14/01/25

Ricordo di un incontro-intervista con Vittorio Gassman




Era l'estate del 1990. Vittorio Gassman era, ancora e pienamente, il "mattatore" del cinema e del teatro italiano e io un giovane cronista di cultura e spettacolo. 

Panorama, per cui lavoravo già da tempo, mi chiese di andare a intervistare Gassman a casa sua: una intervista piuttosto di routine, incentrata su quelli che erano in quel momento i progetti del grande attore. 

Varcai dunque il cancello di Villa Brasini - che i romani chiamano familiarmente "Il Castellaccio" per via della sua bizzarra architettura - nei pressi di Ponte Milvio, a Roma. Gassman era in quel periodo, da poco uscito dalla sua famosa "depressione", durata circa due anni, di cui l'attore parlò spesso anche in pubblico, in particolare durante la sua partecipazione al Maurizio Costanzo Show di quell'anno - un notevole e breve estratto è visibile su Youtube cliccando qui

Probabilmente, con il senno di poi (cioè dell'oggi), in quella occasione, avrei considerato non certo una felice scelta, quella, per un depresso, di andare a vivere proprio a Villa Brasini (pur splendido edificio), per via della fama sinistra che vi aleggia, anche per episodi assai recenti e di cui ho scritto in un libro di qualche successo (clicca qui).

Gassman mi venne incontro, affabile ed elegante,  mi fece accomodare nel grande salone vetrato della casa - con vista su un giardino interno - poi venne a sedersi, interrotto durante la nostra chiacchierata, dal figlio più piccolo, Jacopo, avuto dalla terza moglie, Diletta D'Andrea, nato nel 1980 e che dunque aveva all'epoca dieci anni, e del quale il padre dimostrava di essere innamorato. Riuscì a un certo punto a convincerlo a lasciarci soli e iniziò il nostro colloquio. 

Parlò a lungo del progetto assai ambizioso che all'epoca portava avanti: la messa in scena del Moby Dick di Melville, a teatro, con l'impianto scenico di Renzo Piano, che effettivamente andò in prima durante  le celebrazioni colombiane di Genova con il Teatro Stabile di quella città, poi portato anche a Siviglia e infine negli Stati Uniti (sempre nell'ambito di quelle celebrazioni). L'intero spettacolo è visibile cliccando qui

Mi parlò poi della serie TV Tutto il mondo è teatro alla quale stava lavorando e che avrebbe condotto l'anno seguente (1991) su RaiUno con grande successo (visibile un estratto qui).

Infine mi parlò di un progetto a cui teneva tantissimo e che invece - per quel che mi risulta - non si fece mai: un film dal terzo libro che aveva scritto, dopo Un'avvenire dietro le spalle (1981) e Vocalizzi (1989): Memorie dal sottoscala, di cui avrebbe dovuto essere regista, ma non protagonista ("preferisco concentrarmi sulla regia: l'interprete sarà forse straniero, magari un inglese, qualcuno che incarni lo spirito di quest'uomo inquietante e goffo"), nonostante fosse totalmente autobiografico e raccontasse "in chiave grottesca una nevrosi, non gli anni della mia depressione." 

Chissà che fine ha fatto quel copione, scritto con Giancarlo Scarchilli e chissà che prima o poi qualcuno non si decida a rispolverarlo. 

L'incontro, che ricordo vivamente - per la gentilezza e la simpatia che mi dimostrò - si concluse e salutai Gassman, che come molti grandi dell'epoca sapeva anche essere umile o semplice, che dir si voglia. Appena dieci anni dopo, ci ha lasciato. Con molti (nostri, di spettatori) rimpianti.

L'intervista uscì su Panorama il 19 agosto del 1990. 




11/01/25

19 Settembre 1969: quel giorno che i Beatles si separarono (dal Libro "La Fine del Sogno")


“Le cose erano diventate appiccicose, durante il White Album e anche durante la lavorazione di Let it Be (il progetto inizialmente chiamato Get Back n.d.a.)”, racconta Mc Cartney, “George lasciò per qualche tempo il gruppo in quel momento, e anche Ringo, ma riuscimmo a risolverlo”.  La questione però è destinata a ripresentarsi, più gravemente, finita la registrazione di Abbey Road, con Paul che ha pronto anche lui, il suo primo album solista. “Più o meno in quel momento”, continua McCartney, “tentai l’ultima carta. Avemmo un incontro negli uffici Apple (nel mese di settembre 1969, n.d.a.), e feci agli altri un discorso: «sentite, se c’è qualcosa che non va, dobbiamo sistemarlo. Quello che penso è che dovremmo tornare a essere una band, tornare come quella piccola unità che siamo sempre stati. Penso che dovremmo andare in piccoli club e fare un piccolo tour. Impariamo ad essere di nuovo una band insieme, non uomini d’affari». A quel punto, John mi ha guardato negli occhi e ha detto: «Penso che tu sia uno sciocco. E in effetti non avevo pensato di dirtelo ora, ma… lascio il gruppo». A quanto mi ricordo, queste furono le sue esatte parole. E le nostre mascelle sono cadute. Poi ha continuato, spiegando quanto fosse una bella sensazione togliersi di dosso quel peso, un po’ come quando aveva annunciato a sua moglie di voler divorziare. Un vero sollievo. Il che sarà stato sicuramente molto bello per lui, ma non per noi.”[1]

                Dal canto suo, John, a posteriori, riconosce che l’arrivo di Yoko nella sua vita ha dato l’impulso determinante per la decisione che venne comunicata quel giorno: “Ero un Beatle,” racconta nel 1980, “ma le cose avevano cominciato a cambiare. Nel 1966, poco prima che incontrassi Yoko, ero andato in Almeria, in Spagna per girare un film. Mi ha fatto molto bene. Sono stato lì per sei settimane. Ho scritto Strawberry Fields Forever, fra l’altro. Mi ha dato il tempo di pensare, lontano dagli altri. Da quel momento in poi stavo cercando un posto dove andare, ma non ho avuto il coraggio di scendere da solo dalla barca e spingerla via. Quando però mi sono innamorato di Yoko, ho capito tutto: “mio Dio, questo è diverso da qualsiasi altra cosa. Questo è qualcos’altro. Questo è più di un disco, di un successo, più dell’oro, più di tutto. È indescrivibile”.”[2]

                 Il drammatico (per le sorti del gruppo) incontro alla Apple, termina con un compromesso: la decisione presa da John, e il conseguente scioglimento dei Beatles, non verrà per ora annunciato. Ci sono importanti faccende economiche in ballo – rinegoziare il contratto discografico – e c’è da decidere cosa fare del progetto lasciato in sospeso - Get Back - dove ci sono canzoni straordinarie, tra le più importanti in assoluto scritte dai Beatles.

                 Quel giorno segna comunque la fine (ufficiosa) della loro avventura insieme. Il bilancio definitivo dice che dal 1963 al 1969, cioè in soli sei anni, i Beatles hanno scritto centottantatré canzoni. Lennon ne ha scritte in tutto settantatré e Paul quattro in meno, sessantanove. I due, insieme, ne hanno composte “soltanto” diciassette, anche se – in base all’accordo di ferro stipulato in gioventù, di cui ho già detto – tutti i loro brani sono firmati insieme con il marchio: Lennon & McCartney. Harrison ha scritto ventidue canzoni, Ringo soltanto due. Un’analisi approfondita, che i musicologi e i fan del gruppo hanno fatto, mostra la diversa preponderanza di uno o dell’altro, nel corso degli anni: all’inizio si devono alla penna di Paul i successi più importanti del gruppo, mentre nella fase centrale il peso creativo di John diventa prevalente; nella fase finale, infine, è di nuovo Paul a firmare come autore praticamente tutti i maggiori successi del gruppo, complice, sicuramente, il progressivo distacco di John.

               La separazione in atto, avvenuta in quella fine di settembre, segna l’inizio della “lunga morte” del gruppo, come la definì Lenno

TESTO tratto da LA FINE DEL SOGNO - Beatles, Manson, Polanski, di Fabrizio Falconi, Arcana Editore, 2024 - diritti riservati.




[1] K. Loder, McCartney Interview, op. cit.

[2] D. Sheff, John Lennon Interview, op. cit


12/12/24

1846: Il primo volo in Mongolfiera a Roma ! - Un estratto da "Storie incredibili su Roma che non vi hanno mai raccontato" di Fabrizio Falconi, in tutte le librerie


Nel 1846, Villa Borghese era ancora tutta di proprietà della nobile famiglia – di origini toscane – che a essa aveva dato il nome, dai primi dei Seicento. 

Con il tempo, però, e soprattutto negli ultimi decenni, la villa aveva subito notevoli trasformazioni, a opera soprattutto del principe Marcantonio IV Borghese (1730-1809) che, tra le altre cose, aveva ordinato ai suoi architetti la costruzione di un anfiteatro destinato a ospitare corse di cavalli, esibizioni e feste, e ispirato alla piazza del Campo di Siena, città da cui la famiglia Borghese, originariamente, proveniva. 

Nacque così piazza di Siena, subito divenuta il fulcro della villa, che nel frattempo i Borghese avevano deciso di aprire al pubblico, cioè al popolo di Roma, per il passeggio durante i giorni festivi e dove, in quelle occasioni, erano ospitati eventi e balli. Uno dei fatti memorabili che ebbero luogo a Roma, nell’Ottocento, fu il primo volo in mongolfiera, che si levò proprio da piazza di Siena. 

Il protagonista fu il francese François (o Francisque) Arban, nato a Lione nel 1815, pio niere dell’aviazione che aveva iniziato a dedicarsi alla mon golfiera nel 1832. Qualche anno più tardi, Arban venne a Roma, invitato dai Borghese. Ospite della villa, annunciò che avrebbe ten tato un’esibizione sui cieli della capitale. Dopo due mesi di permanenza romana e di preparazione, finalmente, alle tre e mezzo del pomeriggio del 14 aprile del 1846 Arban salì a bordo del suo pallone, davanti a una folla straboccante assiepata sulle tribune di piazza di Siena, che cominciò ad applaudirlo mentre compiva un primo giro a pochi metri d’altezza, ancora trattenuto da una corda di ancoraggio. 

Qualche minuto dopo, sciolto l’ormeggio, al suono della banda militare e spinto dal vento di sud-est, Arban prese quota con l’aerostato sorvolando l’intera Villa Borghese. Seguendo la direzione del vento, come raccontano i cro nachisti dell’epoca, l’aviatore «sorpassò più volte i giri del Tevere, dirigendosi rapidamente verso i monti Sabini, po tendo però sempre scorgere da quel punto, la Villa [Borghese], le fabbriche e la maestosa cupola della città da cui pochi minuti prima si dipartiva». 

Continuando l’avventura, Arban si trovò ben presto a quote altissime, al punto tale che cominciò ad avere problemi di respirazione, con il termometro che segnava un grado sopra lo zero. Rifocillatosi col vino che aveva a bordo e col cibo «di cui si era ugualmente munito», e verificata l’altezza ormai troppo elevata, aprì la valvola abbassando la mongolfiera di diverse centinaia di metri quando, dopo un’ora di viaggio, gli si aprì sotto gli occhi lo scenario del fiume Velino e poi della valle reatina, accorgendosi subito delle moltitudini di persone che lo indicavano e gli face vano cenno di avvicinarsi, abbassandosi ancora. 

La popolazione reatina era entusiasta, seguiva il percorso a piedi, a cavallo o con vetture, e finalmente, nei pressi del lago di Piediluco, convinse Arban ad atterrare, visto anche che si profilavano, minacciose, le montagne degli Appennini. 

Aveva viaggiato per cinquanta miglia (ottanta chilometri) quando gettò via gli ultimi sacchi di zavorra, lanciando a una trentina di persone che lo aspettavano le corde per l’ancoraggio. Particolare curioso, tra i primi che vennero ad aiutare Arban a scendere dall’aerostato ci fu un tipo che, dopo averlo abbracciato e baciato, chiese a bruciapelo al volatore, in italiano: «Mi dai tre numeri?». Ancora provato dall’impresa e ostacolato dal non sapere la lingua, Arban capì soltanto in un secondo momento che quello gli chiedeva con insistenza tre numeri per giocare al Lotto. 

Arban, insomma, era visto come una specie di mago, al quale non dovevano mancare nemmeno capacità divinatorie e – immaginiamo più che altro per togliersi il fastidio di torno – con il lapis scrisse alcuni numeri a casaccio che furono ricevuti dal “villico reatino” come un prezioso tesoro. Invitato a riposarsi dopo l’impresa nella casa di un notabile del luogo, alle tre del mattino seguente Arban prese la diligenza che doveva riportarlo a Roma, dove giunse alle tre del pomeriggio, subito accolto dal principe Borghese, grato per l’impresa che aveva appena compiuto. 

La popolarità di Arban dopo quel primo viaggio aumentò a dismisura, al punto che in diverse altre città italiane furono organizzate sue esibizioni a bordo della mongolfiera. La sua carriera di aviatore però si infranse presto in circostanze tragiche: tre anni dopo, preso il volo da Barcellona per un’esibizione, con l’intenzione di superare i Pirenei e arrivare fino a Lione, Arban non riuscì a portare a compimento l’impresa. La forza dei venti sospinse infatti l’aero stato verso il largo del mar Mediterraneo, dove scomparve nel nulla. I suoi resti e quelli del velivolo non furono mai più ritrovati, dando adito alle più diverse leggende, tra cui quella secondo cui la sua mongolfiera, arrivata addirittura fino in Africa, aveva consegnato l’aviatore agli indigeni che lo avevano fatto prigioniero e ucciso.

Estratto da: Fabrizio Falconi, Storie incredibili di Roma che non ti hanno mai raccontato, Newton Compton Editore, 2024 



23/11/24

"Nowhere Special" un bellissimo film di Uberto Pasolini, da vedere


Uberto Pasolini è un autore e regista (e produttore) italiano notevole e poco apprezzato e conosciuto in patria. Non parente di PPP, ovviamente, ha origini nobilissime di famiglia e casata, e una vita avventurosa e piena di cose.
Vive e lavora da molti in anni in Inghilterra, e il successo incredibile (come produttore) del film "Full Monty" (1997) gli ha aperto le possibilità di fare vero cinema d'autore, che è quel che gli interessa.
Dopo il sorprendente "Still Life", acclamato dalla critica e dal pubblico (2013), due anni fa ha firmato questo film, "Nowhere Special" ("Niente di speciale") ora disponibile su diverse piattaforme (Raiplay, gratuito, ma solo doppiato - Amazon Prime video in versione originale con sottotitoli al costo di 2.99 euro).
E' un film molto bello, poetico, stravolgente, soprattutto per chi è padre o genitore, ma anche per chi non lo è: perché parla della morte (argomento sempre più tabù in ogni contesto sociale), e della morte inaccettabile di un giovane uomo, già duramente colpito dalla sorte.
E' per di più, una storia vera. Il cui vero significato si esprime nella volontà e degli sforzi di lasciare in eredità il bene a qualcun (altro) che proseguirà il cammino dopo di noi e che dovremo lasciare a malincuore, con grande dolore.
Il film vede l'esordio di uno straordinario bambino attore che si chiama Daniel Lamont.
Il film è particolarmente raccomandabile perché rifugge da ogni sentimentalismo (nel film non c'è nessuna scena madre e nemmeno una di pianto).
Tutto viene vissuto sul volto di James Norton, che si conferma uno dei migliori attori in circolazione (e dei più intelligenti e coraggiosi, encomiabile per scegliere di fare film come questi) e sull'interiorità.
Un film che meriterebbe di essere visto dalle ampie platee che arridono di solito a film più facili o suadenti.

Fabrizio Falconi - 2024

20/11/24

"Presunto innocente" - una bella serie (legal thriller) targata Warner, su AppleTv


"Presunto innocente"
è ora anche una (bella) serie in 8 puntate su AppleTv.

Ricordando la felice impressione che mi fece l'omonimo film, tratto dal romanzone legal-thriller di Scott Turow (ti credo io, "felice": la regia di quel film è di Alan J. Pakula), sono andato a verificare che uscì nel 1990, quindi la bellezza di 34 anni fa (ahia, come passa il tempo).
Non avendolo mai rivisto e non ricordando quindi assolutamente nulla della trama/intrigo, mi sono messo alla visione, apprezzando la scelta degli attori e la confezione del prodotto firmato Warner Bros.
Il ruolo del carismatico procuratore distrettuale, accusato di aver ammazzato brutalmente la sua amante (nonché collega procuratore), che nel 1990 era ricoperto da Harrison Ford è qui felicemente affidato a Jake Gyllenlhaal, mentre altri ottimi attori sono arruolati nei diversi ruoli: Peter Skarsgaard è l'infido e frustrato rivale di Rusty, Tommy Molto; lo straordinario Bill Camp (uno dei migliori caratteristi di Hollywood) è l'amico e difensore di Rusty, Raymond Hogan; Ruth Negga la moglie e la norvegese Renate Hansen (ex modella e vincitrice della Palma d'Oro per la migliore interpretazione femminile al Festival di Cannes del 2021) la conturbante amante e vittima, Carolyn Polhemus (nel ruolo che fu di Greta Scacchi).
Non racconto nulla della trama, per evitare spoilers e contumelie, ma invito alla visione perché come ogni buon thriller, anche questo si "risolve" soltanto all'ultimissima inquadratura e con molte differenze rispetto al film. La serie (che era partita per essere "miniserie", quindi conclusa), ha avuto così tanto successo da aver convinto la Warner ad annunciare una seconda stagione (che a questo punto dovrà essere scritta ex novo, visto che la 1a era tratta da un romanzo "chiuso").

Fabrizio Falconi - 2024

10/11/24

"Now and Then" i Beatles tornano candidati ai Grammy Awards dopo 53 anni! La persistenza del Mito in un libro "La Fine della Storia", appena uscito

 


Incredibile e mai successo, ovviamente: i Beatles raggiungono un altro record, quello di avere una loro canzone candidata ai Grammy Award, i massimi premi per la musica, 54 DOPO IL LORO SCIOGLIMENTO, e con John Lennon e George Harrison morti, purtroppo da diversi anni. 

Tutto ciò grazie a ma "Now and then", l'inedito scritto da John Lennon e "restaurato" dai  Beatles grazie all'intelligenza artificiale.

Così, tra Beyoncè, Taylor Swift e le giovani star, ci saranno gli ultraottantenni McCartney, Starr.

"Now and Then" fu originariamente composta da John Lennon prima di morire, nel 1977, rielaborata nel 1995 con parti di chitarra da George Harrison e poi ultimata nel 2022 con il basso di McCartney e la batteria di Starr. 

Era dal 1971 che i Beatles non ottenevano una candidatura come "Record of the Year", tra le categorie principali dei Grammy Awards: l'ultima volta fu con "Let it be",

E questo spiega, meglio di ogni altro discorso l'unicità dei Beatles e del loro percorso "segnante" dal 1960 a oggi. 

Per comprendere meglio tutto questo, è in libreria, appena uscito, "La Fine della Storia" un libro che ricostruisce i fatti di due anni cruciali della nostra storia: 1969-1970, quelli che decretarono la fine della cosiddetta Summer of Love, l’Era dell’Acquario, di Woodstock, del Flower Power, della liberazione sessuale. 

Il sogno si infranse nel modo più tragico con la strage di Sharon Tate e dei suoi amici a Cielo Drive, Los Angeles, da parte di Charlie Manson e della sua lugubre Famiglia, ma anche con lo scioglimento dei Beatles, un trauma mondiale, dopo il travaglio seguito al celebre soggiorno in India nell’ashram di Maharishi e la preveggenza dell’orrore nei film di Roman Polanski usciti in quegli anni (tra i quali Rosemary’s Baby), di cui Sharon Tate era moglie all’epoca. 

Il libro racconta gli inspiegabili grovigli di casualità e circostanze che legano queste vicende biografiche (soprattutto quelle dei quattro Beatles) l’una all’altra, molto strettamente, da un punto di vista del tutto particolare: il breve e folgorante periodo in cui cade l’illusione di un “noi” creativo (e rivoluzionario) rapidamente scalzato dall’emersione di un “io” narcisista e distruttivo, passaggio cruciale del contemporaneo. La fine del sogno è un incredibile intreccio di musica, cinema, esoterismo e cronaca nera, appassionante come un romanzo.





28/10/24

Intervista a Fabrizio Falconi su “La fine del sogno. Beatles, Manson, Polanski” (Da VCB)


Intervista a Fabrizio Falconi e “La fine del sogno. Beatles, Manson, Polanski” (Da VGB - Vignaclarablog) 

 


“Gli Anni ’60 sono stati un decennio incredibile”. E, “di sicuro, quel che fecero quei quattro ragazzi di Liverpool, i Beatles, è qualcosa di unico e perfino leggendario”.

Parola di Fabrizio Falconi, giornalista e scrittore che si è immerso proprio in quel tempo per realizzare il suo nuovo libro: La fine del sogno. Beatles, Manson, Polanski”, pubblicato da Arcana. Del resto, sono stati gli anni in cui anche l’Italia è stata protagonista del boom economico e il mondo intero è stato attraversato dal cosiddetto Sessantotto, con i suoi movimenti di massa, ma anche con la sua Summer of Love e la sua Era dell’Acquario, con Woodstock, il Flower Power e la liberazione sessuale.

In questo contesto, anche il cinema e la musica hanno cambiato completamente stile e contenuti rispetto al passato. Ma cosa ha rappresentato davvero quell’epoca e cosa è cambiato dopo? E, soprattutto, che ruolo hanno avuto i “Fab Four”?

Lo abbiamo chiesto all’autore del libro, scritto con l’intento di offrire una chiave di lettura differente di quei tempi, mettendo in luce “l’incredibile mole di coincidenze, circostanze, fatti e fatalità che collegavano l’uno all’altro alcuni personaggi di quel periodo”.

Quando e perché è nata l’idea di scrivere un libro che racconta in che modo la storia dei Beatles si è intrecciata con la storia di personaggi come il fondatore della meditazione trascendentale Maharishi, il regista Roman Polanski, sua moglie Sharon Tate, la setta di Charlie Manson e l’assassino di John Lennon?

L’idea del libro è maturata nel corso degli ultimi due o tre anni. Collezionavo e studiavo da tempo materiale riguardante gli anni 1969-70 con l’ultimo periodo prima e dopo lo scioglimento dei Beatles. Più andavo avanti, più mi accorgevo dell’incredibile mole di coincidenze, circostanze, fatti e fatalità che collegavano l’uno all’altro alcuni personaggi di quel periodo.

Erano come i grani di un rosario, sembrava che ci fosse un filo unico nella storia di quegli incontri, una storia più grande che li teneva insieme e che chiedeva di essere nuovamente dipanata. Così, anche se la pubblicistica sui Beatles è smisurata, ho deciso di scrivere il libro, da questo punto di vista, che mi pare poco esplorato e assai interessante da scoprire”.

Continua a leggere qui VCB 

Acquista il libro qui



17/10/24

"Il Mare dei Poeti" di Raoul Precht - Castelporziano 1979 un romanzo per chi c'era e per chi non c'era.

 



Il mare dei poeti non è solo quello delle Cinque Terre. In questo caso, è quello quasi giallognolo, nobilmente calmo del litorale laziale, a due passi dal luogo dove il Tevere, il fiume dove tutto ha avuto inizio, va a morire: Castelporziano 1979

Basta un nome e una data per evocare un mondo. Per chi c'era e per chi non c'era. Su quel pezzo di litorale, tra Fiumicino e Pomezia, dal 28 al 30 giugno del 1979, su un palco approntato per l'occasione, vennero chiamati a raccolta tra le dune di sabbia da Franco Cordelli, Simone Carella e Ulisse Benedetti, decine di poeti italiani e stranieri per il primo (e unico!) Festival Internazionale dei poeti

Simbolo di una stagione non facilmente dimenticabile nella storia recente della Capitale, per merito dell'assessorato alla cultura del Comune di Roma, guidato allora da Renato Nicolini. 

Vi parteciparono alcune tra le maggiori personalità poetiche del tempo, tra cui si ricordano in ordine sparso: Dario Bellezza, Milo De Angelis, Fernanda Pivano, Amelia Rosselli, Maria Luisa Spaziani, Valentino Zeichen, William Burroughs, Gregory Corso, Evgenij Evtušenko, Erich Fried, John Giorno, Lawrence Ferlinghetti, Allen Ginsberg e molti altri. 

Il Festival divenne un vero "evento" (quando questa parola aveva ancora un significato), grazie alla partecipazione popolare che andò oltre ogni previsione e che trasformò il Festival in un happening di sapore  "woodstockiano" (in Italia certamente il più vicino allo spirito di quello). 

In quel mese di giugno del 1979, su quella spiaggia sulla quale è stato allestito un gigantesco e spoglio palco, proprio sulla riva del mare, si ritrova catapultato il protagonista di questo romanzo, il diciannovenne brillante studioso di letteratura germanica, il quale è chiamato a  tradurre "in presa diretta" le poesie che in quella affollatissima tre-giorni di reading leggeranno quattro poeti tedeschi "laureati": Erich Fried, Gerald Bisinger, Volker von Törne e Johannes Schenk.

Il romanzo, scritto interamente in prima persona e in forma di memoriale "torrenziale", come un vero flusso di coscienza, ricostruisce la vita e la leggenda di quei tre giorni, mettendo in scena le aspettative, le ansie i dubbi e le scoperte del giovane se stesso osservate con "il senno di poi" alla luce di quello che Precht è diventato poi (scrittore e traduttore) e dei destini dei quattro poeti incontrati in quella piccola epopea (e tutti e quattro passati ormai a miglior vita), imbastendo un delicato e potente caleidoscopio che apre continue prospettive tra vissuto e presente, memoria personale, nostalgia, riflessioni di quell'ultima epoca - almeno finora - in cui la poesia è stata capace, in Italia, di muovere masse, coinvolgendole in un evento nuovo e singolare, espressione palpitante di una esperienza che già volgeva al termine: quella della parola condivisa, declamata - anche duramente contestata - comunque divenuta sostanza vitale. 

Una esperienza iniziatica per il giovane scrittore di belle speranze, esperienza formativa accelerata, incontro destinico che chiede di essere rielaborato in nuova forma, quarantacinque anni dopo. 

Un romanzo completamente atipico, sorprendente, che trasporta in un mondo di ieri che trasmette ancora lampi di energia, come una stella lontana, non ancora spenta. Perché la poesia ha vite insospettabili, anche quando la si crede e la si prega morta.

Fabrizio Falconi

16/10/24

La foto esoterica dei Beatles, dopo la morte di John

 


Guardate bene questa foto. 

Fu scattata nel 1996, quando i tre Beatles rimasti si riunirono per stare un po' insieme. 

Durante il servizio fotografico, si sentivano vuoti senza John Lennon. Poi, misteriosamente, un pavone bianco apparve dietro George per una delle foto. 

Quando lo videro, sentirono tutti la presenza di John e l'atmosfera si alleggerì.

Probabilmente erano al corrente di quanto aveva spesso riferito Julian Lennon, il figlio del leggendario membro dei Beatles, secondo cui suo padre, prima di morire, aveva promesso a lui e al resto della sua famiglia di ritornare proprio sotto forma di una piuma bianca. "Quando vedrete una piuma bianca, sappiate che sono io, vicino a voi", aveva detto John. 

Anche recentemente Julian ha raccontato di aver percepito la presenza dello spirito di suo padre, morto 25 anni fa. L’apparizione ha avuto luogo mentre Julian partecipava ad un’antica cerimonia di una tribù aborigena in Australia. Una fonte del Daily Express ha riferito che quando uno degli anziani gli ha dato una piuma bianca il figlio 44enne del cantante si è emozionato profondamente, ricordandosi di quello che gli aveva sempre detto il padre.  

Julian era in Australia per girare il documentario "Whaledreamers", vincitore di diversi premi nel 2006 e proiettato durante il Festival di Cannes quest’anno. 

Qui, nel 1995, è la prima volta in cui il compagno perduto si sarebbe manifestato, come rivelò Paul McCartney, anche ai suoi ex-compagni di band con le sembianze di un pavone bianco, perdipiù mentre erano in studio per completare le registrazioni del singolo "Free as a Bird", originariamente inciso dallo stesso Lennon nel 1977.



12/10/24

L'emozionante omaggio di Paul a John Lennon nel giorno del suo compleanno - Il Tributo



Mercoledì 9 ottobre John Lennon avrebbe compiuto 84 anni.
Due in più del suo amico Paul McCartney, che gli ha dedicato il toccante tributo sui social. 

Come ricorderanno bene i fan dei Beatles, i due non sono sempre stati amici. A un certo punto avevano proprio rotto. Ma Sir Paul ricorda che per fortuna, poi, come spesso capita a chi si vuole bene per davvero, hanno ricucito il loro rapporto. 

Per fortuna, ha sottolineato McCartney, perché altrimenti non se lo sarebbe mai perdonato dopo la prematura scomparsa di Lennon. 

La foto pubblicata su Instagram, ritrae Paul in un'esibizione del 2022 mentre canta con alle spalle filmati di John che suona la chitarra. Si tratta di un frame preso dal documentario Disney+ di Peter Jackson “The Beatles: Get Back”, andato in onda a novembre 2021. Lennon fu ucciso la sera dell'8 dicembre 1980, mentre si accingeva a rincasare con la moglie a New York. 

Di fronte all'ingresso di casa lo aspettava un folle, Mark Chapman, che gli scaricò alle spalle 5 colpi di pistola, dei quali solo uno non andò a segno.


Non perdere il nuovo libro sui Beatles appena uscito: "La Fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski", Arcana Editore, 2024 




07/10/24

La Magia Beatles continua: Paul Mc Cartney la notte scorsa incanta 70.000 persone allo stadio Monumental di Buenos Aires !


Grande successo, la notte scorsa a Buenos Aires, per Paul McCartney: l'ex Beatle ha incantato il pubblico con quasi tre ore di concerto e 33 canzoni,
facendo tremare di emozione lo Stadio monumentale, nell'ultimo dei suoi due show nella capitale argentina. 

L'artista di 82 anni non ha smesso un secondo di cantare, muoversi, intrattenere gli spettatori, lasciando di stucco per la sua incontenibile energia. 

Grazie anche ai miracoli della tecnologia, McCartney ha potuto utilizzare nuovi strumenti per visitare il catalogo dei Beatles e giocare un po' con la propria storia. Il cantante britannico e i suoi musicisti sono saliti sul palco con una standing ovation. Senza troppi preamboli, hanno iniziato con 'Can't buy me love', per poi proseguire con i principali successi dei Beatles alternati ai brani dei Wings.


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04/10/24

Un nuovo bellissimo "Docu" dedicato a John Lennon con molte immagini mai viste.

 


da: Vogue Italia

John Lennon e Yoko Ono, la storia d'amore di una delle coppie più discusse del '900. Un documentario svela nuovi dettagli

John Lennon e Yoko Ono. Due persone, una cosa sola. Bastano i loro nomi per suscitare, anche nelle generazioni che non li hanno vissuti realmente, qualcosa di unico. Lui, uno dei grandi (ex), leggendari, membri dei Beatles, lei, proveniente da una ricca famiglia di banchieri giapponesi, artista e musicista. Formarono, fino alla morte di Lennon, nel 1980, ucciso da Mark David Chapman, una delle coppie a cui guardare, che più hanno ispirato una forma di ribellione e resilienza creativa, musicale, culturale, di protesta.

Si erano conosciuti il 9 novembre del 1966 all'anteprima di un'esposizione proprio della Ono, all'Indica Gallery di Londra, nella quale lo stesso Lennon fu attratto da diverse opere esposte, una in particolare chiamata, ‘Celing painting’, che prevedeva si dovesse salire con una scala, per vedere attraverso un vetro (e degli specchietti) la parola YES che si ingrandiva. Fu la scintilla, il mix tra immaginazione, ironia e provocazione, a legarli. Si sposarono il 20 marzo 1969.


John Lennon fotografato da May Pang durante il "Lost Weekend" con il figlio Julian nel 1970

Ora, a celebrarne alcune gesta e parole, arriva un documentario travolgente, One to One: John & Yoko, co-prodotto anche da Brad Pitt, visto fuori concorso al Festival di Venezia 2024, diretto da Kevin Macdonald e Sam Rice Edwards, che per qualità, contenuto, ricchezza di immagini, documenti inediti, filmati restaurati, telefonate personali, suggestioni, si proietta ad essere tra i candidati, ce lo auguriamo, ai prossimi Oscar. Un momento temporale e specifico fa da ambientazione alla loro storia, il trasferimento da Londra a New York nel 1972.

Continua a leggere su Vogue Italia 

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03/10/24

Recuperare la 4a stagione di "The Crown" - un prodotto di classe per raccontare la storia recente.


In un periodo di penuria di serie tv nuove di qualità, mi sono voluto dedicare a "The Crown" che avevo sempre scansato, puntando sulla 4a stagione, che mi interessava particolarmente per vedere come è stato trattato il decennio Thatcheriano e il contemporaneo ingresso nella famiglia reale della principessa Diana Spencer, moglie di Carlo.

Che dire, ancora una volta si resta ammirati dalla qualità britannica, che non ha eguali nel mondo. Peter Morgan è del resto un colto e straordinario scrittore/sceneggiatore e nessuno meglio di lui poteva affrontare il compito di dire qualcosa di nuovo (e di definitivo) su un argomento così frusto come quello della Corona e della Corte inglese.
Morgan sceglie una strada coraggiosa, fuori dai cliché, concentrandosi, ad ogni puntata, su una delle grandi questioni politiche che il governo della Lady di Ferro affrontò con decisione molto vicina alla ferocia, dalla questione economica interna, con la disoccupazione galoppante, la sofferenza immane della classe operaia e la chiusura delle miniere; a quella irlandese (su cui fu altrettanto intransigente, causando l'inasprimento del conflitto); a quella dell'apartheid in SudAfrica (la Thatcher fu l'unica tra i capi di governo dei 48 paesi membri del Commonwealth a dichiararsi contraria alle misure economiche contro il regime razzista di Johannesburgh); alla assurda guerra delle Falkland (che causò la morte di 300 soldati inglesi e il ferimento di più di 1000); alle fratture dentro la compagine di governo che portarono, dopo 11 anni alle dimissioni forzate della Thatcher, fatta fuori dal suo stesso partito.
Il tono della serie è controllato, rigoroso, formalmente impeccabile, anche se possono piacere o meno alcune scelte, degli interpreti, delle singole circostanze raccontate, degli inevitabili tagli alla storia raccontata.
Gli attori sono straordinari: Olivia Colman è una perfetta regina. Ma su di lei e sulle sue qualità ormai, sappiamo tutto. Josh Connor (Carlo) e Emma Corrin (Diana) sono perfetti, bravissimi. Così come tutti gli altri comprimari. Una nota di merito a parte va a Gillian Anderson, straordinaria attrice, che inventa una Thatcher più vera del vero.
Qui si aprirebbe un discorso sulla grandezza degli attori che "interpretano", non "copiano" la realtà dei personaggi. Insomma, per essere verosimili e veri non servono i quintali di cerone sul viso, e l'effetto sosia non è mai indice di un vero grande attore. Gillian Anderson è se stessa, ma riesce con le sue sole doti interpretative a rendere tutto della Thatcher, inventandone perfino la voce, i movimenti, i tic, che probabilmente nemmeno aveva. Ma è glaciale, cupa, nevrotica, ossessiva, irragionevole, testarda, vendicativa e gelosa, come e più di quel che fu veramente. Applausi.
Anche la triste vicenda di Carlo e Diana e del loro matrimonio da operetta, fasullo come una moneta di latta, è rappresentata con sobria oggettività, senza calcare mai la mano, e semplicemente per quello che è stato: una cinica operazione di marketing e di sistema che ha lasciato per terra l'elemento più fragile, sacrificandolo senza scrupoli in nome della favola che deve continuare e infatti continua col re meno popolare di sempre e la sua famiglia a pezzi.

Fabrizio Falconi - 2024