Qui di seguito un estratto (p. 162 e ss), de "La Fine del Sogno - Beatles, Manson, Polanski", libro che verrà presentato domenica prossima, 22 settembre alla Libreria Eli di Roma. E' uno dei momenti cruciali della storia, quando Lennon pubblica un album immediatamente dopo l'annuncio dello scioglimento della band che ha cambiato il mondo. E' un regolamento di conti durissimo, principalmente tra i due fautori - John e Paul - della grande rivoluzione musicale (e non solo) del Novecento, e la definitiva rottura del loro "patto di sangue" siglato quando avevano quindici anni e mai violato sino ad allora.
La prima bordata contro Paul, ma contro la storia
stessa dei Beatles, è una iniziativa di John– che del resto non si è mai fatto
problemi a “lavare i panni sporchi in pubblico” – ed è contenuta in John
Lennon/Plastic Ono Band, uscito pochi mesi dopo lo scioglimento: God, penultima
traccia del LP, ballata dai toni ultimativi (da resa dei conti appunto), rappresenta il più esplicito “manifesto programmatico” di Lennon, all’indomani del divorzio
dei/dai Beatles.
John mette le cose in
chiaro: vuole esprimere in modo essenziale e definitivo, quello in cui egli
crede – quello cioè che lui sostanzialmente è ora – ora che
l’incantamento dei dieci anni sull’Helter Skelter è finito. Quella
giostra si è fermata. Lui è sceso. Cosa è rimasto? Cosa è adesso John, appena oltrepassata
la linea d’ombra dei suoi primi trent’anni di vita?
God lo afferma esplicitamente, ma nel tipico stile di John, cominciando
dall’enunciazione di ciò in cui lui non crede. Di ciò che lui non è o
non è più.
Anche God, come Mother,
viene scritta durante il periodo della Primal Therapy, nella casa di
Nimes Road, a Bel-Air. John ne incide una prima versione acustica, suonata alla
chitarra, oggi presente in diversi bootleg bramati dai collezionisti,
nella quale fa ironicamente precedere al testo vero e proprio, un proclama
nello stile dei predicatori americani: “Ho una missione
dall'alto. E sono qui per dirvi che questo messaggio riguarda il nostro amore.
Gli angeli devono avermi mandato per consegnarvi questo messaggio. Ora
ascoltatemi, fratelli e sorelle.” L’iconoclasta Lennon usa questo espediente
per lanciarsi così, di seguito, in un radicale peana contro-religioso, il
manifesto di un ateismo che sembra radicale e che viene affermato con forza già
a partire dai primi versi:
God
is a concept
By which we measure our pain
I'll say it again
God is a concept
By which we measure our pain
Yeah
Pain
Yeah
Dio, dice Lennon, è
semplicemente un concetto che gli uomini hanno inventato per dare un
nome, o meglio, per misurare, il loro dolore. È una definizione filosofica
lapidaria, che sembra provenire dal pensiero filosofico di Janov, dalle
conversazioni fatte con il dottore, prima del rilascio delle urla del paziente,
nella stanza insonorizzata.
A questo punto, sull’incalzare dello stesso tema, ribattuto in
crescendo, ad ogni rima John elenca ciò in cui non crede, non ha mai creduto o
non crede più. Anche questo è un elenco radicale, che non ammette discussioni,
e che Lennon stila con tono perentorio, definitivo:
I don't believe in magic
I don't believe in I-Ching
I don't believe in Bible
I don't believe in Tarot (cioè nei tarocchi)
I don't believe in Hitler
I don't believe in Jesus
I don't believe in Kennedy
I don't believe in Buddha
I don't believe in Mantra
I don't believe in Gita
I don't believe in Yoga
I don't believe in Kings
I don't believe in Elvis
I don't believe in Zimmerman (cioè in Bob Dylan)
E qui, con un abile colpo di teatro, dopo una improvvisa pausa della
sequenza, e un eloquente vuoto, arriva la voce dell’elenco più difficile
da mandar giù, specie per le moltitudini di fans che avevano fatto del gruppo
di Liverpool, i loro idoli:
I
don't believe in Beatles
John, dunque, ha fatto finalmente a pezzi tutto: non solo non crede ad
alcuna divinità – e Gesù e la Bibbia sono stati inseriti nell’elenco subito
prima e dopo dei Tarocchi e di Hitler - ma non crede nemmeno in alcun idolo
della musica, né Elvis (che pure fu un suo idolo giovanile), né in Dylan, né
nei “suoi” Beatles, che sono, al pari delle altre voci in capitolo, puri idoli,
simulacri, simboli rivestiti di un valore immaginario e inconsistente. Al
dunque, inutili.
E dunque, cosa resta? In cosa crede l’uomo John, al termine di questa
distruzione di miti, divinità e simboli? John crede alla realtà. E la realtà si
restringe, con un cambio di passo drastico della melodia, all’improvviso fattasi
dolce e malinconica, a “me” e a “Yoko e me”:
I
just believe in me
Yoko and me
And that's reality
Ogni sogno è dunque
tramontato, continua John. Anche i Beatles erano fatti di quel sogno.
Adesso che egli è rinato, tutto è più chiaro: il sogno era “Ieri”, con una
velenosa allusione alla canzone di Paul, Yesterday (sempre considerata,
da John, la sua migliore), e ai tempi dei Beatles. Che vengono ripudiati con i
versi seguenti, di facile interpretazione per tutti i fans del gruppo: John non
è più The Walrus (il “tricheco”), nel chiaro riferimento a una delle
canzoni più celebri e autobiografiche di John (scritta sotto acido e ispirata a
una poesia di Lewis Carroll, I’m the Walrus, contenuta nel Doppio
Bianco). The Walrus, cioè il John-nei-Beatles, il dreamweaver (cioè
il “tessitore di sogni”) è diventato ora, soltanto John, il ri-nato.
The
dream is over
What can I say?
The dream is over
Yesterday
I was the dreamweaver
But now I'm reborn
I was the walrus
But now I'm John
And so dear friends
You'll just have to carry on
The dream is over
Il sogno è finito: ed è piuttosto singolare che a decretarlo sia proprio
John che - con le sue utopie pacifiste, i bed-in, le tirate contro i
potenti e il loro cinismo - tutto il mondo identifica come il sognatore
per eccellenza. E lui stesso, del resto, così si definisce nella sua più famosa
canzone, Imagine: You may say, i’m a dreamer, but i’m not the only
one. Tu puoi chiamarmi un sognatore. Lui non lo nega, risponde soltanto che
di certo non è l’unico.
Questa canzone, God, è allora un proclama nel più caratteristico
stile provocatorio di John. La sua identità – se ne esiste una – è ora ciò che
risulta da una serie di negazioni: “non posso affermare ciò che sono, posso
soltanto dire ciò che non sono.”
Di sicuro, la canzone è uno shock per molti fan dei Beatles, con effetti
potenziali imprevedibili e violenti, come vedremo tra poco.
Ma ciò che sta a cuore a John, al di là dei toni, è smontare il mito dei
Beatles e ridimensionarlo, nel momento in cui sta “imparando a nuotare”. I
Beatles andavano bene, ma non il loro mito. E lo ribadisce con chiarezza nella
famosa intervista del 1980: “Se i Beatles hanno un messaggio, era quello. Con i
Beatles, il punto sono i dischi, non i Beatles come individui. Non hai bisogno del
pacchetto, così come non hai bisogno del pacchetto cristiano o del pacchetto
marxista per ricevere il messaggio… Se i Beatles o gli anni Sessanta hanno un
messaggio, era imparare a nuotare. Punto. E una volta che impari a nuotare,
nuoti. Le persone che sono attaccate al sogno dei Beatles e degli anni Sessanta
hanno perso il punto, quando il sogno dei Beatles e degli anni Sessanta è
diventato il punto. Portare in giro il sogno dei Beatles o degli anni
Sessanta per tutta la vita è come portare in giro la Seconda Guerra Mondiale e
Glenn Miller. Questo non vuol dire che non puoi goderti Glenn Miller o i
Beatles, ma vivere in quel sogno è una zona crepuscolare. Non è vivere adesso. È
un’illusione.”
Sembra un discorso impeccabile, e in effetti lo è, ma c’è sicuramente di
più, oltre a questo: la lunga intervista di Lennon – una sorta di bilancio,
senza sapere che stava arrivando la sua morte – è in realtà una presa di
distanza dalle biografie dei Beatles, non soltanto dal fenomeno musicale,
culturale che essi hanno rappresentato. Perché ogni aspetto, in questa vicenda,
parla prima di tutto di vite, traumi, mancanze, nevrosi, sogni, utopie,
delusioni, malinconie, perdite, fallimenti. In primis, di John e Paul. Così, il
mistero che resta – l’argomento che John scantona nell’intervista – è perché
queste vicende personali, queste vite, si siano assemblate così stranamente e
per quali cause – con potenza simbolica – esse abbiano collegato le anime di
così tanta gente nel mondo, fino a oggi. Forse Lennon, morendo nel 1980, non ha
fatto in tempo a constatare la durevolezza, la consistenza e l’autorevolezza
nel tempo, del “mito” dei Beatles. E forse se fosse vivo ancora oggi, avrebbe
una percezione parecchio diversa di quello che realizzò con i suoi compagni di
allora.