Storia infelice di Berenice, l’amante
dell’imperatore Tito, e del suo fantasma
Un fantasma romano molto popolare è
quello di
Berenice.
E il suo luogo di elezione sembra essere
il Portico d’Ottavia, a Roma, in quello stretto dedalo di vicoli e strade che
si snodano tra il quartiere del vecchio Ghetto
ebraico – il più antico d’Europa – e la
Via del Teatro Marcello, alle spalle. In particolare, il fantasma di Berenice pare
scelga di manifestarsi proprio tra i ruderi romani sparsi in terra nello spazio
antistante il teatro che fu dedicato nell’anno 13 a.C. al generale Marco Claudio Marcello, nipote di
Augusto (era infatti il figlio della sorella, Ottavia).
Di Berenice, della vera Berenice,
sappiamo che nacque nel 28 d.C. in Asia Minore,
e che era la figlia di Erode Agrippa, detto il Grande, che fu quel
membro della dinastia dei re di Giudea che più ebbe contatti con il mondo
romano, visto che fin da giovanissimo fu inviato nella capitale dell’Impero e
divenne intimo dello stesso imperatore (Tiberio).
Berenice doveva essere davvero bellissima
se è vero che a vent’anni era già stata sposata due volte, e alla morte del
secondo marito – che era nientemeno che lo zio paterno - si trasferì in Grecia, alla corte del fratello
Agrippa II. Ma anche in questo nuovo
ambiente, decisamente più sofisticato del precedente, Berenice trovò il modo di
ritrovarsi al centro di un nuovo scandalo, e per mettere fine alle voci di un
incesto con il fratello, accettò di sposare il Re di Cilicia Polemone, molto
più anziano di lei, che la riportò in
Asia Minore.
Ma
il temperamento irrequieto di Berenice la portò ben presto a stancarsi di
Polemone e della sua noiosa corte: riuscì a fuggire, e tornò nuovamente dal
fratello.
Ed è a questo punto della storia che nel
cuore di quella che già era definita una meretrice
si fece largo addirittura il nuovo imperatore di Roma, Tito, salito al
potere nel 79 d.C. alla morte del predecessore, il padre Vespasiano.
In realtà la tresca amorosa tra Tito e
Berenice era cominciata ben prima della morte di Vespasiano, allorquando l’imperatore aveva mandato proprio
il suo prediletto figlio, Tito, che era stato allevato ai più nobili principi
ed era un esempio di moderazione, in Palestina, per sedare le rivolte che erano
scoppiate. Tito diede alle fiamme Gerusalemme, dove si erano asserragliati gli
ebrei, distruggendo completamente il Tempio, e ottenne una vittoria completa.
Quando tornò in patria, trovò che suo
padre gli aveva preparato un tributo eccezionale (con l’erezione del celebre
Arco che ancora fa mostra di sé nel foro Romano), ma l’anziano genitore rimase interdetto
quando si accorse che il valoroso figlio attraversava l’Arco, tra le grida
osannanti del Popolo Romano, portando al braccio una preda bellica imprevista,
e cioè proprio quella bellissima principessa ebrea – Berenice - che già numerosi cuori aveva infranto
dall’altro lato del Mediterraneo, ma che aveva ben ventuno anni più di suo
figlio.
Uno scandalo in realtà non v’era, perché
questa di presentare le proprie conquiste amorose – specie se di rango regale –
non era inconsueto per un comandante militare.
Il problema sorse però quando Tito comunicò al padre che non intendeva
semplicemente inserire la nuova fiamma nell’elenco delle concubine, ma voleva
addirittura sposarla, cioè inserire un’estranea
nella linea di successione imperiale. La
vicenda divenne esemplare quando
Vespasiano – ripetendo un copione consueto dei padri – cercò in ogni modo di
convincere il figlio, adducendo anche la propria esperienza personale: anche
lui, rimasto vedovo, aveva ceduto alle grazie di una concubina, ma s’era ben
guardato dall’idea di sposarla. In questo caso poi, si trattava di un ebrea e
la faccenda era ancora più grave.
I
dubbi e le insinuazioni paterne si unirono alle malelingue di corte, alle
calunnie interessate, ma per qualche tempo non ottennero risultati e Berenice
rimase al suo posto. Soltanto, però,
fino alla morte dell’imperatore Vespasiano: forse in un rigurgito di
riconoscenza filiale, Tito, divenuto imperatore, trovò la forza di sottrarsi
alla schiavitù amorosa impostole dalla bella e appassionata Berenice, e la
cacciò – in omaggio alla ragion di stato – da Roma. L’infelice, a quanto pare, stremata dai suoi
tiramolla per sposarla, aveva finito anch’essa per disamorarsi del suo
compagno, e come sintetizza eloquentemente Svetonio, Berenice statim ab urbe dimisit, invitus, invitam, ovvero Tito una
volta diventato imperatore, controvoglia allontanò da Roma Berenice che
anch’essa non lo voleva.
La vicenda di questo amore contrastato,
che ripercorre l’antico tema del conflitto tra sentimento e doveri, trovò come abbiamo detto in Racine un cantore
memorabile, il quale rovesciò completamente gli stereotipi su Berenice,
omettendo del tutto i suoi trascorsi scandalosi e incestuosi, trasformandola in
un personaggio totalmente virtuoso, inventando un triangolo amoroso con il
principe Antioco, re di Comagene (regione meridionale dell’Anatolia), e facendone una vittima della bruta ragion di
stato. Nelle memorabili scene finali
del dramma scritto da Racine, le reciproche minaccie di suicidio di Tito, di
Antioco e di Berenice, finiscono in un nulla di fatto, e i tre decidono di
accettare la volontà superiore e di separarsi, sacrificando totalmente l’amore,
o quel che ne resta.
È dunque senza alcun dubbio questo
elemento romantico ante litteram, ad
aver alimentato la leggenda dell’esistenza del fantasma di Berenice che ancora
aleggerebbe sulla città di Roma: perché se quella dolorosa separazione fu
accettata obtorto collo in vita, essa brucerebbe ancora nell’intreccio delle
anime. E questo spiega perché la
caratteristica attribuita al fantasma di Berenice sia proprio quella di
manifestarsi nella zona del Portico d’Ottavia – non è un caso che la tradizione
popolare abbia scelto questa zona, dunque,
ricordando le origini ebree della principessa - per cercare di incontrare nuovamente il suo
amante, l’imperatore Tito, e ottenere un tardivo risarcimento a quella
inopinata cacciata.
Il Portico d’Ottavia però, è legato
strettamente anche al simbolo del potere esercitato da Tito, e quindi è davvero
lo scenario perfetto per le ansie notturne del fantasma di Berenice: è proprio in questo luogo infatti, raccontano le cronache dell’epoca, che nel 71
d.C. Tito e suo padre si presentarono
dei tradizionali vestiti di seta color porpora, e con la corona d’alloro sul
capo, circondati dai membri del senato e dai più alti magistrati, per ricevere
l’omaggio delle truppe prima di iniziare il sacrificio e la processione trionfale davanti a tutto il
popolo di Roma festante.
Per questo, sembra dire il fantasma di
Berenice, per questo potere, oggi divenuto rovina, tu mi hai sacrificato.