Dieci grandi anime. 6. Pavel Florenskij (4./)
Una
straordinaria apertura del cuore e del pensiero caratterizza tutta l’opera di
Florenskij. Cuore e pensiero vanno di
pari passo, nella ricerca incrollabile di una vita. Forse mai più precisamente
che in questo passo qui di seguito – nel
quale descrive la sua passione giovanile per lo studio dei fiori – Florenskij
enuncia lo scopo spirituale che lo ha sempre animato:
In ogni fibra… vedevo e volevo vedere,
cercavo di vedere, credevo di poter vedere l’anima, l’unica essenza
spirituale. E perciò, quanto ferma era
la mia certezza che il corpo non fosse solamente corpo, solo un’inerte materia,
solo qualcosa che si vede, tanto ferma era la certezza opposta
dell’impossibilità, dell’inutilità della presunzione di vedere quell’anima
incorporea, spogliata del suo velo simbolico… Il positivismo mi disgustava, non
meno, però, mi disgustava la metafisica astratta. Io volevo vedere l’anima, ma
volevo vederla incarnata.
(10)
E questa visione sempre duale, e quindi
complessa, della realtà e della verità si traduce anche in una concezione del
cristianesimo che – tenendo conto della lezione di Tolstoj – guarda oltre il
contingente e il presente: Il
cristianesimo, scrive Florenskij, non vive di concetti fissi e intangibili, ma
si manifesta in un processo evolutivo che non è riconducibile ad alcuna delle
formule (riti sacramentali, formulazioni dogmatiche, regole canoniche,
conformazione temporale dell’ordinamento ecclesiastico) che l’ecclesialità
assume nel corso della storia. (11)
La
fede, la fede in Cristo, è sperimentabile, secondo Florenskij in ogni evenienza
della vita, in ogni circostanza. Egli si
lascia ispirare profondamente dall’apostolo Paolo, ed è “convinto di poter fare
l’esperienza viva di fede e di lavorare per la diffusione del Regno di Dio in
ogni situazione di vita e in ogni condizione esterna, anche quella di opposizione
politica” (12).
Non si spiegherebbe
altrimenti la determinazione di Florenskij, durante la terribile, lunga
prigionia, a non lasciarsi andare, a
mantenere la fiducia – ad incoraggiarla, anzi, nei famigliari che lo attendono
invano a casa – ad accettare la vessazione e la segregazione che gli vengono imposte
cercando un senso anche in questa
sofferenza. E’ il motivo per il quale
rifiutò perfino la possibilità, quando già era detenuto nello SLON delle
Solovki, di emigrare in Cecoslovacchia, insieme alla sua famiglia, opzione che
fu accettata di buon grado da altri intellettuali che si trovavano nelle sue
stesse condizioni.
Sarebbe ora che tu capissi, scrive al figlio Vasilij il 23 novembre del 1933, che
tutto ciò che succede ha un suo significato e si combina in modo tale che, in
ultima analisi, la vita si dirige verso il meglio. I dispiaceri, nella vita,
non si possono evitare; ma i dispiaceri sopportati consapevolmente e alla luce
degli avvenimenti generali ci educano e arricchiscono e, in seguito, portano i
loro frutti positivi. (13)
Ma è la visione di quell’oltre, di
quella sostanza oltre l’apparenza, a rendere possibile l’identificazione di un
senso, che rendono plausibili e sopportabili anche il dolore, i dispiaceri, le
privazioni; la sensazione che una nuova luce, quella che non vediamo annebbiati
come siamo dalle vicende della nostra condizione umana, una nuova luce verrà a
capovolgere le nostre parziali convinzioni, le nostre parziali oscurità: Non è possibile il minimo dubbio, scrive, riguardo a quanto è detto giustamente della
vita eterna nell'Apocalisse di Giovanni: “Non vi sarà più notte; non hanno più bisogno né della luce della
lampada, né di quella del sole, perché il Signore Iddio splenderà su di
loro" (22,5). Questo non si può intendere se non della luce vera sensibile
con la quale saranno illuminati gli occhi dei beati. (14)
Una delle ultime foto di Florenskij (quella posta in testa a questo articolo N.d.A.) lo
ritrae seduto alla scrivania nel laboratorio della stazione dei ghiacci presso
il BAMLAG (la sigla è l’acronimo inglese Baikal Amur Corrective Labor Camp del
corrispettivo russo) a Skovorodino, nel 1934.
Alla luce di una debole lampada, di fronte al microscopio protetto da
una campana di vetro, il volto di Florenskij appare fortemente dimagrito, gli
zigomi sporgenti, ma lo sguardo è quieto e determinato, e un foglio di
calendario pieno di annotazioni, che campeggia sulle pareti alle sue spalle è
il segnale di un lavorio continuo, nonostante il gelo della Siberia, nonostante
la fame, nonostante tutto. Gli schizzi dell’epoca, ritrovati, sono zeppi di
disegni, appunti, formule matematiche.
(4./segue)
Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata.
10.
Pavel
A. Florenskij, Ai mie figli, op. cit.
pag. 154
11. A. Maccioni, Florenskij e Bulgakov nella storia di un prodigio, in Slavia,
XVII,2,2008, pag. 39
12.
Così i curatori Natalino Valentini e Lubomir
Zak in Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi, op.cit.
nota a pag. 83
13.
Pavel A. Florenskij, Non dimenticatemi, op. cit. pag. 76