L'editore Neri Pozza ha recentemente ripubblicato un classico della narrativa del secondo novecento, Mia cugina Rachele (titolo originale: My Cousin Rachel), scritto nel 1951 da Daphne du Maurier e divenuto un grande successo internazionale continuamente ristampato in mezzo mondo.
Dal romanzo fra l'altro è stato tratto un altrettanto celebre film l'anno seguente, diretto Henry Koster con Olivia de Havilland e Richard Burton, mentre proprio l'anno scorso - sugli schermi italiani adesso - è stata realizzata una seconda trasposizione cinematografica dal titolo Rachel, interpretata da Sam Claflin nel ruolo di Philip e da Rachel Weisz (omonima del personaggio della protagonista che interpreta), per la regia di Roger Michell.
La nuova edizione, pur penalizzata da una traduzione incomprensibilmente trasandata e zeppa di vezzeggiativi, offre l'occasione per tornare su una scrittrice dalla lunga vita e dalla notevole produzione che è stata sempre snobbata dalla critica colta, forse anche a causa dello sterminato successo che ha arriso alla sua narrativa.
La vicenda raccontata è nota: ai primi dell'Ottocento, Philip Ashley, orfano dei genitori, racconta in prima persona la sua storia: allevato dal cugino Ambrose Ashley - più grande di vent'anni - è rimasto solo nella grande tenuta signorile in Cornovaglia che erediterà al compimento del suo 25mo compleanno. Il cugino Ambrose infatti, per ragioni di salute è partito per l'Italia, lasciando Philip a casa. Giunto a Firenze Ambrose incontro la cugina italiana Rachele, che, vedova di un conte italiano, vince la diffidenza di Ambrose per le donne, al punto che questi decide di sposarla. Ben presto però arrivano a Philip notizie preoccupanti: Ambrose è malato, e scrive strani e inquietanti messaggi. Philip, d'accordo col suo padrino e tutore Nick Kendall, si mette in viaggio e giunto in Italia, scopre che Ambrose è morto e la cugina Rachele se ne è andata.
L'odio per Rachele, per averle portato via l'adorato cugino, si trasforma in breve in ossessione quando lei si presenta in Inghilterra per spiegare la situazione e di come la malattia di Ambrose - un tumore al cervello - lo abbia ucciso, deviandone le capacità di intendere e di volere.
Philip passa dalla aperta e totale ostilità all'amore incondizionato per Rachele, che nel frattempo è riuscita a farsi benvolere da tutti i coloni della zona.
Il sospetto però presto si impadronisce di Philip, il quale comincia a pensare che Rachele stia ripetendo con lui lo stesso copione recitato con Ambrose, al fine di impossessarsi di tutti i suoi beni.
Un melodramma, insomma, adatto al gusto dell'epoca che però, riletto oggi, suggerisce diverse chiavi di letture, nessuna banale. Se infatti è piuttosto facile leggere il romanzo in chiave misogina, questa non appare affatto la reale intenzione della Du Maurier. Tutt'altro: il finale completamente aperto e ambivalente lascia spazio all'interpretazione opposta, e Rachele lungi dall'essere una strega cinica e subdola, potrebbe rappresentare invece l'esempio di una donna libera ed emancipata, alle prese con uomini immaturi e infantili, coraggiosamente padrona del suo destino.
Insomma, una storia ed un romanzo tutt'altro che ininteressante, pregevole come sempre nella cura di ogni snodo e del gusto pieno della narrazione.
Fabrizio Falconi
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