«La vita privata di uno scrittore è pettegolezzo; e i pettegolezzi, chiunque riguardino, mi offendono»: così Elsa Morante in un’intervista concessa a Enzo Siciliano nel 1972.
17/04/21
Elsa Morante: Esce in libreria la attesissima biografia scritta da De Ceccatty: "Una vita per la Letteratura"
16/04/21
Carla Gravina e Gian Maria Volonté: il racconto di un grande amore
Carla Gravina, una delle migliori interpreti del cinema e del teatro italiano, giunta alla soglia degli 80 anni, ritiratasi dalle scene completamente dal 1994, racconta in una bellissima intervista a Maria Laura Giovagnini a IO Donna - Il Corriere della Sera ("Sono scomparsa perché volevo vivere") che trovate integralmente qui - la sua grande storia d'amore con Gian Maria Volonté. Pubblico l'estratto dell'intervista perché davvero rappresenta una bella fetta di anni d'oro del nostro cinema e del nostro spettacolo italiano, nel quale la Gravina parla di Volonté che chiama, con un misto di ironia e venerazione, "il mostro".
Il mostro?
Gian Maria (Gian Maria Volonté, ndr). Un mostro-mostro, che ho amato tanto! Ho ancora qua davanti la foto del primo sguardo… Eravamo a Verona nel 1960, due pischelli che – durante le prove di Romeo e Giulietta – si stanno fissando. Ci siamo tanto amati, tanto detestati, tutto: però abbiamo messo al mondo una bella figlia e ora ho un bel nipote, che magari mi renderà bisnonna. Qui di fronte ho un’altra immagine…
Finita così?
13/04/21
Salvataggio in Extremis per l' "Azzurro Scipioni", sala mitica di Silvano Agosti a Roma
12/04/21
Libro del Giorno: "La società senza dolore" di Byung-Chul Han
09/04/21
Egitto straordinaria scoperta: ritrovata la "Città d'oro perduta" risalente a 3.000 anni fa
08/04/21
Spunta a Madrid un possibile Caravaggio perduto - stava per andare all'asta per 1500 euro
Il ministro della Cultura spagnolo, Jose' Manuel Rodríguez Uribes, ha confermato su Twitter che un quadro su quale sono state avanzate ipotesi di una possibile attribuzione a Caravaggio è stato dichiarato non esportabile.
"Il quadro e' di valore", ha detto Uribe ai media iberici, "siamo stati rapidi". Si tratta del dipinto "La Coronación de espinas", attribuito al circolo di Jose' de Ribera (secolo XVII), ritirato dall'asta della Casa Ansorena.
La presenza dell'opera era prevista in una vendita in programma per oggi alle 18 a Madrid, con una base d'asta di 1.500 euro.
Fonti ministeriali spiegano che serve "uno studio tecnico e scientifico approfondito" per valutare se il dipinto messo all'asta a Madrid e poi ritirato e' davvero un'opera originale di Caravaggio.
Le stesse fonti hanno spiegato che il ministero della cultura e' stato avvertito martedi' dal Museo del Prado dell'esistenza del quadro, messo all'asta dalla Casa Ansorena a un prezzo base di 1.500 euro.
A questo punto, e' stata convocata una riunione d'urgenza della Giunta di qualificazione, valutazione ed esportazione dei beni del patrimonio storico spagnolo, tenutasi mercoledi'.
Da qui, la decisione di dichiarare il dipinto non esportabile come "misura cautelare".
Il ministero ha chiesto alla Comunita' Autonoma di Madrid di dichiarare il quadro come Bene d'Interesse Culturale, una misura che permetterebbe di proteggere l'opera mentre viene analizzata. L'amministrazione regionale non ha ancora risposto a una richiesta di informazioni a riguardo.
06/04/21
Wim Wenders: "Neanche la nostalgia è più quella di una volta"
Wim Wenders - "Neanche la nostalgia è più quella di una volta"
di Matteo Persivale
fonte: Corriere della Sera, Venerdì 4 dicembre 2015
"Oggi, dopo la rivoluzione della tv, della pubblicità e infine del digitale," ammette Wenders, "puoi ancora avere fiducia nelle immagini. Ma le immagini hanno bisogno di un po' d'aiuto... Helmut Newton - una volta fece il mio ritratto: che uomo interessante, che uomo ossessionato! - diceva già vent'anni fa che ci sono troppe immagini intorno a noi. Aveva intravisto i primi segnali di quello che ci circonda oggi. Le immagini che si dissolvono nei loro stessi atomi."
"Da bambino credevo che del cinema ci si potesse fidare: i western, cowboy e indiani. Da ragazzo poi, mi sembrava che nel cinema ci fossero, in modo assoluto, verità e bellezza: i film di Bergman, di Fellini... Negli anni '70 però le immagini smisero di raccontarci il 100% di una storia. Pensavo che avrei fatto l'artista. Poi capii che le immagini, le parole, la musica - quello strano triumvirato - potevano ricostruire la verità e la bellezza che andavo cercando. Sono diventato regista per capire come mai il nostro sguardo non ci racconta tutto quello che vorremmo sapere."
Wenders non si rassegna e da giovane settantenne ha "ricominciato da zero con il 3-D, la tecnologia con la quale ha raccontato in "Pina" l'arte della coreografa Pina Bausch."
Liquida Quentin Tarantino così: "Dice che smetterà di fare film quando smetteranno di produrre pellicole perché disprezza il digitale, ma è già una discussione obsoleta. A non essere obsoleta è la questione del 3-D: quando serve a rappresentare la realtà e quando serve solo per gli effetti speciali? No, neanche la nostalgia è più quella di una volta."
05/04/21
Una Pasquetta a Roma di tanti anni fa - 1944: Il Gobbo del Quarticciolo, eroe e bandito tra realtà e leggenda
Il quartiere Alessandrino, alla
estrema periferia est di Roma, che prende il nome dall’acquedotto fatto
costruire dall’imperatore Alessandro Severo,
si è sviluppato a partire da un nucleo originario conosciuto come Quarticciolo,
una borgata costruita al quarto miglio della Via Prenestina, proprio lì dove
sorgeva una grande tenuta agricola di proprietà della famiglia Santini, durante
gli anni trenta e quaranta del Novecento, per accogliervi soprattutto gli
immigrati del sud d’Italia che in quel periodo venivano a cercare lavoro a Roma
e gli sfollati delle zone del centro città interessati dai vari sventramenti
urbanistici che furono attuati durante il Ventennio per la realizzazione delle
vie imperiali.
Il Quarticciolo fu realizzato con
criteri di architettura razionalista – gli stessi utilizzati per l’edificazione
delle nuove città dell’Agro pontino – con vie lineari, edifici a quadrilateri
compresi in giardini, la piazza rettangolare, con la chiesa, polo di attrazione
del complesso.
Questa stessa struttura si può
vedere ancora oggi, nonostante i grossi cambiamenti esteriori ed un certo
degrado, causato dallo sviluppo della metropoli e dalla urbanizzazione
massiccia della zona.
Il Quarticciolo, negli anni della
occupazione nazista, della resistenza romana e del dopoguerra, ospitò una delle
figure più note e controverse della storia recente della città: quella di
Giuseppe Albano, un partigiano nato in provincia di Reggio Calabria, giunto a
Roma con la sua famiglia all’età di dieci anni, nel 1936, divenuto noto per
tutti con il soprannome di Gobbo del
Quarticciolo: a capo di una banda di
piccoli malfattori, a partire dagli anni Quaranta, Giuseppe Albano si rese
protagonista di una serie di episodi e imprese che lo fecero identificare, agli
occhi della popolazione di allora, come una sorta di Robin Hood, le cui
finalità erano quelle in primis di combattere gli odiati invasori tedeschi e
poi quella di punire gli italiani che approfittando della situazione avevano,
in tempo di guerra, malversato i loro concittadini, con il mercato nero e
l’usura.
Le avventure di Giuseppe Albano e
della sua banda divennero così note in quegli anni che anni dopo, nel 1960, il
regista Carlo Lizzani, recentemente scomparso, pensò bene di realizzarvi un
film, cui prese parte, tra i vari protagonisti, anche Pier Paolo Pasolini.
Il Quarticciolo, con le sue vie
nascoste, con i suoi sentieri che sbucavano nell’aperta campagna, divenne per
Albano, una sorta di Quartier Generale. All’età di sedici anni cominciò a
mostrare le sue doti di coraggio nelle lotte partigiane che si svolsero dopo
l’8 settembre nella zona di Porta San Paolo.
Seguirono numerose azioni di
sabotaggio ai danni delle truppe naziste compiute insieme ad una piccola banda,
che rispondeva principalmente agli ordini di un altro partigiano, Franco
Napoli, detto Felice. Se Napoli era la mente, Albano era però il braccio: in breve tempo tutta Roma
cominciò a parlare delle sue imprese, che rinfrancavano il popolo soggiogato
dalla occupazione tedesca. Riusciva
sempre a farla franca, dopo ogni azione di sabotaggio, durante la quale veniva
ucciso uno o più soldati nemici, o veniva fatta saltare in aria una garitta o
un mezzo blindato. Albano appariva e
scompariva senza lasciare traccia, nonostante la sua evidente malformazione
dovesse rendergli più facile l’essere identificato dai nemici. Eppure l’efficiente polizia tedesca non
riusciva a catturarlo. I primi mesi del
1944 registrarono una vera e propria escalation di azioni della banda del Gobbo del Quarticciolo. Centocelle e
Quarticciolo, le borgate dove Albano e i suoi si nascondevano, divennero zona
off-limits da parte dei nazisti che avevano timore ad entrarvi per la paura di
imboscate. Fu perfino emanato un ordine
di arresto che riguardava tutti i gobbi di Roma. E lo stesso Albano fu preso, al seguito di un
sanguinoso episodio accaduto il lunedì di Pasqua del 1944, quando in una
osteria del Quadraro furono uccisi a sangue freddo tre soldati tedeschi. Herbert Kappler, al comando delle truppe di
occupazione, decise che si era passato il segno e fece rastrellare Quadraro e
Quarticciolo. Albano fu preso tra gli
altri, ma incredibilmente riuscì a farla franca anche stavolta, e poco dopo fu
liberato.
Terminata la guerra, Albano non rinunciò al suo ruolo di vendicatore. Con l’arrivo degli alleati,
il Gobbo fu assoldato dalla questura per rintracciare i responsabili delle
torture di Via Tasso. Albano andò oltre il compito che gli era stato assegnato,
mettendosi personalmente alla ricerca di tutti quelli che si erano resi
colpevoli, negli anni dell’occupazione di usura e borsa nera.
Per mettere fine alle scorribande
del Gobbo fu organizzata una vera e propria operazione militare che riguardò il
Quarticciolo. Albano riuscì in un primo momento a fuggire, ma poco tempo dopo, il 16 gennaio del 1945,
fu rintracciato e ucciso in una casa del quartiere Prati, in Via Fornovo 12,
dopo uno scontro a fuoco con i carabinieri.
Albano non aveva ancora compiuto vent’anni.
Le circostanze della sua morte non
furono mai chiarite del tutto: sono state ipotizzate trame più o meno oscure e
soprattutto un regolamento di conti tra diverse bande di partigiani, una delle
quali sarebbe stata strumentalizzata dai servizi segreti di allora, per creare
destabilizzazione e favorire il ritorno della
monarchia.
Resta il fatto che dopo la morte
del Gobbo, anche il resto della banda
fu presto sgominato con un’altra operazione militare concentrata nel
Quarticciolo, casa per casa.
04/04/21
Pasqua insolita a Roma: Parlando di Resurrezione, la visita alle incredibili cripte dei Cappuccini in Via Veneto
Una visita a Roma nei giorni di Pasqua, può riservare molte sorprese.
Ne è un esempio la cosiddetta Chiesa dei Cappuccini in Via Veneto – il cui nome esatto è in realtà Santa Maria dell’Immacolata - celebre soprattutto per l’antico cimitero nel sotterraneo dell’edificio: la cripta, le cui cinque cappelle sono interamente ricoperte e decorate con parti di scheletri – omeri, femori, vertebre, teschi, scapole, clavicole - appartenenti a frati cappuccini che vissero per secoli nell’adiacente convento: più di quattromila scheletri formano una fantasmagorica e lugubre scenografia che serviva come memento mori, come ammonimento riguardo alla caducità della vita terrena.
Oggi
alle cripte si accede attraverso un modernissimo e funzionale Museo dedicato
alla confraternita dei Cappuccini (adiacente alla Chiesa), molto interessante,
che ricostruisce la storia dell’Ordine attraverso i suoi personaggi, le
curiosità, i luoghi e gli strumenti
della predicazione, sull’esempio del Santo assisiano.
Noi eravamo quello che voi siete e quello che noi siamo voi sarete, ammonisce
un cartello all’entrata, piantato direttamente nella terra delle sepolture.
Ma i
cappuccini professavano la loro fede nella Resurrezione e l’ultima delle
Cappelle è in questo senso, liberatoria, perché si assiste, in una tela, alla
raffigurazione del miracolo della resurrezione di Lazzaro. L’intera cripta è
quindi un passaggio pasquale,
attraverso la morte, nella sua rappresentazione più gotica, fino alla Resurrezione. E non è un caso che
questo luogo nei secoli abbia suscitato l’interesse di illustri e diversi
artisti, da Nathaniel Hawthorne e Goethe, fino al Marchese De Sade, che ne
rimase fortemente impressionato.
Ma se ancora oggi la Chiesa richiama molti visitatori per questa particolarità,
molti altri sono i motivi di interesse, prima di tutto quella grande tela
d’altare nella prima cappella a destra firmata dal genio di Guido Reni e
raffigurante San Michele Arcangelo che schiaccia con il piede la testa di
Satana.
Questo
dipinto ha una storia molto particolare, che pochi conoscono. Il bolognese Guido Reni era quel che si dice
uno spirito inquieto. Ammirato e ricercatissimo nella Roma di allora, era
quello che si potrebbe definire un dandy
ante-litteram. Sempre elegante e azzimato, orgoglioso e curioso, si sentiva
attratto dal soprannaturale, dalla magia e dall’azzardo.
Quando
nel 1635 ricevette da Antonio Barberini, che era il fratello del Papa di allora
– Urbano VIII, al secolo Maffeo Vincenzo Barberini – l’incarico di realizzare
una grande pala d’altare per la Chiesa dell’Ordine al quale lo stesso Antonio
apparteneva, Guido Reni pensò bene di prendersi una rivincita, a modo suo, nei
confronti di uno dei personaggi più influenti della Capitale, quel Giovanni
Battista Pamphilj, destinato a diventare qualche anno più tardi anch’esso Papa,
succedendo ad Urbano VIII con il nome di Innocenzo X.
Barberini
e Pamphilj si contendevano la scena a Roma, in quel periodo. Erano le due
famiglie più facoltose, le più potenti, quelle che con più numeri ambivano alla
elezione del Pontefice.
Guido
Reni era dalla parte dei Barberini. Anche per motivi personali che gli avevano
reso inviso Giovanni Battista Pamphilj, brillante avvocato di curia. Non si
conosce bene il motivo di questa antipatia: se si trattò di un affronto
personale, di una maldicenza o di un danno alla reputazione del pittore. Forse per vendicarsi di qualche torto subito,
Guido Reni ritrasse nella tela della Chiesa dei Cappuccini la testa del demonio
schiacciata dall’Arcangelo con i lineamenti di Giovanni Battista Pamphilj: lo
stesso viso allungato, la fronte stempiata e quel pizzetto che lo rendevano un
ottimo soggetto per la rappresentazione del Diavolo..
Quel
che è certo è che sin da quando il quadro fu esposto, la somiglianza parve a
molti innegabile. E lo stesso Giovanni
Battista, all’epoca Cardinale, ne rimase scandalizzato, chiedendo anche per vie
diplomatiche che si provvedesse a nasconderlo.
Ma quella Chiesa era territorio
dei Barberini e nonostante le rimostranze, furono creduti i motivi di discolpa
dell’artista il quale si giustificò dicendo che si era semplicemente ispirato
all’immagine del Demonio che più volte aveva segnato, nel corso dei suoi incubi
notturni..
Dunque
il quadro non fu mai spostato. Anche se i motivi di imbarazzo crebbero
ulteriormente qualche anno più tardi quando Giovanni Battista divenne
addirittura Papa.
E qualche voce maligna, nella Roma di allora, si
affrettò a constatare che “anche se in quella città si era visto di tutto, dall’epoca
di Romolo e poi di Nerone, non s’era mai visto un Papa assomigliare così tanto
ad un Demonio!”
Fabrizio Falconi - riproduzione riservata 2021
03/04/21
Ufo: Entro il 1 giugno il Governo degli Stati Uniti rilascerà un rapporto declassificato, molto più dettagliato dei precedenti
Il governo degli Stati Uniti prevede di rilasciare un rapporto declassificato sugli avvistamenti Ufo. E sarà molto più dettagliato rispetto a quelli passati.
Il 19 marzo l’ex direttore dell’intelligence nazionale John Ratcliffe, ha annunciato a Maria Bartiromo – conduttrice di Fox News – che «ci sono molti più avvistamenti di quelli che sono stati resi pubblici», spiegando che avrebbe voluto che le informazioni fossero declassificate e rese pubbliche prima di lasciare l’incarico, ma che non è stato possibile in quel breve lasso di tempo.
Ratcliffe spiega anche che «alcuni di questi sono stati declassificati. E quando parliamo di avvistamenti, parliamo di oggetti che sono stati visti da piloti della Marina o dell’Air Force, o che sono stati raccolti da immagini satellitari, che francamente si impegnano in azioni difficili da spiegare. Movimenti difficili da replicare, per i quali non abbiamo la tecnologia. O viaggiano a velocità che superano la barriera del suono senza un boom sonico».
I commenti del funzionario dell’intelligence arrivano quasi un anno dopo che il Pentagono ha pubblicato tre video di «fenomeni aerei non identificati», in cui le telecamere degli aerei della US Navy mostrano oggetti che si muovono a velocità inspiegabili, lasciando confusi i piloti.
In risposta ai video del Pentagono, l’ex senatore Harry Reid (D-Nev.) che ha spinto per indagini sugli avvistamenti di Ufo, ha scritto su Twitter che i video «[graffiano, ndr] solo la superficie» di ciò che è noto al governo federale. «Sono contento che il Pentagono stia finalmente rilasciando questo filmato, ma graffia solo la superficie della ricerca e dei materiali disponibili. Gli Stati Uniti devono dare uno sguardo serio e scientifico a questo e alle potenziali implicazioni per la sicurezza nazionale. Il popolo americano merita di essere informato».
Ratcliffe continua: «Quando parliamo di avvistamenti, l’altra cosa che ti dirò è che non è solo un pilota o un satellite, o una raccolta di informazioni. Di solito abbiamo più sensori che rilevano queste cose, e quindi ancora una volta alcuni di questi sono fenomeni inspiegabili, e in realtà ce ne sono molti altri che sono stati resi pubblici».
Ratcliffe ha aggiunto che gli osservatori cercano di trovare spiegazioni scientifiche per ciò che osservano, ma a volte questo va oltre quello che è tecnologicamente possibile: «Il tempo può causare disturbi visivi. A volte ci chiedevamo se i nostri avversari disponessero o meno di tecnologie un po’ più avanti di quanto pensassimo o di cui ci rendessimo conto. Ma ci sono casi in cui non abbiamo valide spiegazioni per alcune delle cose che abbiamo visto».
Durante l’intervista Bartiromo ha detto al pubblico che il Dipartimento della Difesa rilascerà il rapporto declassificato sugli Ufo entro il 1 giugno. Il finanziamento per il rapporto è stato nascosto nel disegno di legge Covid-19 per aiuti e spese governative da 2.300 miliardi di dollari, in cui esiste una disposizione che richiede alla Task Force Uap (Unidentified Aerial Phenomena) del Pentagono, di rilasciare informazioni declassificate al Comitato di intelligence del Senato sulle loro attuali informazioni relative alle minacce aeree avanzate da Ufo o da «veicoli aerei anomali».
Fonte: Masooma Haq da Epochtimes - qui l'articolo originale
31/03/21
Arriva la biografia di Philip Roth ed è subito polemica
30/03/21
Il pozzo segreto e il "Mikwe" di Via dell'Atleta a Trastevere
Il pozzo
segreto e il Mikwe di Via
dell’Atleta.
Nel cuore di Trastevere fu ritrovata ai primi del secolo, durante
scavi occasionali, una delle più pregevoli statue dell’antichità. Il cosiddetto
Apoxyómenos, l’Atleta che si
deterge il sudore, fu infatti rinvenuto nel piccolo Vicolo
delle palme, che proprio a causa di quel ritrovamento e a partire da allora
prese poi il nome di Vicolo dell'atleta. Unitamente alla statua furono
ritrovate anche le statue del Toro
frammentario e il Cavallo di bronzo.
L'Atleta che si deterge il sudore è la più famosa copia romana (in marmo
pentelico proveniente dall’Attica e attribuibile all'Età Claudia) di un'opera
di Lisippo e ritrae un atleta che si pulisce con l'aiuto dello strigile, il
raschietto in bronzo che in epoca romana serviva a cospargersi di olio o a
detergere la pelle.
Questa magnifica scultura abbelliva
un tempo le Terme di Agrippa in Roma, ma non è l’unico segreto custodito da
questa minuscola via di Trastevere.
A Via dell’Atleta, infatti – nei
sotterranei di quello che è oggi un frequentato ristorante - si trovano i resti di una delle più antiche sinagoghe della
capitale, forse addirittura la più antica in assoluto, eccezion fatta per
quella di Ostia Antica, come è confermato dalla iscrizione in ebraico rinvenuta
in una loggetta di questo edificio medievale.
Nel sottosuolo del locale si
trovano le strutture ancora perfettamente integre di un Mikwe, il bagno rituale, la vasca purificatrice, atto fondante di
ogni comunità ebraica, confermato anche dalla presenza dell’acqua. Al di sotto
dell’edificio infatti scorre un fiume sotterraneo e un antico e profondo pozzo
segreto, protetto da una robusta grata in ferro battuto, mostra l’acqua, la
stessa acqua che alimentava molti secoli fa – almeno dall’epoca medievale - il Mikwe.
Come si sa, a Roma gli ebrei vivono da oltre venti secoli (la Comunità ebraica romana è la più antica d’Europa), e la prima zona nella quale si insediarono fu proprio il Trans Tiberim, il futuro Trastevere, zona di porto e di commerci.
Il Ponte Fabricio, che collega Trastevere al quartiere Regola, dall’altra parte del fiume, era chiamato Pons Judaeorum, il ponte degli ebrei.
E la zona con il Mikwe di Via dell’Atleta era frequentata da filosofi, cabalisti, poeti, oltre che da commercianti, prima della istituzione del Ghetto, nell’XI secolo d.C., che fu realizzato invece proprio nel quartiere della Regola, sull’altra sponda del fiume, dove oggi sorge la grande Sinagoga o Tempio Maggiore che ospita anche il prezioso archivio storico della Comunità.
29/03/21
Pasqua 2021: giovedì Riccardo Muti e Massimo Cacciari in dialogo su "Le ultime parole di Cristo"
28/03/21
Poesia della Domenica - "Ogni altra cosa infinita del mare" di Askol Neves
Ogni altra cosa infinita del mare
Nella notte avanzava un relitto
ancora con le luci accese e ancora con un nome appeso al rostro distaccato alla
prua.
Nella lunga estate delle lune
nuove,
una, smerigliata apparve a fare enormi i giochi
di lui con lei, e avevano perso il tempo,
era scivolato senza bisogno di parole e si amarono.
L'ancora del relitto finì tra la
spuma e di notte
l'iridescente pesce volante venne a saltarci sopra
e ancora la sabbia accolse l'onda e il relitto e ogni altra cosa infinita del
mare.
27/03/21
Wim Wenders - "Non riuscire ad aiutare qualcuno che ami è la cosa più triste che possa accadere nella vita"
Wim Wenders - "Non riuscire ad aiutare qualcuno che ami è la cosa più triste che possa accadere nella vita"
di Matteo Persivale
fonte: Corriere della Sera, Venerdì 4 dicembre 2015
Il regista de "Il cielo sopra Berlino" e la storia d'amore con Solveig, la trapezista del film. "Quando cadde dissi a me stesso: basta, le riprese finiscono qui. Ma lei non aveva paura di niente e mi stupì."
"Quasi tutti i miei film, a parte due o tre forse - che non sono poi così belli - sono ambientati in luogo preciso perché le storie che raccontano potevano succedere soltanto là. Ci sono registi che partono dallo stile, altri dai personaggi: io parto sempre dal posto in cui succederà l'azione."
Il cinema ha i suoi poeti e i suoi filosofi: in Wim Wenders ha trovato il suo geografo. Eppure il film più famoso del cineasta tedesco, "Il cielo sopra Berlino" (1987), racconta in bianco e nero le vite degli angeli della città che vegliano sulla città divisa dal Muro che sta per cadere, e anche se non poteva non essere ambientato a Berlino si regge non sulla città ma su uno sguardo, e su un sorriso. Il cuore di quel film batte grazie a Solveig Dommartin. trapezista di un circo piccolo e male in arnese. Un angelo, Bruno Ganz, si innamora, e per lei decide di diventare umano.
Dommartin è stata una delle donne più importanti della vita del regista - che ha avuto cinque mogli - anche se non sono mai stati sposati durante la loro lunga storia d'amore tra gli anni '80 e i primi anni '90. Lei era al suo fianco durante le riprese di "Tokyo-Ga" - di quel film curò il montaggio - e di tre film è stata musa, protagonista e di fatto coautrice: "Il cielo sopra Berlino", "Così lontano, così vicino" e "Fino alla fine del mondo".
La trapezista dal sorriso così dolce da far perdere le ali agli angeli non c'è più, scomparsa nel 2007 per un male improvviso e Wenders - gentilissimo ma altrettanto riservato - non ha mai parlato della sua morte. Ha fatto una eccezione, a sorpresa, in questa intervista con un monologo emozionante, pronunciato a fatica, con la voce molto basso e lo sguardo fisso su un punto indefinito della parete della sua grande stanza d'albergo milanese. Parlando piano. Con tristezza - e tenerezza - infinite.
La storia mai raccontata
"Solveig non aveva mai paura di niente. E' la parola che la descrive meglio di tutte: era senza paura. Una volta avevamo appena cominciato le riprese di "Il cielo sopra Berlino", cadde da quel maledetto trapezio, cadde per terra in punto dove non c'erano protezioni, da sei metri di altezza. A volte vedi succedere qualcosa - un incidente d'auto per esempio - e le immagini rallentano tanto quanto i tuoi pensieri diventano veloci. Non aveva ancora toccato terra che avevo già pensato: basta è la fine del film, anche se per caso non è rimasta ferita, il film finisce qui. Niente "Cielo sopra Berlino". Sul set restiamo tutti paralizzati: lei è ancora a terra. Corriamo tutti da lei. Ecco un medico. Qualcuno chiama un'ambulanza. Ma Solveig si alza, piano, si appoggia al braccio del suo istruttore, un ungherese, un acrobata del circo molto esperto che in tre mesi gli aveva insegnato tutto, torna sulla scaletta, sale, riprende la scena daccapo. "Devi tornare subito su, altrimenti la paura ti paralizza", mi dice l'ungherese. E lei è già lassù. Devo dare di nuovo il ciak. Ecco: era senza paura.
Non ha avuto paura neanche alla fine; eravamo rimasti sempre in contatto, anche dopo la fine della nostra storia. Sono stato con lei fino alla fine, quando nessuno poteva più aiutarla. Sono già passati.. dieci anni? (otto ndr.) . E' una delle cose più tristi che ti succedono nella vita, non poter aiutare qualcuno che ami. Una cosa terribile succede davanti ai tuoi occhi e non puoi fare niente.
Fu spaventoso vederla deteriorarsi così velocemente, lei così piena di vita. Per lei ogni giorno era una festa. Solo lei poteva convincere il pubblico che un angelo avrebbe rinunciato a volare per darle una carezza. E alla fine vedere lei, sempre piena di energia, di sorrisi, perdere tutto...
Abbiamo fatto tre film insieme: alla fine la stampa le fece molto male, a Cannes ricevette per "Fino alla fine del mondo" delle pessime recensioni, fu trattata selvaggiamente dai critici francesi. Portai il film a Cannes in una versione sbagliata, almeno adesso qualcuno può vederlo in dvd nella versione in cui era stato pensato da me e Solveig, può vedere quanto era brava, quanto era speciale. Ma nella versione di Cannes, Solveig era troppo esposta, c'era troppo peso sulle sue spalle. E ha sofferto per quelle recensioni che le rovinarono la carriera. Non sono riuscito a proteggerla allora, e non sono riuscito a proteggerla quando si ammalò. E' un pensiero che non mi abbandonerà mai."
Il "Cielo sopra Berlino" è dedicato "a tre angeli del cinema, Yasuijr (Ozo ndr), Francois (Truffaut ndr) e Andrej (Tarkovskij ndr), tre eroi di Wenders. Non c'è bisogno di aggiungere un'altra dedica, a Solveig, non c'è bisogno di nostalgia: "Semplicemente quel film non esisterebbe nemmeno, senza di lei".