25/01/15

Poesia della domenica - 'La buia stanza obliqua del mio cuore' di Hannah Arendt





Vieni e abita
nella buia stanza obliqua del mio cuore,
che la vastità delle onde ancora
si chiude allo spazio.
Vieni e cadi
nei fondi colorati del mio sonno,
che ha paura del ripido
abisso del nostro mondo.
Vieni e vola
nella lontana curva della mia nostalgia,
che l’incendio divampi
all’altezza di una fiamma.
Stai e resta.


Hannah Arendt

24/01/15

Goethe collezionista di autografi. (Una grande mostra a Weimar).



Oltre a essere un genio universale, scrittore, poeta, scienziato e umanista, Johann Wolfgang von Goethe era un appassionato collezionista, non solo di arte, ma anche di manoscritti di grandi del suo tempo. 

Una mostra a Weimar, organizzata dall'Archivio Goethe e Schiller, espone alcuni di questi preziosi documenti, mai mostrati al pubblico prima, fra cui testimonianze di Mozart e Napoleone. 

Nella maturità Goethe (1749-1832) aveva sviluppato una accesa passione per gli autografi di grandi personaggi contemporanei o anche gia' scomparsi da tempo. Amici e conoscenti lo aiutavano a nutrire la sua collezione. 

"Negli ultimi 25 anni della sua vita Goethe ha raccolto attorno ai 2.000 documenti di circa 1.500 personalità", ha detto la curatrice, Evelyn Liepsch. 

Una piccola selezione (14 manoscritti) e' esposta nella mostra, che si e' aperta oggi a Weimar e chiude il 28 giugno: "Da Mozart a Napoleone" il titolo. 

Goethe raccoglieva lettere, appunti, disegni, certificati, alberi genealogici, pagine di spartiti o semplici autografi di artisti, studiosi, politici e sovrani. Fra di essi, esposta ora a Weimar, anche la copia di una firma di Napoleone, che peraltro conobbe in vita. 

L'Archivio possiede anche una piccola lettera scritta a Goethe dall'imperatore francese che pero' non e' esposta: "noi non siamo un museo ", ha spiegato la curatrice alludendo alla scelta e al numero limitato dei documenti selezionati. 

Altra testimonianza preziosa e' un frammento di una partitura di Mozart inviato a Goethe da una amica di Vienna con cui corrispondeva. Si tratta di una pagina manoscritta della Fantasia per pianoforte in do minore, ultimata dall'amico del grande compositore, il clarinettista Anton Stadler. 

Altro documento significativo, una lettera dal lascito di Moses Mendelsohn (1729-1786). Il celebre filosofo tedesco proveniva da una illustre famiglia della borghesia ebrea che ha prodotto anche il grande compositore romantico, Felix Mendelsohn Bartholdy (1809-1847), nipote del filosofo. 

La morte precoce del poeta e amico Friedrich Schiller nel 1805, ha contribuito ad alimentare la passione di Goethe per gli autografi di "persone eccezionali, notevoli, capaci", egli stesso si vedeva sempre piu' attraverso il filtro storico, ha spiegato la curatrice Liepsch. Goethe teneva molto alla sua collezione, da lui meticolosamente archiviata, e usava spesso sfogliare e rimirare gli oggetti raccolti, come i manoscritti di partiture. 

Arricchiva il suo tesoro durante viaggi, attraverso scambi, o anche grazie all'aiuto di amici che sapevano della sua passione. Accanto al piacere di possedere degli originali,  Goethe amava il contatto con questi documenti "per poter evocare e richiamare attorno a se' - come scrisse egli stesso nelle lettere - gli spiriti delle persone allontanatesi o scomparse" .

23/01/15

L'Ammirazione: la prima di tutte le passioni. (Descartes)


Quando il primo incontro con un qualche oggetto (o soggetto ndr) ci sorprende, e lo giudichiamo nuovo o molto differente da quel che ne conoscevamo prima oppure da quel che noi supponevamo che dovesse essere, ciò fa sì che noi l'ammiriamo e che ne restiamo stupiti.

E siccome ciò può capitare prima che noi conosciamo per niente se quest'oggetto (o soggetto ndr) ci sia o no conveniente, mi sembra che l'ammirazione sia la prima di tutte le passioni.

Essa non ha il suo contrario, perché, se l'oggetto che si presenta non ha in sé niente per sorprenderci, non non se siamo per niente commossi e lo consideriamo senza passione (...)

La stima o il disprezzo sono congiunti all'ammirazione, a seconda che ammiriamo la grandezza o la piccolezza di un oggetto. Possiamo anche disprezzare noi stessi; di qui vengono le possiani e poi le abitudini della Magnanimità e dell'Orgoglio, dell'Umiltà e della Bassezza.

R. Decartes, Passione sive effectus animae II, 53-54.

Per Cartesio, insomma, l'ammirazione è uno dei pochi (sei, insieme a amore, odio, desiderio, gioia e tristezza), stati originari dell'uomo.



22/01/15

Il nostro incontro non era in agenda.




Il nostro incontro non era in agenda.  Come spesso accade nella vita, abbiamo lasciato fare al caso. Quest'onda increspata che a tratti ci accarezza e a tratti ci sommerge. 

Ma non è così l'anima delle cose.  Questa nebbia indistinta, questo mal di capo, questa debolezza lascia il posto alla furente voglia di cercare il dritto e il compiuto,  la passione delle forti istanze, le meteore che attraversano come un lampo la notte della savana. 

Il nostro incontro non era in agenda.  E tu, anima lo sapevi. 
Hai aspettato paziente e non ti sei sottomessa. 
Come un animale selvatico sei sparita per un po' e poi sei tornata.  Sulle medesime tracce lasciate ai tempi della neve. 
Le riconosci.
Anche io, che son cacciatore, le riconosco.
Anch'io son paziente. 
Ci siamo guardati da lontano e abbiamo lasciato fare.  All'odor di fragole, alle malie del sottobosco, al lampo del tuono prima della pioggia, al rimbombo lontano dei massi caduti. 

Il nostro incontro non era in agenda. Tu ed io potevamo sfiorarci nei percorsi di tutti i giorni e non incontrarci mai.  
Poi venne quel giorno, e l'attenzione fece il resto.
Da quando si è attenti, nulla è più come prima.
Il mondo cambia, tutto il resto cambia. Nell'ingranaggio del motore dell'universo creato o increato, due cose trovano posto, si sovrappongono come nel tempo dell'eclissi. Combaciando perfettamente. E tutti gli animali, tutto il regno si inchina, tira il fiato, ne tiene il conto.



Fabrizio Falconi (Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata).

20/01/15

'A sud del confine, a ovest del sole', di Murakami Haruki - (Recensione)

Ci sono tutti gli ingredienti che hanno fatto la fortuna di Murakami Haruki in A sud del confine, a ovest del sole, uno dei suoi primi romanzi, scritto nel 1992, dopo il grande successo di Norvegian Wood: lo stile piano, quasi elementare, le frasi brevi, i protagonisti maschili e femminili tagliati con tratti immediatamente riconoscibili, il gusto cool per la musica jazz, l'iniziazione della maturità, i perturbamenti, le scene di sesso descritte con chiurgica precisione e occhio strizzato al porno, le donne misteriose (bambole inquiete depositarie di misteri), quella vaga incertezza di direzione così post-post moderna, che affascina il lettore di oggi. 

Murakami qui descrive la storia di Hajime, un uomo come tanti, figlio unico che si sente gemellato con la bella e menomata Shimamoto, suo coetanea.  Un breve innamoramento a dodici anni, le prime condivisioni insieme - l'ascolto dei dischi in vinile a casa di lei - poi la perdita di vista, Hajime che si fidanza all'università con Izumi, le prime vere esperienze, il lavoro come gestore (fortunato) di locali,  il matrimonio con Yukiko, la due bambine, una famiglia come tante, finché l'ombra di Shimamoto - guarita dalla sua menomazione alla gamba - torna a farsi viva, inaspettatamente e a risvegliare l'ombra interiore di Hajime.

Risucchiato dal mistero di quella donna, alla quale l'anima è rimasta sempre legata, Hajime arriva fino alla soglia del precipizio e oltre: mette in discussione tutta la sua vita, distrugge il suo legame, si perde e (forse?) si ritrova in un finale aperto che lascia spazio ad ogni possibile soluzione. 

La storia d'amore, che è protagonista di questo romanzo, è sufficientemente stravolgente: per Hajime  e per il lettore.  La consapevolezza di essere portati fuori da sé, di essere agiti dall'amore, cioè da una forza trascendente che non si può controllare e che non vuole essere capita, ma vuole essere soltanto ciò che è, è la parte più convincente del libro, il cui laborioso titolo si riferisce all'insieme dei titoli di due famosi standard jazz. 

La perdizione di Hajime è in quello strettissimo confine tra morte e amore, tra amore romantico e perdizione, che è stata definitivamente indagata dal celebre L'amore e l'occidente di Denis de Rougemont

In questo senso la storia di Murakami aggiunge poco. Ma coltiva il dono della leggibilità e della possibile identificazione di ciascuno nel sentimento interdetto di Hajime che vive e si guarda vivere, come accade ad ognuno di noi, in un punto cruciale della vita. 

Fabrizio Falconi




12/01/15

Facciamo pace con il caso - Un bellissimo articolo di Donatella Di Cesare (La lettura, 11 gennaio 2015)





Un bellissimo articolo di Donatella Di Cesare su La Lettura di ieri


Circa due terzi dei tumori non sarebbero riconducibili né alle predisposizioni ereditarie né ai fattori ambientali né, tanto meno, allo stile di vita. 

Lo sostengono, sulla prestigiosa rivista «Science», il genetista Bert Vogelstein e il matematico Cristian Tomasetti.

Il risultato della ricerca, condotta sulla base di modelli molto complessi, culmina in due parole relativamente ordinarie: bad luck, cattiva sorte. 

Il cancro sarebbe, dunque, in gran parte questione di sfortuna. La notizia ha suscitato sconcerto e persino sdegno.

A irritare non è solo lo scarto tra la complessità dei mezzi impiegati e l’apparente banalità dell’esito. Piuttosto è lo spazio che in tal modo la ricerca scientifica concede a un concetto nebuloso come il «caso». Che la guerra contro il cancro debba subire una battuta d’arresto? E per di più sotto i colpi del caso? Non ne viene allora minata la nostra fede incrollabile nella scienza? Dovremmo ammettere di esserci sbagliati confidando, per il nostro futuro, nei calcoli e nelle previsioni della medicina?

Negli ultimi decenni siamo stati portati a considerare normali quei progressi straordinari che hanno modificato, più di quanto non si immagini, il nostro rapporto con la vita. I limiti sono saltati, le frontiere sono state spostate o addirittura rimosse. Sono cambiati genesi, qualità, durata ed esito della vita.
Le aspirazioni più recondite, i desideri più inesaudibili sono diventati realtà: avere figli quando prima non era possibile, guarire da malattie congenite, sconfiggere morbi virulenti. Il prolungamento della vita ha modificato la comprensione che ciascuno ha di sé. Siamo stati presi dall’euforia vertiginosa dell’illimitato. Quel che prima era dettato dalle dure leggi della necessità, o inscritto nella imperscrutabile volontà di Dio, è divenuto risultato di una scelta. In breve: siamo stati educati alla cultura dell’antidestino.

Come potremmo accettare allora che il cancro dipenda in gran parte dal «caso»? E che cosa significa questo termine, che ci si attenderebbe semmai da un filosofo, non da uno scienziato?

Caso, connesso con il verbo cadere, è quel che cade, o meglio, quel che accade — è un evento che sopraggiunge, senza che ci sia una causa evidente, prevista o prevedibile, a provocarlo. L’uso del termine deriva dal gioco dei dadi.

Il caso è la sorte che tocca a ognuno nel grande gioco della vita. 

Ma sono stati gli antichi Greci a riflettere sul concetto — non solo nell’ambito della filosofia. Proprio i primi medici si sono interrogati sulla possibilità di ricorrere alla parola túche, sorte. In uno scritto attribuito a Ippocrate, il fondatore della medicina scientifica, è detto che «caso è un mero nome, non ha sostanza, non significa nulla».

Se la malattia è vista sin dall’inizio come un caso, che disturba il normale fluire della salute, e si manifesta attraverso i sintomi, la medicina prende tuttavia le distanze da un termine che appare sospetto.

Che cosa sarebbe il caso altro che un concetto-limite? Che cosa indicherebbe, se non l’ammissione della propria ignoranza? Non conoscere le cause della malattia, non saperne fornire una spiegazione, non autorizza, per i medici greci, a parlare di «caso».

Bad luck, la formula usata dai ricercatori americani, verrebbe dunque bollata probabilmente dai medici greci come non scientifica. I filosofi sono stati ben più indulgenti. Pur interpretando il caso in modi diversi, lo hanno accolto come parte integrante della vita. Non lo hanno respinto al limite, come quell’ignoto che resta ancora da spiegare. 

Hanno discusso intorno alle differenze tra sorte, fortuna, provvidenza, a seconda delle loro convinzioni e del loro credo, ma non hanno mai smesso di interrogarsi sul ruolo che il caso può svolgere non solo per la felicità umana, ma anche nelle alterne vicende della storia.

Questo non vuol dire diventare fatalisti. «Nessun vincitore crede al caso», scrive Friedrich Nietzsche. E poi che ne sarebbe della libertà? E della responsabilità? Non si può, dunque, pretendere di eliminare, dalla vita umana e dalla storia, l’imprevisto e l’imprevedibile.

Cogliere il momento giusto, assecondare il caso, rimettersi all’incalcolabile, in un difficile equilibrio tra agire e attendere, costituisce la saggezza del vivere. Perciò i filosofi, anche nei tempi più recenti, hanno lanciato un monito contro il ricorso ai calcoli razionali che non di rado si rivelano ingannevoli. Il monito è rivolto anche agli scienziati, sebbene nella scienza le cose stiano diversamente.

Perché il caso viene visto come un singolo fenomeno che devia dalla legge e ne richiede una correzione. Per gli scienziati il caso, che emerge nell’applicazione pratica, rappresenta il compito ulteriore della loro ricerca, quel limite che devono ambire a superare.

Sta qui il progresso della scienza: nella sua costante capacità di rettifica che ne incrementa la attendibilità. Si capisce allora perché, quando si imbatte nell’inatteso, il ricercatore miri non solo a ricondurlo ai canoni scientifici, ma anche a prevederlo. Gioca insomma d’anticipo, con statistiche e calcoli della probabilità. Dopo gli eventi traumatici che il genere umano ha sperimentato negli ultimi decenni, la previsione sembra ormai far parte della responsabilità che il ricercatore si assume verso il mondo.

Che cosa non si tenta oggi di prevedere? Dagli eventi atmosferici all’andamento della Borsa valori, dagli sviluppi demografici ai sondaggi d’opinione. L’uso smodato di misurazioni e calcoli è tuttavia la spia di un atteggiamento che, dalla scienza, si è andato pericolosamente diffondendo nella vita. Il che ha non solo reso sempre più difficile accettare l’imprevisto, ma ha danneggiato il nostro rapporto con il futuro.

Nell’ambito della medicina la questione è ancor più complessa. Come ha scritto il filosofo Hans Jonas, «la medicina è una scienza, ma la professione medica è l’esercizio di un’arte». Si tratta di un’arte che non produce nulla e contribuisce piuttosto a guarire, cioè a ristabilire l’equilibrio del paziente — non senza la partecipazione di quest’ultimo, chiamato alla cura attiva di sé.



11/01/15

Poesia della domenica - 'Un appunto' di Wislawa Szymborska.




Un appunto 

La vita – è il solo modo per coprirsi di foglie,
prendere fiato sulla sabbia,
sollevarsi sulle ali;
essere un cane,
o carezzarlo sul suo pelo caldo;
distinguere il dolore
da tutto ciò che dolore non è;
stare dentro gli eventi,
dileguarsi nelle vedute,
cercare il più piccolo errore.
Un’occasione eccezionale
per ricordare per un attimo
di che si è parlato a luce spenta;
e almeno per una volta
inciampare in una pietra,
bagnarsi in qualche pioggia,
perdere le chiavi tra l’erba;
e seguire con gli occhi una scintilla di vento;
e persistere nel non sapere
qualcosa d’importante.



Wislawa Szymborska, da "Un attimo", 2002

10/01/15

Charlie Hebdo - una riflessione.


Il mondo è come sei, recita un vecchio motto sapienziale. 

Se c'è verità in questo, alla luce di quanto successo nelle ultime 72 ore a Parigi, non stiamo messi bene.  Non servivano certo le nefaste imprese dei fratelli Kouachi e dell'altro terrorista, Amedy Coulibaly, asserragliato con ostaggi nel negozio Kosher, per capire come siamo ridotti. 

E' certamente vero che il sonno della ragione genera mostri,  come scrisse Francisco de Goya e rappresentò in una sua celebre grafica (qui sopra). 

Quando la ragione dorme - laddove per ragione si intende ragionamento, tradizione, principi fondamentali, cultura, dialogo - si levano in volo gli uccelli più oscuri.  I mostri sono liberi di agire, nessuno più li ferma. 

E' per questo che la tragedia di Charlie Hebdo riguarda tutti. L'enfasi non aiuta a comprendere, il dividere tutto - come sempre - in torti e ragioni, giustificazioni e accuse, libertà e oppressioni, complotti, cause economiche, conflitti sociali, traffici d'armi, guerre sante.

Tutto vero, tutto giusto.  Ma come nell'epoca più buia del Novecento (i primi anni '30), si ha l'impressione che per il mondo si aggiri uno spaventoso morbo, che sulla pretesa della sopraffazione (di tutto e di tutti, quindi soprattutto di chi pensa ed è diverso) costruisce il suo trionfo epidemico. 

Come allora, le coscienze pensanti erano poche, le voci flebili.  Ciascuno si sentiva rintanato nel suo piccolo mondo, illusoriamente al sicuro. Ciascuno combatteva contro i propri fantasmi, sicuro che si trattasse di roba propria, e che alla fine il mondo se la sarebbe risolta da sola, la questione. 

Ma niente si risolve da solo.  Tutti siamo dentro, proprio tutti. Anche quelli che continuano a coprirsi la testa e a sonnecchiare mentre nella penombra svolazzano le creature di Goya. 

Fabrizio Falconi

09/01/15

La presentazione alla Torretta de 'Il respiro di oggi' (15 luglio 2009).




Questa foto è stata scattata mercoledì 15 Luglio del 2009, alle ore 21, alla Torretta di Ponte Milvio.

Quella fu una bella serata.  Con letture e good vibrations

Tra le foto di Piero Leonardi (Butterflies),  esposte nelle sale (Piero aveva realizzato anche la foto della copertina del volume), fu presentato Il respiro di oggi, edito da Terre Sommerse, nel quale avevo riunito nuove poesie, alcune già tradotte in America, e le raccolte Zodiac e Petrology realizzate - per le rispettive mostre a Tuscania, e al Chiostro del Bramante in Roma - insieme a Justin Bradshaw.

nella foto in testa: Giulia Alberico, Fabrizio Falconi, Ugo Barbara



08/01/15

Tempo di semina - quando tutto muore, tutto segretamente rinasce.







Il tempo della semina del grano è l'autunno

Nella stagione dove tutto muore, qualcosa segretamente nasce.  

Il contadino ha già arato il campo, l'erpice lo ha spianato, tutto sembra ormai brullo e finito, come in ogni anno.  Ma tutto quello che verrà poi, che rinascerà, viene piantato in questo tempo cupo, durante il quale il cielo si annerisce, il vento spazza via ogni foglia, i rami restano impietriti, la pioggia copre come pietra tombale la vita, prima della benedizione silenziosa della neve. 

Il grano seminato dorme, al buio. Si prepara nell'infimo del terreno, tra i vermi. 
Nell'umile non visto e non udito. 

Anche l'energia vitale, il rinnovamento, la rinascita personale, l'amore, funzionano così. Come il lussureggiante campo che esploderà al sole di luglio. 
Nessuna di queste cose può arrivare se essa viene condizionata o ordinata a crescere. 

La crescita è un fenomeno spontaneo, che sgorga dalla pazienza dell'era nascosta, non controllabile, non artificiosa, non voluta. 
La speranza è nel seme.  La crescita è nella sapienza della terra. Di ciò che già la terra, contiene. 

Scriveva Rainer Maria Rilke nel Testamento:

come sono stanco di predisporre tutte queste contromosse per difendermi dalle prevaricazioni dell'amore - ; dove sarà il cuore che non mi 'commissioni' una precisa, egoistica felicità, ma mi conceda di predisporgli ciò che da me sgorga inesauribilmente ? 

Fabrizio Falconi


04/01/15

I 10 brani musicali che hanno cambiato la tua vita.




E' sempre interessante riavvolgere il nastro della memoria e mettere a fuoco quello che nella nostra vita è stato importante. 

La musica per me e per molti lo è stato.

Così, invitandovi a fare altrettanto, metto per iscritto - con tutta l'imperfezione del caso e l'inevitabile implacabile selezione -  i dieci brani musicali che "hanno cambiato la mia vita".  

Nel titolo di ogni canzone o brano musicale il link che rimanda al video youtube. 


1. Whiter shade of pale - Procol Harum

2. Let it be - Beatles

3. Ouverture da Semiramide - Gioacchino Rossini

4. An der schönen blauen Donau - Johann Strauss

5. Atom Heart Mother - Pink Floyd

6. I giardini di marzo - Lucio Battisti

7. The circle game - Joni Mitchell

8. Koln concert - Keith Jarrett

9. Vanity -  Sarah Vaughan

10. Hallelujah - Leonard Cohen (esecuz. John Cale).


A voi la palla.

Fabrizio Falconi

La poesia della domenica - "Anna Snegina" di Sergej Esenin.



Ed eccomi di nuovo in viaggio
nella notturna bruma di giugno.
Garrulo come il carro
non forte non piano, come una volta.
La strada è abbastanza buona,
placido è il tinnire della pianura.
La luna di nevischio dorato
ha cosparso la lontananza dei villaggi.
Balenano cappelle, pozzo,
recinti e siepi.
E il cuore batte come un tempo
come batteva nei giorni lontani.

Di nuovo sono al mulino...
L'abetaia
è cosparsa di candele di lucciole.

...
"Ora con molto piacere
ti consegnerò un dono"
"Un dono?"
"No...
semplicemente una letterina.
Ma non avere fretta, caro!
Quasi due mesi e più
l'ho portata con me dalla posta."
...
"Anch'io come lei sono viva.
Così spesso sogno il recinto,
il cancelletto e le sue parole.
Ora sono lontano da lei..
In Russia ora è l'aprile.
E di lanugine blu
la betulla è coperta e l'abete.

Con la pelliccia di montone
vado come un tempo al mio fienile.
Vado per il giardino lussureggiante,
il vaso sfiora il lillà.
Così cara ai miei sguardi accesi
la siepe incurvata.
Un tempo a quel cancelletto
avevo sedici anni.
E una fanciulla in bianca mantellina
mi disse dolcemente: "No!".

Lontani cari anni!...
Quell'immagine in me non s'è spenta.

Tutti noi in quegli anni abbiamo amato,
ma, certo,
hanno amato anche noi.


Sergej Esenin, estratto da Anna Snegina, gennaio 1925 Batùm, edizioni Einaudi collezione di poesia, Torino 1976, traduzione di Iginio De Luca.

02/01/15

La meditazione e il Campo Unificato - una esperienza trascendente.



Chi sperimenta le tecniche di meditazione - in particolare quella trascendentale, formalizzata nei suoi canoni da Maharishi Manesh Yogi nella seconda metà del Novecento - sa che nella radicata tradizione vedica, vecchia di 10.000 anni si può raggiungere un contatto con il cosiddetto Atman, quel soffio vitale o energia, che la psicologia occidentale identifica con il , il nucleo più autentico dell'individuo, in contatto con il mondo inconscio archetipico. 

La scienza, la fisica moderna è al lavoro sulla identificazione del Campo unificato, sulla base di quella intuizione di Albert Einstein, che passò gli ultimi anni della sua vita alla ricerca di una teoria di unificazione dei campi (oggi chiamata variamente Teoria del tutto) in grado di tenere insieme la gravità e l'elettromagnetismo, insieme o oltre la legge della relatività generale.   

Oggi molti teorici sono convinti dell'esistenza di questo Campo unificato, per la dimostrazione del quale mancano alcuni definitivi tasselli sperimentali, una specie di campo delle possibilità (la meccanica quantistica è già realtà, si lavora alla supersummetria) dove ogni particella è sospesa tra esistenza e non esistenza, una sorta di mare quantico, misteriosa origine di ogni cosa, visibile ed invisibile. 

La possibilità di accedere (intuitivamente, ma anche concretamente) a questo campo sottostante la nostra stessa vita individuale è una possibilità che offrono le tecniche di meditazione. 

Ed è un peccato non approfittarne, anche per comprendere come sia molto labile il confine delle nostre occupazioni e pre-occupazioni quotidiane e come in fondo il nostro irrompere sulla scena del mondo sia molto.... relativo (per dirla con Einstein), ma allo stesso tempo molto collegato a una rete molto più ampia di quello che possiamo anche soltanto immaginare.

Fabrizio Falconi


31/12/14

31 dicembre - La festa immobile.


Un fotogramma da 'Mister Hula Hoop' (The Hudsucker Proxy), di Joel e Ethan Coen, 1994



La vera festa, per l'addio ad un anno è quella interiore. 


Alberi, fiumi, cose, stelle, non hanno l'impressione di sentire il passaggio del tempo, il bisogno di una soglia, che gli esseri umani invece hanno necessità di segnare sempre, dall'istante stesso che sono nati.

Di soglia in soglia, l'essere umano muta. 

Ma non tanto esteriormente.

Ciò che veramente cambia è lo scenario interiore.  Si può essere grati di quel che si è imparato e anche di quel che si è sofferto se è servito. Si può festeggiare una rinascita, si può brindare allo spirito, ci si può predisporre ad una festa interiore (apparentemente immobile), che è l'unica davvero senza fine. Se si è capaci di conservare un cuore aperto. Capace di dire sì alla vita (senza pìù accusare, nemmeno gli accusatori, nemmeno se stessi). 

Così scriveva Friedrich Nietzsche ne La gaia scienza (1882):

Per l'anno nuovo. [...] Oggi ognuno si permette di esprimere il suo augurio e il suo più caro pensiero: ebbene, voglio dire anch'io che cosa oggi mi sono augurato da me stesso e quale pensiero quest'anno, per la prima volta, m'è venuto in cuore - quale pensiero deve essere per me fondamento, garanzia, dolcezza di tutta la vita futura! Voglio imparare sempre di più a vedere il necessario nelle cose come fosse quel che v'è di bello in loro: cosi sarò uno di quelli che rendono belle le cose. Amor fati: sia questo d'ora innanzi il mio amore! Non voglio muover guerra contro il brutto. Non voglio accusare, non voglio neppure accusare gli accusatori. Guardare altrove sia la mia unica negazione! E, insomma: quando che sia, voglio soltanto essere, d'ora in poi, uno che dice sì!

Auguri per un felice anno nuovo da questo blog.

Fabrizio Falconi

29/12/14

'The Master' di Colm Tòibìn, un capolavoro.




E' raro trovare un libro così. 

In The Master, l'irlandese Colm Tòibìn, è riuscito a realizzare una specie di miracolo.  Prima di tutto linguistico: scegliendo di raccontare la vita dello scrittore Henry James lungo 4 anni, dal 1895 al 1898, Tòibìn si è trovato di fronte alla necessità di dover essere prima di tutto credibile. Non è mai facile raccontare la storia di uno scrittore. 

Ancora di più quella di Henry James, un vero e proprio monumento all'assenza, visto che - come è noto - la sua biografia è priva di fatti privati notevoli, non ci sono matrimoni, fidanzamenti, figli, non ci sono tempeste o rovine. Sotto certi aspetti, anzi la vita di James è un mistero.  Un mistero che ha lasciato terreno libero ai biografi del passato e recenti, lasciandoli liberi di argomentare a favore della presunta o vera omosessualità dello scrittore, o sulla sua presunta o vera verginità o atarassia o distacco dal desiderio.

Colm Tòibìn

Quel che ha interessato Tòibìn, e che lo scrittore irlandese è riuscito a cogliere con un così elevato tasso di classe e di credibilità, è il carattere di James, un carattere tutto in apparente sottrazione. Il che ovviamente non significava affatto che James fosse insensibile alla vita. Ne era, anzi, sostiene Tòibìn, irresistibilmente attratto: la sua passione per la vita era divorante, lo era troppo.  Ma il destino lo aveva dotato di un'anima estremamente sensibile: sono eloquenti le ultime 3 pagine del romanzo, in cui viene rievocata una scena dell'infanzia di Henry, il suo commuoversi bambino, al solo ascoltare le cattiverie dei Murdstone, nel David Copperfield, letto ad alta voce dal padre.

E' proprio questa protezione dal mondo allora, questo non volersi far coinvolgere per non soffrire atrocemente, questa autoesclusione drammatica, interiore dal furore e dalle passioni del mondo che James praticò trovando come potente antidoto la narrazione.  E anzi, fu proprio questo stare affacciato alla finestra, a permettergli quello sguardo lucido e profondo come un bisturi che in ogni suo romanzo, o racconto o novella breve fa precipitare il lettore nel mondo interiore dei suoi personaggi (specie di quelli femminili). 

Tòibìn è qui un narratore incredibilmente discreto, sembra aver imparato la lezione di Henry James in modo esemplare e utilizza il suo stesso metodo per scolpirne il ritratto dal vero

Un ritratto che nell'arco delle 360 pagine è non solo vivo, ma palpitante.  Così doveva proprio essere James, come quell'uomo che di notte va sotto casa dell'amato, con il cuore disfatto, solo per vederne le luci di casa accese, senza salire, come quell'uomo che si dispera per l'amata Constance - che forse si è tolta la vita proprio per lui e per la sua assenza - come quell'uomo che non sa o non vuole spendere parole più del necessario, perché sa che tutto quello che serve è stato detto, e se è stato taciuto è ancora più eloquente.

Ma, verosimiglianza a parte, The Master è prima di tutto un romanzo.  Un grande romanzo il cui oggetto, come in tutti i grandi romanzi, è la differenza di prospettiva tra la vita vissuta e la vita osservata.

Fabrizio Falconi 

Tomba di Henry James al cimitero di Cambridge, Massachussets

L'enigma tra esistere e non esistere (Carlo Revelli).

fotogramma dal film Interstellar, scritto prodotto e interpretato da Christopher Nolan (2014)

Uno degli argomenti filosofici più frequentati, dalla notte dei tempi, per contrastare l'illusione che ci porta continuamente a pensare in forma di tutto qui e ora (ovvero esiste solo ciò che vedo, conta solo quello che tocco, conta soltanto la mia pre-occupazione, il mio mondo), è l'esercizio del pensare alla complicazione del mistero in cui siamo calati.

Questo esercizio avvicina sempre di più filosofia e fisica moderna.  In un meraviglioso libretto di appena 70 pagine appena pubblicato, Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi, 2014), Carlo Revelli, esprime così, in poche righe lo stupefacente enigma dentro cui i ricercatori si stanno addentrando. 

Una manciata di tipi di particelle elementari, che vibrano e fluttuano in continuazione fra l'esistere e il non esistere, pullulano nello spazio anche quando sembra che non ci sia nulla, si combinano assieme all'infinito come le lettere di un alfabeto cosmico per raccontare l'immensa storia delle galassie, delle stelle innumerevoli, dei raggi cosmici, della luce del sole, delle montagne, dei boschi, dei campi di grano, dei sorrisi dei ragazzi alla feste, e del cielo nero e stellato della notte.


Fabrizio Falconi

28/12/14

Poesia della domenica - 'Galeria' di Fabrizio Falconi.





Galeria


Non l'ho trovata Galeria,
eppure dicevano che era qui, proprio qui
dove la strada finisce
e bisogna iniziarne una nuova,
così ho fatto: incamminandomi nel tepore
d'ottobre e tutto era silenzioso ed umile
netto come dev'essere la vita,
ho fatto attenzione, procedendo passo dopo passo
e la campagna era smisurata e verde
brillante all'orizzonte, tutto sembrava oro
tutto induceva a continuare
senza indugiare, ma mano a mano
che il sentiero deviava
perdevo le tracce e io stesso
avevo paura
di perdermi
senza misura e senza punti, prendevo di mira
l'orizzonte senza scorgere un volo d'uccelli
o il fosso d'Arrone,
è lì, mi dicevo, è lì dove dicono tutti
che sia, è a un passo e bisogna soltanto
condurvi il coraggio, ma non veniva mai
la città morta, non se ne vedeva nulla
forse nel bosco era annientata
forse nessuno l'aveva vista mai per davvero,
io troppo mi ero allontanato
ed era tardi ormai per proseguire,
lentamente ho voltato le spalle e lo sguardo
e son tornato sui miei passi, senza arrivare
senza raggiungere, senza ultimare,
tornato in tempo o per tempo
o troppo tardi, tornato indietro e basta
senza averla vista la città incantata
città dei fantasmi, la città morta
che forse non esisteva o forse
sì, nel sogno o nel racconto o nel prima di
quando si muore, io non l'ho vista comunque
non l'ho trovata, e solo al ritorno mi resta
di sognarla come sarebbe stata,
d'immaginarla com'era, come l'ho sempre
immaginata, da prima che era.



Fabrizio Falconi  2014 © - proprietà riservata/riproduzione vietata.


27/12/14

Non vi è intelligenza senza emozione (L'ebanista)



Non vi è intelligenza senza emozione. Ci può essere emozione senza molta intelligenza, ma è cosa che non ci riguarda, scriveva Ezra Pound.

Quel che si trova sul mercato è emozione senza molta intelligenza. Tutto è facile se si asseconda questa direzione.  

L'emozione pura però, senza vera intelligenza, è pura superficie. Non dà e non aggiunge. Non cambia e nemmeno toglie.  E' come un grano di clessidra che si disperde, uguale agli altri. E un altro tempo è passato. 

La vera intelligenza è nascosta nel vivere profondamente le emozioni (non come fossero princìpi distinti, ma allo stesso momento, tutto insieme)

Per molto tempo, nella vita, ci illudiamo di conoscere profondamente l'altro o gli altri, ma questa vera conoscenza non deriva certamente dalle emozioni (neanche da quelle che si vivono insieme): è la qualità dell'intelligenza, del respiro interiore di ciò che si vive, che rende le emozioni profonde, indelebili. E la conoscenza dell'altro non è allora illusoria, ma vera e reale. 

E come un legno trattato da un ebanista, ad ogni passaggio (di emozione), il legno diventa sempre più pregiato. E' il lavoro dell'intelligenza dell'ebanista, la sua pazienza, il suo modo di sentire, il silenzio, l'accoglienza, la determinazione e la dolcezza, il mettere e levare dei gesti (cioè l'intelligenza) negli intarsi, che rendono lucente e prezioso ciò che sembrava deperito o incapace di essere altro da cibo per i tarli.

Fabrizio Falconi