12/08/16

Donald Trump ? Ha successo perché siamo tutti più scemi. Una analisi di Richard Zimler.




L'Espresso ha pubblicato questo interessante intervento di Richard Zimler sul fenomeno Trump.  Lo riporto qui sotto: Zimler, scrittore americano naturalizzato portoghese, è autore de "Il cabalista di Lisbona", "Gli anagrammi di Varsavia" e "The Night Watchman". 


Un anno fa ho tenuto una conferenza sull’importanza della narrazione e per dimostrare la mia tesi sull’infantilizzazione del cinema americano ho fatto una ricerca sui primi film in classifica nel 2014. 

Ecco i maggiori successi di quell’anno: “Capitan America”, “X-Men”,“Guardiani della Galassia”, “Interstellar”, “Cattivi vicini” “Tartarughe Ninja”. 

Oggi, quasi tutti i film che ottengono i maggiori incassi in America sono rielaborazioni di fumetti, commedie adolescenziali 
e fanta-western. 

O si basano 
su trame sciocche, stereotipate (il bene supremo contro il male implacabile). Spesso, come nel film “Lego Movie” sembra che siano state scritte per vendere giocattoli ai bambini. 

Il problema però è che questi film vengono visti e apprezzati anche da decine di milioni 
di adulti. Un gran numero 
di uomini e donne fra i venti 
e i cinquant’anni li trovano eccitanti. Adesso - quasi fosse un destino - questi spettatori istupiditi hanno un perfetto candidato presidenziale: Donald Trump che sembra 
la caricatura fumettistica di 
un ricco furfante e parla come un vero briccone. Prendiamo, ad esempio, il suo piano per contenere gli immigranti messicani: «Vorrei costruire 
un muro, e nessuno costruisce muri meglio di me, credetemi, 
e lo costruirò senza spendere. Costruirò un grandissimo muro sul nostro confine meridionale. Ricordate queste mie parole». 

 Ma chi è? Capitan America 
o un candidato alla presidenza? Tutte e due le cose, a quanto pare. 

Altre volte, parla come 
se si fosse calato nei panni dell’eroe misogino di un western: un John Wayne in abito elegante, per intenderci. Da qui le spacconate sul suo fascino sessuale: «Tutte le donne di “The Apprentice” hanno flirtato con me. C’era 
da aspettarselo, del resto». 

Per creare l’immagine del vero uomo, rude, spesso insulta le donne in modi che lui ritiene intelligenti. Così si è espresso, per esempio, su una giornalista che lo criticava: «Arianna Huffington è poco attraente, sia dentro che fuori. Capisco bene perché il suo ex marito l’ha lasciata per un uomo. Ha preso una saggia decisione». 

Per un pubblico che trova un film come “Cattivi vicini” uno spasso, questo è umorismo. 

A queste persone Trump appare un tipo divertente e intelligente. E le reti tv americane gli danno tanta visibilità proprio perché - come l’ultimo film della Marvel - con lui si può stare sicuri di ottenere buoni ascolti

 Quando la “Princeton Review” analizzò il lessico utilizzato 
nei dibattiti dai candidati presidenziali del 2000, scoprì che George W. Bush aveva 
il vocabolario di un bambino 
di quinta elementare, mentre quello di Al Gore era un po’ più ricco, come quello di un ragazzo di scuola media

Secondo la stessa analisi, nei dibattiti presidenziali del 1858, Abraham Lincoln parlava come un ragazzo di terza liceo, mentre Stephen Douglas come uno di quarta. 

Nel tempo, il nostro sistema politico si è evoluto per fare appello a elettori che non sono in grado di comprendere un linguaggio più sofisticato di quello di “Toy Story” o di “Spider Man 3”. Quest’anno, Donald Trump 
e i suoi seguaci repubblicani sembrano aver portato il livello del discorso a un gradino ancor più basso. E non solo in termini di vocabolario.


10/08/16

E' morto Don Gianni Todescato. Un illuminato.




Quando ho saputo della morte improvvisa di Don Gianni, domenica scorsa, 7 agosto, a Piazza Navona, mi è tornato in mente quel celebre aforisma di Bertold Brecht, tratto da Vita di Galileo

Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli imprescindibili.  

Ecco, Don Gianni, per chi lo ha conosciuto era questo: un imprescindibile. 

Perché ha lottato per tutta la vita, una lotta non violenta, saggia e illuminata, al servizio degli altri, portando luce nelle vite degli altri, in un mondo spesso votato al nichilismo. 

Tra le molte doti di questo uomo raro, ve n'erano due che a mio avviso, lo rendevano unico: la capacità in primis di accogliere il dolore - e in generale la pesantezza del vito - e trasformarlo in leggerezza (mai in superficialità): una leggerezza come quella di cui parla Calvino nelle Lezioni Americane, il quale aveva ben presente che il mondo si regge su entità sottilissime. 

Chi si avvicinava a Don Gianni con un peso - di qualunque natura nel cuore o nell'anima, aveva sempre l'impressione di sentirsene sollevato, dopo un breve colloquio con lui, anche dopo un semplice scambio di battute, una stretta di mano, un lungo sguardo. 

La seconda dote è quella del cercatore di bellezza, di cui ha parlato oggi Don Nicola nella omelia ai funerali a Sant'Agnese:  Don Gianni era un cercatore di bellezza, convinto dostoevskijanamente che nella bellezza delle creazioni umane (la musica, Bach, la scrittura, l'arte) e di quella della natura, si incarna lo Spirito, capace di salvare il mondo. 

Ci mancherà a tutti il suo sorriso luminoso, la sua aura luminosa, la sua profonda umanità. 




Teologia, filosofia, letteratura. Ascoltare l’omelia di don Gianni alla Messa di mezzogiorno a Santa Chiara era un’emozione intellettuale fortissima oltre che un balsamo per la fede e per la mente di quanti affollavano la chiesa di piazza Giuochi Delfici, credenti e laici, insieme. Media e alta borghesia, Roma Nord, Vigna Clara, quartiere bene di professionisti ma anche di impiegati che vedevano in quel parroco dal passo svelto e dal parlare profondo e sincero più di un prete. Un vero parroco che li ha accompagnati, tra battesimi e funerali, per ben 42 anni. 

Don Gianni Todescato era arrivato su quella collinetta tra i pini della Cassia vecchia e la Camilluccia all’inizio degli anni Sessanta quando i palazzi di Vigna Stelluti cominciavano a venir su uno dopo l’altro. La rossa rotonda della chiesa non c’era, il giovane sacerdote diceva Messa in un piccolo fabbricato sul lato opposto dove ora ci sono i taxi. Poi la grande chiesa punto di riferimento per tutte le famiglie negli anni del boom economico e poi negli anni bui, il Settantotto, il rapimento Moro. 


MORO E PAOLO VI

Proprio lo statista della Dc partecipava ogni mattina alla Messa delle 9 a Santa Chiara. Non era suo parrocchiano, perché il presidente della Dc, aveva come chiesa di riferimento San Francesco a Monte Mario, ma tutti i giorni era a Santa Chiara. Anche il giorno prima del rapimento. Don Gianni non ne voleva mai parlare ma con tutta l’emozione ricordava che «quel giorno gli aveva dato l’Eucarestia in privato, perché quella mattina aveva un impegno importante che non gli consentiva di assistere a tutta la Messa». 


09/08/16

Hitler a Roma: un docufilm presentato a Venezia incentrato sulla figura di Bianchi Bandinelli.

nella foto Mussolini, Hitler e Ranuccio Bianchi Bandinelli in visita al Museo Nazionale Romano


Un docu-film sullo storico dell'arte Ranuccio Bianchi Bandinelli, costretto a far da guida a Hitler e Mussolini nel primo viaggio in Italia del Fuhrer, entra a far parte nel programma della 73/a Mostra del Cinema diVenezia, il programma dal 31 agosto al 10 settembre. 

La Biennaledi Venezia presenta, in collaborazione con le Giornate degli Autori - Venice Days, il film documentario di Enrico Caria 'L'uomo che non cambio' la storia', liberamente ispirato al diario di Bandinelli "Il viaggio del Fuhrer in Italia", e realizzato grazie alle immagini d'archivio dell'Istituto Luce - Cinecitta'. 

 "Bianchi Bandinelli e' figura notissima fra gli storici dell'arte e gli archeologi italiani - spiega il direttore della Mostra, Alberto Barbera - Meno noto il fatto che, costretto a far da guida a Hitler e Mussolini in occasione del primo viaggio in Italia del Fuhrer, si fosse interrogato sull'opportunita' di organizzare un attentato per togliere di mezzo gli ingombranti dittatori. Caria ricostruisce con ironia e precisione documentale l'incredibile vicenda, che suscita ancora oggi interrogativi di grande attualita'". 

 Enrico Caria e' un regista, scrittore e giornalista italiano. E' anche vignettista e giornalista per varie testate; e' sceneggiatore per la radio, la televisione e il cinema. 

Bianchi Bandinelli (1900-1975) ha notevolmente contribuito al rinnovamento degli studi di archeologia e arte antica in Italia, in contatto con la cultura europea del suo tempo

Nel 1938 fu incaricato dal Ministero della cultura popolare di svolgere la funzione di guida in occasione della visita a Roma e Firenze di Hitler. 

Accetto' in seguito di tenere conferenze in Germania e di svolgere un'analoga funzione per la visita a Roma di Hermann Goering. 

L'anno successivo rifiuto' la direzione della Scuola Archeologia italiana di Atene, dalla quale era stato appena rimosso il direttore ebreo Alessandro Della Seta, e nel 1942 rifiuto' un incarico del Ministero per l'insegnamento a Berlino. Manifesto' quindi una decisa opposizione al fascismo, con la partecipazione al movimento clandestino liberal-socialista. Nel dopoguerra ha insegnato all'universita' di Roma fino al 1964. 

08/08/16

"Lettera a Simone Weil sulla primavera, l'attenzione e la Grazia" di Roberta de Monticelli



LETTERA A SIMONE WEIL SULLA PRIMAVERA, L'ATTENZIONE E LA GRAZIA

di Roberta De Monticelli

Premessa. Molti ricordano la bellissima apertura della poesia La porta :

Ouvrez donc la porte, et nous verrons les vergers 

Io ho immaginato che quella porta sbarrata – il mondo stesso, secondo una pagina weiliana – si trovasse qui, e che qui avvenisse il nostro incontro. 

Solo, lei oltre quella porta, oltre il muro che ho sognato correre tutto intorno a questo giardino – e io al di qua della porta e del muro. 

E mentre mi studiavo invano di articolare in poche frasi le mille domande che ora, in sogno, finalmente mi era dato farle, un ritmo che non ha la luce del suo verso ma forse appena un po’ dell’aria di questa primavera, mi ha presa per mano, e mi ha aiutato a rompere il ghiaccio, cominciando con una piccola canzone. 

Quando il verde nuovissimo respira
e primavera oscilla alta sui muri 
che cingono il giardino, 
e l’aria è pura luce di vento, 
amica ardua di grazia, 
noi parliamo camminando 
lungo il muro dalla curva dolcissima, 
che gira cerchia su cerchia, intorno a dove sei : 
tu – dentro, oltre la porta, io qui fuori, 
lungo questo marciapiede 
dove i miei passi 
hanno un suono d’argento 
come le tue parole, anima viva : 
tu – già fuori dal tempo, io camminando ancora ; 
di qua e di là dal muro, 
fianco a fianco eppure tu nel vero 
e io nel mezzo, la faccia al futuro. 

Tu, amica, fosti accolta oltre la porta chiusa del mondo. 
Antica Kore rapita a primavera, tu sei morta : 
eppure batte così forte il cuore oltre la porta chiusa, 
così alta si leva la parola ch’io non so più 
chi sia il dio rapace e l’anima rapita 
- così alta si leva e così nera che più non so 
se sia orma, ombra, o ala. 
Ascolto, e non so quanto mi separa dal tuo profilo bruno : 
sette cerchia di mura 
o questa lama questa ferita tua vicina al sole.[1] 

Quando il verde nuovissimo respira 
e primavera oscilla alta sui muri 
che circondano dio ascolto 
e attendo anch’io, signora, maestra d’armi, pulzella e guerriera : 
attendo fuori dalla porta chiusa 
l’ultima fioritura 
- la grazia del tuo riso di ragazza. 

Non è per nulla facile, Simone, « far buon uso » - come diresti tu – di questo po’ di carta bianca che mi è concessa per discorrere con te

In questa sorta di piccolo Eliso dove ti immagino ospite, almeno a primavera – se anche l’eternità, come spero, ha le sue stagioni. Non è facile, ancora meno che «far buon uso » del silenzio, al quale per sua vocazione la tua parola ci affida, al quale anzi la tua lingua mirabile ci apre, letteralmente, fendendoci la mente come una spada affilatissima. 

Non è facile parlare di te, ma soprattutto non è facile parlarti. Non solo perché si preferirebbe continuare ad ascoltarti, con larghe orecchie bianche come pagine. Ma perché con le tue parole è come se sprofondasse in noi, tratto a fondo da loro, quell’io che viene in superficie precisamente nell’atto presente di enunciarsi, nell’atto di parola. 

In questo senso è come se le tue parole non ammettessero replica o risposta, perché tu subito scompari da loro e inviti a scomparire l’io che le accoglie. 

Parlare è voler dire, dunque volere, e agire : rinunciare all’attesa e all’attenzione. Parlare è apparire. E’ ricrearsi, non « decrearsi ». Di più. Conversare è forse per sua essenza cercare un legame – fra il tu e l’io, fra l’io e il fondo, fra il presente e il vero, fra il tempo e l’eterno. Conversare è cercare una connivenza fra tutte queste cose…. Ma a me pare che la tua parola sia venuta per dividere, come una spada, tutte queste cose

L’io penso e il fondo, il presente e il vero, il tempo e l’eterno. Più in generale, a me pare, la tua parola è una spada che divide l’apparenza dall’essenza, il fenomeno dalla realtà. 

Tu stessa lo dici da qualche parte. E’ questa, in definitiva, l’opera di verità propria di quello che tu chiami malheur. La cognizione del dolore – non trovo approssimazione migliore al senso di quella parola – consiste in questo acquisto di realtà a spese dell’apparenza, che ne viene strappata via, pura illusione

« L’apparence colle à l’être et seule la douleur peut les arracher l’une de l’autre », dici.

 Ecco, la tua parola in questo imita il dolore. E’ in qualche modo dolore che parla, pure splendendo come fa una spada. E’ tranchante, taglia il fiato a ogni risposta – e anche solo alla speranza che si fa domanda. E’ l’arma prima del distacco : divide l’anima dalla sua voce, e invita all’esercizio del silenzio. Perciò è così difficile, Simone, replicare a quello che tu dici. Eppure. 




Questo testo è stato pubblicato per la prima volta da : Lorenzo Gobbi. PUBBLICATO DA LORENZO GOBBIWWW.LATTENZIONE.BLOG.COM 

31/07/16

La poesia della domenica - "Ocra" di Fabrizio Falconi.







ocra


nel pietoso ardore del pomeriggio
una luce fiamminga era scesa su Roma

disintegrava i tetri covoni d’ombra all’angolo
delle piazze e il temporale naufragato lontano

prima del silenzio inderogabile di un’altra
sera sfortunata, di un chiudere le porte

alle morte foglie di primavera, le nuove
erano lampi improbabili nel vento asciutto

del ritorno, erano misteriose vite nel momento
perduto venuto al mondo,

vendite di immortalità, cicli normali ed eterni
dentro al triste sorriso dei giorni.


Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.

30/07/16

L'incredibile fascino di Roncisvalle (Dieci Luoghi dell'Anima).




Quando, spostandosi da est ad ovest si attraversa la regione del Midi-Pyrénées, la più estesa dell’intera Francia, sembra che il ventaglio di creste scure, a Sud possa davvero essere impenetrabile, invalicabile. I Pirenei confondono lo sguardo, non forniscono l’adito di valli profonde, come le Alpi.  Appaiono come una muraglia compatta e severa.   Dai profumi del Mediterraneo, in pochi chilometri, sovvengono nuove e inaspettate sollecitazioni: sono i venti floreali dei Pirenei,  arricchiti da migliaia di specie che proprio un italiano, nato a Bagnocavallo, il dimenticato Pietro Bubani, detto il Botanicus Peregrinator,   passò più di vent’anni, nell’Ottocento,  a catalogare.  E’ un vento fresco ed aspro, il cui odore si mischia a quello di legna fradicia. 
  Non per questo la terra dell’immensa Occitania, che abbracciava anticamente Mediterraneo e Atlantico -  pianure verdi, spiagge sconfinate e oscure montagne -   smette di interrogare il visitatore nel cuore della sua storia personale, e insieme collettiva.  Si lasciano alle spalle le euforie zigane di Perpignan e le eresie catare di Carcassonne, i racconti che lasciano insonni,  e sembra di penetrare ancora più profondamente nel senso di un arcano che sempre chiama l’uomo a interrogarsi sulla natura di Dio.
   .....
 Senza sbagliare,  si può affermare che da qui in poi, i Pirenei diventano ancora più presenti, ancora più vivi, con la vetta del Pic d’Orhy che si può quasi toccare,  perché l’aria è diventata chiara, tersa, e il colore bruno e verde scuro delle montagne disegna un contrasto vibrante con il topazio del cielo.  Il mare, infatti, non è lontano. Poche decine di chilometri sono lontane le spiagge atlantiche decadenti e assolate di Bayonne, Biarritz, St-Jean-de-Luz.
  E allora si infittisce il mistero riguardo al destino umano, che sembra scegliere sempre – per compiersi pienamente -  la strada più ardua, quella più tortuosa. Gli uomini infatti, sia che si recassero in battaglia,  sia che fossero in cammino per il pellegrinaggio millenario sulla tomba di San Tiago, hanno privilegiato sempre, la via più impervia. Forse le coste, all’epoca, costituivano una minaccia più grande, per trappole o imboscate ? Ma queste scoscese e oscure strade che risalgono il vallone fino a Saint-Jean-Pied-de-Port non erano altrettanto pericolose ? 


  Non sarebbe stato più sicuro, o se non altro meno faticoso -  per i pellegrini delle tre vie francesi – la TuronensePodense e la Lemovicense – transitare da Hendaye, e da lì direttamente a San Sebastiàn,  per poi discendere su crinali certamente più docili verso il miraggio di Compostela ?  
  No. Il cammino degli eserciti e dei pellegrini in cerca di Dio – lo stesso, sulle stesse strade – ha preferito passare di qui, issarsi sui versanti ripidi che conducono su, da Saint-Pied-de-Port, fino a Arneguy che è chiamata anche Aduana – i nomi cominciano a indicare concretamente la direzione geografica intrapresa -  e poi ecco: inaspettatamente, la moderna e triste insegna di un  distributore di benzina Campsa è il benvenuto in terra di Spagna.  Da Valcarlos fino al passaggio dell’alto di Ibaneta, 1057 metri sul livello del mare: è qui, in questi pochi chilometri, tra questi due versanti ampi e ombrosi, che la storia di secoli, passati a rimasticare le chansons de gestes , si è tramandata attraverso l’eloquio puro dei trovatori, di bocca in bocca, di generazione in generazione.
  Valcarlos non è che un piccolo borgo, che soltanto per due giorni all’anno, la Domenica di Pasqua, e  il 25 luglio -  nella settimana che precede la festa patronale di San Giacomo - improvvisamente si anima di centinaia di Bolantes, coloratissimi ballerini e ballerine, i quali attraversano il villaggio nei costumi tradizionali, tenendosi per mano. Il rosso è il colore predominante. Rosse le gonne delle ballerine, rossi i fazzoletti degli uomini. Rosso come il sangue  che per molti secoli ha bagnato le strade della Navarra.
  A dieci chilometri da Valcarlos, proprio a Puerto de Ibaneta, ecco il punto esatto: il passo dove l’antica e  invincibile tradizione da sempre racconta la triste sorte di Orlando, uno dei massimi e più popolari eroi della cristianità,  qui dove i suoi uomini furono attesi, affrontati,  e non risparmiati, anzi, ferocemente sterminati.
  I francesi hanno sempre chiamato questo valico Col de Roncevaux,  ed in virtù della loro egemonia letteraria nei salotti d’Europa,  questo nome è diventato da tutti riconosciuto come il luogo della battaglia.
  Così, anche se oggi non v’è che un brutto monumento moderno a ricordo di un mito - alimentato e contraffatto nei secoli da una schiera sconfinata di poeti francesi, spagnoli, italiani, tedeschi -  ogni visitatore di passaggio, si ferma, cerca nell’aria una memoria o una traccia della lontana leggenda, alla quale sa in fondo - anche magari soltanto confusamente -  di appartenere,  come gli appartiene ognuno che discenda da una qualsiasi delle stirpi che abitano il  vecchio continente. 


   Non è che un sasso enorme e sformato questo monumento, e non vi sono incise che un nome e due date:  

Roldan -  778 – 1967

Neanche, dunque, l’occasione di una ricorrenza vera e propria,  eppure nessuno si sottrae al rito di  mettersi in fila per la classica foto che ritrae il pellegrino all’inizio del suo Camino, davanti al monumento a Rolando, sullo sfondo delle immense foreste di pino uncinato che ricoprono le montagne.

  Chi era Orlando, o Roldan, o Rolando, o Hruodlandus come pare si chiamasse in realtà il personaggio storico, realmente esistito, che diede origine al racconto ?  Chi era dunque ? E perché non possiamo dimenticarci di lui ? 

29/07/16

Il Logogrifo di Athanasius Kircher - Un articolo di Federico Mussano.




Athanasius Kircher interpretò l’enciclopedismo seicentesco in modo eclettico: fu uno dei maggiori personaggi del tempo emanando un fascino che viene rilevato anche oggigiorno, prova ne sono gli scritti che continuano a essergli dedicati

Qualche anno fa uscì “Vita del Reverendo Padre Athanasius Kircher – autobiografia” a cura di Flavia De Luca (La Lepre Edizioni) che ricorda come, alla base dell’incontro con l’erudito gesuita, ci sia stata la sua frequentazione del Liceo Classico Visconti, ospitato nel Collegio Romano in cui Kircher visse dal suo arrivo a Roma fino alla morte.

Recentemente Fabrizio Falconi ha pubblicato I fantasmi di Roma” (Newton Compton) con un capitolo dedicato al Kircher e alla vicenda del corpo sparito.  

Altrettanto sparito sembra il ricordo, anche da parte degli appassionati di giochi di parole in prospettiva storica, di alcune sfaccettature dei suoi interessi enigmistici (coordinati al più generale interesse del gesuita per il linguaggio e gli alfabeti ermetici ed esoterici): un’azione di recupero di questa memoria è cominciata a gennaio per opera del Leonardo (il trimestrale dell’Associazione Rebussistica Italiana) che ha mostrato un logogrifo musicale (da denominare rebus a tutti gli effetti, secondo l’odierna terminologia) composto da Kircher con il titolo diLogogriphus musicus in forma Canonis hypertriti, contrario motu” e con la soluzione “FAma LAteRE nequit MIcat VT SOL inclyta virtus”. 

Questo gioco non è incluso nelle tre opere da sempre considerate il riferimento degli studi sul Kircher legato agli enigmi e alle scritture crittografiche (Oedipus Aegyptiacus, Artificium cryptographicum, Polygraphia), è invece nella Musurgia universalis in cui notiamo anche un curioso utilizzo degli scarti iniziali progressivi per spiegare il fenomeno acustico dell’eco! 

Passiamo da un religioso all’altro, dal gesuita Kircher al carmelitano Zanetti, vice priore della Chiesa dei Carmini a Venezia e amico di Goldoni. Lo abbiamo già incontrato su queste pagine a marzo, nella panoramica sul logogrifo de La casa nova decifrato nel 1893 (qualche anno dopo il tentativo di farlo risolvere da dodicimila lettori, tanti ne contava Il Pungolo della Domenica) dal giornalista Valeri con la soluzione “Marmontel / Roma; mar, monte; arom; L” poi rivista in “Virginio Zanetti / Viterbo; bagni; olii; T” da Giorgio Padoan. 

Al di là delle altre ipotesi presentate a marzo, si possono rivisitare alcune supposizioni di Padoan (la errata lettura della L e l’identificazione in Zanetti del destinatario) ritenendo di posizionare la lettera che «tu aggiugni a quel che avanza» accanto alla base del logogrifo così da ricavare “fra Virginio Zanetti; S / Avignone; ferragosto; fragranze”.

Continua così l’attenzione verso il Goldoni enigmista: non solo solutore (suo un sonetto del 1761 che, come scrisse A.G.Spinelli, «spiega un indovinello dato dalla Gazzetta di Venezia») ma anche autore di anagrammi del proprio nome (rettifichiamo quello che a marzo avevamo definito anagrammoide: in realtà La bella verità mostra un anagramma, Loran Glodoci, così come con Aldinoro Clog e Calindo Grolo si entra in un mondo anagrammatico che coinvolge anche Francesco Grisellini e Domenico Lalli) e di enigmi (Il medico olandese mostra l’indovinello doppio sulla speranza e il timore).



Federico Mussano 
tratto da Leggere Tutti, n.105 luglio-agosto 2015


27/07/16

Il libro del giorno: "Tutti i nomi" di Josè Saramago.




Il Signor Josè, scrittore ausiliario presso la Conservatoria Generale dell'Anagrafe, per caso si imbatte durante la raccolta di dati per la sua nascosta collezione di notizie su persone famose, nel "modulo" di una donna sconosciuta. 

Il Signor Josè si mette sulle tracce della donna per cercare di scoprire tutto sulla sua vita ma non arriverà a conoscerla prima del suo misterioso suicidio.  

Ma per l'oscuro funzionario sarà l'occasione per un illuminante chiarimento con il suo capo sui confini labili che dividono i morti dai vivi. 

Geniale, ancora un altro geniale romanzo di Saramago, virtuosistico nella costruzione. Un romanzo che sembra parlare soltanto di nomi - di vivi, di morti - eppure nel quale non è riportato neppure un solo nome, tranne quello del protagonista, il Signor Josè, un ricercatore di anime, in bilico sopra i nonsensi apparenti della vita, e sulla sua innegabile sublimità. 


Tutti i nomi
di José Saramago
Traduz. di Rita Desti
Ediz. Einaudi 1998. 




26/07/16

400.000 visitatori per il Blog di Fabrizio Falconi.






Continua questa piccola grande crescita insieme.  

Vorrei ringraziarvi per aver tagliato il traguardo dei 400.000 visitatori per il nostro Blog. 

Questo spazio è diventato, oltre a una vetrina di aggiornamento di attività, anche collettore di quello che voi mi segnalate e che ritenete importante da dire, da leggere, da osservare. 

Continueremo a farlo insieme, se vorrete, giorno per giorno. 
Grazie.

Fabrizio

25/07/16

Grazie a misteriosi benefattori giapponesi torna a splendere il meraviglioso Ninfeo di Villa Giulia.



Un gruppo di misteriosi benefattori venuti dall'Oriente. Una delle piu' raffinate e preziose ville del '500. E il primo teatro d'acque di Roma, oggi tornato ai tempi in cui qui venivano Vasari, Michelangelo e piu' alti intellettuali dell'epoca

 E' il piccolo miracolo che si e' compiuto, celato e senza clamori, a Villa Giulia, massimo esempio di villa rinascimentale voluto da Papa Giulio III alla cui realizzazione tra il 1550 e il 1555 parteciparono tutti i piu' grandi artisti, oggi sede del Museo Nazionale Etrusco

Da qualche settimana la villa sorprende i visitatori con un Ninfeo, cuore dei suoi splendidi giardini con la fontana ideata e scolpita dal Vasari e dall'Ammannati, le cariatidi a sorreggere la balconata in marmo travertino e il mosaico dedicato a Tritone, tornato allo splendore di 500 anni fa

"Tutto e' iniziato nel 2014", racconta all'ANSA Alfonsina Russo, Soprintendente per l'archeologia, beni architettonici e paesaggio dell'area metropolitana di Roma, Viterbo ed Etruria meridionale, che fino a pochi mesi fa, prima della riforma del Ministero, aveva il suo quartier generale proprio a Villa Giulia. "Da tempo cercavo aiuto per il Ninfeo - spiega - Non solo era ormai grigio, infestato di muschi e muffe, ma iniziavano i primi problemi strutturali, soprattutto al mosaico. Le forze interne, purtroppo, non erano sufficienti". 

Poi una sera, un concerto con una delegazione giapponese, una visita a Villa Giulia, un colpo di fulmine e l'offerta a sorpresa: "potremmo finanziarlo noi". Contributo di 25 mila euro (senza neanche i vantaggi dell'Art Bonus essendo stranieri) e un'unica richiesta: "questo gruppo di imprenditori giapponesi, del campo dell'editoria, vuole rimanere anonimo e misterioso", dice la Soprintendente. 

Cosi' a settembre 2015 sono partiti i lavori, condotti dal Consorzio Kavalik. "La battaglia piu' difficile - racconta il restauratore Antonio Giglio, che vi ha lavorato con Alessandro Ferradini e Kristian Schneider - e' stata contro la vegetazione. Da un lato dovevamo eliminare i depositi delle alghe, con potenti biocidi in modo che non tornassero a crescere. Dall'altro, volevamo risparmiare le piante delle nicchie". 

Si e' intervenuto poi sul mosaico del Tritone, piccolo gioiello di epoca romana "probabilmente ricavato da una piu' ampia pavimentazione di un edificio, forse, termale" che per un cedimento del supporto una dopo l'altra iniziava a perdere le sue millenarie tessere bianche e nere. 

Ed ecco la sorpresa: "eravamo abituati a vedere il Ninfeo tutto di un colore con la pavimentazione ormai nera", dice la Russo. 

"Eppure qualche anziano dipendente di Villa Giulia - prosegue Giglio - raccontava di colori. E anche antichi disegni suscitavano dubbi"

Pulitura dopo pulitura, eccoli riemergere: un ventaglio di marmi policromi, dal giallo antico al verde e pavonazzetto, venati di bianco, massima espressione di raffinatezza nella moda del cinquecento, a esaltare invce la bianchissima bellezza delle otto Cariatidi erette a emiciclo.

 "Che non sono tutte uguali - sottolinea Giglio - Noi le abbiamo sempre viste molto serie. Invece le quattro in seconda fila ridono palesemente". 

Il motivo "dovremmo chiederlo a uno storico dell'arte. Forse - ipotizza la Russo - simboleggiano il dualismo della tragedia e della commedia nell'antichita' classica", tanto piu' che il Ninfeo, in origine ricco anche di decorazioni, nacque proprio come teatro d'acque per attori e musici. "Oggi - conclude la Russo - ha ripreso vita. Basta guardarlo per immaginare i banchetti di Papa Giulio III, quando qui venivano il Vasari, Michelangelo, altissimi intellettuali". E i misteriosi donatori? "Sono rimasti a bocca aperta, felicissimi. Ma, sempre avvolti nel mistero. Non hanno voluto nemmeno un'inaugurazione ufficiale perche' li ringraziassimo".

fonte ANSA

24/07/16

Poesia della domenica - "Nella luna di luglio" di Edoardo Cacciatore.



Nella luna di luglio



Questa luna che dice ad ogni cosa svestiti
La realtà svela ai sepolcri dell’Appia
Nella luna di luglio due volte superstiti
Al morto prima ed ai vivi poi ch’io sappia
Sopravvivenza mostra un logoro costume
Da un lato all’altro strappato dal collo all’anca
Di ogni sospetto la vita ormai è immune
La nullità consiste si fa pietra bianca
Gli occhi dentro ai quali è un viaggio di laghi
Dimenticano mentre sanno l’accaduto
Non hanno nemmeno l’accortezza dei maghi
Che tengono per dato quanto è risaputo
Questa luna in cui ora andiamo smarriti
È la morte di cui ci siamo rivestiti.


Edoardo Cacciatore, da Tutte le poesie Manni, 2003

14/07/16

Dal 21 luglio riapre, dopo un lungo restauro, il Carcere Mamertino. Dagli scavi emergono 3 scheletri e il Limone più antico del Mediterraneo !



"La sensazione e' la stessa di alcuni luoghi della Terra Santa, importanti non solo per la storia o una religione. Ma per il genere umano". 

Cosi' Francesco Prosperetti, Soprintendente per l'Area archeologica di Roma, racconta il Carcer Tullianum, meta tra le piu' sacre al Cristianesimo perche' qui tradizione vuole che vennero incarcerati San Pietro e San Paolo, ma anche luogo piu' nero della storia di Roma, dove "per oltre un millennio si facevano sparire i nemici della citta"'. 

Grazie alla "grande collaborazione" con l'Opera RomanaPellegrinaggi (che gestisce il sito e che insieme alla Confraternita dei Falegnami e' tra i tre "padroni di casa"), il Carcer, noto anche come Carcere Mamertino, riaprira' al pubblico il 21 luglio dopo un anno di chiusura con un nuovo percorso museale, restaurato e soprattutto dopo tutte le scoperte dell'ultima di tre campagne di scavo, finanziata da Soprintendenza ("300 mila euro") e ORP ("800 mila") con il contributo di Intesa San Paolo e LSGI. 

La prima bellissima sorpresa e' la "piu' antica Madonna della Misericordia mai rinvenuta a Roma, per di piu' proprio nell'anno del Giubileo della Misericordia", racconta Monsignor Liberio Andreatta, vice presidente dell'ORP. 

E' venuta fuori da un affresco parietale di cui si scorgono ancora i colori e che gli studiosi datano al XIII secolo d.C. 

Ma andando "giu"' uno dopo l'altro ecco riemergere i tanti anelli di una storia lunga quasi 3 mila anni, per un'aera che nasce nell'VIII secolo sulla Rupe Tarpea con le mura di contenimento del Campidoglio, poi diventa luogo sacro nel V a.C sulle acque della fonte Tulliana (oggi ben visibile), cresce con i primi ambienti per recludere i nemici politici, viene monumentalizzata nella prima eta' imperiale, poi torna luogo di culto, questa volta cristiano, nell'VIII d.C, come testimoniano le "lampade e i resti della Chiesa di S. Pietro" ritrovati, racconta il direttore archeologo per l'Area di Roma, Patrizia Fortini

O la cattedra del IX secolo e gli affreschi in cui ancora si riconoscono tante mani di fedeli (XI-XIV secolo), fino alla Chiesa della congregazione dei Falegnami del 1540

Ma scavando "quasi per miracolo - racconta l'archeologa - in un'intercapedine tra il portico moderno e la facciata antica abbiamo trovato anche gli scheletri di tre corpi: un uomo, ucciso con un colpo in testa e le mani legate; una donna e una bambina. Le analisi dicono che sono del IX-VIII a.C". 

 E poi ecco le offerte di un rito votivo, "con il piu' antico limone mai ritrovato nel Mediterraneo - dice la Fortini - Semi e polpa fresca, che le analisi al radiocarbonio datano al 14 d.C." e che potrebbero finalmente fissare una data precisa per l'inizio dei lavori della nuova facciata, "non sotto Nerone, ma con Augusto".

 E ancora ecco "i resti delle ceramiche di una fornace del XIII, che a Roma non erano ancora mai state trovate". 

 Il nuovo allestimento ha ora restituito la forma circolare dell'ambiente assunta nel Medioevo. Il Museo raccoglie i reperti trovati e le nuove visite, con tanto di tablet, racconteranno le loro implicazioni storiche, con anche le ricostruzioni degli ambienti originali. Dal 21 luglio, poi, sara' attivo il nuovo varco per il Foro Romano dal lato del Campidoglio (disponibile un biglietto unico per Carcer e area archeologica) sottolineando "quanto tutta questa area fosse connessa". 

Ma le sorprese non sono finite. Ora, conclude la Fortini, "ci sarebbe da scavare tutto il lato verso le scale Gemonia. Li' sotto ci deve essere ancora il passaggio originario al Foro, con le scale volute da Augusto".

fonte Daniella Giammusso per ANSA

13/07/16

"Con gli occhi di Cesare Pavese", dal 22 luglio al 4 agosto.



“Il mio paese sono quattro baracche e un gran fango, 
ma lo attraversa lo stradone provinciale dove giocavo da bambino. 
Siccome - ripeto - sono ambizioso, volevo girare per tutto il mondo e, 
giunto nei siti più lontani, voltarmi e dire in presenza di tutti 
'Non avete mai sentito nominare quei quattro tetti? 
Ebbene, io vengo di là'".
(Cesare Pavese, da “Racconti ”, vol. II, “La Langa")
 I “quattro tetti” di Santo Stefano Belbo sono cambiati dall’inizio del Novecento, quando erano teatro della vita di Cesare Pavese, ma sopravvivono come luoghi della memoria che ogni anno il Festival riempie con le parole dello scrittore.
           Per l’edizione 2016, nata dalla collaborazione tra il Circolo dei lettori e la Fondazione Cesare Pavese, in programma da venerdì 22 a domenica 24 luglio e giovedì 4 agosto la città delle Langhe si anima di reading,passeggiate letterarie, incontri, musica elettronica e contributi video: componenti di un unico racconto che reinterpreta in chiave contemporanea la geografia reale, rendendola mappatura affettiva della visione del mondo del romanziere piemontese.
 Venerdì 22 luglio alle ore 21 in piazza della Confraternita l’inaugurazione è affidata alla voce dell’attore Vinicio Marchioni accompagnato dal polistrumentista Ruben Rigillo nel reading Ritratto di un uomo. Una serata che mette in scena, attraverso letture e brani tratti da La Luna e i falò Lavorare stanca, un mosaico di sguardi per restituire la «malinconia voluttuosa e svagata del ragazzo che ancora non ha toccato la terra e si muove nel mondo arido e solitario dei sogni» (Ritratto d’un amico, Natalia Ginzburg).
Sabato 23 luglio alle ore 10.30 la passeggiata letteraria condotta da Elena Varvello è un percorso a piedi che dai libri porta alla città e viceversa. Alle ore 16 nel Chiostro della Fondazione il giornalista de La Stampa Luca Ferrua ricostruisce il filo che lo lega alla tavola nell’incontro Di cibo e di storia. Alle ore 18 in piazza della Confraternita va in scena Nella vigna dell’anima, spettacolo teatrale scritto da Carlo Cerrato che è un viaggio tra le poesie della fatica contadina, attraverso le parole di William Least Heat Moon, Arturo Bersano, Jorge Luis Borges, Guido Ceronetti, Paul Collins, Frederic Mistral, Gigi Monticone, José Saramago e Miguel Torga. Con Simona Codrino, Sergio Danzi, Ileana Spalla, Med in Itali; consulenza artistica musicale Marco Notari; luci e fonica Michele Demma; letture e suoni a cura di Casa del Teatro 3. L'Arcoscenico di Asti; in collaborazione con Gente & Paesi Onlus.
Alle ore 21.30 è il pianoforte di Davide “Boosta” Dileo far rivivere l’immaginario letterario di Paesi tuoi, il più americano dei romanzi di Pavese per ambiente, personaggi e linguaggio. Alle ore 23 la serata si conclude con la performance live Evasioni e ritorni che attraverso l'immaginario del duo artistico Masbedo, il chitarrista Paolo Spaccamonti, il trombettista Ramon Moro,i live-electronics e il video-mapping a cura di Superbudda Creative Collective restituiranno la tensione percorsa da Pavese tra la vita convulsa della città e il microcosmo del paese.
 Domenica 24 luglio alle ore 10.30 la seconda passeggiata letteraria condotta da Francesco Pacifico è alla ricerca dei colori e delle sfumature di Santo Stefano Belbo, che - filtrata e rielaborata nelle opere di Pavese - è divenuta personaggio fondamentale delle sue storie. La giornata prosegue alle ore 18.30 in piazza della Confraternita con il reading Pavese fra gli dei tratto da I dialoghi con Leucò a cura di Marcello Fois accompagnato dal musicista Gavino Murgia: brevi conversazioni a voce e sax analizzano le angosce degli uomini e le imperscrutabili leggi che le governano. Alle ore 19.30 l’aperitivo è con i prodotti della Pro loco Santo Stefano Belbo, mentre alle ore 21 alla Cascina delle Rocche (località Moncucco), Massimo Zamboni rilegge le pagine di L'eco di uno sparo. Cantico delle creature emiliane (Einaudi). Nell’ambito di Voci dai libri a cura di Biblioteca di Santo Stefano Belbo. A seguire degustazione offerta dalla famiglia Scavino.
 Con gli occhi di Cesare Pavese si conclude la sera di giovedì 4 agosto con un appuntamento dedicato alla tradizione dei falò: alle ore 19 in Piazza San Rocco la Pro loco di Santo Stefano Belbo allestisce la consueta cena sotto le stelle, seguita, alle ore 21 dall’accensione dei falò sulle colline di Santo Stefano Belbo e, alle ore 21.30, dal concerto della Filarmonica santostefanese.
Tutti gli appuntamenti del Festival sono a ingresso libero (con esclusione della cena del 4 agosto) e in caso di maltempo si terranno presso la Chiesa dei Santi Giacomo e Cristoforo.
Con gli occhi di Cesare Pavese è un progetto a cura di Circolo dei lettoriFondazione Cesare Pavese e Pavese Festival; con il patrocinio di Regione Piemonte e Comune di Santo Stefano Belbo; con il sostegno diCompagnia di San PaoloFondazione CrtFondazione Cassa di Risparmio di Cuneo; partner tecnico Relais San Maurizio 1619; contributi web di Doppiozero.
QUI E' POSSIBILE SCARICARE L'IMMAGINE COORDINATA E QUI LA SCHEDA INFO
il Circolo dei lettori   – via Bogino 9, Torino
Comunicazione e ufficio stampa

12/07/16

"La casa della gioia" di Edith Wharton (RECENSIONE).




La casa della gioia (The House of Mirth) è il secondo grande romanzo in ordine di tempo, di Edith Wharton, dopo The valley of decision (1902), e risale al 1905. 

In quegli anni è già cominciato il lungo pellegrinaggio della Wharton, definita dall'amico Henry James, Il grande pendolo, per il suo moto perpetuo. 

La scrittrice nata a New York nel 1862 da una ricca e aristocratica famiglia, quella dei Newbold Jones, ha sposato a ventitrè anni Edward Wharton, un amico di famiglia di tredici anni più vecchio di lei. 

Un matrimonio sfortunato, dovuto ai problemi di salute e psichici del marito, che spinge la Wharton a intraprendere lunghi e fruttuosi viaggi in Europa, soprattutto in Inghilterra e in Francia, dove conosce il mondo letterario che conta. 

La casa della gioia (un titolo-epitaffio per un romanzo che è tutto l'opposto) mostra già la piena maturità stilistica della Wharton, descrivendo le vicende di una ragazza affascinante, bella e intelligente, ma senza possibilità finanziarie, Lily Bart, che cerca di mantenere a tutti i costi il proprio ruolo e il proprio modo di essere nei salotti più eleganti della città. 

Si tratta di un grande affresco: quello della società americana dei primi del Novecento, con lo scontro tra le vecchie famiglie aristocratiche e i nuovi ricchi che si affacciano, speculando sulla ricchezza dei mercati finanziari. 

Lily Bart ha 28 anni, già tanti per una donna dell'epoca, per la ricerca di un marito o di un partito. In più non ha rendite finanziarie e vive mantenuta da una vecchia zia. L'unico amico che la ami veramente per quel che è, è l'avvocato Lawrence Selden. il quale vive ai margini del bel mondo. Per gli altri, per tutte le figure di quella aristocrazia annoiata,  che passa da una festa all'altra, da una gita in campagna alla partita di bridge, dagli spettacoli a teatro alle corse dei cavalli, Lily è soltanto una attrazione, per la sua inusuale eleganza e bellezza.  Ma niente più. 

Lily, che è una parente stretta di Isabel Archer e di Daisy Miller, non ha le stesse fortune, e finisce inesorabilmente in rovina a causa delle sue scelte: decide di ricevere favori da uno dei nobili, innamorato di lei, il grasso e infelice marito George Trenor, il quale finisce per regalarle dei soldi. 

Lily, ossessionata dal debito, finisce ben presto per cadere nella trappola delle allusioni, delle malizie, dei pettegolezzi, delle piccole e grandi cattiverie del mondo aristocratico al quale lei in definitiva non appartiene. 

Di gradino in gradino scenderà fino al fondo, nella più totale solitudine, diseredata perfino dalla zia. 

Un affresco crudelissimo, che fa sanguinare il cuore del lettore, come sa fare la Wharton la quale, rispetto a James, non ha paura di affondare i colpi e di brutalizzare le sorti delle proprie eroine costringendole a fare i conti con la disillusione e la perversione del mondo. 

La purezza di Lily è guastata dalla sua ambizione e della sua superficialità.  La purezza, da sola, non salva. Selden neppure ne esce bene.  Tradito dal  proprio orgoglio finisce anche lui per abbandonare immotivatamente Lily e per contribuire a sradicare e uccidere il loro (possibile) amore. 

La limpidezza della scrittura della Wharton è ineccepibile. La misura - la stessa di James - è associata alla passione. alla partecipazione dolorosa del destino e dei destini individuali. 

La lezione letteraria della Wharton è una potente riflessione sui limiti dell'umano, sulla imponderabile felicità, sul prezzo e sul castigo, sui sensi di colpa e sulla brutalità dell'indifferenza. 

Prefazione di Benedetta Bini
Editori Riuniti
Roma, 1996

11/07/16

Il film del giorno: "Dopo il matrimonio" di Susanne Bier.





Dopo aver dedicato la sua vita ai bambini indiani abbandonati sulla strada, Jacob Petersen torna a casa, in Danimarca, per cercare soldi ed evitare così la chiusura dell'orfanotrofio, ma si ritrova invischiato pesantemente nel suo passato, con una figlia che non ha mai saputo di avere. 

Bellissimo film danese, piccolo, modesto ed esagerato, con un copione straordinario che ha dato notorietà internazionale alla regista Susanne Bier.

Una profonda riflessione sul sentimento autentico, sulla difficoltà del bene, sull'ombra e sulle responsabilità.


Dopo il matrimonio
di Susanne Bier
Danimarca - Svezia 2006
con Mads Mikkelsen, S.B. Knudsen, Rolf Lassgard.