’ombra del
Ritorno, un geranio lottava per sopravvivere nella terra morta di un vaso
precariamente posto su un balcone rotto, ne Le finestre verdi i fiori
sono segni di assenza in un giardino silenzioso e irreale; i loro frutti sono
rovi spinosi. Il poeta può solo
ricordarsi dei “gioiosi ritorni,” non può avere l’esperienza di questi come
avventure poetiche. In breve, questi
ritorni appartengono alla memoria, non all’esperienza. O, per dirlo in un modo ancora diverso: la memoria qui è un ricordo dell’assenza, non
il recupero di una presenza impossibile.
La
penultima poesia di Le finestre verdi descrive un fiume che scorre sotto
le tombe dei morti, aiutando i loro cadaveri a fertilizzare nuovamente la terra
e a collegare i morti con il mondo dei vivi.
Nuove possibilità nascono da un arricchimento tale. Il terrore del poeta qui è che a causa del
fallimento della sua memoria poetica, possa fallire anche lo scorrimento
di questo fiume, possa fallire anche il
conseguente collegamento tra i vivi e i morti.
È questo terrore che conferisce alle nuove poesie la loro
intensità. Ma l’altra faccia di questo
terrore è speranza – la speranza che la poesia abbia ancora il potere di
permettere ai morti di rivitalizzare la terra dalla quale i nostri mondi e le
nostre parole traggono vita. Le poesie
di Falconi traggono vita da questa stessa fonte humica, che trasforma il
mondo, oltre le nostre finestre, in
verde.
bellissima ampia poetica lettura delle tue poesie, Fabrizio
RispondiElimina"La riuscita della poesia di Falconi si trova nella intensità straordinaria delle immagini e nella straordinaria precisione linguistica con la quale trascrive tali momenti di lucidità spirituale"
Dunque le tue poesie trovano la loro collocazione tra grandi nomi perché
" traggono vita da questa stessa fonte humica, che trasforma il mondo, oltre le nostre finestre, in verde."
un grande verdissimo abbraccio
Filomena
Grazie Filomena,
RispondiEliminasei fin troppo generosa. Un abbraccio "verdissimo" anche a te.