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16/06/14

Fabrizio Falconi, Conferenza Il Sogno di Costantino a Malborghetto (FOTO).



Matilde Carrara, Marco Carpiceci, Fabrizio Falconi,  conferenza Il Sogno di Costantino,  Casale di Malborghetto, 7 giugno 2008.



 Matilde Carrara, Marco Carpiceci, Fabrizio Falconi, Bruno Carboniero, conferenza su Costantino Imperatore e In Hoc Vinces, Casale di Malborghetto, 7 giugno 2008.


Fabrizio Falconi  conferenza su Costantino Imperatore e In Hoc Vinces, Casale di Malborghetto, 7 giugno 2008. 
Casale di Malborghetto

Bruno Carboniero, Fabrizio Falconi, In Hoc Vinces, Edizioni Mediterranee, 2011

26/03/14

La battaglia di Ponte Milvio (4 passi tra le nuvole - Tv2000)



E' interessante questa puntata di 4 passi tra le nuvole, andata in onda tempo fa su Tvsat 2000, alla quale ho dato il mio modesto contributo, soprattutto per l'evidenza di quanto e come le radici storiche - anche le più celebrate e le più ovvie - siano del tutto ignorate da coloro che abitano questa città oggi. 
Un piccolo salto indietro nel tempo.

09/12/13

Esce nell'Orsa Maggiore della Treccani, l'Enciclopedia su Costantino I imperatore.



Da sempre l’Istituto della Enciclopedia Italiana svolge il compito di diffusione del sapere umanistico e scientifico, sia nella prospettiva dello studioso che del semplice lettore desideroso di conoscere. In questa prospettiva, un posto di particolare importanza spetta ad alcune opere tematiche di ampio respiro dedicate dall’Istituto ai maggiori protagonisti della storia e della cultura italiana nella collana “Orsa Maggiore”: Virgilio, Orazio, Dante, Federico II, a ciascuno dei quali è stata dedicata un’opera in più volumi. 

In “Orsa Maggiore” si inserisce, in occasione del diciassettesimo centenario dell’editto di Milano (313 d.C.), l’Enciclopedia Costantiniana in tre grandi volumi, che l’Istituto Treccani ha realizzato in collaborazione con la Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, con l’autorevole e prestigiosa direzione scientifica di Alberto Melloni, Peter Brown, Johannes Helmrath, Emanuela Prinzivalli, Silvia Ronchey e Norman Tanner, e un Comitato d’onore che comprende S.S. Bartholomeus I, Arcivescovo di Costantinopoli, Nuova Roma e Patriarca Ecumenico e S.Em. Angelo Scola, Cardinale Arcivescovo di Milano.

Alberto Melloni - Storico della Chiesa italiano. Professore di Storia del Cristianesimo all’Università di Modena-Reggio Emilia, titolare della cattedra Unesco sul Pluralismo Religioso e la Pace dell’Università di Bologna e direttore della Fondazione per le Scienze Religiose Giovanni XXIII di Bologna. 

Peter Brown - Storico irlandese della cultura tardo-antica, professore di storia alle università di Londra , di Berkeley e dal 1986 di Princeton. Nel 2011 è stato insignito del Premio Balzan per il suo contributo allo studio dell'epoca tardoantica.

Johannes Helmrath – Professore di Storia medievale presso la Humboldt-Universität di Berlino e membro del Comitato pontificio di scienze storiche presso la città del vaticano. Angelo Scola - Ecclesiastico italiano. Dal 2002 patriarca di Venezia, nel 2003 è stato creato cardinale da Giovanni Paolo II; nel giugno 2011 è stato nominato arcivescovo di Milano da Benedetto XVI, succedendo nella cattedra a D. Tettamanzi.

Un imponente affresco su un’intera epoca
L’opera contiene una presentazione ad ampio spettro di ogni aspetto legato alla figura di Costantino I, che, con l’editto, unì per sempre al suo nome il concetto di libertà religiosa e la neutralità dello stato in materia religiosa.
Nei tre volumi si trovano la biografia dell’imperatore romano e la costruzione della sua immagine, la discussione critica e la riproposta, nelle epoche successive, del modello costantiniano. 150 autori studiosi di fama internazionale, scrivono i saggi che contribuiscono a delineare un quadro organico e costituiscono una tappa fondamentale nella storia degli studi e della riflessione su Costantino il Grande, con un bilancio critico ma anche con l’apertura di nuovi percorsi di ricerca. L’Enciclopedia Costantiniana è divisa in sei ambiti tematici, a partire dall’analisi della figura dell’imperatore nel contesto del suo secolo: la vita, la religiosità, le scelte politiche, le realizzazioni architettoniche e urbanistiche, le testimonianze iconografiche ed epigrafiche, la rappresentazione del potere. La prospettiva si allarga poi al contesto storico dell’operato di Costantino: un affresco di ampio respiro, nel quale un’intera epoca è ripercorsa con attenzione ai diversi ambiti della geografia, dell’amministrazione, del diritto, della filosofia e soprattutto della religiosità. Grande spazio è riservato alla storia del cristianesimo prima e dopo Costantino. Un grande dibattito storiografico
Le altre quattro grandi aree tematiche sono dedicate alla formazione dell’immagine di Costantino tra IV e VI secolo attraverso l’opera dei panegiristi e dei biografi, nella letteratura patristica e monastica, nell’iconografia, nella riflessione giuridica e storiografica. Segue la storia del mito di Costantino nell’Europa medievale e nell’Oriente bizantino, mentre nella sezione dedicata all’Europa moderna è studiata la figura dell’imperatore dall’Umanesimo alla Riforma e alla Controriforma, fino all’Illuminismo e alla storiografia dell’Ottocento. Grande rilievo ha anche l’ultima parte dedicata al Novecento, con riferimento al grande dibattito storiografico, alla riflessione teologica e ancora alla fortuna di Costantino nel pensiero giuridico e politico, fino ad arrivare alla letteratura, al cinema e alla televisione.

CARATTERISTICHE DELL'OPERA Edizione limitata e numerata in 2.999 copie 3 volumi di circa 1000 pagine oltre 150 saggi 6 sezioni tematiche 500 illustrazioni Legatura in tutta pelle trattata in fossa della Conceria 800 Ciascun volume è custodito in un cofanetto foderato in moirè

07/05/13

«In hoc vinces» di Bruno Carboniero e Fabrizio Falconi. Fu vera visione? Un articolo di Ivo Flavio Abela.


La colossale testa bronzea di Costantino (Musei Vaticani).
La statua, forse del I sec., sarebbe stata poi riutilizzata

da Costantino e distrutta fra il VI e il VII secolo
Riporto qui un articolo di Ivo Flavio Abela, tratto dal suo Blog Odysseas:



Se ponessimo sui due piatti di una bilancia l'Occidente e l'Oriente a partire dal IV secolo d.C., il piatto contenente l'Oriente si abbasserebbe. Perché Flavio Valerio Costantino, imperatore romano dal 306 al 337, avrebbe segnato la storia dell'Impero orientalizzandolo. La sua scalata verso la vetta di un potere che  fallito l'esperimento tetrarchico dioclezianeo  l'avrebbe visto trionfare quale unico sovrano si combina infatti col trasferimento del centro amministrativo dell'Impero romano proprio in direzione asiatica. La creazione di Costantinopoli sulle rive del Bosforo avrebbe costituito nei secoli a venire l'unico elemento capace di fare sopravvivere l'Impero romano stesso, anche se esso si sarebbe gradualmente trasformato in una compagine statale dai forti connotati teocentrici e bizantini.

La creazione della nuova capitale avrebbe spostato verso Est anche il baricentro economico dell'Impero, favorendo lo sviluppo urbano in particolare della penisola anatolica e della provincia galatica in essa contenuta. Se Diocleziano aveva inferto un colpo non indifferente all'Occidente finendo per disinteressarsene (e il suo ritiro nel Palazzo di Spalato, dove si sarebbe dato all'ozio e all'agricoltura, ne è la prova più significativa), Costantino sembra abbandonarlo al suo destino, preparando inconsapevolmente l'apertura delle porte ai barbari che di lì ad alcuni decenni avrebbero finito per colpire la Pars Occidentis direttamente al cuore.


18/10/12

1700 anni dalla Battaglia di Ponte Milvio - Celebrazioni in tutto il mondo.






  C’è una ragione che appare evidente a tutti del motivo per cui la Battaglia di Ponte Milvio è unanimemente considerata una delle più importanti della storia moderna: già dalle lezioni mandate a memoria sui banchi scolastici si è imparato a comprendere che la vittoria dell’esercito di Costantino I il Grande, il 28 ottobre del 312 d.C. contro le truppe rivali di Massenzio, segnò i destini non solo dell’Impero Romano, ma dell’Occidente intero, visto che già dall’anno seguente la Battaglia, nel 313, lo stesso Costantino promulgò il celebre Editto di Tolleranza o Editto di Milano, primo passo del rapido processo di cristianizzazione che contrassegnò la storia dell’Europa prima e dell’Occidente poi.

  Quella battaglia ha rappresentato a lungo un rompicapo per gli storici. Non ci sono infatti motivi razionali sufficienti per spiegare le ragioni per cui Massenzio, “l’usurpatore” – colui che aveva occupato, nel difficile periodo della tetrarchia nel quale il potere nell’Impero era massimamente frazionato – pur disponendo di forze superiori e comodamente asserragliato nelle mura mai violate della città di Roma, decise di affrontare il nemico, Costantino, in  campo aperto, andando così incontro ad una delle più cocenti sconfitte della antica storia bellica.

  Costantino arrivò alle porte di Roma dopo una dispendiosa campagna militare nel nord Italia contro le truppe avversarie e dopo aver attraversato l’Italia centrale discendendo lungo l’antico tracciato della Via Flaminia. Giunto in prossimità dell’Urbe, Costantino, il grande condottiero nato e cresciuto sui campi di battaglia, si accampò subito prima della collina di Prima Porta, ultimo rilievo prima della valle del Tevere che conduce a Roma.

  Ed è proprio in quel luogo – là dove sorge l’Arco di Malborghetto, un monumento che pochi romani ancora conoscono – che sarebbe stato testimone di quella visione dai  contorni leggendari: nella notte prima della battaglia, riferiscono due diverse fonti,  lo scrittore latino Lattanzio e il vescovo Eusebio di Cesareo, l’Imperatore avrebbe visto nel cielo notturno quel segno – la Croce – insieme al volto di Cristo, che gli assicurava protezione e vittoria contro l’avversario pagano.

 Sui contenuti di questa Visione si è molto discusso, nei secoli. Illusione, suggestione, realtà, abile strategia ? Insieme a Bruno Carboniero in un recente saggio pubblicato per Edizioni Mediterrenee (‘In Hoc vinces’, 2011) abbiamo fornito i risultati di una sorprendente scoperta (che ha già avuto risonanza in ambito scientifico e accademico) che legherebbe la visione  ad un preciso ed eloquente fenomeno astronomico visibile proprio in quella notte.

 Il resto della storia è noto: Costantino, persuaso dalla visione – che tutto il mondo conosce con la sigla ‘In hoc signo vinces’ – fece iscrivere il segno della Croce criptato nel simbolo del Labarum sulle insegne del suo esercito e il giorno dopo la clamorosa vittoria gli arrise: le truppe di Massenzio, fuoriuscite dalla città affrontarono quelle di Costantino nella piana di Saxa Rubra. Con una manovra a tenaglia le seconde ebbero subito il sopravvento, costringendo l’esercito di Massenzio ad indietreggiare fino all’argine naturale del Tevere, nelle cui acque l’usurpatore stesso finì per annegare insieme al suo cavallo.

  Costantino, con questa schiacciante vittoria, divenne il più importante pretendente al potere assoluto imperiale, che assunse di lì a poco, nel 324 d.C., dopo la morte di Licinio,  restando l’unico regnante fino alla morte che avvenne nel 337.

  Nel giro di soli due decenni dunque, l’Impero Romano cambiò totalmente pelle, diventando cristiano, nacquero le prime grandi basiliche romane, il culto fu istituzionalizzato, l’Impero conobbe una nuova stagione di enorme e stabile prosperità.
  Di tutto questo Flavio Valerio Costantino fu il fautore, e a coloro che oggi vivono a Roma questa vecchia storia millenaria dovrebbe comunque essere molto familiare, se non altro per la stessa etimologia dei luoghi che si attraversano, in particolare nel territorio del XXmo Municipio:  Labaro, Malborghetto, Saxa Rubra, Ponte Milvio.

  Luoghi costantiniani che parlano ancora oggi, di una storia vera e concreta che ci riguarda da vicino e che racconta non solo dei nostri padri ma anche di  noi, per capire chi siamo e come siamo arrivati ad essere quello che siamo.


Fabrizio Falconi 

in testa: Piero della Francesca, Vittoria di Costantino su Massenzio, ciclo della Leggenda della Vera Croce, Basilica di San Francesco, Arezzo.

03/08/12

Il ritratto del Salvatore nella Basilica di San Giovanni in Laterano. Una storia antichissima.




Tra le varie meraviglie romane, spicca, nella Basilica Lateranense - la prima cristiana fondata a Roma per volere di Costantino Imperatore, dopo la vittoria di Ponte Milvio -  il grande, immenso catino absidale, interamente mosaicato che si può ammirare qui.

Questo mosaico è stato rifatto più volte nel corso della storia, a causa anche delle molte vicissitudini - saccheggi, incendi, danneggiamenti - che hanno segnato la vita della Basilica nei millenni. 

Quel che è certo è che la porzione di mosaico più antica è senza alcun dubbio quella del centro, relativa al ritratto del Salvatore, che campeggia proprio al centro dell'abside. 

Un ritratto moderno e misterioso che è servito da modello per tutta la iconografia successiva nella raffigurazione del volto di Cristo nella storia dell'arte pre e post medievale. 

Questo ritratto viene citato più volte, nelle fonti più antiche che descrivono la Basilica. Vediamo.

Nel corso dei grandi lavori di restauro alla Basilica di San Giovanni in Laterano, effettuati dal francescano Nicolò IV (1227-1292) nel 1291, forse in un parziale rifacimento del mosaico anche la scena dell'abside dovette subire qualche manomissione: ma non il busto del Cristo.

La qual cosa ci tenne quel papa a ricordare in una iscrizione che si legge tuttora al di sotto della rappresentazione principale, dove, con la data del 1291 dice di aver fatto "riporre integralmente nel mosaico il sacro volto nello stesso luogo là dove apparve per la prima volta miracolosamente apparve (apparuit) al popolo romano allorché questa fu consacrata", cui fa eco un'altra del medesimo nell'ambulacro attorno all'abside: "infine quel venerabile volto (facies) di Dio che per primo risplendé dinanzi agli occhi degli uomini, ricollocò integro nello stesso luogo dove era sempre stato." 

Un accenno fugace a questa immagine era già stata fatta in un officium dedicationis  della fine del Xo secolo, con le parole: "allorché per la prima volta fu consacrata a Roma una chiesa pubblica ed apparve (apparuit) al popolo romano l'immagine del Salvatore raffigurata sulla parete." (cfr. Crescimbeni, Stato della SS.Chiesa Papale lateranense nell'anno 1723, pp.151 e 181).

Qualche maggiore dettaglio si trova poi nella descrizione della Basilica lateranense di Giovanni Diacono, databile intorno al 1180, il quale scrive che, consacrata il 9 dicembre da Papa Silvestro, questa fu la chiesa aperta per prima al pubblico: "e l'immagine del Salvatore infissa alla parete fu quella che apparve (apparuit) visibile per la prima volta a tutto il popolo romano."  

Dai vari testi sopra riferiti appaiono due elementi di grande interesse: il primo riguarda quel verbo apparuit (apparve); il secondo la struttura del volto del Salvatore che, per quanto immersa nel grande mosaico, costituiva (e costituisce tuttora) come un piccolo mosaico a sé.   

Sappiamo infatti, oltre che dalla iscrizione di Nicolò IV, anche da descrizioni del 'pezzo' fatte in loco nel Settecento (vedi lo stesso Crescimbeni, e Marangoni, S.S. 174)  ed ampiamente confermate dai restauri (infelici) del Vespignani del 1876 (G.Wilpert, La decorazione costantiniana della basilica lateranense in RAC, 1929, I-74)  che  il ritratto del Salvatore era (ed è) formato dalle tessere musive poste sulla superficie di una tavoletta di travertino (cm.75 X 105), la quale a sua volta è infissa (infixa) nel catino dell'abside. 

Tanto singolare realizzazione lascia chiaramente intendere quanto antico e venerato fosse quel volto, cui fa degno commento quel comune denominatore nei testi esaminati del verbo apparuit, in seguito volutamente interpretato in senso metafisico. 

© Fabrizio Falconi


23/04/12

Gli Obelischi di Roma - 5. Obelisco Lateranense.



Eccoci arrivati al principe degli Obelischi romani. Per splendore e dimensioni l'Obelisco Lateranense è infatti il più giustamente famoso tra i 13 autentici egizi presenti a Roma, dei quali ci stiamo occupando (qui le precedenti puntate). 

Ma anche le vicende storiche ad esso collegate sono davvero importanti e ne fanno uno dei manufatti umani in assoluto più antichi presenti sul suolo di Roma.

Ecco la scheda. 

5. Obelisco Lateranense. 

rieretto nel 1588 

altezza:  m. 32,1 -  m.45,7 (con basamento ) 

Estesi Geroglifici. 

Cavato dalle montagne di Assuan dal faraone Tutmes III (1479–1426 a.C.). 

Rimasto a Tebe in attesa di innalzamento al quale provvide Tutmes IV che vi scolpì il nome proprio e quello del nonno.

Dopo più di un millennio, prima Augusto pensa di portarlo a Roma, poi trecento anni dopo, Costantino (306-337) vuole trasportarlo da Tebe a Costantinopoli, ma entrambi desistono per l’impegno ritenuto gravoso ai limiti dell'impossibile. 

Il figlio di Costantino, Costanzo II (317-361) realizza l’impresa, dopo aver visitato Roma, ed essere rimasto colpito dalle imprese di Augusto per gli obelischi, specie quello del Circo Massimo.

Eretto sulla spina del circo medesimo (Massimo) intorno al 360. 

Resiste in piedi soltanto meno di due secoli fino al probabile abbattimento da parte del re dei Goti Totila e delle sue truppe nel 547

La leggenda della sua originaria ubicazione resiste nei secoli, nonostante sia scomparso. 

Viene recuperato da Matteo Bartolani di Città di Castello nel 1587 a quattro metri e mezzo di profondità, rotto in tre pezzi. 

Trascinato fino al Colle Lateranense con immani lavori di trasporto, viene collocato in quella posizione per essere a vista con la Basilica di Santa Maria Maggiore, in linea con il suo gemello Esquilino.

E qui viene eretto da Domenico Fontana con lavori che si protraggono per più di un mese, dal 6 luglio al 10 agosto 1588.


06/03/12

La visione di Costantino e L’Arco di Malborghetto sulla Via Flaminia - 8 - Conclusioni.




8. Conclusioni.


Al termine di questa relazione, vogliamo esporre qualche breve conclusione che ci sembra di poter trarre dalle considerazioni precedentemente esposte:

Non sembra esservi plausibile dubbio che il cosiddetto Arco di Malborghetto, al 19mo chilometro della Via Flaminia, alle porte di Roma, sia stato edificato in stretta relazione all’episodio della Battaglia di Ponte Milvio. 

La lontananza però dell’arco stesso dal luogo dove la Battaglia ebbe luogo – una distanza di circa 12 km. -  autorizza a immaginare che l’Arco stesso non sia stato edificato a ricordo della Battaglia, ma per commemorare il luogo dove avvenne la misteriosa visione del segno nel cielo, riferita da diverse fonti coeve e posteriori alla vita dell’Imperatore Costantino.  Nella raffigurazione artistica più famosa dell’episodio in questione – quella di Piero della Francesca ad Arezzo – l’artista dipinse, sullo sfondo della scena, un cielo stellato che i recenti studi hanno dimostrato rispettare fedelmente la riproduzione esatta del planisfero celeste boreale.   

L’esperimento di puntatura di un normale programma astronomico sul cielo di Malborghetto - compiuto per la prima volta da Bruno Carboniero e illustrata nel suo libro (scritto a quattro mani con Fabrizio Falconi, In Hoc Vinces, Edizioni Mediterranee, 2011) -  durante la notte della visione, conferma a grandi linee il quadro astronomico riprodotto da Piero, con in più il particolare che l’artista di San Sepolcro inserisce nel quadrante di cielo al posto dove avrebbe dovuto trovarsi la Costellazione del Cigno: un angelo con in mano una croce. 

Peraltro la raffigurazione dell’angelo di Piero risulta assai somigliante all’immagine della costellazione così come è riprodotta nelle antiche tavole di astronomia. La dimostrazione che abbiamo riferito – riproducibile con i normali programmi di simulazione astronomica in commercio, non è, ovviamente dimostrativa.  

Propone semplicemente una ipotesi di lavoro, e cioè che Piero della Francesca, studioso appassionato dei principi matematici e alchemici, abbia avuto conoscenza della particolare luminosità della Costellazione del Cigno – che appare in cielo con forma di croce – nel periodo dell’anno in cui avvenne il Sogno di Costantino (cioè la fine del mese di Ottobre) , e che abbia inserito questo velato  riferimento, nelle forme e nei volumi dell’angelo (con le ali di cigno) che scende dal cielo per portare il Segno al primo imperatore cristiano.  I molti studi, le molte ricerche fiorite negli ultimi anni intorno al Piero esoterico offrirebbero numerosi spunti a questa pista interpretativa. 

Ma ci fermiamo qui, convinti come siamo che l’episodio della battaglia di Ponte Milvio debba continuare ad essere argomento di prioritaria competenza da parte degli storici, considerata la complessità degli effetti che quel rapido conflitto portò come conseguenza durante i secoli a venire sui destini dell’intero Occidente. 
Fabrizio Falconi
 (C)(riproduzione riservata)
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21/02/12

La visione di Costantino e L’Arco di Malborghetto sulla Via Flaminia - 7 - Il cigno, l'angelo e Piero.


7. Il cigno, l'angelo e Piero


Nel celebre affresco di Piero della Francesca, nel Duomo di Arezzo, ispirato alla Leggenda della Vera Croce, tratto dal racconto di Jacopo da Varagine, nell’episodio del Sogno di Costantino, Piero ha immaginato e dipinto la figura di un angelo che con intuizione  prospettica straordinariamente moderna, scende dall'alto da sinistra verso destra, con il braccio dritto verso l'imperatore dormiente nella tenda, stringendo in mano una minuscola croce.

E’ ora sorprendente notare come la figura ritratta da Piero assomigli in forma e volume alla figura del Cigno, come riprodotta in molte tavole astronomiche-zodiacali.



A seguito dei recenti restauri del ciclo di affreschi, durante i lavori del convegno Lo spazio di Piero  svoltosi a Sansepolcro nel 2003 (9), alcuni  interventi hanno approfondito i contorni della scoperta - resa possibile proprio dai nuovi restauri - che sullo sfondo dietro la tenda dell'Imperatore, Piero ha dipinto un vero cielo stellato (uno dei primi nella Storia dell'Arte).  

Il prof. Vladimiro Valerio, storico dell’architettura all’Università di Venezia, nella sua relazione in quel convegno, ha dimostrato come Piero avesse dipinto un cielo reale, con le giuste posizioni delle costellazioni, anche se invertite, probabilmente a causa dell’utilizzo di un piccolo planetario forato, con il quale l’artista o chi per lui aveva proiettato i punti delle singole stelle, al negativo,  sulla parete.

In quello stesso convegno, un altro relatore, la prof.ssa Marisa Dalai-Emiliani, dell’Università La Sapienza di Roma,  è giunto alle stesse conclusioni, peraltro già  illustrate dallo stesso studioso in una conferenza precedente (10):

"il riquadro con il Sogno di Costantino è sempre stato considerato come uno tra i primi esempi di notturno della storia della pittura moderna.      Ma il restauro ha ora rivelato che il buio della notte dietro l’accampamento imperiale è trapunto di stelle, nella luce chiara dell’alba.      L’attenzione riservata sinora a questo particolare si è limitata a sottolinearne l’aspetto lirico, quasi si trattasse soltanto di una raffigurazione impressionistica del firmamento.  Si avanza invece qui l’ipotesi che Piero della Francesca abbia per la prima volta proiettato scientificamente sulla superficie piana della parete del coro di San Francesco un settore di planisfero celeste, di cui si leggono distintamente infatti alcune costellazioni nella corretta posizione reciproca, ma invertita rispetto alla visione della realtà.  Si apre quindi il problema delle fonti astronomiche antiche che l’artista poté conoscere e di un eventuale modello visivo per la rappresentazione di una parte del globo celeste. Non meno importante, sul piano del significato iconografico, è la scelta dell’aurora come tempo del sogno profetico, secondo un’antica credenza attestata tra gli altri da Ovidio, Orazio, Cicerone, Avicenna e ripresa da Dante nel XXVI Canto dell’Inferno: Ma se presso al mattin del ver si sogna… "


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QUI le precedenti puntate

14/02/12

La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 6. Croce nel cielo.


6. Croce nel Cielo.


Procediamo con ordine.  Accettando la premessa di cui al paragrafo precedente, e cioè che l’Arco di Malborghetto sia stato edificato sotto il regno di Costantino sul luogo esatto dove sorgeva l’accampamento delle truppe dell’Imperatore, prima della Battaglia, luogo nel quale era avvenuta la Visione, si è  deciso di ricostruire – attraverso l’ausilio di un normale programma astronomico-matematico -  il cielo di quella notte, la notte del 27 ottobre del 312 d.C. (7).

Puntando il programma astronomico sulle coordinate del Casale di Malborghetto  - 42°03'08" log N e 12°29'16" lat E -  alle ore 22,00 (orario puramente indicativo) del 27 ottobre del 312 d.C. è risultata brillantissima, verso ovest la  costellazione del Cigno. (azm 277°51' alt +40°40'), che così viene descritta dal Dizionario Astronomico:
Ricca costellazione della via lattea settentrionale, in forma di croce allungata vista come un cigno in volo. Era tra le 48 elencate da Tolomeo (ca 140 dC) ed è a volte chiamata Croce del Nord (8).

Contiene 11 stelle più luminose della 4° grandezza tra cui Deneb (I grandezza) ed Abireo (stella doppia)".    

   

In effetti  questa costellazione - la costellazione del Cigno - era già famosa dai tempi di Eratostene, che fu il primo a chiamarla così.

Fu poi denominata da Ipparco Uccello, e in epoca cristiana Croce, e ancora oggi si chiama Croce del Nord per distinguerla dalla Croce del Sud, visibile solo dall'emisfero sud.
Gli arabi, grandi astronomi, le conferirono il nome poco aulico di Gallina.   Poi, nel 1627 l’astronomo gesuita Julius Schiller (1580-1627) nel suo monumentale trattato Coelum Stellatum Christianum, pubblicato ad Augusta, tentò di ristabilire il nome cristiano.
Schiller scelse anzi questo nome: Croce sostenuta da sant’Elena.

Questa che appare come semplice coincidenza, può implicitamente fornire una suggestiva ipotesi di lavoro, come vedremo, se rapportata alla rappresentazione pittorica di Arezzo.


 QUI le precedenti puntate

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06/02/12

La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 5. Il casale di Malborghetto.


5. Il casale di Malborghetto.

Ma dove avvenne esattamente questa Visione ?

Per rispondere dobbiamo spostarci un po’ fuori dell’Urbe. Risalire l’antica Via Flaminia, e raggiungere il chilometro 19.

Come abbiamo visto precedentemente, l'armata di Costantino, proveniente dal Nord Italia si accampò, in quella fine di ottobre del 312 d.C. sulla Via Flaminia, prima del combattimento finale con le truppe di Massenzio.

Considerando l’inizio dei combattimenti, il quale avvenne nella piana di  Saxa Rubra, è presumibile che gli uomini di Costantino si fossero accampati qualche chilometro prima, un po' più a monte, e non è difficile ipotizzare che il luogo scelto dovesse essere prima della collina di Prima Porta, dove oggi sorge il grande cimitero comunale, il più esteso di Roma.

Il Casale di Malborghetto è un edificio rurale medievale, che passa quasi inosservato agli occhi di chi transiti sulla Via Flaminia, seminascosto com’è dalla vicina linea ferroviaria.  Si presenta come un comune palazzo alto e quadrato in mattoni di travertino adiacente ad una piccola chiesa.  Ma guardando appena più attentamente non è difficile riconoscere il nucleo originale della costruzione, rivelato dal diverso colore e dal diverso materiale usato nnella struttura dell’edificio. Ben visibile si identifica il disegno di un imponente arco quadrifronte romano, eretto, come risulta da vari indizi (tra i quali mattoni con i bolli dell'età di Diocleziano) all'inizio del IV secolo a.C.



Eppure l’arco di Malborghetto, curiosamente,  non è ricordato da alcun documento fino alla fine del Duecento, quando viene citato in un atto di compravendita della costruzione, ormai trasformata in un fortilizio.

Dopo vari trascorsi, tra cui una devastazione attribuita agli Orsini nel 1485 (che a quanto pare determinò il toponimo di Malborghetto), l'edificio (quel che ne restava) risulta affittato verso la metà del 1500  da un farmacista milanese che viveva a Roma,  in Via della Scrofa. Questo personaggio portava il cognome Pietrasanta, e il nome di battesimo proprio Costantino, circostanza davvero curiosa.  Ma all'epoca non vi era nessuno, ovviamente,  che mettesse in relazione l'edificio con l'Imperatore romano.
Il Pietrasanta fece restaurare la costruzione sotto il pontificato di Pio V, lasciandone  futura memoria in una scritta di brutte maioliche, ancora visibili, sul frontone sotto il tetto.

In seguito ci furono altri restauri, finché ai primi del secolo, un archeologo tedesco -  Fritz Toebelmann - studiò finalmente a fondo, per cinque lunghi anni, il monumento giungendo alla conclusione che esso fosse stato eretto per commemorare la vittoria di Costantino su Massenzio, trattandosi dell'unico evento storico significativo accaduto nella zona in quel determinato periodo storico.  Toebelmann, prima di morire ancora giovane nelle trincee della Grande Guerra, arrivò a tale convinzione dopo aver minuziosamente esaminato i materiali di costruzione dell’edificio, e aver rinvenuto, incassati nei muri, alcuni mattoni con impresso il bollo dell’imperatore Diocleziano, circostanza che rese possibile datare con precisione la costruzione del primo arco, come manufatto del IV. secolo dopo Cristo (6).

Del resto le stesse dimensioni monumentali dell’Arco (m.14,86 X 11,87 X 7) con i basamenti rapportabili a quelli dell'unico quadrifronte sopravvissuto a Roma, quello del  Velabro, testimoniavano che l’Arco stesso dovesse essere stato costruito in quel luogo a ricordo di un evento memorabile, e non poteva non collegarsi alla Battaglia di Ponte Milvio.  
Ma se un Arco avesse dovuto commemorare quella Battaglia, questa è la nostra opinione, tale Arco monumentale avrebbe avuto molte più ragioni di essere edificato proprio a Ponte Milvio (luogo della morte di Massenzio), o nella zona di Saxa Rubra, dove la battaglia ebbe effettivamente inizio.

Perché invece l’edificazione proprio in quel punto, distante diversi chilometri sia da Ponte Milvio che da Saxa Rubra ?

Discende come conseguenza logica, a nostro avviso, proprio dagli studi di Toebelmann l’ipotesi che l’arco abbia  invece una stretta relazione con la VISIONE di cui parlano Lattanzio e Eusebio di Cesarea.


 QUI le precedenti puntate

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03/02/12

La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 4. Il Labarum.


4. Il Labarum.  


Ma come era fatto esattamente questo simbolo, il Labarum ?

Ripartiamo dal racconto di Eusebio di Cesarea, nel brano della Vita di Costantino I, 30-31, e leggiamo:

" La sua foggia era la seguente. In un'alta asta ricoperta d'oro s'innestava un braccio trasversale in modo da formare una croce; in cima a tutto era fissata una corona intessuta di pietre preziose e oro.        Su questa corona due segni, indicanti il nome di Cristo, mostravano per mezzo delle prime lettere  ( con il rho che si incrociava giusto nel mezzo ), il simbolo della formula salvifica:     l'imperatore prese poi anche in seguito questo monogramma inciso sul suo elmo.       Al braccio trasversale che era infisso nell'asta, si trovava sospesa una tela di gran pregio...    Di questo segno salvifico l'imperatore si servì sempre contro tutte le forze avversarie e nemiche, e ordinò che altri oggetti simili ad esso fossero messi alla testa di tutti i suoi eserciti.    "

Sappiamo, non soltanto da questa descrizione, ma soprattutto dalle centinaia di riproduzioni su monete, e monumenti che la foggia del Labarum era questa:



Un simbolo realizzato con le prime due lettere dell'alfabeto greco della parola Cristo: Chi (χ) e Rho, (ρ).

Ma il Labarum ha sempre comportato per gli storici un piccolo grande rompicapo.  Per vari motivi:  Innanzitutto Lattanzio, nonostante la descrizione particolareggiata della Visione, ignora il Labaro, e non lo cita nel suo racconto. Lattanzio parla di un monogramma, ma non specifica che si tratti del Labaro, così come è pervenuto fino a noi.  In secondo luogo nelle molte scene raffigurate sull'Arco di Costantino al Foro Romano, che venne eretto soltanto tre anni dopo la battaglia, il Labarum non compare, né è presente alcun indizio della miracolosa affermazione di quella particolare protezione divina che era stata testimoniata, dice Eusebio, da così tanti.  Ciò può essere spiegato in parte con il fatto che, come è risultato da recenti e approfonditi studi, l'Arco è un'opera ricavata da pezzi di altri monumenti più antichi.  

Nell'Arco di Costantino al Foro Romano, come è noto,  esiste in realtà una famosa iscrizione nella quale si dice che l'imperatore ha salvato la res publica INSTINCTU DIVINITATIS MENTIS MAGNITUDINE ("per grandezza della mente e per istinto [o impulso] della divinità").  Questo riferimento così generale, non indicante un simbolo specificatamente cristiano, ha fatto ritenere da alcuni studiosi che la divinità in questione fosse nient'altro che il Sol Invictus — il Sole Invincibile (identificabile anche con Apollo o Mitra)— inscritto anche sul conio costantiniano del periodo.  E’ del resto stato avanzato con molte ragioni l’argomento che Costantino, da abile uomo politico, seppure fosse stato sinceramente convinto di aver avuto contatto con una divinità nuova rispetto al parco degli dei pagani adorati nell’Impero, ben difficilmente avrebbe osato sfidare la benevolenza e il potere dei pretoriani romani, esponendo questa divinità nuova, cristiana – del tutto invisa – in un arco monumentale appena eretto.

Oltretutto, il Labarum fu sicuramente adottato in età costantiniana come simbolo assai diffuso, al punto che Giuliano l'Apostata, fautore del ripristino ad ogni livello del paganesimo, eliminò il segno sospetto dalle insegne militari, cosicché il Labarum  ricomparve soltanto durante il regno degli imperatori successivi.

In conclusione:   sembra certo, storicamente plausibile, che la Visione (o Sogno) sia avvenuta. L'imperatore Costantino vide o credette di vedere un segno divino.   Ciò risulta dal raffronto di tutte le fonti, tra le quali anche il celebre panegirico dell'Imperatore letto a Treviri nel 313, dopo che Costantino ebbe incontrato Licinio a Milano, nel quale si parla di una 'mente divina' rivelatasi soltanto a Costantino, e di una suggestione divina (divino instinctu), che lo rese indifferente alle superiori forze di Massenzio.

Questa Visione (o Sogno) coincide con l'avvento della concezione monoteistica, la quale irrompe nel mondo romano, raccogliendo l'eredità del culto del Sol Invictus, ma identificandosi ben presto con il Cristo dei Cristiani.    

E' certo inoltre, che sul destino della celebre Visione ebbe grande importanza la propaganda compiuta da Eusebio di Cesarea e dei suoi successori.   Eusebio scrive la sua Vita di Costantino parecchi anni dopo la Battaglia di Ponte Milvio, e mosso sostanzialmente dalla esigenza di sistematizzare la vicenda del "più grande degli Imperatori" in un quadro teologico-divino che avrebbe trovato compiutezza con il battesimo e la conversione al cristianesimo dello stesso Costantino avvenuta in punto di morte. (4 - segue)

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25/01/12

La visione di Costantino e l'Arco di Malborghetto - 2.



2. Costantino, un predestinato. 

Uomo d’armi, cresciuto sui campi di battaglia, fiero e pratico, geniale stratega, uomo duro e generoso. Figlio di uno dei migliori generali di Roma (Costanzo Cloro), educato con il gladio e l’acciaio, capace comunque di raccogliere, già giovanissimo, l’eredità che il padre gli aveva consegnato, quella cioè di divenire il monarca assoluto (e illuminato) della Roma più gloriosa, al termine di un periodo di spaventose lotte familiari, e di potere infinitamente diviso.   Questo era Costantino.

Anche qui non possiamo permetterci di approfondire ulteriormente, rimandando alla vasta letteratura biografica esistente (3). Quello che preme sottolineare, premettendo una inevitabile semplificazione, è che:  Costantino  apparve sempre cosciente del proprio ruolo di predestinato. La figura dell'Imperatore, com’è noto, a Roma era equiparata a quella di una divinità.  E Costantino crebbe in un ambiente pagano che identificava l’imperatore  romano come un essere allo stesso tempo umano e divino. In questa concezione, era naturale, per Costantino l'auto-identificazione con quel Sol invictus , la divinità del Sole, che Roma aveva ereditato insieme ad altre – assorbendone il culto spesso in forme traslate -  dalle grandi civiltà orientali con cui era entrata in contatto, prime fra tutte quella egiziana con il Dio Horus, e quelle indo-iraniane con il culto di Mitra.  E all'indomani della vittoria di Ponte Milvio – come vedremo – in seguito alla apparizione del misterioso Labaro-croce, Costantino cominciò a identificarsi anche con la nuova divinità con la quale sentiva di essere entrato in qualche modo in contatto. Cominciò in altre parole un lento processo di adesione (forse non pienamente consapevole) alla figura del Salvatore, cioè di Gesù Cristo.  


Testimonianze di questo processo sarebbero ad esempio:  


il grande mosaico nella Basilica Lateranense. Secondo alcuni studiosi il volto del Salvatore potrebbe essere stato modellato sui lineamenti di Costantino, che fu, com’è noto il costruttore di quella prima Basilica romana (4);

la tomba dell’Apostoleion, a Costantinopoli, immaginata e preparata da Costantino per le sue spoglie, formata da dodici sepolcri, per le reliquie dei dodici apostoli, più un tredicesimo, centrale, quello nel quale avrebbero riposato per sempre le ossa dell'Imperatore: dunque, Costantino al centro, tra i dodici apostoli;  


la stessa morte di Costantino, secondo quanto racconta Eusebio, avvenuta il 22 maggio del 337 in Ancirona, presso Nicomedia, giorno della domenica di Pentecoste: anche questo servì ad alimentare post-mortem il mito di quell'identificazione di cui parliamo; il fatto infine che prima di morire, Costantino avesse immaginato una sontuosa cerimonia per ricevere il battesimo nelle acque del fiume Giordano. Questa ulteriore 'emulazione' non poté aver luogo per l'aggravarsi delle sue condizioni di salute, circostanza che lo obbligò  a ricevere il sacramento pochi giorni prima di morire, a Nicomedia. Queste sono le parole pronunciate da Costantino, secondo il racconto di Eusebio, parole  che manifestano il rimpianto per questa mancata realizzazione di intenti ( Vita di Costantino, IV, 62,2): " Finalmente è giunto il tempo in cui anche noi potremo godere del suggello che dà la vita eterna, il tempo della impronta salvifica, che una volta pensavo di poter ricevere nelle acque del fiume Giordano, nelle quali si ricorda che anche il Salvatore venne battezzato per offrirci il suo esempio... "  

(segue) 

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