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18/12/17

Consigli di Flaubert a Maupassant per diventare uno scrittore: "Sacrificare anche se stessi all'arte!"



Vi lamentate che il culo delle donne è monotono ?  C'è un semplice rimedio, ed è di non servirsene. I vizi sono meschini, dite. Ma tutto è meschino ! Non ci sono abbastanza possibilità di lavorare le frasi, dite.  Cercate e troverete !

Infine caro amico, avete l'aria molto annoiata, e la vostra noia mi affligge, perché potreste impiegare più gradevolmente il vostro tempo. Bisogna, avete capito giovanotto ? Bi-so-gna lavorare più di così. 

Arrivo a sospettare che siate un fannullone. Troppe puttane !Troppo canottaggio ! Troppi esercizi fisici ! L'uomo civilizzato non ha bisogno della locomozione quanta ne pretendono i medici. Siete nato per fare dei versi ? Fatene ! Tutto il resto è vano, a cominciare dai vostri piaceri e dalla vostra salute, ficcatevi questo ben dentro la testa.

Vivete in un inferno, lo so, e vi compiango dal più profondo del cuore.  Ma dalle 5 della sera alle 10 della mattina il vostro tempo può essere consacrato alla Musa, la quale è ancora la migliore ragazza. 

Mio caro buon uomo, a cosa serve sfrucugliare la propria tristezza ?

Bisogna porsi faccia a faccia con se stessi da uomini forti, ed è il mezzo per diventarlo.  Un po' più di orgoglio ! Ciò che vi manca sono i principi.  Si ha un bel dire che sono necessari; resta da sapere quali. Per un artista ce n'è uno solo: sacrificare tutto all'Arte. La prima persona di cui deve fregarsene è se stesso.

Lettera di Gustave Flaubert a Guy de Maupassant, 1879, da tempo sotto la sua ala protettrice. Brano riportato da Marco Archetti, in Trovarsi un maestro e seguirlo è l'unico antidoto a questi tempi di stupidità, ne Il Foglio, 15 dicembre 2017. 

15/05/17

I Sub a caccia dell'antico porto romano alla Foce del Rodano (oggi sommerso) !



L'anfiteatro romano di Arles


Gli archeologi del Museo dipartimentale dell'Arles Antica iniziano oggi gli scavi subacquei sull'antico porto romano alla foce del Rodano. 

Lo annuncia il responsabile delle Relazioni con il pubblico del museo Fabrice Denise durante una visita guidata alla struttura per i media italiani organizzata da Dipartimento Bocche del Rodano, Regione Paca, Camera di Commercio Italiana a Marsiglia, insieme agli Uffici del Turismo di Arles e Marsiglia

Arles era una citta' romana fondata da Giulio Cesare nel 46 avanti Cristo. All'epoca la colonia era il porto fluviale e lo scalo mediterraneo della Provenza. "Inizieremo le ricerche a 30 chilometri a sud di Arles, in una zona poco profonda: due-tre metri, - spiega Denise - con l'obiettivo di comprendere le infrastrutture portuali romane e verificare la presenza di relitti". 

Il museo dipartimentale piu' visitato di Francia (200.000 visitatori all'anno) e' l'unico al mondo dove i visitatori possono ammirare una chiatta fluviale romana ancora integra lunga 31 metri. 

Sono 2.000 gli oggetti in mostra, risalenti dalla fondazione di Arles all'epoca di Giulio Cesare fino all'inizio del Medioevo, 20.000 quelli a magazzino, ma la peculiarita' della struttura e' che le ricerche archeologiche continuano a pochi metri dagli spazi espositivi.

Oltre al celebre busto attribuito a Giulio Cesare riemerso nel 2007, recentemente e' stata trovata un'intera camera da letto di una domus romana con le mura dipinte e i mosaici del pavimento ancora integri. 

"Sara' ricostruita ed esposta al pubblico da giugno, - annuncia la restauratrice Marion Rapilliard - raffigura pitture contemporanee a Giulio Cesare in stile pompeiano che, esclusa Pompei, non sono state ritrovate altrove". 

"La scoperta e' rivoluzionaria dal punto di vista cronologico e dimostra la ricchezza delle elite dell'epoca, - commenta Denise - i visitatori del museo potranno 'entrare' nella stanza della villa e ammirare le pitture, tra cui una che raffigura una suonatrice d'arpa". 

La prossima mostra temporanea del museo di Arles dal primo luglio sara' dedicata al tema del 'lusso' nell'antichita'. La struttura recentemente ha firmato un protocollo di collaborazione con i Musei del Vaticano. 

08/05/17

Bansky dice la sua sulla Brexit con un graffito che appare a Dover.





Banksy ha voluto esprimere il suo parere con un murale sulla "Brexit" apparso sull'edificio della cittadina di Dover, vicino alle Bianche Scogliere del Kent. 

Nel dipinto appare un operaio con un martello e scalpello in mano intento a rimuovere una delle stelle della bandiera dell'Unione Europea.

L`opera, la cui autenticità è stata confermata da un portavoce dell`artista, è apparsa in una location non casuale. Dover ospita infatti uno dei porti più importanti del Regno Unito, distante solamente 34 km dalle coste francesi, dal quale partono ogni giorno numerosi traghetti

La stella che incarna la UE negli "ideali di unità, solidarietà e armonia tra le popolazioni dell`Europa", è il primo commento ufficiale da parte del writer britannico sull`esito della votazione sull`uscita del Regno Unito dall'Unione europea dello scorso 23 giugno 2016.



07/02/17

Va all'asta "La corde sensible" di Magritte da Christie's per 14 milioni di sterline.


"La corde sensible", un dipinto di grandi dimensioni di Rene' Magritte, verra' venduto all'asta da Christie's di Londra da un prezzo base di 14 milioni di sterline (16,3 milioni di euro)

 Il quadro, che ritrae un paesaggio con montagne sullo sfondo, su cui torreggia una gigantesca coppa da campagne che contiene a sua volta una nuvola, fu dipinto nel 1960 dal grande maestro surrealista belga, che lo ha poi regalato alla moglie

Dal 1990 fa parte della collezione privata di un belga. 

Sara' esposto al pubblico da Christie's il 23 febbraio e sara' poi battuto all'asta il 28. 

fonte: ANSA-AP

29/12/16

Hervé Clerc - "Le cose come sono - una iniziazione al buddhismo comune" (Recensione)




Per chi è in cerca di una introduzione (o una iniziazione, come è scritto nel sottotitolo) al buddhismo, come filosofia di vita e come pratica quotidiana, il libro di Clerc è un ottimo strumento. 

Scritto con tono completamente a-confessionale, da un punto di vista sostanzialmente laico, Le cose come sono racconta prima di tutto un incontro molto personale con l'essenza del buddhismo, come è stato vissuto dall'autore. 

Clerc (a indurlo a scrivere è stato il suo amico Emanuele Carrère) si è portato questa storia dentro per quattro decenni. Fu infatti più di quarant'anni fa che, reduce dai fervori e dai clamori del maggio '68, ebbe «un'esperienza incommensurabile rispetto a tutte quelle che avrebbe poi fatto nella sua vita e, ovviamente, a quelle fatte in precedenza»: si trattò di una vera e propria illuminazione, pervenuta al termine di una esperienza di droghe, che spalancò le porte ad una nuova percezione della realtà: una esperienza squassante di nudo, immobile, vuoto. 

Clerc non sapeva allora non sapeva che cosa fosse. Soltanto più tardi ha trovato la radice di questa esperienza meticolosamente, miracolosamente descritta negli antichi testi buddhisti. 

Così, riprendendo oggi il filo della propria biografia, riesce a renderci partecipi di un insegnamento plurimillenario, e nella forma più semplice e spoglia possibile, scardinando cliché, tic accademici, gerghi, mode, che invoglia alla lettura. Allo stesso tempo lo studio dei testi classici del buddhismo e delle sue radici è comparato con l'esperienza occidentale, in particolare con gli esiti di quella ricerca fenomenologica che da Husserl ad Heidegger si è avvicinata - per certi toni - alla tradizione millenaria orientale. 

Un libro insomma affascinante, denso di spunti e con un prezioso glossario finale che racchiude i termini e le formule principali del pensiero buddhista. 


Hervé Clerc 
Le cose come sono 
Una iniziazione al buddhismo comune 
Traduzione di Carlo Laurenti 
Piccola Biblioteca Adelphi 2015, 
3ª ediz., pp. 259 € 14,00 

30/07/16

L'incredibile fascino di Roncisvalle (Dieci Luoghi dell'Anima).




Quando, spostandosi da est ad ovest si attraversa la regione del Midi-Pyrénées, la più estesa dell’intera Francia, sembra che il ventaglio di creste scure, a Sud possa davvero essere impenetrabile, invalicabile. I Pirenei confondono lo sguardo, non forniscono l’adito di valli profonde, come le Alpi.  Appaiono come una muraglia compatta e severa.   Dai profumi del Mediterraneo, in pochi chilometri, sovvengono nuove e inaspettate sollecitazioni: sono i venti floreali dei Pirenei,  arricchiti da migliaia di specie che proprio un italiano, nato a Bagnocavallo, il dimenticato Pietro Bubani, detto il Botanicus Peregrinator,   passò più di vent’anni, nell’Ottocento,  a catalogare.  E’ un vento fresco ed aspro, il cui odore si mischia a quello di legna fradicia. 
  Non per questo la terra dell’immensa Occitania, che abbracciava anticamente Mediterraneo e Atlantico -  pianure verdi, spiagge sconfinate e oscure montagne -   smette di interrogare il visitatore nel cuore della sua storia personale, e insieme collettiva.  Si lasciano alle spalle le euforie zigane di Perpignan e le eresie catare di Carcassonne, i racconti che lasciano insonni,  e sembra di penetrare ancora più profondamente nel senso di un arcano che sempre chiama l’uomo a interrogarsi sulla natura di Dio.
   .....
 Senza sbagliare,  si può affermare che da qui in poi, i Pirenei diventano ancora più presenti, ancora più vivi, con la vetta del Pic d’Orhy che si può quasi toccare,  perché l’aria è diventata chiara, tersa, e il colore bruno e verde scuro delle montagne disegna un contrasto vibrante con il topazio del cielo.  Il mare, infatti, non è lontano. Poche decine di chilometri sono lontane le spiagge atlantiche decadenti e assolate di Bayonne, Biarritz, St-Jean-de-Luz.
  E allora si infittisce il mistero riguardo al destino umano, che sembra scegliere sempre – per compiersi pienamente -  la strada più ardua, quella più tortuosa. Gli uomini infatti, sia che si recassero in battaglia,  sia che fossero in cammino per il pellegrinaggio millenario sulla tomba di San Tiago, hanno privilegiato sempre, la via più impervia. Forse le coste, all’epoca, costituivano una minaccia più grande, per trappole o imboscate ? Ma queste scoscese e oscure strade che risalgono il vallone fino a Saint-Jean-Pied-de-Port non erano altrettanto pericolose ? 


  Non sarebbe stato più sicuro, o se non altro meno faticoso -  per i pellegrini delle tre vie francesi – la TuronensePodense e la Lemovicense – transitare da Hendaye, e da lì direttamente a San Sebastiàn,  per poi discendere su crinali certamente più docili verso il miraggio di Compostela ?  
  No. Il cammino degli eserciti e dei pellegrini in cerca di Dio – lo stesso, sulle stesse strade – ha preferito passare di qui, issarsi sui versanti ripidi che conducono su, da Saint-Pied-de-Port, fino a Arneguy che è chiamata anche Aduana – i nomi cominciano a indicare concretamente la direzione geografica intrapresa -  e poi ecco: inaspettatamente, la moderna e triste insegna di un  distributore di benzina Campsa è il benvenuto in terra di Spagna.  Da Valcarlos fino al passaggio dell’alto di Ibaneta, 1057 metri sul livello del mare: è qui, in questi pochi chilometri, tra questi due versanti ampi e ombrosi, che la storia di secoli, passati a rimasticare le chansons de gestes , si è tramandata attraverso l’eloquio puro dei trovatori, di bocca in bocca, di generazione in generazione.
  Valcarlos non è che un piccolo borgo, che soltanto per due giorni all’anno, la Domenica di Pasqua, e  il 25 luglio -  nella settimana che precede la festa patronale di San Giacomo - improvvisamente si anima di centinaia di Bolantes, coloratissimi ballerini e ballerine, i quali attraversano il villaggio nei costumi tradizionali, tenendosi per mano. Il rosso è il colore predominante. Rosse le gonne delle ballerine, rossi i fazzoletti degli uomini. Rosso come il sangue  che per molti secoli ha bagnato le strade della Navarra.
  A dieci chilometri da Valcarlos, proprio a Puerto de Ibaneta, ecco il punto esatto: il passo dove l’antica e  invincibile tradizione da sempre racconta la triste sorte di Orlando, uno dei massimi e più popolari eroi della cristianità,  qui dove i suoi uomini furono attesi, affrontati,  e non risparmiati, anzi, ferocemente sterminati.
  I francesi hanno sempre chiamato questo valico Col de Roncevaux,  ed in virtù della loro egemonia letteraria nei salotti d’Europa,  questo nome è diventato da tutti riconosciuto come il luogo della battaglia.
  Così, anche se oggi non v’è che un brutto monumento moderno a ricordo di un mito - alimentato e contraffatto nei secoli da una schiera sconfinata di poeti francesi, spagnoli, italiani, tedeschi -  ogni visitatore di passaggio, si ferma, cerca nell’aria una memoria o una traccia della lontana leggenda, alla quale sa in fondo - anche magari soltanto confusamente -  di appartenere,  come gli appartiene ognuno che discenda da una qualsiasi delle stirpi che abitano il  vecchio continente. 


   Non è che un sasso enorme e sformato questo monumento, e non vi sono incise che un nome e due date:  

Roldan -  778 – 1967

Neanche, dunque, l’occasione di una ricorrenza vera e propria,  eppure nessuno si sottrae al rito di  mettersi in fila per la classica foto che ritrae il pellegrino all’inizio del suo Camino, davanti al monumento a Rolando, sullo sfondo delle immense foreste di pino uncinato che ricoprono le montagne.

  Chi era Orlando, o Roldan, o Rolando, o Hruodlandus come pare si chiamasse in realtà il personaggio storico, realmente esistito, che diede origine al racconto ?  Chi era dunque ? E perché non possiamo dimenticarci di lui ? 

29/12/15

Un convegno su Sciascia e la cultura francese, a Firenze.



La Francia fu per Leonardo Sciascia "patria dell'anima", fonte di ispirazione e riferimento intellettuale

Al rapporto tra lo scrittore siciliano e la cultura francese e' dedicata una giornata di studi che si terra' a Firenze il 25 gennaio 2016. 

L'iniziativa e' dell'associazione Amici di Leonardo Sciascia che organizza convegni itineranti sullo scrittore. 

L'ultimo si e' svolto poche settimane fa a Palermo nel quarantennale della prima edizione de "La scomparsa di Majorana". 

Studiosi, ricercatori, docenti universitari approfondiranno il rapporto di Sciascia con la Francia (tema al quale e' dedicato l'ultimo fascicolo di "Todomodo", rivista edita da Olschki). 

Fu una relazione che ebbe un peso determinante sul percorso culturale e letterario di Sciascia che ispirandosi alla cultura d'Oltralpe interpreto' la parte del "moralista" illuminista e di un "philosophe" del Novecento. 

Lo testimoniano i suoi richiami a Gustave Flaubert, l'influenza di Michel Foucault, le riflessioni sulla centralita' del pensiero di Michel de Montaigne e dei filosofi del "secolo educatore" come Voltaire e Diderot. 

12/07/15

Supplica collettiva al Maresciallo Pétain (1941) - La storia non insegna niente.




Supplica collettiva (195 firme ) inviata nel 1941 dagli abitanti di un paese francese al maresciallo Pétain, riportata da Léon Poliakov in Il nazismo e lo sterminio degli ebrei del 1955.


Noi sottoscritti, abitanti del capoluogo di cantone di Tournon-d'Agenais (Lot-et-Garonne) abbiamo l'onore di portare a vostra conoscenza i fatti seguenti.

La popolazione totale del nostro agglomerato è di 275 persone e ci viene annunciato il prossimo arrivo di 150 ebrei indesiderabili che dovranno abitare tra noi in residenza assegnata. Tutto ci porta a credere che tale informazione è esatta, poiché sono stati già trasportati letti e paglia nei nostri pubblici edifici. 

Noi tutti, signor Maresciallo, siamo fortemente emozionati da questa prospettiva. L'invasione di 150 Ebrei indesiderabili presso 275 Francesi dal carattere tranquillo per eccellenza equivale a una vera e propria colonizzazione e noi temiamo che questi stranieri, grazie al loro numero, vengano a soppiantarci oltraggiosamente. 

Secondo quanto ci è stato detto, sono degli indesiderabili quelli che noi dovremmo accogliere. Tali essi sono allo stesso titolo per tutti i Francesi e non potrebbero esserlo meno per noi e per le ragioni che vogliono sbarazzarsene. Centocinquanta indesiderabili possono, a rigore, passare quasi inavvertiti in mezzo a parecchie migliaia di abitanti.  La loro presenza diventa intollerabile e degenera in vessazione, per una popolazione che è meno del doppio di loro e che per tale motivo si trova costretta a una promiscuità, per non dire a una coabitazione rivoltante...

Le questioni di igiene e di alimentazione occupano certamente un grandissimo posto tra le preoccupazioni della vostra amministrazione; nel nostro caso, esse vanno unite strettamente e intimamente con la questione morale, etnica e prettamente francese.

Noi siamo sicuri, signor Maresciallo, che vi sarà sufficiente conoscere la penosa e ingiusta prospettiva che ci minaccia, per risparmiarcene la dolorosa realizzazione...  Se, nella vostra saggezza, voi riterrete che il bene superiore dello Stato esige da noi il sacrificio di sopportarli, non ci rassegneremo, non senza una incommensurabile amarezza; ma vi chiediamo se non vi sarebbe possibile attenuarci questo penoso contatto, alloggiandoli in un campo separato, presso una sorgente o presso un ruscello, dove tutte le questioni di sorveglianza, igiene e vettovagliamento potrebbero essere risolte vantaggiosamente per gli ospiti che la sventura ci ha imposto, sia per noi stessi.


19/02/15

"Il pappagallo di Flaubert", di Julian Barnes. Un grande romanzo (recensione).




Aveva già pubblicato due romanzi, racconta lo stesso Barnes, prima di questo, ma erano stati un mezzo fallimento, "avevano venduto sì e no un migliaio di copie in edizione rilegata, raggiungendo a stento il traguardo del tascabile." 

Poi è arrivato questo, e per lo scrittore inglese si sono aperte le porte di un successo internazionale, nato dal door to door, dal passaparola.

Cosa ha fatto del Pappagallo di Flaubert  un successo ? Cosa ha fatto di questo strano romanzo un libro notevole, diverso da tutti gli altri ? 

Memoir, saggio, romanzo, biografia, Il Pappagallo di Flaubert appartiene ad un genere indefinibile. Anzi non è un libro di genere, per l'appunto. 

Con il pretesto di raccontare Gustave Flaubert, l'immenso scrittore di Bovary, di raccontare la sua storia, le sue fissazioni, il suo trauma, il suo rifiuto d'amare per paura di soffrire, il suo cuore barricato, il suo apparente cinismo che velava una vulnerabilità perfino eccessiva, le sue malattie, le sue amicizie, i suoi viaggi, il suo erotismo esuberante, le sue amanti, gli amori falliti, le amicizie, le avventure estemporanee omosessuali, Barnes ci racconta se stesso e la sua visione del mondo, attraverso l'alter ego del medico Braithwaite, maniaco studioso di Flaubert ai limiti del feticismo, ossessionato dall'idea di rintracciare il vero pappagallo impagliato usato dallo scrittore francese come modello per quello vero al centro della narrazione di Un coeur simple.

Gustave Flaubert

Barnes ha dunque utilizzato tutto il materiale raccolto su Flaubert utilizzandolo in un perfetto congegno narrativo, destinato a tutti anche chi non ha mai amato o letto il grande classico francese.

Perché è un libro sulla vita, più che sulla letteratura.

Flaubert, che passò tutta la vita a difendersi dagli eccessi emotivi, ha descritto nei suoi romanzi il cuore umano con la precisione che forse nessun altro è riuscito ad avere,  le debolezze, le cadute, i miasmi che si agitano dentro ogni cuore umano. E la forza di sopravvivenza, la disperazione capace di sublimarsi in arte.  

Si scoprono meraviglie linguistiche di Flaubert, aforismi grandiosi (nella virtuosistica traduzione di Susanna Basso), ma la gara è tra quello che leggiamo proveniente direttamente dal genio di Rouen (il mio cuore è intatto, ma i miei sentimenti sono affilatissimi da un lato e smussati dall'altro, come un vecchio coltello molato troppe volte che è pieno di tacche e rischia di spezzarsi ) e quella che è farina del sacco di Barnes (E poi lo saprete anche voi, non è che davvero cerchiamo e scegliamo, non credete ? Siamo scelti piuttosto; veniamo eletti dall'amore attraverso un voto inappellabile, a scrutinio segreto). 

Il pregio più grande di questo libro è anzi proprio questo: quello che ad un certo punto le due voci del romanzo si con-fondono, diventando quasi una, rendendo quasi impossibile dividere l'una e l'altra. Barnes sembra acquisire i resti (oltre che le reliquie materiali) del suo mèntore. La sua narrazione si fa pura luce, pura chirurgia, come era quella del grande Maestro.


Fabrizio Falconi - (C) riproduzione riservata - 2015


Julian Barnes 

10/01/15

Charlie Hebdo - una riflessione.


Il mondo è come sei, recita un vecchio motto sapienziale. 

Se c'è verità in questo, alla luce di quanto successo nelle ultime 72 ore a Parigi, non stiamo messi bene.  Non servivano certo le nefaste imprese dei fratelli Kouachi e dell'altro terrorista, Amedy Coulibaly, asserragliato con ostaggi nel negozio Kosher, per capire come siamo ridotti. 

E' certamente vero che il sonno della ragione genera mostri,  come scrisse Francisco de Goya e rappresentò in una sua celebre grafica (qui sopra). 

Quando la ragione dorme - laddove per ragione si intende ragionamento, tradizione, principi fondamentali, cultura, dialogo - si levano in volo gli uccelli più oscuri.  I mostri sono liberi di agire, nessuno più li ferma. 

E' per questo che la tragedia di Charlie Hebdo riguarda tutti. L'enfasi non aiuta a comprendere, il dividere tutto - come sempre - in torti e ragioni, giustificazioni e accuse, libertà e oppressioni, complotti, cause economiche, conflitti sociali, traffici d'armi, guerre sante.

Tutto vero, tutto giusto.  Ma come nell'epoca più buia del Novecento (i primi anni '30), si ha l'impressione che per il mondo si aggiri uno spaventoso morbo, che sulla pretesa della sopraffazione (di tutto e di tutti, quindi soprattutto di chi pensa ed è diverso) costruisce il suo trionfo epidemico. 

Come allora, le coscienze pensanti erano poche, le voci flebili.  Ciascuno si sentiva rintanato nel suo piccolo mondo, illusoriamente al sicuro. Ciascuno combatteva contro i propri fantasmi, sicuro che si trattasse di roba propria, e che alla fine il mondo se la sarebbe risolta da sola, la questione. 

Ma niente si risolve da solo.  Tutti siamo dentro, proprio tutti. Anche quelli che continuano a coprirsi la testa e a sonnecchiare mentre nella penombra svolazzano le creature di Goya. 

Fabrizio Falconi

27/11/14

E' l'amore che obbliga (Ricoeur).



Nel 1996 intervistai per la radio italiana Paul Ricoeur, uno dei più grandi filosofi del Novecento, nella sua casa a Parigi.

Il pensiero di Ricoeur mi aveva molto colpito per la sua limpidezza. Non è facile trovare infatti un pensiero filosofico che non sia almeno in parte oscuro, poco chiaro. 

Ricoeur confermò questa semplicità del pensiero, con i gesti della sua persona.

Parlammo per quasi un'ora, soprattutto dell'amore, dell'amore nella filosofia del cristianesimo e nella complessità delle dinamiche studiate da Freud.

A un certo punto gli chiesi ragione di quella sua celebre frase, che Ricoeur aveva ripetuto spesso nei libri e nelle conferenze.  C'est l'amour qui oblige.  E' l'amore che obbliga.

Gli chiesi di spiegarlo, se poteva, nuovamente.

Mi rispose sorridendo che quel che aveva scritto era una cosa semplice, semplicemente sperimentabile, anche se piena di conseguenze.

Viviamo, disse, sempre più in un mondo che rifugge dalle responsabilità, dal coraggio vero, da un senso e una direzione. Ed è solo il legame con l'altro che genera un senso. Il quale non può mai arrivare dall'alto.

L'amore, mi spiegò, è l'unica condizione umana in cui si sperimenta l'obbligo spontaneo, non coercitivo, non imposto dall'altro.

Chi ama è legato per sempre.

E questo legame è precisamente ciò che obbliga. Senza condizioni e senza condizionamenti.  L'unica via che in fondo porta veramente dentro se stessi. Perché solo chi si conosce, sa amare.  E solo chi riesce ad amare, attraverso l'obbligo verso l'altro, ritrova se stesso.

Fabrizio Falconi





30/06/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (2./)





Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (2./)


La  musica fra l’altro, ebbe, nella famiglia di Roger, un'importanza del tutto particolare:
una zia aveva studiato virtuosismo pianistico addirittura con Hans Von Bulow e  Franz Liszt.  E anche Geneviève, la sorella che condividerà con Roger l’avventura della fondazione della Comunità, prima di raggiungere il fratello a Taizè,  studiava musica pensando di diventare una concertista.  Questa familiarità con la musica spiega bene la scelta dei canti e della meditazione musicale, come mezzo privilegiato di comunione e condivisione, che verrà realizzato molti anni dopo a Taizé.

Il giovane Roger era cagionevole di salute: durante l'adolescenza si ammalò di tubercolsi polmonare e diverse ricadute fecero temere il peggio.  Una volta guarito però, contro la volontà del padre che lo voleva teologo, manifestò l’intenzione di iscriversi alla facoltà di Lettere per diventare scrittore.  Ma raggiunta Parigi, dove portò con sé un primo scritto – intitolato: Evoluzione di una giovinezza puritana – cambiò idea, finendo proprio per iscriversi alla facoltà di Teologia, prima a Losanna e  poi a Strasburgo. 

Al termine di questo, periodo, nel 1940, quando l’Europa bruciava ormai del conflitto mondiale, viaggiando in bicicletta,  Roger riuscì a raggiungere la Francia, che significava per lui un ritorno alle origini della sua famiglia materna: il giovane si sentiva chiamato a ripercorrere le orme della anziana nonna, Marie-Louise Marsauche-Delachaux, che durante il primo conflitto mondiale si era prodigata, nelle sue terre, per dare rifugio agli scampati dalla guerra. Rimasta vedova, all'inizio del primo conflitto mondiale, infatti,  viveva nella Francia del Nord, a pochi chilometri dal fronte, dove combattevano tre dei suoi figli. La sua casa, finché il pericolo non la costrinse a riparare in Svizzera, era divenuta rifugio per donne incinte, vecchi, bambini. Fu a quanto pare proprio la nonna, ad inculcare nel nipote l’importanza della riconciliazione tra  i cristiani d’Europa, per scongiurare conflitti così crudeli come quello a cui lei aveva assistito.  Da giovane, raccontò il Frère un giorno,  sono partito in bicicletta, per trovare una casa dove pregare, dove accogliere e dove ci sarebbe stata un giorno questa vita di comunità.  Idee già molto radicate e chiare, dunque.

E Roger trovò questo posto dove stabilirsi, proprio in Borgogna, vicino a Cluny, dove sorge una delle più antiche abbazie d’Europa, fondata nel 910 d.C. centro del monachesimo occidentale benedettino.

Un racconto riferito dallo stesso Frère, vuole che egli fu spinto a scegliere il piccolo villaggio di Taizè, poco distante da Cluny, proprio a seguito del calore con cui fu accolto dai suoi abitanti, e in particolare delle suppliche di una vecchia contadina, una certa Henriette Ponceblanc, che invitatolo a pranzo, gli disse: "Resti qui, siamo così soli".   Una frase che, come riferì più tardi, a Roger sembrò proferita dal Cristo stesso attraverso le parole di quella donna.  

Quella scelta fu davvero provvidenziale: Taizé sorgeva infatti vicinissima alla linea di confine che divideva in due la Francia, dopo l’invasione nazista, ed era il punto di passaggio ideale dei molti rifugiati che cercavano scampo al sud, sfuggendo all’occupazione dei tedeschi.

In condizioni molto precarie – con l’aiuto di un prestito e della sorella Geneviève accorsa dalla Svizzera -  Roger comprò una vecchia casa abbandonata, insieme a due casupole adibite a dimora dei contadini.   Si mise al lavoro e in breve tempo riuscì a rendere gli edifici abitabili. L’acqua era quella di un pozzo, si mangiava quel poco che si riusciva a comperare al mulino del paese. 


Eppure, in condizioni così povere, così modeste, Frère Roger cominciò a edificare le fondamenta della sua grande opera, decidendosi ad offrire rifugio a decine di ebrei in fuga dalla Francia occupata. In quei mesi drammatici, pregava da solo per tre volte al giorno  in un piccolo oratorio, come farà poi la futura comunità che aveva già in mente. 

Fabrizio Falconi © - proprietà riservata/riproduzione vietata. 

29/06/14

Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (1./)





Dieci grandi anime. 10. Roger Schutz (1./)

Il nome di Roger Louis Schutz, detto frère Roger fece il giro del mondo quel caldo giorno, il 16 agosto del 2005, quando la notizia che una donna squilibrata aveva accoltellato l’ottantenne fondatore della Comunità di Taizè, impressionò  gettando nello sconforto le centinaia  di migliaia di persone che nel corso dei decenni avevano soggiornato tra quelle colline della Borgogna, alla ricerca di un ristoro o di una rigenerazione spirituale.
Le circostanze della morte del frère, assai simili al martirio (seppure per mano di una persona non in possesso di tutte le facoltà mentali) contribuirono alla riconsiderazione della vicenda umana di un uomo dalla personalità unica, che con la sua opera dedicata agli altri ha attraversato gran parte del Novecento, un cammino che ha lasciato tracce ben visibili, e tutt’oggi importantissime.

Ogni settimana, a Taizè, continuano a riunirsi e a pregare, recitando i famosissimi canti della Comunità,   nella  Chiesa della Riconciliazione – costruita nel 1962 e ampliata con un grande avancorpo nel 1990 – migliaia di persone di almeno 70 nazionalità diverse.  Gli incontri intercontinentali organizzati dalla Comunità  riuniscono da 3000 a 6000 persone ogni settimana d’estate,  e da 500 a 1000  in primavera e in autunno.  La preghiera di ogni sabato sera – a Taizè ogni settimana è scandita sui tempi della Settimana Santa di Cristo -  è come una veglia di Pasqua, una festa della luce.   Ogni venerdì sera c’è la suggestiva adorazione della croce, che si prolunga per ore.  E ognuno è chiamato a prostrarsi, affidando al Legno le proprie pene personali. Le lettere di  Frèrè Roger continuano ad essere diffuse in 60 diverse lingue del mondo.  Alla fine di ogni anno Taizè organizza grandi incontri  di giovani – si arrivano a contare fino a centomila presenze – nelle grandi città europee e negli altri quattro continenti.  Al termine di questo pellegrinaggio di fiducia  sulla terra, ogni partecipante è chiamato a portare la pace e la riconciliazione  nelle loro città, nei luoghi di lavoro,  nelle università, tra le diverse generazioni.

Taizè, nel corso degli anni, è divenuta quella sorgente che il suo fondatore sognava.  I fratelli – delle diverse confessioni cristiane -  non sono lì per accettare doni o regali. Svolgono, invece, quel ruolo che la fede, secondo Frère Roger è chiamata sempre di più ad assolvere nel convulso mondo moderno:  Quando la Chiesa ascolta, guarisce, riconcilia, essa diventa ciò che di più trasparente  ha in se stessa: il limpido riflesso di un amore. (1)

Un sogno, quello della pace e della riconciliazione – prima di tutto tra i diversi fratelli che si riconoscono in Cristo e che sono da secoli divisi – inseguito da Frère Roger sin dall’infanzia, e tenacemente portato avanti – con una forza che assomiglia molto alla santità -  attraverso molti e radicali ostacoli.


Roger Schutz - il nome completo è Roger Louis Schutz-Marsauche -  nato a Provence, un paese di trecento anime, nel cantone svizzero del Vaud, il 12 maggio del 1915, proveniva, ultimo di nove figli,  da una famiglia protestante.   Il padre, Karl Ulrich Schütz era il pastore della parrocchia di Provence, sua madre  Amélie Henriette Schütz-Marsauche aveva invece origini francesi, della Borgogna, ed era una appassionata di musica che, prima di sposarsi, aveva studiato canto a Parigi con l’ambizione di diventare un giorno una cantante solista.


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1.      Così  Frère Roger in Olivier Clément, Taizè-un senso alla vita, edizioni Paoline, Milano 1998, pag. 84.

17/10/13

Dieci grandi anime - 2. Andrej Tarkovskij (1./)




2. (Dieci grandi anime) - Andrej Tarkovskij (1) 

Per una di quelle circostanze che decidono i destini degli uomini – in questo caso l’essere nato in un periodo storico di feroci opposizioni e blocchi contrapposti – il corpo del grande Andrej Tarkovskij, uno dei più grandi autori della storia del cinema, riposa lontano dal suo paese, il paese dove è nato e dove hanno vissuto i suoi predecessori.  La tomba di Tarkovskij non è infatti a Zavraz’e, il piccolo villaggio sulle rive del Volga dove il regista nacque il 4 aprile del 1932  e nemmeno in nessun’altro cimitero della sconfinata Russia, ma al cimitero ortodosso di Saint-Géneviève-des-Bois, nei pressi di Parigi.

Se Tarkovskij fu seppellito in Francia e non nel suo paese, fu dovuto alla decisione della moglie Larisa, che rifiutò l’offerta da parte delle autorità sovietiche di far rimpatriare il corpo del grande regista perché fosse sepolto a Mosca.  La decisione era del tutto conseguente a una estenuante guerra, cominciata molti anni prima, con le autorità sovietiche che – da sempre, dall’inizio, da L’infanzia di Ivan, girato nel 1962 – avevano mal sopportato i contenuti dei film di Tarkovskij, l’ermetismo e il forte simbolismo delle immagini, e soprattutto i riconoscimenti tributati all’estero ad un autore considerato genialmente innovativo.   Il conflitto con le autorità di controllo dello spettacolo sale, pellicola dopo pellicola, fino alla decisione di Tarkovskij, inevitabile, di usufruire nel luglio del 1979 di un permesso di espatrio, per raggiungere l’Italia e lavorare finalmente liberamente ad un nuovo progetto.  Decisione, alla quale il regime sovietico darà una risposta durissima, impedendo alla moglie del regista Larisa, e al figlio Andrej – che all’epoca ha solo nove anni – di raggiungere Tarkovskij.  I tre – marito da una parte, moglie e figlio dall’altra – resteranno separati per sette lunghi anni,  fino a pochi mesi prima della morte del regista, avvenuta appunto nel dicembre del 1986 a Parigi.

Una testimonianza irripetibile di questi anni, ma anche di quello che accade prima, nella mente e nell’anima del regista, costretto a fare i conti con una realtà limitante – che diventerà poi soffocante – è contenuta nei diari che Tarkovskij inizia a scrivere il 30 aprile del 1970, a trentotto anni, quando è già un regista affermato che ha vinto il Leone d’Oro a Venezia con L’infanzia di Ivan nel 1963  e stupito il mondo con Andrei Rublev  terminato nel 1966 ma presentato al Festival di Cannes soltanto tre anni dopo nel 1969, e distribuito in patria addirittura cinque anni dopo, nel 1971.

Nel 1970, quando comincia a scrivere i suoi Diari, Tarkovskij è già un uomo disilluso.  Il potere sovietico lo boicotta. I suoi progetti vengono quasi sempre bocciati, osteggiati,  boicottati.   Il regista è isolato dall’invidia dei colleghi, dalla ottusità della burocrazia,  dall’arroganza dei dirigenti statali.  Rivive su di sé la stessa amara frustrazione del padre Arsenij, grande poeta insignito dell’Ordine della Stella Rossa, la più alta onorificenza sovietica, per il suo eroismo durante la guerra contro i nazisti, che si vede rifiutare la pubblicazione del primo volume, nel 1946, con la motivazione che i versi tanto più sono talentuosi, tanto più “sono nocivi e pericolosi.”

E’ forse anche per sublimare questa frustrazione, e non soccombervi, che Andrej comincia dunque a stilare questi diari, che copriranno un arco di vita di sedici anni.  Si tratta di sette quaderni autografi, scritti in lingua russa, rilegati dallo stesso autore, che contengono anche schizzi e disegni, ma che soprattutto rappresentano una importantissima testimonianza del processo creativo, dei tormenti, delle crisi e della vita spirituale del grande regista. (1) 

(segue -1./) 

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1.      I Diari di Andrej Tarkovskij sono stati pubblicati finalmente in forma completa nella accurata e meritevole edizione italiana con il titolo di Diari – Martirologio (1970-1986),  da Edizioni della Meridiana di Firenze,2002,  curati dal figlio del grande regista, Andrej A. Tarkovskij, tradotti da Norman Mozzato, sfruttando la imponente documentazione custodita dall’Istituto Internazionale Andrej Tarkovskij che ha sede a Firenze, e con la collaborazione della Sovrintendenza Archivistica per la Toscana e dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze.  Le citazioni contenute nel testo, tratte dai Diari di Tarkovskij, fanno riferimento a questa edizione. 

15/10/13

"Pasolini e Roma" - Una grande esposizione alla Cinematheque francese di Parigi.




Pasolini e Roma, un legame inscindibile e un rapporto di scambio tra il regista, sceneggiatore, poeta e scrittore, nato a Bologna il 5 marzo 1922, uno dei maggiori artisti e intellettuali del XX/o secolo, ma anche il piu' "scandaloso e controverso", e la capitale italiana (dove si e' trasferito dal 1950 fino alla morte nel 1975). E' il tema dell'ampia e ricca esposizione che si apre domani alla Cinematheque francaise di Parigi (fino al 26 gennaio) organizzata in collaborazione con il Centro de cultura contemporanea di Barcellona (dove e' stata in cartellone fino al 15 settembre), il Palazzo delle esposizioni di Roma (in cui fara' tappa dal 3 marzo all'8 giugno 2014) e il Martin-Gropius-Bau di Berlino (in mostra dall'11 settembre 2014 al 5 gennaio 2015). Gli archivi di Bologna e Firenze e l'Istituto Luce, con il contributo della cugina di Pasolini, Graziella Chiarcossi, custode dell'eredita' letteraria del maestro, hanno messo a disposizione lettere autografe, sceneggiature, foto, film, documenti inediti, libri, locandine, dipinti, disegni e oggetti personali e intimi. 

Il percorso espositivo di 'Pasolini-Roma' e' cronologico e la voce di Pasolini accompagna il visitatore attraverso le varie sezioni che sono anche i luoghi della capitale che il maestro frequentava.

"La mostra - dice il direttore della Cineteca, Serge Toubiana - cerca di rendere conto dell'importanza e della complessita' dell'uomo attorno a un tema preciso, Roma vista attraverso lo sguardo Pasolini: i film, le amicizie, i suoi lavori come l'incarico di professore in un liceo di Ciampino, le case in cui ha abitato. Pasolini si e' impregnato di questa citta' per ridipingerla a suo modo".

Si parte con il suo arrivo in "una casa di poveri" nella periferia di Roma dal Friuli, quindi l'appartamento in via Fonteiana 86, nel quartiere di Monteverde, dove porta a compimento il suo primo romanzo 'Ragazzi di vita', quello in via Giacinto Carini 45, dove visse dal 1959 al 1993, nello stesso palazzo di Bernardo Bertolucci, il quale e' diventato poi il suo assistente, e poi l'ultima residenza in Via Eufrate e la trattoria di Ostia dove ha cenato prima di essere assassinato. Nel mezzo vari flash back: Piazza del popolo e il bar Rosati dove era solito incontrare gli amici, Elsa Morante, Alberto Moravia e Laura Betti, la collaborazione con Fellini sul set de 'Le notti di Cabiria'. Ma anche le frequentazioni con Ungaretti e Calvino, i viaggi a New York, Parigi e in Africa, la relazione professionale e di profonda amicizia con Ninetto Davoli (presente all'inaugurazione della mostra che lo ricorda con grande affetto e fierezza), le sue 33 denunce e l'accanimento della giustizia nei suoi confronti, tra l'altro, per vilipendio alla religione con il film 'La ricotta', per una presunta tentata rapina ai danni dell'addetto a un distributore di benzina, per censurare 'Accattone' e per le parolacce in 'Mamma Roma'. Ci sono anche estratti e sceneggiature di film (in programma nella sala della Cinematheque fino al 2 dicembre) da 'Accattone' (1961), a 'Il vangelo secondo Matteo' e 'Comizi d'amore' (1964), 'Uccellacci e uccellini' (1966), 'Teorema' (1968), 'Medea' (1969), 'Salo' e le centoventi giornate di sodoma' (1975). Tra le novita' della mostra un percorso virtuale sulla Roma di Pasolini disponibile sul web. Oltre a spettacoli, letture, giornate di studi. Persino due stazioni della metropolitana parigina dedicate a Pasolini.

"Questa esposizione non e' assolutamente commemorativa, Pasolini non deve diventare un monumento - spiega il curatore francese, Alain Bergala -: Pasolini non e' morto, il suo pensiero non e' morto". "Nel XX/o secolo gli artisti che hanno meglio interpretato o incarnato Roma non erano romani, salvo due eccezioni, Roberto Rossellini e Alberto Moravia - ricorda anche Gianni Borgna -. Pasolini, bolognese e friulano, fa cadere il velo che nascondeva la Roma di periferia. Nei suoi romanzi e film mostra un'altra Roma, a tal punto che si puo' dire che c'e' una Roma prima e dopo Pasolini".


04/10/12

Scrittori: apre in Francia il museo di Stendhal.



Un museo dedicato a Stendhal e alla sua famiglia ha aperto le porte a Grenoble, città natale dello scrittore francese, capitale dell'antica provincia del Delfinato. 

Il nuovo spazio espositivo consente di approfondire la vita dell'autore di "Il rosso e il nero" e "La Certosa di Parma" e soprattutto di conoscere meglio la sua famiglia e il suo apprendistato letterario. 

Il museo di Henri Beyle, conosciuto come Stendhal (1783-1842), è collegato alla Biblioteca municipale di Grenoble che conserva numerosi manoscritti del romanziere e documenti iconografici stendhaliani. 

L'edificio in cui sorge il nuovo museo è stato ricavato dalla ristrutturazione di due appartamenti dove Stendhal visse l'infanzia e l'adolescenza, tra i 6 e i 16 anni, dove abito' con il nonno. 

Due grandi saloni all'italiana presentano una galleria dei ritratti della famiglia di Stendhal, che compare raffigurato in un busto in marmo. 

Tra i cimeli autografi esposti spicca il manoscritto della sua autobiografia. 

Il museo ospita la ricostruzione dello studio del giovane autore con curiosità legate alla sua giovinezza, come la passione per la botanica. 

E' stato ricavato anche uno spazio dedicato ad esposizioni temporanee, la prima delle quali è dedicata ad un omaggio all'Italia, dove Stendhal visse e viaggiò a lungo.