I misteri della Rocca degli Albornoz a Narni, il castello di Narnia
Anche se sembrerebbe il frutto di
mere fantasie cinematografiche, esistono davvero istituti e organismi
internazionali, che più o meno seriamente, si dedicano alla caccia di segni del
paranormale, quel che negli USA chiamano: fenomeno di ghost hunting, ovvero caccia ai fantasmi. Anche in Italia ne esistono di diversi tipi, e alcuni
di essi si ispirano direttamente al
lavoro di Harry Price, quello che viene considerato il padre della ricerca nel
settore dei fenomeni paranormali.
Price, ai primi del Novecento, si
dedicò – subendo mille accuse, prima fra tutte quello di essere un profittatore
della credulità popolare – alla caccia ai fantasmi nelle case e nei manieri
della vecchia Inghilterra, realizzando numerosi inquietanti scatti di spiriti catturati, che ancora oggi fanno
discutere.
I ghostbusters di oggi però dispongono di strumenti molto più
sofisticati delle prime lastre fotografiche di Price, come ad esempio il
cosiddetto DVR, una
unità informatica a disco rigido corredata di processore, memorie e sistema
operativo, che può essere sistemata all'interno di ambienti chiusi in grado di
percepire e registrare qualsiasi tipo di immagine.
E’ con questa particolare
strumentazione che recentemente alcuni di questi ricercatori del paranormale, che si riconoscono sotto la sigla dell'Epas (European paranormal activity society) hanno setacciato la Rocca
degli Albornoz di Narni. Per verificare cioè se sia veramente abitata da
fantasmi o da altre strane presenze, come ormai da tempo si sosteneva.
Le ricerche sono proseguite per
alcuni giorni e alcune notti, con la collaborazione della società che gestisce
attualmente l’antico complesso medievale soffermandosi all'interno di ciascuna
sala del castello, nei sotterranei e nelle ali meno frequentate del vecchio Castello.
Una lunga e minuziosa ricerca,
durante la quale sono state raccolti i video e le immagini catturate dal DVR e
dalle altre camere disseminate.
Ma prima di raccontare quello che i ghostbusters avrebbero trovato realmente, con i risultati della ricerca
a cui è stato dato anche ampio spazio da parte della stampa (1), è il caso di
domandarsi qui, perché proprio il Castello degli Albornoz di Narni sia divenuto
oggetto di così intensi interessi paranormali.
La Rocca di Narni, in realtà, fa
parte di quella serie di grandiose fortificazioni che furono erette a metà del
1300 nel Centro d’Italia per restaurare l’autorità papale nei territori della
Chiesa che si erano ribellati e favorire così il ritorno del Pontefice da
Avignone.
L’operazione, un misto di forza
militare e di fervide attività diplomatiche, fu affidata ad un uomo di grandi
capacità, una delle menti più illuminate del periodo, uomo fedelissimo e allo
stesso tempo ambizioso: Gil (Egidio) Alvarez Carrillo de Albornoz, discendente
di Re Alfonso V di Spagna, nato a Carrascosa
del Campo, in Castiglia, nel 1310.
(........)
Il frutto più duraturo delle imprese
dell’Albornoz fu proprio l’ambizioso progetto di fortificazioni disseminate
lungo tutta la dorsale dell’Italia centrale che ancora oggi ne caratterizzano
il paesaggio, dalla Romagna, alle Marche, all’Umbria.
La Rocca costruita a Narni
rappresenta una sorta di testamento spirituale del Cardinal guerriero, visto
che la sua costruzione iniziò proprio nel 1367, l’anno in cui Albornoz morì e
da diversi punti di vista rappresenta la summa
perfetta: è infatti un quadrilatero delimitato da quattro torri agli angoli,
tre delle quali ha il nome di un santo (Bernardo a nord-est, Filippo a sud-est
e Giacomo a Sud-ovest) e una il soprannome di Maschio, essendo la più imponente. Il quattro ricorre anche nel
numero dei piani del Castello e nel numero delle vie che venivano controllate.
Sembra che il progetto della Rocca
di Narni sia comunque riconducibile a Matteo Gattacapponi il geniale ideatore e
costruttore della fortezza di Spoleto, che del resto non è lontana da quella narnese.
Ma aldilà delle caratteristiche
tecnico-architettoniche del monumento, quello che qui ci interessa è
innanzitutto che la Rocca sorge quasi al di sopra l’antichissima Fonte Feronia, una sorgente, luogo di
culto, che risale all’epoca pre-romana : Feronia era infatti la ninfa della
fertilità venerata dalle popolazioni degli Umbri, dei Sabini e dei Volsci,
oltre che dagli Etruschi. E in effetti recenti rilievi speleologici in loco
hanno permesso di datare l’originario
cunicolo sorgivo tra il IV e il III secolo a.C.
Questo antico tempio pagano –
compresa la statua dedicata alla divinità – fu distrutta quando in questi
luoghi si insediò la prima comunità cristiana, presumibilmente nel V secolo
d.C. e il sito originario con la fonte, ritenuto fino a quel momento sacro,
cadde in rovina e fu chiamato maccla
mortua, ovvero macchia morta (macula
morta).
Ogni coincidenza, visto che in
questa storia si parla anche di fantasmi, ci sembra non trascurabile. Così,
come dobbiamo tener conto che la fama esoterica di questo luogo sia dovuta alla
cancellazione di un rito pagano, sopra il quale fu edificato un simbolo
eloquente dell’autorità temporale cristiana – previa la cancellazione della
stessa memoria di quel luogo – dobbiamo anche a questo punto della storia, riferire
che, nessuno può dire quanto consapevolmente, Narni con la sua rocca e le sue
storie medievali ha finito per essere la fonte di ispirazione di quella che
viene considerata la saga di fantasy più popolare del ventesimo secolo (e anche
di questo inizio di ventunesimo): l’insieme di quei sette volumi che vanno
sotto il nome di Cronache di Narnia, scritte da Clive Stapleton Lewis tra il
1950 e il 1956 e che rappresentano, secondo la critica letteraria, una trans-figurazione del messaggio
cristiano attraverso il forte richiamo a simboli esoterici.
Com’era arrivato a questo, Lewis ?
Il grande scrittore, una delle menti più illuminate della seconda metà del
Novecento, nato a Belfast nel 1898, fu fortemente influenzato da un particolare
incontro, dal quale si generò una grande amicizia: John Ronald Reuel Tolkien,
il futuro autore de Il Signore degli
anelli e di Silmarillion aveva sei anni più di Lewis. Anche Tolkien, come Lewis, aveva perso
prematuramente la madre, a soli dodici anni.
Anche la famiglia di Tolkien aveva radici cristiane, anche se cattoliche
e non protestanti come quelle di Lewis. Anche Tolkien aveva combattuto nella
Grande Guerra, in prima linea sul fronte occidentale. E come lui, condivideva un profondo interesse
per la mitologia e insegnava ad Oxford.
Una specie di gemello, o di fratello maggiore, per Lewis. Ed è forse
proprio questa somiglianza che aveva suscitato in Lewis, all’inizio una certa
diffidenza, come scrive ironicamente nell’autobiografia Surprised of joy (pubblicata nel 1955): Alla
mia venuta in questo mondo mi avevano (tacitamente) avvertito di non fidarmi
mai di un papista, e (apertamente) al mio arrivo nella facoltà di inglese di
non fidarmi mai di un filologo. Tolkien era l'uno e l'altro.
Ma è proprio questo papista e
questo filologo - Tolkien - a spalancare a Lewis le porte di
una nuova comprensione di quel Cristianesimo rifiutato nell’adolescenza,
proprio a partire dai vecchi miti pagani, i quali tutti indistintamente parlano di morte e
resurrezione.
Per Lewis è una vera e propria illuminazione. E’ la nascita dell’esclusiva compagnia degli
Inklinks (in italiano gli
Imbrattacarte ), molto più che un salotto letterario, un sodalizio di artisti che segnerà la vita
culturale britannica dagli anni ’30 agli anni ’50.
Nel settembre del 1931 l’occasione è fornita da una lunga conversazione
notturna con Tolkien Charles Williams, autore del celebre The Place of the
Lion, e Hugo Dyson. Tolkien suggerisce all’amico che il Cristianesimo si presenta come l’unica
verità nella quale è possibile riassumere, comprendere e sciogliere i miti
pagani e le credenze degli antichi. Il Cristianesimo, alla luce di quelle
considerazioni, comincia ad apparire agli occhi di Lewis non solo e soltanto
come religione o filosofia in senso stretto – lo scrive in Surprised by joy –
ma come “riassunto e attualizzazione” di ogni mito e cultura preesistente.
Dopo una settimana Lewis comunica agli amici la sua conversione al
Cristianesimo; e quel che interessa a Lewis è il cristianesimo che Lewis non si
stanca di ‘propagandare’, quello che nella sua vita ha avuto un significato
particolare: riconoscere il significato
del giusto e dell’ingiusto e la legge morale che è
inscritta nel cuore di ogni uomo.
Ed è questo che è facile riconoscere nelle Cronache di Narnia, cosparse di leggende gotiche e magie comuni al Bene e al Male, e di prove di iniziazione attraverso cui i quattro fratelli
protagonisti ritroveranno se stessi, liberando il regno di Narnia dalla
tirannia della Strega Bianca.
Tutto questo sembrerebbe aver poco a che fare con la nostra storia, se non
fosse che prove recenti hanno dimostrato lo stretto legame esistente tra la
cittadina umbra, e la sua Rocca, le sue leggendarie vicende medievali e la saga
fantastica.
C. S. Lewis era un accanito studioso di storia romana, e a forza di
ripercorrere in lungo e in largo per i suoi studi gli Annales di Tacito, la Naturalis
Historia di Plinio il vecchio e le Historiae
di Tito Livio, si era imbattuto nello sperone roccioso di Narnia – così avevano denominato i romani quello sperone di roccia
il cui antichissimo nome era Naharna,
ovvero ‘terra del fiume’, sorgendo proprio a picco sulla valle del fiume Nera.
Lewis, come ha spiegato il suo biografo (e segretario personale) Walter
Hooper, identificò la romana Narnia sull’atlante
geografico latino (il Murrey’s Small
Classical Atlas) che usava per
documentarsi, evidenziando anche il tracciato della via Flaminia, battuto dagli
eserciti romani. (2)
C’è dunque chi, alla luce di questa scoperta
– Lewis, in vita, non aveva mai fatto cenno alle origini del nome della sua
saga – si è messo alla caccia di tutti gli indizi relativi alla vicenda della
storia di Narni e in particolare della Rocca degli Albornoz che possono essere
confluiti nella saga fantastica di Narnia, primo fra tutti l’estesa rete di
cunicoli sotterranei realmente esistiti sotto il Castello narnese, che
permettevano la comunicazione tra la fortezza, il Bastione esterno al profilo
delle mura, l’avamposto costruito nel borgo delle Arvolte, nella zona dove oggi
sorge l’ospedale e la Piazza dei Priori, nella città medievale.
Suggestione del nome e collegamento con le leggende pseudo-cristiane di Narnia a parte, sul fascino esoterico di questo
luogo incidono anche le vicende che seguirono l’epoca di Albornoz. La fortezza,
infatti, rimase attiva sempre, nei secoli, e le sue potenti mura resistettero
perfino all’attacco dei Lanzichenecchi che provarono ad espugnarle di ritorno
dal Sacco di Roma del 1527. Insediatosi il primo castellano, dopo la morte di
Albornoz, Giovanni de Novico nel 1371, vennero finalmente i lavori lasciati in
sospeso. Per la solenne inaugurazione intervenne il cardinale Filippo di
Alengon, vicario apostolico del Patrimonio.
La Rocca, da quel momento ospitò
papi, cardinali, condottieri e divenne sede del governatorato. Nel 1449, quando si scatenò una terribile
epidemia di peste, vi si rifugiò lo stesso papa, Niccolò V il quale fece
eseguire numerose opere difensive dall'architetto Bernardo da Settignano;
lavori che proseguirono poi anche sotto Sisto IV e Innocenzo VIII.
Nel 1798 quattrordicimila francesi,
dopo la proclamazione della Repubblica Romana e la fuga di Pio VI, riuscirono a
spogliare la rocca di tutte le armi che furono trasportate a Perugia e fuse per
fare cannoni. Dal 1834 al 1906 divenne poi carcere, arrivando ad ospitare anche
300 detenuti, nei sotterranei che sono visitabili anche oggi .
Rimase poi prigione a lungo, fino a
quando nel 1906 fu acquistata ad un’asta indetta dal demanio, in sordina, per
una modestissima somma: 13.000 lire con pagamento rateale, dal principe russo
Mestschezsy che ne mantenne la proprietà, insieme ad un altro socio, fino al
1972, quando passò nelle mani di una famiglia romana.
Sono stati dunque queste secolari
storie e i destini di quelli che scontarono i loro giorni nelle segrete del
castello, o forse semplicemente la nobile geometria e la storia della sua
costruzione e del deus ex machina – Egidio Albornoz, guerriero e santo – a generare la convinzione che il
Castello sia abitato oggi dagli spiriti ?
Le ripetute segnalazioni di
increduli testimoni hanno, come abbiamo visto all’inizio di questo capitolo,
attratto gli specialisti del settore,
intervenuti recentemente sul posto per cercare di carpire il suo segreto alla
vetusta Rocca. E, almeno a giudicare dalle conclusioni che sono state
annunciate alla stampa, sembra che qualcosa sia stato trovato.
In una conferenza, i ricercatori
dell’ Epas hanno infatti confermato che all’interno del Castello potrebbero "vivere" entita'
paranormali: Tra le varie attività di ricerca svolte sul
posto – si legge nel comunicato diffuso al termine del sopralluogo - gli studiosi - che rimangono cauti sulla natura delle presenze e
non vogliono definirle fantasmi - hanno scattato, con apposite apparecchiature,
sei foto in altrettanti punti della strutture.
In due di esse sarebbero
riconoscibili - secondo gli esperti - in modo più chiaro alcune figure
considerate "anomale".
In particolare, in una stanza al piano
superiore della Rocca, gli strumenti fotografici avrebbero "catturato"
la presenza di una figura simile a un velo o in alternativa - ipotizzano i
ricercatori - a delle ali.
Si tratta di uno
scatto non nitido e particolarmente
disturbato, a causa di campi elettromagnetici che potrebbero quindi confermare la presenza
di entità non ben definite.
La seconda foto, scattata nella sala delle armi,
adiacente a quella dei banchetti, rileverebbe invece la presenza della parte
inferiore di un mezzo busto, in particolare due gambe che sembrerebbero
camminare.
Le altre fotografie sono invece offuscate e quindi più
suscettibili a varie interpretazioni.
A chi appartiene quel
misterioso velo ? Cosa suggerisce l’immagine di quelle ali ? E di chi erano
quelle gambe che sembrano camminare ? Davvero un luogo così particolare ha
avuto la capacità di intrappolare qualcuno dei suoi abitanti del passato ? C’è,
ovviamente, tutto l’agio di poter dubitare. Ma per chi vuole, dopo questa specie di avallo scientifico o parascientifico anche qualche motivo in più
per credere alle caratteristiche paranormali
di un luogo che ha attraversato lungamente i secoli.
tratto da Fabrizio Falconi, Monumenti Esoterici d'Italia, Newton Compton Roma, in tutte le librerie nella nuova ristampa, 2019
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