02/10/12

Intervista ad Andrei Makine - Il romanzo nell'epoca della comunicazione.


  

Di Andrei Makine, è da poco uscito presso l’editore Einaudi,  Il libro dei brevi amori eterni.

* Murielle Lucie Clé­ment. – Andreï Makine, la sua idea di let­te­ra­tura è mutata, da quando è ini­ziata la sua car­riera, una ven­tina d’anni fa?

Andreï Makine. – In linea gene­rale no, ma si tratta anche di capire cosa lei intenda con “idea di letteratura”.

M. L. Clé­ment. – La sua idea per­so­nale e gene­rale di letteratura.

A. Makine. – Il posto che la let­te­ra­tura occupa in que­sto mondo, il posto che la let­te­ra­tura occupa rispetto alle espres­sioni arti­sti­che non let­te­ra­rie, rispetto alla filo­so­fia? Il campo va ben deli­mi­tato. La let­te­ra­tura era, per me, una spe­cie di sacer­do­zio. Si entra nella let­te­ra­tura come si entra in ordine reli­gioso. Ma senza alcuna con­no­ta­zione asce­tica o reli­giosa. Un impe­gno totale. Un altro modo di vivere. Proust diceva:” Leg­gere è assen­tarsi dalla vita”. Un libro è un altro modo di vivere. E’ pos­si­bile acce­dere in modo com­pleto a que­sto modo di vivere? Non credo, per­ché siamo dei sem­plici esseri mor­tali e dun­que siamo inte­res­sati a nume­rose altre atti­vità. Tanto più che, gra­zie a Ver­laine, la let­te­ra­tura è diven­tata quasi una bat­tuta: “E tutto il resto è letteratura!”
La visione che ne hanno i russi è abba­stanza ori­gi­nale. Non hanno creato grandi sistemi filo­so­fici, e hanno rime­diato a que­sto con la crea­zione let­te­ra­ria. Essere scrit­tore, in Rus­sia, signi­fica essere anche un pen­sa­tore e un filo­sofo. Que­sto con­fine, che tro­viamo in Fran­cia e in Ger­ma­nia, tra let­te­ra­tura e i grandi sistemi filo­so­fici come quello di Car­te­sio, di Hegel o di Kant, là non esi­ste. I russi, dun­que, sono dei sin­cre­ti­sti, e ciò può essere utile. Gli ha per­messo di evi­tare lo svi­luppo ple­to­rico di una let­te­ra­tura leg­gera, che è sem­pre stata indi­cata come bel­le­tri­stika. Una parola, “belle let­tere”, che in fran­cese suona nobile, ma in russo è un peg­gio­ra­tivo e ingloba tutto ciò che è avan­spet­ta­colo, roman­zetto da leg­gere in treno, tutti i generi minori, i roman­zetti facili. E che sono sem­pre stati disprez­zati, in Rus­sia. Quale sarebbe, allora, il ruolo della let­te­ra­tura, come defi­nirla? Una spe­cie di sote­rio­lo­gia. La let­te­ra­tura è soprat­tutto que­sto. Dopo i miei primi lavori, il mio modo di vedere la let­te­ra­tura si è diver­si­fi­cato, se non altro pro­prio gra­zie all’influenza che, soprat­tutto, hanno eser­ci­tato le cose che ho scritto. Ci sono campi, come il tea­tro, che un tempo mi sem­bra­vano inac­ces­si­bili. Non avrei mai pen­sato di scri­vere un pezzo di tea­tro, e invece l’ho scritto. Ho scritto dei saggi, anche se non mi con­si­de­ravo un sag­gi­sta. E, infine, non avrei mai pen­sato di scri­vere un testo, che l’attualità mi ha spinto invece a scri­vere, come Cette France qu’on oublie d’aimer.

M. L. Clé­ment. – Ci può rac­con­tare come è diven­tato scrittore?

A. Makine. – Biso­gne­rebbe scri­vere un libro intero per rac­con­tare la nascita di una voca­zione. Rian­diamo per un istante al signi­fi­cato eti­mo­lo­gico di que­sta parola, la vox, la voce che ti parla. Non nel senso che si sen­tano delle voci e che ne si venga illu­mi­nati. La chia­mata viene lan­ciato da realtà incon­fu­ta­bili, a cui si pensa senza pen­sarci, pur pen­san­doci: l’eroe, la morte, la bre­vità della vita, la fuga­cità del nostro essere, la sof­fe­renza, la morte dei nostri cari, il Male, il Bene, insomma, tutti i grandi inter­ro­ga­tivi che si pone l’umanità e che esi­gono una rispo­sta da parte nostra. E biso­gne­rebbe tro­vare un modo appro­priato per rac­con­tare tutto que­sto in modo non sco­la­stico, né oscuro, né alam­bic­cato. Tro­vare un lin­guag­gio sem­plice per dire la morte, l’eroe, la sof­fe­renza, il Bene, il Male ecc. E così, senza star lì ad archi­tet­tare la cosa, si ritorna a que­sto, ai grandi sistemi filo­so­fici, per par­lare in modo esatto.

M. L. Clé­ment. – Non ha vera­mente rispo­sto alla mia domanda. Come sono comin­ciate le cose? Com’è che è diven­tato scrittore?

A. Makine. – Sì ma, vede, io sono stato tal­mente tante cose. Lei avrebbe potuto chie­dermi, com’è stato com’è che a dodici anni è diven­tato un fac­chino in un mer­cato kol­ko­ziano, o un pastore e poi un sol­dato e così via. A un certo punto ho pen­sato di voler diven­tare uno spor­tivo di pro­fes­sione. Siamo tutte que­ste facce. Nabo­kov era un pro­fes­sore uni­ver­si­ta­rio. Que­sta era la sostanza del suo essere, della sua voca­zione? Forse un modo per sbar­care il luna­rio, come sono stati per me i mille mestieri che ho fatto.

M. L. Clé­ment. – Glielo chiedo per­ché, prima, lei è stato uno stu­dente uni­ver­si­ta­rio e ha scritto una tesi di dot­to­rato e degli arti­coli di cri­tica let­te­ra­ria. Forse avrei dovuto porre la domanda in modo diverso e chie­derle come lei è diven­tato un romanziere.

A. Makine. – L’analisi let­te­ra­ria è un aspetto sus­si­dia­rio rispetto alla crea­zione let­te­ra­ria. Imma­gi­niamo un cam­pione di For­mula 1 che, per esem­pio, s’interessi anche di mec­ca­nica. Que­sto gli dà qual­cosa. Cono­sce meglio il motore, come fun­ziona, i suoi limiti, ma non rim­piazza il suo talento di pilota. Un giorno, forse, quando avrà perso il suo ingag­gio, potrà sal­tare dall’altra parte e diven­tare un mec­ca­nico. Suc­cede lo stesso con la voca­zione letteraria.

M. L. Clé­ment. – Come scrive un romanzo, che è poi quello che lei fa, soprat­tutto. Ecco, vor­rei sapere come nasce un romanzo di Andreï Makine. Parte per prima cosa dall’idea di un per­so­nag­gio? O c’è una sto­ria che le parla, al principio… ?

Intervista realizzata da Marie Lucie Clément per Le Nouvel Observateur.


A. Makine. – Sem­pli­fi­chiamo le cose. C’è di sicuro una parte di verità vis­suta, c’è un’idea, c’è una pre­senza umana, la pre­senza di un certo tipo di carat­tere che la col­pi­sce per un suo aspetto inso­lito o, al con­tra­rio, per la sua estrema bana­lità, e che chie­dono di venir descritti. Que­sto pro­cesso ger­mi­na­tivo a volte si riduce a un tono musi­cale, per­ché tutto è armo­nia a que­sto mondo. La si può espri­mere con equa­zioni mate­ma­ti­che o con for­mule chi­mi­che o con un ritmo, dal momento che tutto è rit­mato, tutto è caden­zato, in que­sto uni­verso, e così si comin­cia a sen­tire que­sta cadenza, que­sta misura che ini­zia a rit­mare la sua vita e ad assu­mere l’aspetto di un mistero cifrato. Que­sto mes­sag­gio in codice si con­cen­tra in quel per­so­nag­gio o in una gior­nata o in una situa­zione. Un po’ come –per rifarsi ancora a un’immagine molto banale– una goc­cia di rugiada è in grado di riflet­tere tutto un mondo. Una goc­cia di rugiada molto impor­tante, anche se non lo è nella sua espres­sione mate­riale. E’ un pri­sma che le per­mette di vedere la luce com­po­sta dal suo spet­tro, esat­ta­mente come si sco­prono i colori di un arco­ba­leno. Così, si tratta di tro­vare que­sta goc­cia di rugiada che può essere un uomo, una situa­zione, un dolore o un amore.

M. L. Clé­ment. – Prende appunti oppure sta­bi­li­sce un piano?

A. Makine. – Prima, tutto comin­cia con una lunga matu­ra­zione. Porto la cosa den­tro di me. Come una musica inte­riore. Un ritor­nello, un ron­deau che torna e ritorna sugli stessi temi. Un tema si svi­luppa fino a diven­tare un sog­getto, un carat­tere, uno sce­na­rio, un intrec­cio, per usare il lin­guag­gio di un freddo analista.

M. L. Clé­ment. – Quali sono, da un punto di vista let­te­ra­rio, le sue influenze più dirette?

A. Makine. – Tutto ci influenza. Sem­pli­ce­mente, e spesso, senza disto­glierci dav­vero da quello che pen­siamo sia il nostro cam­mino. Ho letto molta filo­so­fia e dun­que sono stato di sicuro influen­zato da Marx, Hegel, Spi­noza o Berg­son. Ogni let­tura ha presa su di noi, anche le let­ture sba­gliate. Quando si è gio­vani, si leg­gono magari roman­zetti da viag­gio in treno, o dei gialli, che sono un genere minore, e venirne effet­ti­va­mente influen­zati, ma solo per­ché ci si dice: ”Non scri­verò mai roba del genere! E’ roba disgu­stosa!” Spesso, dun­que, non fac­ciamo che smar­carci da certe cose.

M. L. Clé­ment. –Ha l’impressione che uno scrit­tore migliori, a volte, con l’esperienza?

A. Makine. – E’ una domanda a cui ha già rispo­sto Heming­way: « La crea­ti­vità è fatta per il cin­quanta per cento di lavoro e, pur­troppo, per il cin­quanta per cento di talento.» E’ una frase ter­ri­bile. E’ allo stesso tempo stu­pida e vera. Mi sono sem­pre sen­tito disar­mato, di fronte alle scienze esatte. Ci sarebbe una pre­di­spo­si­zione “gene­tica” alla crea­zione let­te­ra­ria ? Ho rice­vuto una com­pen­sa­zione, gra­zie alle scienze “non esatte”?

M. L. Clé­ment. – Uno è un bravo scrit­tore per­ché lavora oppure per­ché ha del genio…Forse, biso­gna pos­se­dere talento e lavo­rare soprat­tutto moltissimo?

A. Makine. –Un pit­tore russo venne rim­pro­ve­rato per l’abbondanza della sua pro­du­zione. Allora lui rispose: « Cari amici, ci ho messo quarant’anni per impa­rare a fare un qua­dro in qua­ranta ore. »

M. L. Clé­ment. – Lei come scrive? Voglio dire, scrive al com­pu­ter, con la mac­china da scri­vere, oppure con una matita o una sti­lo­gra­fica, a mano ?

A. Makine. – Tutti gli appunti li prendo a mano. Ho biso­gno di un con­tatto fisico. Ma non è una cosa che valga per tutti.

M. L. Clé­ment. – Que­sta è una domanda che può sem­brare un pochino mistica, ma vor­rei sapere se lei ha dei rituali che accom­pa­gnano la sua scrittura.

A. Makine. – No, no. Per niente. E’ una domanda che viene rego­lar­mente fatta agli scrit­tori. Allora comin­ciano a rac­con­tare che comin­ciano a scri­vere con la sti­lo­gra­fica alla tal ora. Quando si comin­cia a ritua­liz­zare qual­cosa di così pro­fondo e vio­lento come la scrit­tura, vuol dire che non si è più nella verità. Accade lo stesso a livello reli­gioso. Una pesante ritua­liz­za­zione dimo­stra che l’ordine reli­gioso è stato con­ta­giato da qual­cosa di falso.

M. L. Clé­ment. – Ma, se non ha un rituale, ha allora una sua disciplina?

A. Makine. – Prendo appunti tutti i giorni, ma posso anche attra­ver­sare tutta l’Australia senza mai pen­sare alla mia penna. Non sono schiavo della mia penna, non sono uno scrit­tore con orari da ufficio.

M. L. Clé­ment. – Insomma, scrive senza nes­suna disciplina.

A. Makine. – Biso­gna lavo­rare e tor­nare a lavo­rare. E’ l’unica disci­plina che abbia un senso.

M. L. Clé­ment. – Pensa che tutti pos­sano diven­tare scrit­tori? Glielo chiedo per­ché le scuole di scrit­tura crea­tiva stanno nascendo come funghi.

A. Makine. – Impa­dro­nirsi dell’arte di scri­vere non è, in sé, nega­tivo. Per­ché no? Ma, di nuovo, dob­biamo defi­nire cosa è uno scrit­tore. Potrebbe essere un uomo capace di ren­dere tan­gi­bili tutti i grandi inter­ro­ga­tivi di cui ho par­lato: l’amore, la morte, il pia­cere, la fuga­cità dell’essere, il Male, il Bene. Entriamo in un libro. Se ne rie­mer­giamo con un senso leg­gero di sod­di­sfa­zione oppure di disa­gio oppure se ciò che abbiamo letto ci lascia addosso un’emozione scialba e neu­tra, bè, era una let­tura dav­vero neces­sa­ria? Ho già par­lato dell’ ”uti­lità” di que­sto genere di libri. Sono stati scritti per­ché gli scrit­tori capi­scano come non biso­gna scri­vere. La let­te­ra­tura d’intrattenimento, del resto, sta per­dendo tutto il pro­prio inte­resse, per­ché ci sono indu­strie del diver­ti­mento molto più effi­caci, ed è il caso della tele­vi­sione, del cinema, di Inter­net. Ci si può diver­tire in modo più vario. Ciò detto, stiamo vivendo, secondo me, un tempo bene­detto per la poe­sia, la vera poe­sia e la vera let­te­ra­tura, dal momento che tutto ciò era vi era, di adia­cente, è stato annesso da que­ste nuove forme di diver­ti­mento. Dun­que pos­siamo con­cen­trarci sull’essenziale. L’essenziale è appunto que­sta sote­rio­lo­gia, che fa sì che ogni libro debba pro­porre una strada verso la salvezza.

M. L. Clé­ment. – Ma non pensa che, alla fin fine, la let­te­ra­tura da intrat­te­ni­mento svolga una fun­zione per chi rifiuta il diver­ti­mento tele­vi­sivo, il cinema o Internet?

A. Makine. – Sì, in quel caso è meglio leg­gere dei gialli, per­ché no. Ma, par­lando in tutta fran­chezza, le devo dire che sono sem­pre più con­vinto di una cosa: se si pos­siede un solo grammo d’immaginazione, una sa sola pagina di una rivi­sta per­mette di descri­vere per­fet­ta­mente un delitto. Ho appena letto, in treno, di un delitto che c’è stato in Ger­ma­nia. Una donna ha assol­dato un attore per­ché fin­gesse di essere suo marito che, a quanto sem­bra, aveva tru­ci­dato. Basta una pagina. Il resto ce lo pos­siamo inven­tare, anche meglio dell’autore di quella pagina. Il pro­blema dei gialli è che sono robac­cia. Abu­sano della nostra pazienza, dal momento che ci vogliono almeno due­cento pagine, per­ché una cosa si possa chia­mare un libro. Men­tre in una sola pagina di gior­nale abbiamo già capito tutto, dell’intrigo. Pos­siamo imma­gi­nare come la donna ha fatto spa­rire il marito in una colata di cemento, o l’ha get­tato in un fiume e per­ché l’ha fatto. Altri­menti, per dirla in sol­doni, è tutta fuffa che non trovo inte­res­sante. E poi, come dire?, le gene­ra­zioni si sus­se­guono e ogni gene­ra­zione ha biso­gno di un pro­prio romanzo sociale, di un romanzo psi­co­lo­gico, di tutti quei generi let­te­rari che si ripe­tono attra­verso i secoli. Per­ché ripetere?

M. L. Clé­ment. – Sì, glielo chiedo, per­ché nella musica ci sono diversi stili: l’opera, la can­zone, il jazz, e l’importante non è tanto lo stile, quanto il livello rag­giunto da ogni stile e così pen­savo che, anche per voi spe­cia­li­sti di let­te­ra­tura, forse potesse esserci in let­te­ra­tura la pos­si­bi­lità d’avere livelli diversi. Ci potreb­bero essere ottimi thril­ler, cioè. Sono rari, lo ammetto, ma…

A. Makine. – Certo. Conan Doyle ha scritto cose molto belle. Chi potrebbe negarlo? Ma il noc­ciolo della let­te­ra­tura è la scienza della sal­vezza. Insomma, che si spe­ri­menti in que­sta dire­zione, e in molti modi. Per­ché no? Que­sto ci per­met­te­rebbe di impa­rare nuove cose. La vita è breve. Per­ché per­dere tempo a leg­gere un giallo di tre­cento pagine? Quale è lo scopo di un giallo? Di pro­lun­gare l’attesa, no? La suspence. Fare un po’ paura, met­terci den­tro delle situa­zioni che si ribal­tano, met­terci den­tro dei pro­ta­go­ni­sti ben carat­te­riz­zati, per­ché è un genere che sem­pli­fica i personaggi.

M. L. Clé­ment. – Non trova che il cinema è troppo autoritario?

A. Makine. – Il cinema è tota­li­ta­rio per­ché ci impone tutto, anche il colore degli occhi dei per­so­naggi. Ma sono con­vinto che i gialli di cui stiamo par­lando non sono tanto meglio. Ora, se lei vuole pren­dere un cri­mi­nale e farne un per­so­nag­gio alla Dosto­ie­v­ski è tutta un’altra fac­cenda. Ma in quel caso tutta la mate­ria pro­pria di un romanzo giallo diventa sus­si­dia­ria rispetto a qual­cosa di molto più impor­tante. Come ha potuto, que­sta donna, ammaz­zare suo marito? Su Face­book ha un viso d’angelo, una gra­ziosa tede­schina bionda, le si impar­ti­rebbe la comu­nione anche se prima non si è con­fes­sata. Ma un gior­na­li­sta fa un’inchiesta e sco­pre che que­sto angio­letto gestiva diversi cen­tri dove si fanno mas­saggi, se non si vuole usare la parola bor­dello. Suo marito aveva avuto sen­tore del suo vero lavoro? A un certo punto il nostro giallo comin­cia a cam­biare e si tra­sforma in un romanzo psi­co­lo­gico, socio­lo­gico, un romanzo che indaga su una situa­zione esi­sten­ziale. I roman­zetti da sta­zione, i romanzi d’amore, come ven­gono chia­mati, non sono altro che l’abbozzo di una vera crea­zione letteraria.

M. L. Clé­ment. –Devono tra­sfe­rirsi a un livello superiore?

A. Makine. – Secondo me, sì. Se pro­prio si vuole descri­vere un delitto, tanto vale scri­vere Delitto e castigo ! Per­ché imboc­care un così bel sen­tiero per fer­marsi solo dopo pochi passi?

M. L. Clé­ment. – Un’altra domanda, forse abba­stanza diretta. Pensa che l’ispirazione esi­sta davvero?

A. Makine. – Ci sono stati di coscienza asso­lu­ta­mente magni­fici, abba­stanza rari, che sono come una con­di­zione di ascolto. Men­tre sta scri­vendo, ecco che si ha l’impressione di vivere una pro­fonda con­so­nanza con la realtà –un sen­ti­mento ocea­nico, come direbbe Mau­riac. Forse è que­sto, che defi­niamo ispi­ra­zione. Come se lei stesse inspi­rando l’universo nel senso con­creto, fisio­lo­gico del ter­mine, come se il suo cer­vello non fosse più nient’altro che una cassa di riso­nanza che con­sente di ascol­tare la musica delle sfere. Sono istanti rari e pre­ziosi, anche se non ci si può met­tere lì ad aspet­tare che arri­vino, altri­menti pas­se­remmo tutto il tempo immersi in que­sta attesa pro­fe­tica. Non è que­sto quel che conta. Ciò che conta è una fatica quo­ti­diana che forse ci per­mette di rag­giun­gere i mede­simi risultati.

M. L. Clé­ment. – Secondo lei, ci sono cose, in un romanzo, che pos­sono met­tere dav­vero a disa­gio i let­tori? O, detto più pre­ci­sa­mente, cosa la mette per­so­nal­mente a disa­gio, in un romanzo?

A. Makine. – Di quale let­tore stiamo par­lando? Di quei let­tori così ano­mali che sono gli scrittori?

M. L. Clé­ment. – Par­liamo di lei, per esempio.

A. Makine. – Mi mette a disa­gio la capa­cità umana di creare, di con­ti­nuare a creare que­sto fiume inin­ter­rotto di romanzi. Sì, que­sto mi lascia per­plesso. Mi chiedo: ”A che scopo?” Per­ché vi vedo, in que­sto, una sorta di ina­nità totale, di totale futi­lità. Ci saranno sem­pre dei libri che sal­gono in vetta alle clas­si­fi­che. Ci saranno sem­pre per­so­naggi fem­mi­nili che ame­ranno per­so­naggi maschili che non le amano invece più, e poi che si sepa­re­ranno e che poi mori­ranno… Que­sto vis­suto che l’umanità ha sem­pre vis­suto e che viene di con­ti­nuo ripub­bli­cato. Sui­cidi, par­tenze, sepa­ra­zioni, tutto que­sto tea­trino, que­sta tra­gi­com­me­dia umana che l’uomo descrive con così tanto com­pia­ci­mento. L’umanità è inna­mo­rata di se stessa. Bal­zac o Tol­stoi hanno già descritto mille volte e in modo magi­strale que­sto vissuto.

M. L. Clé­ment. – E quindi quale è la sua speranza ?

A. Makine. – Che que­sto ambito let­te­ra­rio subi­sca una dra­stica ridu­zione. L’umanità è pri­gio­niera dall’accelerazione dei tempi. Prima che appa­risse la tele­vi­sione, non c’erano altri mezzi in grado di ren­dere l’immediatezza del vis­suto socio-psicologico. Gli scrit­tori si sen­ti­vano come obbli­gati a foto­gra­fare il quo­ti­diano. Men­tre oggi, con le nuove tec­no­lo­gie, il mondo è descritto. Imma­gi­niamo per esem­pio il con­ta­dino di un tempo che abi­tava all’estremo con­fine della Sibe­ria, o all’estremo con­fine della Pro­vence o in qual­che angolo della pro­fonda pro­vin­cia fran­cese. Non aveva la pos­si­bi­lità di vedere l’immagine del mondo. Oggi que­sta imma­gine del mondo è ovun­que. E dun­que per­ché scri­vere di que­sto mondo? Un tempo, i romanzi erano dei mes­sag­geri. Vi si tro­vava il ren­di­conto del vis­suto col­let­tivo. Ma, oggi, c’è ancora biso­gno di que­sto? Ormai il nostro mondo è pieno di cose rima­sti­cate in per­ma­nenza, di que­sto vis­suto pic­colo bor­ghese e “peo­ple” come si dice oggi. Ogni tele­spet­ta­tore sa quale star si è fatta fare il botu­lino, si è fatta rifare le lab­bra per­ché siano più car­nose o si è fatta rifare il seno. Viviamo nell’immediatezza della vita di tutto il mondo. Tutto il mondo, gra­zie a Inter­net, è con­nesso a tutto. Dun­que, vede. Se ci met­tes­simo a cal­co­lare chi si con­nette, chi fa delle ricer­che, chi scrive, chi com­pone testi, sco­pri­remmo che la cosa riguarda metà della popo­la­zione, men­tre l’altra metà è impe­gnata a leg­gere tutte quelle cose. Siamo tutti immersi in que­sta bolla comu­ni­ca­tiva per­ma­nente che rende il romanzo d’intrattenimento per­fet­ta­mente inu­tile. Che, tut­ta­via, occupa il novanta per cento del pubblicato.

M. L. Clé­ment. – Non è neces­sa­rio, insomma. Allora devo fare ricorso a una diversa meta­fora. Nella musica clas­sica indiana si dice che le scuole musi­cali sono neces­sa­rie, anche se i talenti sono così medio­cri da non per­met­tere ai geni di nutrir­sene e di fiorirvi.

A. Makine. – Lo si è detto spesso a pro­po­sito dei gialli e dei romanzi di genere. Se lei oggi entra in libre­ria, tro­verà cin­que romanzi sulla vita che fanno i pro­fes­sori in Fran­cia, una doz­zina di romanzi cen­trati sull’attualità poli­tica, sul mondo del lavoro, sulla vita delle mino­ranze ecc. Que­sto è sem­pre esi­stito ed esi­sterà sem­pre e dun­que i miei discorsi si tra­du­cono in pii desi­deri. Ma resta il fatto che tutti que­sti pro­blemi sono già stati affron­tati dai gior­nali, dai repor­tage, in tele­vi­sione. E allora tanto vale leg­gere l’inchiesta pub­bli­cata da Flo­rence Aube­nas ( una gior­na­li­sta fran­cese rapita in Iraq nel 2005, che si è immersa per sei mesi nel mondo del pre­ca­riato per rac­con­tare una con­di­zione ampia­mente ignorata. NdT). Il suo libro è ben scritto, con un bel taglio gior­na­li­stico. Ma leg­gere il romanzo dello scrit­tore Rossi che ha inven­tato un mondo che cono­sce molto poco e che lui affa­bula com­ple­ta­mente o la signora Bian­chi che ha appena com­piuto vent’anni, ma ci descrive la Seconda Guerra mon­diale…

M. L. Clé­ment. – Let­te­ra­tura, insomma, non è descri­vere dei fan­ta­smi o per lo meno non è roman­zare il mondo.

A. Makine. – In nome di cosa? Roman­zare in nome di cosa!?

M. L. Clé­ment. – Bè, appa­ren­te­mente, se leggo Makine, leggo anche Makine che scrive di una guerra che non ha conosciuto.

A. Makine. – Indub­bia­mente.

M. L. Clé­ment. – Dun­que c’è un roman­zare un’idea o una conoscenza…

A. Makine. – Ecco ! Qual­cosa che pog­gia su una cono­scenza, su una testimonianza.

M. L. Clé­ment. – Sì, ma lei vuol dire, in que­sto modo, che ciò che è impor­tante non è ciò che si dice, ma il modo in cui si scrive?

A. Makine. – Certo, e così tor­niamo al punto di par­tenza. Il punto è che migliaia di romanzi sono scritti molto male. E non è nep­pur giu­sto dire che sono scritti male: sono scritti in modo piatto. Una scrit­tura che non con­duce da nes­suna parte; che si limita a con­sta­tare un certo numero di verità, che pog­gia su una imma­gi­na­zione abba­stanza medio­cre, su una realtà vista male, mal per­ce­pita, mal cono­sciuta… Una ragazza abita nel 16 arron­dis­se­ment e cono­sce un ragazzo che abita nel 6 arron­dis­se­ment. I due si amano, poi si dro­gano un po’, poi si lasciano e poi si ritrovano…A cosa serve? Che inte­resse ha? Sono cose che già vediamo coi nostri occhi. Ce lo pos­siamo inven­tare da soli. Sarebbe nient’altro che un sup­ple­mento di effetti sonori, in un mondo che già sta diven­tando sordo per il troppo rumore.

M. L. Clé­ment. – Infatti spe­ravo che lei mi spie­gasse che inte­resse può avere tutto que­sto. Ma secondo lei non ha alcun interesse.

A. Makine. – Oggi no! Come le dicevo prima, nel XIX secolo que­sto aveva l’utilità di un’illustrazione, era una cosa istruttiva…Prenda Octave Mira­beau, per esem­pio. Chi lo cono­sce più? Ha scritto dei romanzi socio­lo­gici sulla vita della Chiesa. A quell’epoca era impor­tante. Per­ché? Affron­tava argo­menti che non tutti pote­vano cono­scere ma, soprat­tutto, vista la man­canza di comu­ni­ca­zione di quel periodo, lui era un mes­sag­gero. Erano libri che con­tri­bui­vano a svi­lup­pare la coscienza del pub­blico rispetto a cose che altri­menti sareb­bero spro­fon­date nel silenzio.

M. L. Clé­ment. – Ma, oggi­giorno, non è neces­sa­ria una dif­fe­renza tra medium? Un conto è leg­gere tran­quil­la­mente e un altro venir som­mersi dalla tele­vi­sione, anche se l’argomento affron­tato è lo stesso. Se lei per esem­pio non ha la tele­vi­sione e non le piace Inter­net, le riman­gono almeno i libri. Non c’è una certa uti­lità, in questo?

A. Makine. – Indub­bia­mente. In ogni libro, anche nel più medio­cris­simo, si può tro­vare un intrec­cio carino, un modo di pre­sen­tare il per­so­nag­gio che è inte­res­sante ecc. Ma sono pic­cole gocce in un tale oceano di piat­tezza e di idio­zia che ogni uomo più o meno dotato può inven­tar­sele da solo. Non ha biso­gno di pas­sare attra­verso un romanzo.

M. L. Clé­ment. – D’accordo. Dun­que non pensa che que­sti romanzi, di una tale nullità…

A. Makine. – Deboli! Sono deboli! Abbiamo pochis­simo tempo. E se ne abbiamo da dedi­care alla let­te­ra­tura, dob­biamo leg­gere l’essenziale.

M. L. Clé­ment. – Non pensa che certi romanzi siano troppo dif­fi­cili per certe persone?

A. Makine. – Certo. E qui c’è un grande passo che gli scrit­tori devono com­piere. Biso­gna affron­tare que­sti inter­ro­ga­tivi, come la morte, l’amore, il Bene, il Male, al di là di ogni gergo filo­so­fico. La let­te­ra­tura è chia­mata a essere sen­suale, sen­si­tiva, car­nale, tan­gi­bile. Se non sa donare l’immagine imme­diata di tutti que­sti grandi temi, una pre­senza tan­gi­bile, la scrit­tura non vale niente…

M. L. Clé­ment. – La let­te­ra­tura, secondo lei, non deve descri­vere neces­sa­ria­mente la realtà, dun­que. Ma vi è pur sem­pre una parte roman­ze­sca, una parte d’invenzione…

A. Makine. – Non biso­gna nep­pure essere ecces­si­va­mente restrit­tivi. Ci sono ottimi romanzi che si basano su un fatto reale. E poi: il dik­tat della parola “realtà”. Non ho la pre­tesa di cono­scere La Realtà. La let­te­ra­tura è la ricerca del mondo reale, la cui visione ini­ziale deve venir supe­rata nell’atto dello scrivere.

M. L. Clé­ment. – Tor­niamo a una domanda più per­so­nale: scri­vere per lei è un pia­cere o una sofferenza?

A. Makine. – Ambe­due, di sicuro. Si prova sol­lievo, dopo aver ter­mi­nato di scri­vere un libro. Ci si dice: “Il mondo che ho creato esi­ste. Vive. Gli altri lo giu­di­chino come vogliono, ma esi­ste.” E’ un mondo che pos­siede la realtà delle opere increate, esat­ta­mente come, fatte le debite pro­por­zioni, ce l’ha una crea­zione divina.

M. L. Clé­ment. – Con­serva i suoi bro­gliacci? Una domanda troppo prag­ma­tica, temo.

A. Makine. – No. Butto via tutto. C’è molta spoc­chia, nel volerli con­ser­vare in archi­vio. Come sa, c’è que­sta pole­mica a pro­po­sito dell’ Ori­gi­nale di Laura. Nabo­kov amava le misti­fi­ca­zioni. Ha reci­tato per un paio di volte la com­me­dia dei mano­scritti bru­ciati, che sua moglie salva dalle fiamme. Era un attore e cono­sceva bene gli ingra­naggi della pub­bli­cità libra­ria. L’unico pro­blema è che si perde un sacco di tempo die­tro a que­sti gio­chetti. Si dovrebbe con­sa­crare tutto quel tempo alla let­te­ra­tura. Se potessi dare un con­si­glio ai miei col­le­ghi, direi che biso­gna fare di tutto per evi­tare di costruire il pro­prio per­so­nag­gio. Se viene creato a vostra insa­puta, tanto meglio o tanto peg­gio. Ma met­tersi lì a costruirlo, come ha fatto Nabo­kov con le sue farfalle…Sono cose troppo futili.

M. L. Clé­ment. – Per tor­nare alla sua scrit­tura. Quando lei si rilegge, taglia molto?

A. Makine. – Mi rileggo die­ci­mila volte. L’alba di ogni giorno ini­zia con una rilet­tura, con un ritorno più o meno pro­fondo verso ciò che mi sta davanti.

M. L. Clé­ment. – Pensa che cono­scere la bio­gra­fia d’uno scrit­tore sia utile per capire la sua opera?

A. Makine. (ride) – E’ obbli­ga­to­rio ! Uno scrit­tore, del resto, comin­cia a esi­stere solo quando un pro­fes­sore uni­ver­si­ta­rio scrive una sua buona bio­gra­fia. Fino a che que­sto non accade, non si è altro che una cri­sa­lide, un embrione. Dun­que, quando un grande pro­fes­sore uni­ver­si­ta­rio ha scritto una bella bio­gra­fia, e soprat­tutto quando i testi sono stati ben ben spie­gati gra­zie ai pen­sieri dell’autore, ecco che, forse, lo scrit­tore comin­cia ad avere qual­che pos­si­bi­lità di fare il suo ingresso nella poste­rità. Scherzo, naturalmente!

M. L. Clé­ment. – Pensa che, se un pro­fes­sore uni­ver­si­ta­rio si mette a spie­gare l’opera dello scrit­tore, com­pa­ran­dola con la sua bio­gra­fia, possa sco­prire cose che lo scrit­tore stesso ignorava?

A. Makine. – Certo. Anche se non dob­biamo mai dimen­ti­care una cosa. Tutte quelle magi­strali sco­perte non rim­piaz­ze­ranno mai la pro­fonda rive­la­zione del nostro essere che ogni let­tore ha il diritto di aspet­tarsi, da un libro.


Intervista realizzata da Marie Lucie Clément per Le Nouvel Observateur. Traduzione a cura della scuola creativa Rablé

Andrei Makine è nato nel 1957 in Rus­sia, ma vive da molti anni in Fran­cia (dove ha vinto il Premi Gon­court e il Pre­mio Medi­cis) e scrive in fran­cese. Oltre ai due libri già men­zio­nati, La donna che aspet­tava (Einaudi) e Il testa­mento Fran­cese (Mon­da­dori), in Ita­lia sono uscite altre sue opere presso l’editore Pas­si­gli (segna­liamo tra que­ste Il delitto di Olga Arbé­lina e Con­fes­sione di un alfiere decaduto)

2 commenti:

  1. Ma che bella intervista! grazie per averla proposta.
    Un caro saluto.
    Iraida

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  2. Grazie cara Iraida . Son contento che ti sia piaciuta,

    f.

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