Passiamo tutta la vita a ricercare quei momenti – quanti sono, due, tre, quattro, in una intera vita ? – nei quali sentiamo che il mondo si ferma. Noi ci fermiamo al centro, e noi siamo al centro.
Una specie di lenta benedizione scende su di noi. Ogni nostra percezione appare amplificata, e non ci sentiamo più divisi. In quei rari momenti non c’è più il me che vive e il me che mi guarda vivere. Sono soltanto io, al centro di me stesso.
E’ un momento rapido e sfuggente, in cui è come se avessimo percezione di un oltre. Di qualcosa oltre l’apparenza, che ci osserva e ci contiene. Dura poco. E più lo cerchiamo con volontà, più non ritorna.
Accade spesso per motivi oscuri o incomprensibili. E’ uno sguardo di una persona amata, una luce radente, un sbuffo di vento sulle ciglia, un benessere immotivato che ci riempie di vita.
La gioia non è mai una notizia.
E’ brina che si posa sul cuore. Come memoria di meraviglia possibile. La nascondiamo, la teniamo per noi, la conserviamo per gli inverni più duri.
Ogni tanto riappare, senza che la evochiamo. Torna a farci visita senza preavviso e di nuovo la stessa onda ci sommerge.
Non sappiamo da dove è arrivata e perché. E se la meritiamo. Ma sembra volerci indicare che il punto dove arriveremo è lo stesso da cui siamo partiti e che conosceremo forse per la prima volta.
Fabrizio Falconi
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