25/06/20

La drammatica storia d'amore tra John Cazale e Meryl Streep


E' stata una fortissima, drammatica storia d'amore quella tra due dei più talentuosi attori di Hollywood in assoluto, a cavallo degli anni '70.

Una storia che soltanto lentamente e recentemente - proprio per il grande riserbo che la grande attrice americana ha sempre riservato alle sue vicende private - è venuta fuori nei suoi particolari. 

La riassumiamo qui brevemente.

Subito dopo la laurea a Yale nel 1975, la Streep si iscrisse e studiò alla Eugene O'Neill Theater Center's National Playwrights Conference, dove apparve in cinque recite teatrali nel giro di sei settimane, visto il grande successo che da subito la accompagnò.

All'epoca aveva 26 anni. 

Lo stesso anno si trasferì a New York e qui apparve nelle più impegnative rappresentazioni teatrali del New York Shakespeare Festival: Enrico V, La bisbetica domata con Raúl Juliá e Misura per misura accanto a Sam Waterston e John Cazale.

Fu proprio durante quest'ultimo spettacolo, che la Streep incontrò Cazale, anche lui una delle promesse più importanti, all'epoca, dello spettacolo americano, con cui avrà una relazione fino alla sua prematura morte nel 1978. 

Nel 1976 la visione del film Taxi Driver ed in particolare la performance di Robert De Niro ebbe un profondo impatto sull'attrice, che fino a quel punto era stata piuttosto disinteressata all'industria cinematografica. 

La Streep iniziò quindi a fare audizioni per diversi film, tra cui quella per il ruolo da protagonista per King Kong di Dino De Laurentiis, il quale, davanti alla Streep e rivolgendosi al figlio in italiano commentò "Che brutta! Perché me l'hai portata?". 

Streep, capendo l'italiano, rispose: "Mi dispiace non essere bella abbastanza per il tuo film, ma la tua è solo un'opinione tra tante ed ora vado a trovarne una più gentile".

La Streep tornò così a teatro, a Broadway dove fu protagonista nei drammi di Tennessee Williams, 27 Wagons Full of Cotton, e di Arthur Miller, A Memory of Two Mondays, per cui ricevette una candidatura al Tony Award come miglior attrice non protagonista in un'opera teatrale nel 1976.

L'esordio al cinema di Meryl Streep avvenne nel 1977 con il bellissimo Giulia di Fred Zinnemann, dove interpreta un personaggio minore sebbene significativo per la trama.

Ma è l'anno successivo che si impone all'attenzione generale, recitando per la prima volta accanto a Robert De Niro, Christopher Walken e al fidanzato John Cazale ne Il cacciatore di Michael Cimino: un lavoro che Meryl Streep aveva deciso di accettare - pur non entusiasta della storia e del suo ruolo - per guadagnare i soldi necessari ad aiutare il compagno, Cazale che si era già gravemente ammalato, di un aggressivo cancro ai polmoni.  Quando Cazale si presentò sul set, lo stesso De Niro si spaventò per le sue condizioni di salute, che erano già peggiorate e che quasi non gli permettevano di rimanere in piedi. Benché cpsì sofferente, Cazale continuò a lavorare per poter terminare quello che sarebbe stato il suo ultimo film, Il cacciatore, e a fianco della sua compagna Meryl Streep. 

Furono la stessa Streep, Robert De Niro e il regista Michael Cimino a convincere i dirigenti della  Universal Studios a consentire a Cazale di continuare a lavorare fino alla fine della produzione. E grazie ad alcune modifiche del piano di lavorazione del film fatte da Cimino, l'attore fu in grado di terminare tutte le sue scene, ma non vide mai il film finito.

Al suo secondo film in assoluto, intanto la Streep ottenne subito la sua prima candidatura all'Oscar come migliore attrice non protagonista.

L'anno dopo, nel 1978 l'attrice fu chiamata per interpretare Inga Helms Weiss, una donna tedesca sposata con un artista ebreo nell'era nazista della Germania, nella miniserie televisiva Olocausto. 

Le riprese della serie si dovevano tenere in Germania ed in Austria, con Cazale costretto a rimanere a New York per curarsi.

Al corrente del peggioramento della malattia del compagno, il cui cancro si era propagato alle ossa,  l'attrice fece immediatamente ritorno e gli restò accanto fino alla sua morte avvenuta il 12 marzo 1978.

Nel frattempo, la serie, con un pubblico stimato di 109 milioni, ebbe un notevole successo e la Streep venne ricompensata con un Emmy come miglior attrice protagonista in una miniserie.

Per cercare di superare lo shock della morte del compagno, la Streep accettò il ruolo in un film minore,  La seduzione del potere e poi in un piccolo ruolo in Manhattan di Woody Allen, nel ruolo di Jill.

Nel film seguente, Kramer contro Kramer, la Streep recitò accanto a Dustin Hoffman nel ruolo di donna infelice che abbandona marito ed affronta una crisi coniugale che sfocia in una pesante battaglia giudiziaria per l'affidamento del figlio (all'inizio l'attrice non approvò il ruolo perché ritraeva le donne come "troppo perfide" e non le rappresentava in modo reale. Gli autori, d'accordo con lei, revisionarono la sceneggiatura. Riscrisse lei stessa alcuni dialoghi nelle scene chiave del film e frequentò l'Upper East Side, dove sarebbe stato grato il film, per osservare le interazioni tra madri e figli del quartiere).

Per Kramer contro Kramer, la Streep vinse sia il Golden Globe che l'Oscar alla miglior attrice non protagonista, che come è noto, dimenticò nel bagno subito dopo aver fatto il discorso.

Kramer contro Kramer e Il cacciatore furono dei successi al botteghino ed entrambi vinsero l'Oscar al miglior film.  

John Cazale detiene ancora oggi un singolare record: tutti i lungometraggi nei quali sia comparso come interprete nel corso della sua breve carriera, inclusi quelli usciti postumi, sono stati candidati al premio Oscar al miglior film



fonte: Wikipedia

23/06/20

Libro del Giorno: "E i nostri volti, amore mio, leggeri come foto" di John Berger




Dispiace che anche un editore serio come Il Saggiatore sia assai deludente quando presenta il nuovo libro di John Berger come una "intensa lettera d'amore di un grande narratore", annunciandolo così nella quarta di copertina e ripetutamente sottolineandolo nella bandella, allo scopo, immagino, di catturare più lettori. 

In realtà il libro di Berger (Londra, 5 novembre 1926 – Parigi, 2 gennaio 2017) - come altri suoi - è un testo completamente anomalo, in bilico su diversi generi letterari, saggio filosofico soprattutto, memoir, poesia, auto-fiction. I temi affrontati sono quelli filosofici esiziali, dell'esistenza

L'amore vi ha una parte del tutto minore, trascurabile e semmai funzionale soltanto nella scelta del linguaggio fortemente evocativo e poetico di Berger.

John Peter Berger del resto è stato un personaggio atipico: critico d'arte, scrittore e pittore. Il suo romanzo G. vinse il Booker Prize e il James Tait Black Memorial Prize nel 1972, ma la sua formazione è pittorica: quando nel dopoguerra si iscrisse alla Chelsea School of Art e alla Central School of Art di Londra, esponendo in diverse gallerie londinesi sul finire degli anni '40.

Mentre lavorava come insegnante di disegno (dal 1948 al 1955), Berger divenne poi un critico d'arte, pubblicando svariati saggi e recensioni. Il suo umanismo marxista e le sue convinte opinioni sull'arte moderna lo hanno reso una figura controversa sin dall'inizio della sua carriera.

E solo recentemente si è pienamente apprezzata la sua notevole produzione letteraria, difficilmente identificabile in un genere specifico.

Questo libro, pubblicato per la prima volta in Gran Bretagna nel 1984, è assai prezioso: un compendio di illuminazioni, suddivise in una dimensione verticale (il tempo) e orizzontale (lo spazio).   

Ricordi di viaggi, visioni estatiche, ma anche e soprattutto riflessioni profonde sul passato e sul senso dell'esistenza che (ci) trasforma ogni cosa che viviamo, mentre la viviamo, in qualche altra cosa. 

Un Taccuino intimo intervallato da brevi testi poetici dello stesso Berger, o di altri poeti come Anna Achmatova o Evgenij Vinokurov, oltre a fulminanti incursioni nelle opere amatissime di Van Gogh,  di Vermeer o di Caravaggio.

John Berger
E i nostri volti, amore mio, leggeri come foto
Edizione italiana e traduzione a cura di Maria Nadotti
Edizioni il Saggiatore, 2020
pp. 152, Euro 18.00

22/06/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 70. "8½" di Federico Fellini (Italia, 1963)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 70. "" di Federico Fellini (Italia, 1963)

E' ormai per la critica unanime uno dei film capitali nella storia del cinema. E talmente conosciuto e singolare - genialmente innovativo all'epoca - nella struttura e nello stesso sviluppo narrativo che non serve tornarvi. 

E' più interessante invece dare voce allo stesso Fellini, che così parlava del suo film - su invito del settimanale - a corredo delle immagini di Tazio Secchiaroli sul set di Otto e mezzo, pubblicate in anteprima assoluta da L'Europeo del 6 gennaio 1963:

Forse questa è solo la storia di un film che non ho fatto.  

Mi ricordo che all'inizio, parlo almeno di un anno e mezzo fa, volevo mettere insieme un ritratto a più dimensioni di un personaggio sui quarantacinque anni che, in un momento di sosta forzata (il fegato, una cura termale in un posto tipo Chianciano, la giornata scandita da orari nuovi e precisi, il riposo, il silenzio, e intorno una folla insolita e malata, sovrani nordici e contadine, vecchi cardinali e mantenute un po' acciaccate), sprofonda pigramente in una specie di verifica intima. 

Quasi inevitabilmente gli passano davanti fantasie e ricordi, sogni e presentimenti.  Non riuscivo, all'inizio, a dargli una carta d'identità, al protagonista.  Restava un personaggio generico, piombato in una certa situazione, e credevo che non fosse necessario definirlo meglio.  

Ma il film non riusciva a fare un passo avanti. Per quanto se ne discutesse con gli sceneggiatori, Flaiano, Pinelli e Rondi, non restava altro che l'idea del film.  Poi il personaggio è diventato finalmente un regista che tenta di riunire i brandelli della sua vita passata per ricavarne un senso e per tentare di capire. Anche lui ha un film da fare, che non riesce a fare.

A un certo punto lo troviamo perfino ai piedi di una gigantesca rampa per missili: da quella rampa, nel suo film, dovrebbe partire un'astronave, con il compito di portare in salvo, verso chissà quale altro pianeta, i resti dell'umanità distrutta dalla peste atomica.    Proprio lì, sotto il castello di tubi e di pedane, il mio protagonista dice a se stesso: 

"Mi sembrava di avere le idee chiare. Volevo fare un film onesto, senza bugie di nessun genere. Mi sembrava di avere qualcosa di molto semplice da dire: un film che servisse, un po' a tutti, a seppellire quello che di morto ci portiamo dentro. Invece sono io il primo a non avere il coraggio di seppellire proprio un bel niente.  E adesso mi trovo qui con questa torre tra i piedi e una gran confusione nella testa. Chissà a che punto avrò sbagliato strada.

Un capolavoro che non smette, dopo 60 anni, di ricevere applausi da ogni parte del mondo.

8 ½ 
Regia di Federico Fellini
Italia, 1963 
con Marcello Mastroianni, Claudia Cardinale, Anouk Aimée, Sandra Milo, Rossella Falk. 
durata 138 minuti 



21/06/20

Poesia della Domenica: "Lamento della sposa barocca (octapus)" di Claudia Ruggeri




lamento della sposa barocca (octapus)

T’avrei lavato i piedi
oppure mi sarei fatta altissima
come i soffitti scavalcati di cieli
come voce in voce si sconquassa
tornando folle ed organando a schiere
come si leva assalto e candore demente
alla colonna che porta la corolla e la maledizione
di Gabriele, che porta un canto ed un profilo
che cade, se scattano vele in mille luoghi
– sentite ruvide come cadono -; anche solo
un Luglio, un insetto che infesta la sala,
solo un assetto, un raduno di teste
e di cosce (la manovra, si sa, della balera),
e la sorte di sapere che creatura
va a mollare che nuca che capelli
va a impigliare, la sorte di ricevere; amore
ti avrei dato la sorte di sorreggere,
perché alla scadenza delle venti
due danze avrei adorato trenta
tre fuochi, perché esiste una Veste
di Pace se su questi soffitti si segna
il decoro invidiato: poi che mossa un’impronta si smodi
ad otto tentacoli poi che ne escano le torture.




Claudia Ruggeri (Napoli, 30 agosto 1967 – Lecce, 27 ottobre 1996) è stata una poetessa italiana. Nata a Napoli da padre salentino e da madre napoletana. Esordisce giovanissima nel 1985, alla Festa dell'Unità di Lecce, quando declama i suoi versi durante un reading, al quale è presente anche il poeta (e amico) Dario Bellezza. Viene accolta come voce promettente e singolare nel nuovo panorama letterario. Muore suicida a Lecce il 27 ottobre del 1996, a soli ventinove anni, lanciandosi nel vuoto dal balcone della sua abitazione.

20/06/20

72 anni fa, nasceva il primo Long Playing della storia della Musica



È un'esperienza che tutti i baby-boomer, cioe' i nati dall'immediato dopoguerra fino alla meta' degli Anni Sessanta, hanno sicuramente provato. 

A ogni trasloco si sono trovati per le mani un pesante pacco di oggetti neri, circolari, del diametro di circa 30 centimetri, obsoleti e ormai inutili. Eppure tutti sono stati ogni volta assai restii a disfarsene. 

Stiamo parlando, ovviamente, dei dischi a 33 giri, i cosiddetti Long-playing, o piu' familiarmente Lp (ellepi') o Album

L'occasione per ricordare queste icone della musica e' il loro anniversario di nascita. 

Esattamente 72 anni fa, il 21 giugno 1948, presso l'Hotel Waldorf Astoria di New York, la Columbia Records presentava il primo esemplare di 33 giri, che in breve avrebbe soppiantato il vecchio e glorioso 78 giri inventato nel 1894. 

Per la prima volta, su un supporto in vinile si potevano incidere brani musicali su entrambe le facciate, con una resa del suono di grande qualita' e una durata superiore, in genere dai 25 ai 30 minuti per ciascun lato. 

Il disco veniva collocato sul piatto dei giradischi e una puntina in diamante o zaffiro "leggeva" i solchi che vi erano stati incisi, trasmettendoli a un'apparecchiatura che li trasformava in suoni. 

Girando, appunto, alla velocita' di 33 giri (per la precisione 33 e un terzo) al minuto

Fu una vera rivoluzione per il mondo della discografia. Completata dal fatto che l'anno successivo, nel 1949, la Rca lancio' il piu' agile 45 giri e negli stessi anni altre grandi aziende americane (come la Wurlitzer e la Seeburg) perfezionarono il mitico Juke-box. 

Finalmente la musica poteva diventare un prodotto culturale a disposizione di tutti, a prezzi non eccessivi, fruibile a casa propria o addirittura all'aperto, in spiaggia, in viaggio (quando poi, alla fine degli Anni Cinquanta, fu commercializzato il mangiadischi). 

La musica usciva dalle segrete stanze dei privilegiati e diventava una forma d'arte diffusa e popolare. 

Poi, dagli Anni Ottanta, e' arrivata l'era dei compact-disc, e successivamente degli Mp3 e dei supporti digitali. I vecchi giradischi sono stati archiviati in cantina, o buttati in discarica. Alcuni sconsiderati si sono liberati dei loro 33 giri, contribuendo ad alimentare le bancarelle dei prodotti vintage. 

Ma tantissimi non hanno ceduto, e mossi da motivazioni esclusivamente sentimentali hanno conservato quei curiosi oggetti in vinile. Magari ripetendo fra se' e se': prima o poi mi ricompro un giradischi e "li metto su". Cosa che non avviene mai. In compenso, questi nostalgici se ne ricorderanno al prossimo trasloco.

19/06/20

Incredibile scoperta: Il "Volto Santo" di Lucca è la più antica scultura lignea di tutto l'Occidente .



Le indagini diagnostiche con il carbonio 14 fatte per la prima volta sul celebre Volto Santo di Lucca hanno dato un risultato eclatante: l'opera e' databile tra l'VIII e il IX secolo.

E' la conferma, si spiega, che si tratta del primo e unico Volto Santo, che un antico testo creduto leggendario affermava essere arrivato a Lucca nel 782 d.C. e non di un'opera del XII secolo, replica di un originale piu' antico andato perduto, come gli studi di storia dell'arte ritenevano finora. 

Alla luce dei nuovi dati, il Volto Santo di Lucca e' la piu' antica scultura lignea dell'Occidente. 

L'indagine diagnostica e' stata avviata per le celebrazioni per i 950 anni dalla rifondazione della Cattedrale lucchese. 

L'opera e' una delle icone piu' venerate della cristianita': il suo culto nel Medioevo si estese a tutta Europa. 


100 film da salvare alla fine del mondo: 69. "Vacanze Romane" (Roman Holiday) di William Wyler, 1953, Usa




Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 69. "Vacanze Romane" (Roman Holiday)  di William Wyler, 1953, Usa

Il film che per molti ha rappresentato il liberatorio risveglio dopo gli anni della Guerra, il film che guardava con fiducia, ottimismo, ironia, al futuro, in un futuro dove il meglio sembrava possibile.  

In Italia come altrove.

Roman Holiday (il titolo originale) fu realizzato dal grande William Wyler nel 1953 e fu candidato a dieci premi Oscar - ne vinse poi 3 di cui uno a Audrey Hepburn come migliore attrice protagonista. 

La storia, frutto della sceneggiatura di Dalton Trumbo, uno dei più geniali scrittori di Hollywood finito poi nelle liste di proscrizione del maccartismo, racconta le vicende di Ann, una giovane principessa, che gira per le capitali europee, soggetta a un protocollo immutabile. 

Arrivata a Roma, decide di fuggire e lascia il palazzo in cui abita, dopo che un medico le ha somministrato un sedativo, addormentandosi su una panchina del Colosseo e attirando l'attenzione di un giovane e piacente giornalista, Joe Bradley. 

Bradley la porta a casa sua e la mattina dopo scopre che la ragazza non è altro che la Principessa Ann che avrebbe intervistato lo stesso giorno. 

Il palazzo, spaventato ha intanto avviato le ricerche per ritrovare la ragazza. 

Bradley decide di approfittare della situazione, cercando di intervistare Ann e fotografarla, nascondendo il suo lavoro di giornalista. 

Ann, felice di avere una giornata di libertà, si diverte e visita la capitale in Vespa . 

La sera prende la decisione di tornare al Palazzo,  a causa dei compiti derivanti dal suo suo status, nonostante si sia innamorata di Bradley. 

Il giorno seguente, Bradley rinuncia a scrivere e pubblicare un articolo sulla scappatella della principessa, nonostante l'importante somma che ha ricevuto dal suo giornale.

Pochi istanti dopo, Ann, intervistata da una folla di giornalisti, riconosce Bradley tra loro.

Il giornalista gli fa capire che rimarrà in silenzio, e il suo collega fotografo restituisce alla giovane donna le foto che le aveva fatto a sua insaputa. 

Ai giornalisti che le chiedono quale città preferisce tra tutte quelle che ha visitato durante il suo tour, Ann risponde che Roma è la sua città preferita e che la ricorderà per tutta la vita, rompendo così il protocollo che voleva che lei non esprimesse alcuna preferenza. 

Dopo questa conferenza stampa Bradley capisce che fa parte di un altro mondo rispetto al suo, e che, nonostante il sentimento, ognuno deve seguire il suo destino.

I titoli di coda specificano che il film è stato interamente realizzato a Roma (in città e negli studi di Cinecittà ). Il film deve anche il suo successo alle riprese in bianco e nero, una scelta voluta da Wyler che sorprese, nel momento in cui Technicolor era in pieno boom. 

Gregory Peck, già affermato, affascinato dall'esibizione della giovanissima Audrey Hepburn, chiese che il suo nome apparisse accanto al suo sul poster del film. 

La comprensione e la complicità tra i due attori era eccellente e lo si percepisce a distanza di 70 anni, ciò che rende questo film sempre genuino e felice. 

A riprova di questa complicità, la famosa scena della Bocca della Verità, con Gregory Peck che mette la mano nella Bocca della Verità, come è tradizione, e fa credere ad Audrey Hepburn che sia stata tagliata. 

La reazione spontanea dell'attrice è stata catturata in una ripresa dal regista che ha deciso di includerla nel montaggio.

Tra i luoghi di Roma ripresi nel film: il Colosseo , la Bocca della Verità, il ponte e il Castel Sant'Angelo, la Fontana di Trevi, il Pantheon, Piazza Venezia, Piazza di Spagna, la Galleria Colonna (dove si tiene la conferenza stampa alla fine del film).  


VACANZE ROMANE 
(Roman Holiday)
Regia di William Wyler 
Usa 1953 
con Gregory Peck, Eddie Albert, Audrey Hepburn, Artley Power, Hartley Power, Harcourt Williams, Margaret Rawlings
durata 119 minuti




16/06/20

Arriva Caravaggio ai Musei Capitolini - Fino al 13 settembre



Ai Musei Capitolini arriva la grande mostra "Il tempo di Caravaggio. Capolavori della collezione di Roberto Longhi", rimandata per l`emergenza Covid-19, che sara' ora nelle sale di Palazzo Caffarelli fino al 13 settembre

L`esposizione curata da Maria Cristina Bandera comprende il famoso "Ragazzo morso da un ramarro" e piu' di 40 dipinti degli artisti influenzati dalla rivoluzione figurativa di Michelangelo Merisi. 

Lo storico dell`arte Roberto Longhi seppe riconoscere la portata rivoluzionaria della pittura del Merisi tanto da considerarlo come il primo pittore dell`eta' moderna

"Il Ragazzo morso da un ramarro", che risale all`inizio del soggiorno romano di Caravaggio e databile intorno al 1596-1597, fu acquistato da Longhi negli anni Venti del `900

Al Caravaggio e ai cosiddetti "caravaggeschi" lo storico dell`arte dedico' un`intera vita di studi: secondo lui "il Caravaggio suggeri' un atteggiamento, provoco' un consenso in altri spiriti liberi, non defini' una poetica di regola fissa; e insomma, come non aveva avuto maestri, non ebbe scolari".

Ai musei capitolini i visitatori potranno ammirare, fra gli altri, quattro tavolette di Lorenzo Lotto e due dipinti di Battista del Moro e Bartolomeo Passarotti, che aprono il percorso espositivo, con l`intento di rappresentare il clima artistico del manierismo lombardo e veneto in cui si e' formato Caravaggio. 

Oltre al "Ragazzo morso da un ramarro" e' in mostra "Il Ragazzo che monda un frutto", una copia antica da Caravaggio, che Longhi riteneva una "reliquia". 

Nella mostra sono rappresentati artisti che per tutto il secolo XVII sono stati influenzati da quella rivoluzione figurativa. 

Spiccano tre tele di Carlo Saraceni, "l`Allegoria della Vanita'", una delle opere piu' significative di Angelo Caroselli; "l`Angelo annunciante" di Guglielmo Caccia detto Il Moncalvo; la "Maria Maddalena penitente" di Domenico Fetti; la splendida "Incoronazione di spine" di Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone. 

Tra i grandi capolavori del primo caravaggismo spiccano inoltre cinque tele raffiguranti Apostoli del giovane Jusepe de Ribera e la "Deposizione di Cristo" di Battistello Caracciolo, tra i primi seguaci napoletani del Caravaggio. La "Negazione di Pietro" e' poi il grande capolavoro di Valentin de Boulogne, recentemente esposto al Metropolitan Museum of Art di New York e al Museo del Louvre di Parigi, la cui ambientazione e' un preciso riferimento alla famosa Vocazione di San Matteo di Caravaggio

15/06/20

La Lupa Capitolina, simbolo di Roma è un mistero: quando fu scolpita, e da chi?



Il simbolo di Roma: la Lupa dei Musei Capitolini, forse un falso medievale.

La Lupa Capitolina è da sempre il simbolo di Roma.

Conservata nelle sale dei Musei Capitolini (nella sala che oggi porta il suo nome), ne rappresenta il pezzo forse più celebre o quantomeno il più caro ai romani.

Tradizionalmente l'opera è stata sempre considerata etrusca e risalente addirittura al V secolo a.C., ma questa datazione e' stata soggetta a controversie da parte degli studiosi.

Le prime notizie giunte a noi – ma la leggenda e le fonti più antiche parlano addirittura di due statue, una al Campidoglio e l’altra al Lupercale – risalgono al 900 d.C.  quando una statua bronzea (ma non era probabilmente quella che  vediamo oggi) era conservata al Laterano.  

Le notizie sulla presenza della Lupa Capitolina poi vennero attestate fino al 1471 nella Chiesa di San Teodoro, dietro al Circo Massimo, fino a quando Papa Sisto IV la fece trasferire al Campidoglio.

Ma nella confusione delle fonti è stato finora difficile stabilire quando la Lupa – la Lupa che oggi vediamo e conosciamo – fece la sua comparsa come simbolo cittadino e rappresentazione archetipica del mito della fondazione di Roma che da tempo immemorabile raccontava di come proprio una Lupa si fosse occupata di sfamare i gemelli Romolo e Remo, abbandonati in una cesta nelle acque del Tevere dal perfido zio Amulio.

E’ un dibattito, anche molto acceso, che dura da decenni, da Winckelmann in poi, ma che negli ultimi tempi ha trovato nuovi straordinari elementi di conoscenza grazie a moderne tecniche di indagine.

In particolare, se è risaputo che l’aggiunta dei due gemelli – Romolo e Remo, accovacciati tra le zampe posteriori dell’animale – è sicuramente recente (esattamente della fine del Quattrocento, probabilmente opera di Antonio del Pollaiolo),  oggi un approfondito studio ha permesso di stabilire che il bronzo fu realizzato tra il 1021 e il 1153 d.C. con un livello di attendibilità stabilita dai referti, che si attesterebbe oltre il 95 %.

I rilievi sono stati condotti con moderne strumentazioni, attraverso le analisi con il radiocarbonio su numerosi campioni di resti vegetali estratti dalle terre di fusione utilizzate per la statua che hanno permesso di circoscrivere la data della fusione del bronzo ad un intervallo che esclude il periodo etrusco ed indica con maggiore probabilità un'età tardo medievale.

In particolare, secondo gli studiosi la Lupa è una copia medievale da un originale antico etrusco-italico eseguito con una tecnica indiretta a calco, e la prova sta nei numerosi ritocchi eseguiti in cera lungo le zone di contatto delle valve negative e nell'esecuzione ex novo della coda che era andata persa nell'originale.

Gli esami hanno poi permesso anche di accertare che la Lupa ha una stretta familiarità con la Sardegna: nel senso che per crearla fu utilizzato il rame della miniera algherese di Calabona, come risulta dai risultati delle analisi del rapporto isotopico del piombo  eseguite nei laboratori di Oxford.

A questo punto resta una domanda irrisolta: se la statua al Campidoglio è una copia medievale, dove si trova l'originale, la prima statua etrusca? E se fu distrutta, quando avvenne e in che circostanza?

Tratto da: Fabrizio Falconi, Misteri e segreti dei Rioni e dei Quartieri di Roma, Newton Compton, Roma 2013 


12/06/20

Ritorna la Grande Arte a Sutri - Dal 26 Giugno


Bacchus, di Justin Bradshaw


CONTEMPLAZIONI
Vittorio Sgarbi
Sutri 26 giugno > gennaio 2021 


«L’arte è un costante incontro tra passato, presente e futuro.» 


Il consueto appuntamento con i capolavori dell’arte ritorna a Sutri presso il Museo di Palazzo Doebbing. 

Dopo aver incantato gli occhi di migliaia di visitatori nelle prime due stagioni di mostre, con opere di grandi maestri – tra cui Tiziano, Scipione Pulzone, Artemisia Gentileschi, Pellizza da Volpedo, Antonio Ligabue, Fausto Pirandello, Renato Guttuso, Henri Rousseau – e dopo aver ospitato deputati, giornalisti, pensatori, ambasciatori, ministri, giunti a testimoniare le grandi eccellenze italiane nei diversi incontri e conferenze pubbliche, riapre la nuova stagione espositiva di Palazzo Doebbing. Partner: mostra-contemplazioni 

In mostra: 

PETALA AUREA Petali d’oro. Lamine di ambito bizantino e longobardo dalla Fondazione Luigi Rovati 
GIOTTO Il grande Crocifisso dalla Collezione Sgarbossa 
PIER PAOLO PASOLINI Fotografie degli ultimi sguardi del grande intellettuale 
TADEUSZ KANTOR Dipinti e disegni dalla Collezione Dario e Stefania Piga che testimoniano l’immortale genialità di Kantor con le sue metafore visive e teatrali 
• CESARE INZERILLO La nuova scultura “Ora d’aria, 2020” per riflettere sulla fragilità umana in epoca di Corona Virus 
• LA DISTRAZIONE DEL MONDO Dipinti dalla Fondazione Franz Ludwig Catel di Roma 
• SCARTI, GIOCHI E RIMANDI Le sculture di Livio Scarpella 
JUSTIN BRADSHAW Ritratti e nature morte eseguiti a olio su rame 
• KORAI Le sculture in gesso e resina di Alessio Deli 
• LE STORIE DI CARAVAGGIO L’appassionante vita di Michelangelo Merisi dipinta da Guido Venanzoni in una serie di grandi teleri 
• COME ALLO SPECCHIO Fotografie di Chiara Caselli 
• METAFORICA NATURALITÀ Sculture di Mirna Manni • LUOGHI REALI dipinti di Massimo Rossetti.

11/06/20

Stupefacente: I Radar portano alla luce un'intera città romana !



Per la prima volta gli archeologi sono riusciti a mappare con grande dettaglio un'intera città romana senza dover scavare

Con la tecnologia dei radar Gpr, come spiega sulla rivista Antiquity il gruppo delle universita' di Cambridge e di Ghent, guidato da Martin Millet, sono stati 'portati alla luce' le terme, il mercato e un tempio di Falerii novi del III secolo a.C, nella valle del Tevere.

Il Gpr (Ground penetrating radar) funziona come un radar normale, che rimbalza le onde radio sugli oggetti, e usando questa eco riesce a costruire un'immagine a profondita' diverse

Con questi strumenti i ricercatori hanno analizzato un'area di 30,5 ettari all'interno delle mura di Falerii Novi, che si trova a 50 chilometri a nord di Roma. 

Grazie ai radar si e' scoperto che la disposizione della citta' era meno standardizzata rispetto a molte altre ben studiate, come Pompei, e che il complesso del mercato, il tempio e le terme erano architettonicamente piu' elaborati del previsto per una piccola citta'. 

Nella parte piu' a sud, sempre dentro le mura, i radar hanno rivelato una grande costruzione rettangolare collegata ad una serie di tubature dell'acqua che portavano all'acquedotto, e scorrevano non solo lungo le sue strade ma anche sotto le sue insulae (gli isolati romani). 

Secondo gli studiosi questa struttura era una piscina all'aria, parte di un complesso di bagni pubblici

Ancora piu' inaspettato, vicino alla porta a nord della citta', sono state identificate un paio di grandi strutture una di fronte all'altra in un vicolo coperto con una fila centrale di colonne, che potrebbero far parte di un monumento pubblico impressionante. 

"Questo livello di dettaglio puo' trasformare il modo in cui si studiano i siti urbani - commenta Millet - Ora si puo' immaginare si usare il Gpr su citta' piu' grandi, come Mileto o Cirene". 

10/06/20

Domani, 11 giugno Flash Mob di protesta per riaprire i Giardini di Piazza Vittorio, chiusi da più di un anno



Il giardino di piazza Vittorio è chiuso dall’ 11 marzo 2019 e i lavori si trascinano ignorando le indicazioni del Piano partecipato di Gestione, redatto sulla scorta di un percorso scandito da assemblee e dibattiti pubblici, realizzato con il contributo Luoghi del Cuore e adottato dall’Amministrazione di Roma Capitale con memoria di Giunta del 31 Agosto 2017. 

Il Piano prevedeva interventi a carattere manutentivo e gestionale da attuarsi già durante i lavori (“cantiere trasparente”, informazioni sui lavori in corso, mantenimento di un attraversamento, ecc.) 

Tutti importanti e tutti disattesi. 

Durante i lavori sono stati violati diversi articoli del Regolamento Comunale del giugno 2019, relativi proprio alla tutela del verde (difesa della superficie radicale, divieto di scavare in prossimità delle radici degli alberi ecc..), sono stati estirpati 700 metri lineari di siepi di Alloro (difendevano il giardino dalle polveri sottili e dal rumore), in difformità con quanto previsto nel progetto presentato in pubblico da Roma Capitale. 

Durante la quarantena Covid-19 sono stati realizzati molti lavori stradali, ma il cantiere del giardino dove si sarebbe potuto lavorare in sicurezza è rimasto inspiegabilmente chiuso. 

Per il giardino di piazza Vittorio vogliamo sapere: 

§ se e come sia stato redatto il bando per l’affidamento in gestione del punto ristoro e dei bagni e quali siano i tempi previsti per l’avvio dei servizi, indispensabili all’apertura al pubblico del giardino; 
§ se e come sia stata progettata la gestione ambientale (bagni e pulizia) considerandone anche gli aspetti sociali, le regole per il mantenimento della qualità ambientale e la sicurezza (attività e informazione), se ci sarà un piano degli interventi di manutenzione dei giochi e degli arredi, chi ne farà la manutenzione? Chi farà la pulizia quotidiana e chi la manutenzione del verde? 

§ se e quale progetto sia stato definito per accompagnare la frequentazione inclusiva, garantire la leggibilità e la diffusione delle informazioni sulle regole per la fruizione del giardino e dei servizi igienici 

Di tutto questo sono state date indicazioni tecniche puntuali e competenti nel Piano di Gestione, finora ignorate dai responsabili del progetto e dai tecnici comunali. 

Il giardino è chiuso dall'11 di marzo 2019 e nel cartellone di cantiere esposto la durata dei lavori è di 158 giorni: si comunichi subito alla cittadinanza la data certa della sua riapertura. 

Le associazioni, i Comitati e gli abitanti dell’Esquilino si incontrano per un flash mob giovedì 11 giugno alle ore 18,30 davanti al giardino lato OVS, per appendere uno striscione con la scritta LIBERIAMO I GIARDINI - RESTITUITE IL VERDE ALLA CITTA’


09/06/20

100 film da salvare alla fine del mondo: 67 "Il piccolo grande uomo" (Little Big Man) di Arthur Penn, USA, 1970


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo". Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 67 "Il piccolo grande uomo" (Little Big Man) di Arthur Penn, USA, 1970

Il primo film che, insieme a Soldato Blu, diretto da Ralph Nelson nello stesso anno, 1970, affrontò con approccio completamente diverso il tema del più grande genocidio dell'umanità, quello dei nativi americani compiuto dai colonizzatori inglesi, francesi, nel nord America e spagnoli, portoghesi, olandesi, nel centro e sud America. 

Piccolo Grande Uomo fu realizzato da Arthur Penn (fratello minore del grande fotografo Irving Penn) dopo alcuni film che ne avevano già decretato la statura artistica: Furia selvaggia - Billy Kid (The Left Handed Gun) (1958), Anna dei miracoli (The Miracle Worker) (1962), La caccia (The Chase) (1966) Gangster Story (Bonnie and Clyde) (1967) e Alice's Restaurant (1969).

Il film, oggi registrato per meriti artistici nel National Film Registry per essere conservato presso la Library of Congress è un adattamento del romanzo di Thomas Bergers, pubblicato nel 1964. 

Il 121enne Jack Crabb ( Dustin Hoffman ) ripercorre il suo passato e racconta a uno storico (William Hickey) la sua vita avventurosa, dalla sua adozione da parte dei Cheyennes nel 1860, quando era solo un ragazzo, fino alla sua partecipazione alla sconfitta del Generale Custer (Richard Mulligan) alla battaglia di Little Big Horn il 25 giugno 1876. 

Il film consiste quindi in lunghi flashback intervallati da ritorni alla storia del vecchio.

Little Big man è un western a tutti gli effetti ma sconvolge i codici della rappresentazione del confine e delle due culture che si oppongono

Per la prima volta, gli indiani di Arthur Penn non sono associati ai selvaggi, ma piuttosto rappresentati come vittime della conquista dell'Occidente guidata dall'esercito americano., con 
una rappresentazione positiva degli indiani, i Cheyennes , che vivono in armonia 

Con il loro nome (la tribù degli "esseri umani"), Penn dà loro l'umanità e non esita a mostrare aspetti della vita indiana che lo spettatore non oserebbe immaginare: un "Heemaney" indiano è vale a dire omosessuale, vive nella comunità indiana senza essere giudicato per la sua sessualità e in totale accettazione degli altri, mentre a quel tempo nella civiltà occidentale l'omosessualità rimase un argomento tabù. 

Gli indiani sembrano quindi più saggi dei bianchi raffigurati come dissoluti e allettati dal guadagno, dalla violenza o persino dai piaceri della carne 

Jack Crabb (un grandioso Dustin Hoffman) è un uomo che oscilla tra due culture, due civiltà: è americano di nascita ma cresce a fianco del popolo Cheyenne . Per tutto il film, sarà diviso tra la sua vita con i nativi e con i bianchi. 

Ogni episodio è scandito da un viaggio di andata e ritorno tra questi due popoli. 

Sebbene sia cresciuto nella tribù Cheyenne, Jack rimane un americano. 

A differenza della maggior parte dei film occidentali , l'obiettivo non è quello di ingrandire il destino manifesto , una missione sacra intrapresa dagli americani, ma piuttosto di evidenziare una parte trascurata della storia. 

La conquista dell'Occidente rappresentata da Arthur Penn mette in discussione la storicità di questo periodo, in particolare attraverso il personaggio del generale Custer , personaggio storico, morto nella battaglia di Little Big Horn, considerato un eroe americano. 

Uscito nelle sale durante la guerra del Vietnam, Little Big Man fu percepito come pieno di rimandi all'attualità: il comportamento autoritario e bellicoso del generale Custer e dei suoi eserciti contrasta con il discorso non violento di Peau de la Vieille Hutte nella battaglia di Little Bighorn . 

Questo contrasto fu ampiamente paragonato all'impegno contestato delle truppe americane in Vietnam un secolo dopo. Arthur Penn ha dichiarato " Custer ha massacrato gli abitanti di un villaggio mentre massacravamo gli abitanti dei villaggi vietnamiti " .

Al di là della sua valenza ideologica, Piccolo grande uomo è un grande film, meravigliosamente sceneggiato, fotografato, e interpretato da attori in stato di grazia.

PICCOLO GRANDE UOMO 
Little Big Man
Regia di Arthur Penn. 
Usa, 1970 
con Dustin Hoffman, Faye Dunaway, Martin Balsam, Richard Mulligan, Jeff Corey, Aimée Eccles. durata 150 minuti. 


08/06/20

"Quando avete finito di preoccuparvi di questa epidemia, preoccupatevi della prossima" - Esce "L'albero intricato", il nuovo libro di David Quammen



"Quando avete finito di preoccuparvi di questa epidemia, preoccupatevi della prossima", ha esortato a maggio in uno dei suoi pezzi per il New York Times in modo chiaro e diretto David Quammen, di cui ora arrivano in libreria due titoli e fanno notizia

La sua infatti non e' una visione pessimista o disfattista, visto che e' l'autore di "Spillover" (Adelphi, pp.610 - 29,00 euro) e sa quel che dice se, con quel suo saggio tornato inevitabilmente al centro dell'attenzione nei mesi scorsi, metteva in guardia sin dal 2013 dall'arrivo di una pandemia che sarebbe probabilmente venuta "fuori dalla foresta pluviale o da un mercato cittadino della Cina meridionale", argomentando in modo articolato che tali virus sono l'inevitabile risposta della natura all'assalto dell'uomo agli ecosistemi e all'ambiente. 

Sono quindi da leggere questi due veri e propri saggi, ma dalla scrittura e esposizione chiara, quasi affabulatoria e per molti versi coinvolgente, visto che racconta spesso anche la storia di una scoperta e di chi l'ha fatta: il primo e' la ristampa dopo 15 anni di un suo libro di Quammen uscito in Italia nel 2005 sulla ferinita' di uomini e animali, sulla indifferenza della natura e la catena alimentare; il secondo e' la traduzione della sua ultima opera, del 2018, sull'intricato albero della vita, che fa il punto su quel che sappiamo dell'evoluzione, di Dna e genomi, dell'interrelazioni e i collegamenti filogenetici tra le varie specie e forme di vita di ogni tipo, dalle piu' evolute alle piu' elementari, a quasi due secoli dalle intuizioni che cominciarono a germogliare nella testa di Darwin nel 1837, mentre, specie in America, trovano nuovi seguaci le sette creazioniste e persino i terrapiattisti. 

 David Quammen (Cincinnati, 24 febbraio 1948) e' uno scrittore e apprezzato divulgatore scientifico statunitense che per quindici anni ha curato una rubrica intitolata 'Natural Acts' per la rivista Outside. I suoi articoli, che gli hanno valso numerosi premi, sono anche apparsi su National Geographic, Harper's, Rolling Stone, New York Times Book Review e altri periodici. 

"L'albero intricato" e' una storia della genetica moderna, per cui ci riguarda molto da vicino, e' affascinante, e' un susseguirsi di ipotesi e verifiche e smentite e scoperte improvvise o intuizioni geniali, oltre che di ricerca e esperimenti in laboratorio e in questa ricostruzione ha al centro un momento di svolta particolare con anche una data, il 1928, dovuto a un ricercatore inglese, Fred Griffith, che riconobbe per la prima volta come possibile il trasferimento genetico orizzontale, senza nemmeno rendersi ancora conto di cio' che questo avrebbe implicato. E' allora che l'albero della vita disegnato da Darwin col suo trasferimento di geni in linea verticale, di discendenza, si e' dimostrato assai piu' ingarbugliato e complesso della stilizzazione appunto di un albero.

La scoperta che i geni si spostano anche in senso orizzontale, lateralmente, potendo attraversare cosi' i confini di specie o passare da un regno naturale a un altro, che e' poi quello che e' accaduto col molti virus e con lo stesso Covid. accanto,o meglio assieme a questo discorso se ne sviluppa un'altro che non puo' non farci pensare, sul concetto di specie e di individuo come li intendiamo tradizionalmente

Noi siamo un mosaico di forme di vita, "Siamo una specie animale, legata in modo indissolubile alle altre, nelle nostre origini, nella nostra evoluzione, in salute e in malattia". L'otto per cento di un genoma umano consiste infatti di residui di retrovirus che hanno invaso il Dna dei nostri antenati, "l'equivalente genetico di una trasfusione di sangue", e tra i donatori ci sono organismi primordiali che dominavano la vita miliardi di anni fa e ora 'abitano' in ciascuno di noi. 

"Alla ricerca del predatore alfa" parla del contesto in cui si e' evoluto l'Homo sapiens ed e' sorto il nostro senso di identita' in un ambiente popolato di terribili belve carnivore. 

Tutte le volte che un feroce carnivoro usciva da una selva o da un fiume per cibarsi rendeva evidente una realta' che si cercava di dimenticare ma non si poteva eludere, rinnovando trauma e orrore: una delle prime forme dell'autoconsapevolezza umana, sottolinea Quammen, fu proprio la percezione di essere pura e semplice carne. 




07/06/20

Poesia della Domenica - "Variar del verde" di Luciano Erba




Variar del verde

Quel campanile osservato dal treno
che fa una esse tra sambuchi e robinie
non è forse il miglior osservatorio
su altri verdi, di foreste ercinie?
Ecco un tipo di foglie che guadagna
se questo verde di alberi da frutta
vedi contro un cielo minaccioso
di un temporale colore di lavagna.
Vi è poi un verde selvatico di forre
a mezza costa, sotto i santuari,
che scurisce nel colmo dell’estate:
il sole è alto, l’ombra fa miracoli,
serpeggia il verde da Fatima al Carmelo,
salgo in mezzo ai roveti, guardo il cielo.

05/06/20

A vent'anni dalla morte di Vittorio Gassman ecco la commovente lettera aperta scritta da Alessandro, suo figlio



Riporto qui la lettera aperta scritta da Alessandro Gassman a suo padre, Vittorio, nel ventesimo anniversario della sua scomparsa e pubblicata su IO Donna - Corriere della Sera .

E' molto bella e forte, priva di retorica, e traccia un ritratto veritiero e partecipato di uno dei più grandi attori italiani di sempre. 

Tua madre, piccola donna, giovane vedova, ebrea e con due figli minori a carico, fu straordinaria durante il fascismo a portare avanti una famiglia da sola. Dicevi sempre che il funerale di tuo padre, nonno Heinrich, un gigante tedesco di quasi due metri, fu il primo momento della tua vita nel quale ti sentisti al centro dell’attenzione. E scopristi che starci non ti dispiaceva, anzi. 

A quattordici anni perdere un padre è dura ma, con una madre come Luisa accanto, sicuramente avrete avuto un sostegno incredibile e anche per questo sei diventato quello che tutti conoscono. Con il susseguirsi degli anni, dei figli, delle mogli, dei premi, dei trionfi, forse ti sei accorto che quel bambino che si sentì importante durante il funerale del papà, in realtà non avrebbe dovuto starci lì al centro, ma che magari una collocazione più “laterale” ti avrebbe regalato una vita forse meno esplosiva e divertente ma più felice, più a te consona

Certo avremmo tutti perso tonnellate di risate ed emozioni, molte donne non si sarebbero innamorate, il termine “mattatore” avrebbe assunto altri significati, molti registi non avrebbero trovato il loro straordinario protagonista… Ma tu, forse, avresti vissuto

 Non hai mai una sola volta viaggiato per diletto, ma solo per lavoro. Mai ti sei fatto un regalo, tranne qualche macchina sportiva. Che, peraltro, guidavi male. Ricordo viaggi da Roma alle Alpi, schiacciato nel sedile posteriore pieghevole della tua Porsche verde pisello, con la quale raggiungevi velocità estreme per poi inchiodare immotivatamente; il frastuono assordante del motore dietro la mia testa; quell’odore di pelle che mi dava il voltastomaco. Molte pipì silenti sul ciglio della strada, molte sigarette scroccate, centinaia di pacche inaspettate dietro le spalle, che ti spostavano e che erano sempre seguite da una risata infantile e coinvolgente, e che ora inspiegabilmente mi mancano.

Cosa ti sia perduto in questi venti anni da quando sei andato “altrove”, è difficile da raccontare. Difficile perché molto è accaduto, molto è cambiato il Paese e profondamente lo sono gli italiani, tanto che se esistesse oggi il tuo Bruno Cortona del Sorpasso probabilmente sarebbe considerato dai più uno sfigato. In questo momento storico poi – dove le cose dovranno cambiare per davvero, con una epidemia che ha stravolto e stravolgerà la società, gente impreparata, rammollita da sessanta anni di ozio e perdita di riferimenti culturali – manca la voce della tua generazione, la voce di chi una “guerra” l’ha vissuta e le è sopravvissuto. 

Siete in molti lì, sei in buona compagnia: Ugo, Luciano, Dino, Ettore, Mario, Adolfo, Paolo, Ennio, Suso, Franco (Tognazzi, Salce, Risi, Scola, Monicelli, Celi, Flaiano, Cecchi D’Amico, Zeffirelli, ndr). Sempre se esiste un lì… Se nella frase che ripetevi (penso fosse del tuo amico grande sceneggiatore, Sergio Amidei) «Solo gli stronzi muoiono!» ci fosse verità, lì, dove ti trovi, sarebbe molto meno frequentato

Dell’oggi probabilmente avresti apprezzato l’accelerazione della vita, tu che eri come me iperaccelerato: ti innervosivi, come me, per lungaggini o inceppi di qualunque sorta. Avresti probabilmente fatto un utilizzo puramente letterario dei social, avresti mandato a quel paese tutti coloro – e sono tanti – che parlano sempre, che si occupano della distruzione sistematica della nostra sublime lingua, della perdita dei congiuntivi, della semantica, del fatto che nessuno più sappia cosa sia l’anacoluto. Non possono parlare meglio, perché i pensieri sono piccoli, veloci, furbeschi, corrotti, interessati. 

Avresti tifato tuo nipote Leo a Sanremo (ha vinto il Festival nella categoria “Nuove proposte”, ndr), ti sarebbe piaciuto per la sua voce, il suo coraggio e la sua umiltà. Avresti tifato per Geko (il calciatore della Roma Edin Džeko, ndr). Forse avresti anche apprezzato il mio lavoro. Avresti apprezzato alcuni nuovi registi e attori, detestato il populismo, perché vi avresti riconosciuto avvisaglie di un passato per te spaventoso. Mi avresti visto invecchiare, somigliarti di più, osservare la mia lunga schiena piegarsi leggermente in avanti per la classica lordosi di famiglia che ci accomuna, ma avrei continuato a farti ridere come nessun altro è mai riuscito. Ecco, quello che mi manca di te, soprattutto, è uno spettatore al quale fare da “buffone”. Invecchiando e avendo responsabilità, non lo faccio più spesso, nessuno ride quanto ridevi tu, nessuno adora essere preso in giro da me quanto piaceva a te, eppure penso che invece, quella rimanga la mia dote migliore. Ti abbraccio senza mascherina, e ti bacio anche sulle labbra, cosa che ti avrebbe fatto schifo. Ma con te posso farlo, come faccio da venti anni e come – rassegnati – farò per sempre. Ti voglio bene. 
A.