22/10/25

“HO LETTO TUTTO GUERRA E PACE. PARLA DELLA RUSSIA" (La sparizione dei lettori)

 



“HO LETTO TUTTO GUERRA E PACE. PARLA DELLA RUSSIA.”

(La sparizione dei lettori)

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un post pubblicato su un social dove veniva riportata una certa citazione attribuita a un grande regista.

Siccome conosco bene i film di quel grande regista e ho letto in passato parecchi libri scritti da lui o su di lui, quella citazione mi è sembrata subito strana e mi è venuta la curiosità di andarla a cercare nel libro - la famosa autobiografia di quel grande regista - che ho a casa.

Subito è salito lo smarrimento. Come potevo rintracciare l’esistenza di quella data citazione in un libro che (all’epoca) non avevo nemmeno sottolineato? Dopo lo tsunami tecno-digitale che ci ha investito tutti, dai vecchi boomers ai nativi digitali, il nostro cervello partirebbe in automatico e vorrebbe cliccare sul pulsante “cerca” per trovare le parole chiave di quella citazione.

Soltanto che sui libri cartacei non funziona così. ... Ideona! Chiediamo a Kindle! Se esiste una versione digitale del libro, ci mettiamo un attimo. Solo che... il download della versione Kindle del libro costa 8.99 euro. E spendere 9 euro per trovare (o non trovare) una certa citazione in un libro che già posseggo mi sembra francamente troppo.

La sera mi metto di buzzo buono per vincere la partita e scelgo di sfogliarmi TUTTO il libro, pagina per pagina, alla ricerca della citazione sospetta (facilitato dalla presenza, nella citazione di nomi propri con la maiuscola che dovrebbero risaltare nello sguardo volante sulle pagine). Per la cronaca: la citazione al 99.90 per cento non c’è. Come sospettavo. Ma mi ci è voluta quasi un’ora per verificare di persona.

Questo minimale episodio però ha aperto un mondo sulla consapevolezza di quanto è (o meglio, sarebbe) ed era faticoso leggere. Leggere per davvero, cioè conoscere. Memorizzare. Ricordare, studiare. Insomma, far vivere un testo dentro se stessi. Leggere veramente, leggere per davvero.

Chi è oggi che legge? Si certo, lo facciamo tutti. Tutti rispondono col ditino alzato: “io leggo”. Ma cosa leggiamo esattamente? E soprattutto “come” leggiamo? Qual è la qualità della/e nostra/e lettura/e che si svolge/ono in gran parte on line o su dispositivi digitali (articoli, citazioni, meme, fatterelli e fatti, disquisizioni politiche, ecc.. ecc...).

Mi è tornata in mente la celebre battuta di Woody Allen:

“Ho fatto un corso di lettura veloce. Ho letto ‘Guerra e Pace’, ci ho messo venti minuti: parla della Russia.”

Tutti sono diventati lettori alla “Woody Allen”. In ogni sito online ormai c’è ben riportato, in calce all’articolo, il “tempo di lettura”. Così uno lo sa prima e si prepara: vuoi leggere sto pezzo? Tre minuti del tuo tempo, please. 180 secondi.

Già troppi, perché interrompono lo scroll permanente, titillo irresistibile della modernità.

Durante lo scroll, non si legge niente. Si scorre, appunto e basta. E’ come essere in piedi dentro la corrente di un fiume che passa. Sì, ogni tanto riconosciamo un pesce sotto l’acqua, un tronco secco che passa, qualcosa si ferma per un secondo, ma poi passa, velocemente passa, tutto passa e la giornata è quasi finita.

I libri sono passati di moda perché non scorrono. Ci vuole pazienza, determinazione e soprattutto tempo. Attenzione. Chi ce l’ha più? E’ così bello lasciarsi carezzare le gambe dal flusso della corrente.

Non fidatevi di quelli che dicono che tanto oggi si legge lo stesso ed è cambiato solo “il mezzo”. Se la cantano e se la suonano. E’ bullshit, come dicono gli americani ogni 30 secondi nelle serie tv. Cazzate.

Non è cambiato solo il mezzo, è cambiato - sta cambiando - il cervello delle persone, giorno dopo giorno, ora dopo ora. Il cervello, l’organo più malleabile che abbiamo, il più adattativo, il più furbo.

La conoscenza che viene e che verrà sarà quella dei supercomputeroni a cui stiamo consegnando quel che c’è da sapere. Perché noi, intanto, siamo occupati a fare altro. Così tante opportunità, così tante occasioni, così tante distrazioni, così tanto intrattenimento: la società dello spettacolo (Debord) non prevede che si perda così tanto tempo con le pagine di un libro. Chiedi alla AI e ti riassumerà anche Guerra e Pace in quello che c’è da sapere, quello che conta. Lo ha deciso o lo deciderà lei, quello che conta? Amen. Vuoi mettere perdere tutto quel tempo?

Qualche anno fai andai ospite nella casa veneziana di un noto filosofo italiano (oggi tromboneggiante come diventano, prima o poi, tutti gli ultrasessantenni). Ogni parete di quella casa era rivestita di scaffali di libri. Non c’erano nemmeno 10 centimetri liberi. I libri però non erano “dati per letti”, erano letti per davvero. Mentre parlava con me, il filosofo sciorinava citazioni che, volta per volta, andava a trovare nei libri che estraeva dallo scaffale ed erano tutti sottolineati, le pagine segnate dai post-it e dalle piegature agli angoli. Aveva praticamente quasi tutta la sua biblioteca nella testa.

Oggi non serve più.

La Biblioteca di Alessandria ce l’abbiamo tutti a casa nostra, dentro un microchip.
Più tardi forse la scorreremo per trovare qualcosa. Più tardi, però. Dopo lo scroll.


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16/10/25

QUANDO TUTTI I BOOMERS SCOPRIRONO L'ADORABILE DONNA NEVROTICA E FINIRONO PER INNAMORARSENE

 


QUANDO TUTTI I BOOMERS SCOPRIRONO L'ADORABILE DONNA NEVROTICA E FINIRONO PER INNAMORARSENE

di Fabrizio Falconi

Anno spartiacque: il 1977.
In quell'anno i boomers non sapevano ancora di essere boomers. Sapevano di essere in tanti, questo sì, perché le classi scolastiche erano strapiene e gli amici o i compagni di classe avevano tutti i fratelli e/o le sorelle.
I boomers crescevano in un mondo apparentemente dorato, perché anche se erano in tanti, si stava non male, dopo la rivoluzione dei costumi di fine anni '60, si potevano sperimentare cose nuove in giro e poi non c'erano missili sulla capoccia, non almeno la nostra, quella degli europei e dei nordamericani.
Anche i boomers, all'epoca, poi, si dividevano tra femmine e maschi. Più quelli che amavano persone del proprio sesso e che da qualche tempo avevano cominciato a farlo più liberamente.
I boomers maschi non erano così montati per il lavoro come gli X che seguirono, spallati come gli Y o leggermente ottenebrati dalla tecnologia digitale come gli Z.
I boomers maschi erano quindi mediamente più allegrotti, ma piuttosto imbranati. Venivano da modelli femminili importati dalla generazione perduta dei padri, indecisi tra le bambolotte atomiche americane e i positivi inquinamenti femministi della donna silfide del '68.
Tutto poi, in Italia, come sempre, avveniva in ritardo.
Ma il 1977... il 1977 i boomers all'improvviso si svegliarono dall'incatamento e scoprirono l'esistenza di un'altra tipologia di donna: la donna nevrotica.
Lungi dall'essere un'accezione negativa, questa caratteristica si presentava piena di mistero e invitante (anziché essere repulsiva come era stata per la generazione perduta) perché "strana" e decisamente sexy.
"Io e Annie", o meglio "Annie Hall", sdoganò da un giorno all'altro un appetibilissimo frutto amoroso come un bell'ananasso rimasto nel frigo molto a lungo che ci si è decisi finalmente a testare.
I boomers maschi sapevano, perché all'epoca si leggevano perfino i libri, che TUTTI, nell'età moderna, sono nevrotici e che dunque, anche loro lo erano. Perché la nevrosi era (ed è) la manifestazione della contemporaneità.
Il dottor Jung l'aveva genialmente definita, la nevrosi, come "sofferenza inautentica". E i boomers sapevano che era così, perché non c'era altro modo di definire la lamentazione, i dubbi, il contorcimento mentale (a Roma si chiamano "pippe mentali"), l'autoscarnificazione quando fuori si conduce una vita apparentemente sana e felice e si è circondati di cose che vanno bene o di problemi risolvibili.
Lo stereo-tipo della donna nevrotica - per di più intellettuale, intelligente, e sopratutto "figa" - si materializzò nel 1977 nei panni della meravigliosa rompiballe, logorroica, umorale, bipolare, ANNIE!
Una folgorazione.
I boomers italiani scoprirono in un colpo solo che per essere seducenti e fascinose non serviva affatto avere le curve di Monza della Antonelli o della Muti e nemmeno le gambe di 3 chilometri e il broncio della Birkin.
No, no, la Keaton aveva aperto una nuova strada. Le donne potevano vestirsi come maschi, essere spiritosissime, far morire dal ridere, sfasciare i cabassisi spaccando in 4 il capello alla nuova mostra di foto di Mapplethorpe o di Warhol, ma anche fare l'amore in modo meraviglioso.
La nevrosi - l'inconcludenza, l'indecisione, le lacrime e poi le risate, la battuta salace - era uscita dai reparti psichiatrici ed era diventata pane di modernità e perfino di amore.
Annie-Keaton era, anzi, la dimostrazione che ancora una volta le donne erano arrivate per prime: molto più brave e pronte e coraggiose nel riconoscere la propria nevrosi e nell'andarci a scavare dentro, ostentandola alla bisogna.
I boomers maschi arrivarono molto dopo. Per un po' si illusero di essere loro "i sani", quelli dell'equilibrio, della sicurezza, del conforto e della stabilità. Cagate autoriferite che durarono meno di un'infreddata di ferragosto.
Con un po' di tempo, anche loro capirono che si era tutti nella stessa barca e che anzi, se i maschi facevano così fatica a riconoscere e a venire a patti con le proprie nevrosi era soltanto per la solita vigliaccheria (derivante da paura primordiale) di guardarsi dentro e scoprirci qualche mostro.
Insomma, Diane Keaton se ne va a tempo debito. Quando la nevrosi ha perso quasi tutto quello che lei vi aveva mescolato di bello, cioè il fascino, l'intelligenza e l'ironia. Essendo oggi diventata la nevrosi il paradigma universale e autogiustificativo dell'egocentrismo e del narcisismo di massa, dell' "io sono fatto così e tu mi devi accettare."
Ah cara Diane, quanto ci mancherai ! (soprattutto a noi, boomers in via d'estinzione...)
Fabrizio Falconi

23/09/25

"Ravelstein" l'ultimo capolavoro di Saul Bellow


Era l'ultimo dei suoi romanzi che mi mancava, l'unico che non avevo mai letto e l'ultimo che ha scritto, a 85 anni.

Ravelstein è atipico nella struttura, per chi conosce B.: sembra cominciare senza un vero inizio e finire senza una vera fine. Ma lo schema dei personaggi è quello di Humboldt.
Il maestro qui è il filosofo (ebreo e omosessuale) Ravelstein, venerato dai suoi allievi, modellato da Bellow addosso alla vera figura di Allan Bloom (1930-1962), amico personale di B., figura di riferimento del mondo accademico e filosofico americano, cui nel 1987 arrise un imprevisto e stratosferico successo di vendite e di notorietà con un saggio intitolato "La chiusura della mente americana" (che ora forse bisognerebbe rileggere) e che morì di Aids nel 1962.
L'allievo è sempre Bellow, come era il Charles Citrine di Humboldt e anche il "Chick" di questo romanzo. Amico di Ravelstein, anche se più grande d'età, Chick assiste alla malattia e alla morte del Maestro, raccogliendone i pensieri e gli umori, le intuizioni e i dubbi di fronte alla morte.
Il libro è così diviso in due: nella prima parte il protagonista è Ravelstein - un personaggio carismatico ma che non suscita simpatia - e la sua dipartita. Nel secondo il protagonista è Chick, cui l'amico ha chiesto di scrivere - dopo la sua morte - una biografia obiettiva, sincera.
Ma prima di accingersi a farlo, Chick, durante una vacanza ai Caraibi con la giovane moglie, ingerisce, attraverso un pesce al ristorante, una terribile tossina, la "cingua" che lo riduce in fin di vita, causandogli notevoli danni cerebrali.
E' quanto è successo veramente a Bellow poco prima della scrittura di questo suo ultimo romanzo, uscito nel 2000.
Pur avvertendo, come può fare un lettore che conosca bene questo immenso scrittore, un certo affanno descrittivo - lo si nota soprattutto nella ripetizione di alcuni passi, cose già dette più o meno nello stesso modo che ritornano nelle 260 pagine - il romanzo è bellissimo e umanamente toccante, forse anche perché può essere letto come una sorta di testamento (il tema dominante è la morte). La filosofia, l'etica, la politica, la storia, il movimento del cosmo e quello dell'individuo che vede il mondo come attraverso uno specchio, anche qui combinano - insieme al flusso narrativo in prima persona di Chick - l'affresco della singolare vicenda che interessa ogni vita umana, specie quella auto-interrogante.
L'enorme lascito letterario di Bellow un giorno verrà forse pienamente riscoperto. Ora l'america è impegnata in una serrata gara autodistruttiva e non è interessata e riscoprire le sue fonti spirituali umani e letterarie. Quel tempo però, forse un giorno verrà. E si capirà che Saul Bellow era (anche) stato, come tutti i grandi artisti, un chiaro-veggente mai del tutto sopraffatto dalla realistica amarezza, mai (neanche prima della morte) vinto dalla rinuncia alla contemplazione della bellezza e della (irragionevole) speranza.

15/09/25

Domenica 21 settembre il PANTHEON alla Libreria Eli di Viale Somalia 50/A

 


Da domenica prossima, 21 settembre, riprendono per il terzo anno le PASSEGGIATE LETTERARIE A ROMA in Libreria, alla Eli, in Viale Somalia 50/A.
Quest'anno incontri tematici, uno al mese, ogni volta su un monumento unico (e grandioso) di Roma.
Si comincia domenica con il Pantheon, la magica opera che ha attraversato duemila anni di storia giungendo quasi intatta fino ai giorni nostri.
Se volete conoscere le vicende e le proprietà incredibili di questo monumento che Michelangelo Buonarroti definì "disegno angelico, non umano", vi aspetto con filmati, foto, curiosità, aneddoti, come sempre.
Domenica 21 settembre ore 17,30, equinozio d'autunno.



09/09/25

Saul Bellow, "Il Pianeta di Mr. Sammler": un classico intramontabile

 



Riletto dopo decenni, "Il pianeta di Mr. Sammler" conserva la sua qualità stupefacente, suscitando la stessa meraviglia di allora.
E' uno dei grandi romanzi di Bellow, scritto nel 1971, sei anni dopo "Herzog" e cinque anni prima di "Il dono di Humboldt" e componendo insieme a questi due una trilogia miliare nella letteratura del Novecento.
Anche in "Sammler" si ripete lo schema tipico bellowiano (e del resto della trilogia): un protagonista, intellettualmente lucido e umanamente qualitativo, qui l'ottantenne Sammler, profugo ebreo polacco, scampato per miracolo all'Olocausto, che vive in un appartamentino di New York, vedovo, insieme alla figlia Shula, eccentrica per non dire pazzoide.
Vive, Sammler, grazie alla famiglia "allargata" di cui dispone, lì a NY: zii e cugini vari, che sono stati più bravi di Sammler a fare i soldi, tra questi il nipote Elya, chirurgo che sta ora morendo per una emorragia cerebrale, in ospedale.
Ancora più degli altri, forse, "Sammler" non ha una vera e propria trama. Non succede quasi nulla e io capisco che con la infima soglia di attenzione (e il disamore per la lettura) di oggi, leggere un romanzo-mondo come questo è per molti o moltissimi disarmante:
decostruito nella forma del romanzo classico, "Sammler" infatti si dipana sulla scia di un interminabile monologo interiore, a tratti delirante, in cui il vecchio protagonista ricapitola le scene cruciali della sua vita, insieme soprattutto alle domande sempre più inquietanti che gli provengono da ciò che ha intorno: la dissoluzione del sogno della società americana, le conquiste spaziali che sembrano spalancare scenari impensabili, il degrado culturale, l'ostentazione e la disumanizzazione dei rapporti, le nevrosi di un mondo sempre più sfilacciato e incomprensibile.
All'interno di esso, vive nella sua piccola bolla del suo appartamentino, il vecchio Sammler, a cui dopo la guerra è perfino capitato di conoscere e frequentare a lungo, quando viveva a Londra da fuggiasco, il grande H.G. Welles, di cui si sente un biografo mancato.
Dal suo unico occhio con cui riesce a vedere bene, Sammler osserva e giudica ora con sguardo benigno ora con crescente irritazione, il mondo che deflagra intorno a lui, i membri della sua famiglia che come cellule impazzite si muovono senza senso, gli avventori che incontra nella metro che prende tutti i giorni, i borseggiatori, i neri, i barboni, i mafiosi, gli estrosi e i perduti.
Questa capacità di osservazione di Sammler è grande e salvifica. E' piena di "sentimento oceanico", di stupore per la bellezza e per la follia del mondo.
E' un occhio compassionevole che contiene, accogliendolo, tutto ciò che vaga in apparente inesaudita ricerca di senso, attorno a lui.
La lingua di Bellow è di ricchezza imbarazzante pensando a ciò che oggi si scrive. Nessun autore oggi è capace di sviluppare una lingua che possa anche tentare di avvicinarvisi, per complessità, erudizione, profondità psicologica, disegno complessivo.
Da questo punto di vista, Bellow è forse per davvero l'ultimo dei grandi del Novecento. Un mondo che è caduto a pezzi (e di cui B. ha cantato meravigliosamente la fine) e che ancora non sembra destinato ad essere sostituito.

Fabrizio Falconi


07/08/25

Martin Amis, "Esperienza" - RECENSIONE


 Fatico un bel po' a parlare di questo libro in termini obiettivi.


Leggo Amis da tanti anni e lo apprezzo più come saggista che come narratore (anche se "L'Informazione" è un grande romanzo). Ma il meglio lo ha dato nei suoi memoir, "La vita da dentro", uscito nell'anno della sua morte, 2023, che è superiore anche a questo "Esperienza", uscito nel 2008.

Questi due libri di Amis sono, appunto, non semplici libri, ma "esperienza" cioè vita, eventi, grandi eventi, piccoli eventi, morti, nascite, orrori, sbagli, ambizioni, amori, letteratura, scrittura, arte, passione, disperazione, impotenza, inadeguatezza, fiducia, crescita, fallimento.

In una parola vita.

"Esperienza" è un libro molto forte (almeno per me, che ho dovuto in alcuni momenti sospenderne la lettura prima di andare a letto, perché temevo le ricadute sulla qualità del mio sonno) e però anche ironico e divertente, specie per chi ama i libri e la letteratura.

Come si sa, Amis ebbe la fortuna di nascere figlio di un grande e celebrato scrittore, Kingsley Amis, poco conosciuto e quasi completamente intradotto in Italia, che pur venendo da una famiglia "normale" divenne nei '60 e '70 uno degli autori più letti e influenti in UK fino a ricevere il titolo di Sir dalle mani della regina.

Perdipiù, dopo il doloroso divorzio dalla moglie (madre di Martin e dei suoi 2 fratelli), Kinglesy pensò bene di sposarsi con Elizabeth Jane Howard, una delle più grandi scrittrici inglesi del Novecento (Un lungo sguardo, la saga di Cozelet, ecc..).

"Esperienza" tratta, in un lungo racconto non cronologico (pieno zeppo di salti temporali anche a distanza di pochissime righe, digressioni, lettere, citazioni, ricordi sparsi e affioranti confinati spesso nelle note che qui rappresentano un testo parallelo) la formazione del giovane Amis, le difficoltà scolastiche, i dolori familiari, l'eterno confronto con il genitore "monumento", le sofferenze fisiche (interi capitoli dedicati alla terribile odissea odontoiatrica di Martin) e psichiche (il dolore lancinante per l'adorata cugina carnale Lucy, finita a 19 anni nelle grinfie di uno dei più efferati serial killer britannici il quale, insieme alla moglie rapì, trucidò e fece a pezzi, seppellendole nel suo giardino, almeno 12 o 13 ragazze, tra cui la stessa Lucy).

Ma il libro riserva vere delizie per gli appassionati di letteratura, visto che Amis ebbe per tutta la vita un punto di vista privilegiato su quell'ambiente londinese in cui passarono tutti, da Julian Barnes a Kureishi, McEwan, Ishiguro, Byatt, Larkin, Iris Murdoch, Cecil Day Lewis (il poeta padre dell'attore Daniel), Naipaul, Hitchens, Muriel Spark e chi più ne ha più ne metta.

Ma il libro è anche una operazione a cuore aperto sul proprio brutto carattere (e quello di Amis sicuramente era, un carattere difficile) e sul valore eterno dell'amicizia (debiti letterari inclusi) e dei legami. Non è insomma affatto solo e soltanto un bell'esercizio di stile sui propri gusti e manie letterarie o sul piacere o dispiacere estetico di contempla il mondo e l'arte.

Vivere vuol dire rischiare. Amare, vuol dire rischiare. Vivere e amare vuol dire andare incontro all'esperienza. Esperienza che è bene ed è male. Se si vuole vivere veramente, amare veramente e fare "esperienza" veramente, non si può credere di poter scegliere scremando accettando e cercando soltanto ciò che non ci farà soffrire.

Amis ha certamente sofferto e ha certamente amato. E in più è anche riuscito a scriverne, come meglio è difficile pensare, in questi suoi due grandi libri.

30/07/25

Le Magie del Pantheon - Seconda Parte


Seconda parte del viaggio all'interno del monumento più enigmatico di Roma: il Pantheon, meraviglia architettonica, tempio solare dalle mille proprietà. Curiosità, leggende, aneddoti, storia e storie che non si dimenticano. Ascolta gratuitamente il racconto qui:

Podcast: "Passeggiate Letterarie a Roma" di Fabrizio Falconi