27/10/19

Poesia della Domenica - "Felicità" di Raymond Carver




Felicità 

Talmente presto che fuori è ancora quasi buio.
Sto alla finestra con il caffè
E le solite cose della mattina presto
Che passano per pensieri.
A un tratto vedo il ragazzo e il suo amico
Venire su per la strada
Per consegnare il giornale.
Portano il berretto e il maglione
E uno la borsa a tracolla.
Sono così felici
Che non dicono niente, questi ragazzi.
Mi sa che se potessero, si prenderebbero sottobraccio.
Il mattino è appena sorto
E stanno facendo questa cosa insieme.
Avanzano lentamente.
Il mattino si fa più luminoso,
anche se la luna pende ancora pallida sul mare.
Una tale bellezza che per un attimo
La morte e l’ambizione, perfino l’amore
Non riescono a intaccarla.
Felicità. Arriva
Inaspettata. E va al di là, davvero,
di qualsiasi chiacchiera mattutina sull’argomento.



Raymond Carver, da Orientarsi con le stelle, Minimum Fax



26/10/19

Sabato d'Arte: Il "Fregio" della Casa di Gauguin nelle Isole Marchesi conservato al Museo d'Orsay di Parigi



Paul Gauguin trascorse gli ultimi mesi della sua vita a Atuona, nelle isole Marchesi. 

L'artista decorò la porta della grande capanna su palafitte di legno di palma e bambù, che fu anche la sua ultima dimora, con un insieme di pannelli scolpiti direttamente su misura, nel legno di sequoia.

I tre pannelli orizzontali recano iscrizioni che rivelano la ricerca di una primitiva età aurea che occupò l'artista fino alla fine della sua vita: la capanna si chiama, con un intento provocatorio, "Casa del Piacere", mentre i due pannelli del basamento sembrano specificare le condizioni di questo eden: "Siate misteriose" e "Siate innamorate e sarete felici ".



I nudi e i busti femminili che illustrano queste massime, figure massicce e serene, sono scolpiti in intagli grossolani ed efficaci, mischiati ad animali e piante.

La sensuale semplicità di questo tipo di decorazione segna la nascita di un'estetica "primitivista" che, nel XX secolo, conoscerà brillanti sviluppi con Matisse, Derain, Lhote e Picasso.

I pannelli della "Casa del Piacere" di Gauguin sono oggi conservati al Museo d'Orsay di Parigi, mentre sul frontone della  capanna delle Isole Marchesi sono state apposte delle copie.



Paul Gauguin (1848-1903) 
Basso rilievo in legno della Casa del Piacere 1902 
Bassorilievo policromo di legno di sequoia 
Cm 284 x 732 
Musée d'Orsay


25/10/19

Arriva il Michelangelo di Andrej Konchalovskij ! Il film che è stato girato nelle cave originali del Monte Altissimo.




Verrà proiettato in anteprima mondiale, come evento speciale di chiusura della XIV Festa del Cinema di Roma, domenica 27 ottobre 2019,  il film di Andrei Konchalovsky “Il Peccato - il Furore di Michelangelo” (Sin)

Il film, una produzione Andrei Konchalovsky Studios, Jean Vigo Italia e Rai Cinema, uscirà in Italia il 28 novembre, distribuito da 01 Distribution. 

Le riprese del film sono iniziate sul Monte Altissimo il 28 agosto 2017 nelle cave di Henraux, le stesse che furono scoperte da Michelangelo nel 1517. 

Per la produzione le cave dovevano soddisfare una serie di requisiti: dovevano comprendere un ampio piano di lavoro con una prospettiva verso l’infinito; essere in prossimità un terreno scosceso, su cui Michelangelo in scena doveva arrampicarsi, e rendere possibile l’ambientazione di una via di lizza, un percorso rudimentale attraverso il quale il marmo veniva trasportato a fondo valle.

Il regista cercava uno spazio lunare, affascinante e impervio che restituisse il senso della fatica cui erano sottoposti i cavatori. 

Nel film le montagne di marmo dovevano apparire simili alla fisionomia del tempo, così le cave del Monte Altissimo - che Michelangelo aveva esplorato e scelto per la qualità del suo marmo statuario 500 anni fa - sono divenute l’unica grande location in cui sono stati rinvenuti tutti gli ambienti previsti in sceneggiatura. 

 Dopo una ricerca durata otto anni, il Maestro Konchalovsky mette in scena un Michelangelo inedito, un uomo pieno di difetti che si cela dietro il genio incomparabile e che in pochi conoscono. Un racconto cinematografico per rappresentare la sua proverbiale terribilità che allude sia all'impetuoso tormento del suo carattere - modesto e vanitoso, stravagante e misantropo, avaro e generoso, violento, permalosissimo e intransigente - sia all'altezza sublime e inarrivabile della sua arte

 IL PECCATO si dispiega su un preciso periodo della vita di Michelangelo raccontato attraverso la lente visionaria e immaginifica di Konchalovsky. 

Uno sguardo privo di patine accademiche o mitizzazioni agiografiche ma capace di restituire il sapore di un’epoca e una versione tutt'altro che addomesticata del Rinascimento. 

La produzione ha infatti interpellato una serie di consulenti ed esperti che hanno offerto il loro contributo in modo che tutte le scelte artistiche avessero un riscontro storico, per le soluzioni scenografiche e gli oggetti di scena, per i costumi, ma anche per le musiche, le acconciature e il trucco.

Perché ogni scena doveva avere il sapore della vita vera. “Non voglio vedere ritratti nell'inquadratura. Ho bisogno di gente con abiti sporchi, pieni di sudore, vomito, saliva. L’odore deve passare attraverso lo schermo e arrivare allo spettatore.” 

Questo l’intento di Konchalovsly. Fra gli apporti degli esperti al lavoro del Maestro Konchalovsky è stato fondamentale quello di Costantino Paolicchi, autore di Michelangelo. Sogni di marmo che racconta l’avventura di Michelangelo sul Monte Altissimo, fra i primi testi che Konchalovsky ha letto per la preparazione del film, ed è stato Costantino Paolicchi ad accompagnare il regista anni fa nelle cave di Seravezza. 

“Sono particolarmente onorato di aver ospitato il Maestro Konchalovsky, gli attori, i tecnici e l’intero staff di produzione nelle nostre cave sul Monte Altissimo. – ha dichiarato Paolo Carli, Presidente di Henraux Spa e della Fondazione Henraux – Essere parte di un progetto culturale di così grande levatura internazionale ha reso orgogliosi tutti gli uomini e le donne di Henraux che avranno l’opportunità, insieme ad un pubblico mondiale, di avere una visione storica ed emozionante delle nostre cave. In questi luoghi, scoperti proprio da Michelangelo, è stato emozionante vedere come le scene si scolpissero nella pellicola per rivelare un ritratto inedito di Michelangelo secondo la straordinaria visione di Konchalovsky che racconta l’umanità più profonda del genio del Rinascimento”. 

Paolo Carli ha sottolineato come la messa a disposizione delle cave per un progetto come questo faccia parte della mission dell’Azienda che affonda le sue bicentenarie radici nella storia, nell’architettura, nell’arte e oggi anche nel design internazionale. 

I personaggi ed interpreti principali del film sono: Michelangelo, Alberto Testone; Peppe, Jakob Diehl; Pietro; Francesco Gaudiello; Sansovino, Federico Vanni; Raffaello, Glenn Blackhall; Marchese Malaspina, Orso Maria Guerrini; Marchesa Malaspina, Anita Pititto; Francesco Maria Della Rovere, Antonio Gargiulo; Papa Giulio II, Massimo De Francovich; Papa Leone X, Simone Toffanin.




24/10/19

Spunta da uno scavo a Roma la "Tomba della Pellegrina" !





La sepoltura di una giovane donna, con accanto la tipica conchiglia dei pellegrini e una moneta databile tra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo. E' la nuova scoperta annunciata dalla Soprintendenza speciale di Roma. 

"Un ritrovamento che ci svela un pezzo della vita medievale della citta'", commenta la soprintendente Daniela Porro. 

Si tratta di un ritrovamento casuale, avvenuto durante gli scavi per la sostituzione delle tubature Italgas in via del Governo Vecchio, in pieno centro storico

Si tratta, spiegano gli archeologi, di due diversi contesti funerari. Nel primo sono stati ritrovati due scheletri, quello della giovane donna con la conchiglia e quello di un uomo sui 30-40 anni. 

Il secondo e' un'area cimiteriale con muretti divisori a ridosso di un grande muro in opera laterizia che presenta diverse fasi. Al suo interno diverse sepolture, tutte , sembra, riconducibili all'epoca medievale. 

Le conchiglie rinvenute accanto agli scheletri, spiegano dalla Soprintendenza, "portano ad ipotizzare un cimitero destinato ai pellegrini e realizzato lungo la via Papalis, la strada che da San Giovanni conduceva a San Pietro". 


Nel primo contesto funerario, sotto le due sepolture dell'uomo e della giovane donna, raccontano gli archeologi, "Sono stati trovati due ossari chiusi con tegole antiche (una reca un bollo di epoca traianea), riutilizzate in epoca successiva. Le sepolture sono compromesse da precedenti lavori e non sono presenti elementi di corredo funerario con l'eccezione di una moneta di bronzo accanto alla donna databile tra la fine dell'XImo e il XIImo secolo, e di altri frammenti di conchiglie". 

Il secondo deposito individuato, particolarmente danneggiato da interventi moderni, e' un'area cimiteriale "con muretti divisori a ridosso di un grande muro in opera laterizia che presenta diverse fasi e assimilabile ad analoghe strutture documentate all'interno dell'adiacente Oratorio dei Filippini.

Le sepolture sembrerebbero tutte riconducibili all'epoca medievale. Le conchiglie rinvenute accanto agli scheletri sono della specie Pecten jacobaeus conosciute anche con il nome di capesante; sono infatti caratterizzate dalla presenza di due fori per appenderle alla tipica collana indossata inizialmente dai devoti in viaggio per Compostela e successivamente da tutti i pellegrini". 

Le sepolture sono probabilmente pertinenti alla Chiesa medioevale di Santa Cecilia a MonteGiordano, la cui prima attestazione risale al 1123 e che venne demolita nella prima meta' del XVII secolo per fare spazio alla costruzione dell'Oratorio dei Filippini completato da Francesco Borromini.

Gli scavi archeologici si sono conclusi venerdi' 18 ottobre con la chiusura del cantiere. I materialirinvenuti sono in fase di studio e potranno fornire ulteriori informazioni ed elementi per la datazione.

23/10/19

Libro del Giorno: "La casa di psiche" di Umberto Galimberti



Il saggio di Galimberti, uscito per la prima volta nel 2006 e più volte ristampato, è un affascinante viaggio nella storia della filosofia, dai greci a Nietzsche e Heidegger e del suo complesso rapporto con la psicologia e con le psicologie, scienze relativamente molto più giovani della filosofia, che hanno affrontato l'esplorazione della psiche, fermandosi impotenti di fronte alla ricerca di un senso per l'esistenza umana. 

Le scienze psicologiche infatti non possono oltrepassare il problema ontologico che soggetto della ricerca psicologica è proprio la psiche, che è anche oggetto del medesimo studio. 

La psicologia cioè non può andare oltre se stessa, e se si ragiona sulla sofferenza determinata dalla irreperibilità di un senso, l'unica risposta può arrivare dalla filosofia, che sin dal suo sorgere non ha mai esitato a mettere in questione il mondo, che oggi è rappresentato dalla tecnica, vera dominatrice tirannica delle nostre vite contemporanee che concepisce l'uomo soltanto come mezzo e lo getta nel deserto dell'insensatezza.

Dunque, nel corso delle dense 460 pagine, Galimberti ricostruisce le origini romantiche della psicoanalisi e l'obiezione fondamentale di Nietzsche con la ragione come equilibrio delle passioni. 

Seguono capitoli incentrati su Lacan, su Nietzsche e la nostalgia dell'innocenza, su Jung e la Psicoanalisi, con lo studio della dimensione simbolica nella pratica analitica e la polisemia del simbolo nella concezione di Jung e un bellissimo capitolo dedicato al simbolismo in astrologia (Storia e destino). 

E ancora, l'approccio fenomenologico di Husserl, Bisnwanger e l'analisi esistenziale, la psicologia come arte, e un commovente capitolo dedicato a Genio e Follia, con incursioni nelle biografie e nelle psicologie di Strindberg, Van Gogh, Holderlin e Rilke

Poi, Galimberti affronta la carenza sistematica della medicina e del suo totale fraintendimento del corpo, con i due volti della malattia, e gli equivoci generati dalla concezione fondamentalista della medicina (che Galimberti chiama superstizione scientifica). 

L'apertura alla filosofia, come rimedio e oltrepassamento della psicopatologia, passa attraverso il pensiero di un gigante come Karl Jaspers che va alle radici stesse del pensiero filosofico e alla filosofia come ricerca e pratica di vita.

Nell'ultima parte infine Galimberti affronta la condizione tragica dell'esistenza e i suoi preziosi antidoti, rintracciati nella giusta misura, nel concetto di limite, nella cura  e nella conoscenza di sé, nell'arte di vivere, nella virtù: valori già contrassegnati dal pensiero dei padri greci e oggi bisognosi di un ripensamento che Galimberti fa approdare nel concetto del nomadismo dell'etica, nell'etica cioè del viandante, che non vive inconsapevolmente accumulando esperienze, ma che, al contrario, valuta con responsabilità gli accadimenti della propria vita, non oltrepassando il limite e dando una misura a se stesso.

Fabrizio Falconi

Umberto Galimberti
La casa di psiche
Feltrinelli, Milano 2006
Pagine 460
Euro 15,00

21/10/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. Qualcuno volò sul nido del cuculo (One flew over the cockoo's nest) di Milos Forman, USA (1975)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. Qualcuno volò sul nido del cuculo (One flew over the cockoo's nest) di Milos Forman, USA (1975)


Qualcuno volò sul nido del cuculo (One Flew Over the Cuckoo's Nest) è un film diretto da Miloš Forman tratto dal romanzo omonimo da Ken Kesey (una delle firme oggi ritenute tra le più importanti più originali e importanti della letteratura americana degli anni '50-'60) pubblicato nel 1962.

La storia è com'è noto, incentrata su RP McMurphy (Jack Nicholson), internato in un ospedale psichiatrico per fuggire dalla prigione dopo essere stato accusato di stupro su un minore, il quale sarà gradualmente toccato dall'angoscia e dalla solitudine dei pazienti.

Con la sua forte personalità, si oppone rapidamente ai metodi repressivi dell'infermiera Ratched.

Nel titolo originale in inglese, il termine "cuculo", che ha come primo significato l'uccello del cuculo, indica anche in gergo una persona mentalmente disturbata, come i pazienti dell'ospedale psichiatrico in cui si svolge la trama.

Randall P. McMurphy sviluppa un comportamento ambiguo per sfuggire alla prigione, fin quando non viene valutato per la sua salute mentale, dopo essersi occupato delle "terapie" del capo infermiere, la autoritaria e cinica Miss Ratched, che cerca rapidamente di sfidare.

Il temperamento allo stesso tempo irruento e gioviale di McMurphy fa presto in modo che altri internati diventino consapevoli della libertà che gli viene negata. Allo stesso tempo McMurphy presto capisce che entrando volontariamente nell'ospedale potrebbe aver perso quella libertà per sempre.

Comincia a fare amicizia con alcuni degli internati, in particolare con il "Capo", un colosso amerindio nativo che tutti credono sordo e muto, che appare morbido e pacifico nonostante il suo aspetto colossale.

McMurphy conduce pian piano gli altri pensionanti alla ribellione e li conduce alla disobbedienza, organizzando addirittura un giro in autobus intorno all'area per andare a pescare su una barca. e corrompendo la guardia per riuscire a far entrare due amici nel reparto. Fino a una festa durante la quale l'alcool scorre liberamente.

Al mattino, Miss Ratched trova uno degli internati, il giovane Billy, in un letto con una delle giovani donne. Miss Ratched riesce a far sentire Billy così in colpa che si suicida proprio quando McMurphy sta per scappare.

Di fronte alla tragedia, quest'ultimo cambia idea e decide di vendicare Billy, cercando di strangolare Ratched, che ritiene responsabile per la morte del giovane.

La reazione dell'ospedale è durissima e viene deciso di lobotomizzare McMurphy.

Il "Capo" , dopo il trattamento, lo trova diventato del tutto insensibile; Non vedendo alcuna soluzione, la soffoca per evitare di farlo vivere in questo stato per il resto della sua vita. Quindi, in una finale e metaforica scena di "liberazione", strappa un'enorme fontana d'acqua e la lancia su una vetrata recintata, eseguendo il piano che McMurphy aveva proposto per evadere, all'inizio del film, senza avere abbastanza forza per realizzarlo.

"Capo", quindi fugge sulle montagne circostanti.

Il film era nato da una idea di Kirk Douglas che aveva acquistato i diritti del libro di Ken Kesey, pensando di adattarlo al cinema, ma l'argomento del film e il contenuto drammatico gli aveva impedito di trovare finanziamenti.

Nel 1966 durante un tour di beneficenza, Kirk Douglas aveva incontrato Miloš Forman a Praga dove aveva scoperto i film del giovane talentuoso regista ceco. Pensò quindi di affidargli l'adattamento cinematografico e prometté di inviargli il romanzo. Ma Miloš Forman non ricevette mai il libro che viene intercettato al confine e Kirk Douglas pensò che il regista non fosse interessato.

Ma dopo la primavera di Praga nel 1968, Miloš Forman andò in esilio negli Stati Uniti e diresse il suo primo film americano, Il decollo. Nel frattempo, Michael Douglas aveva ripreso il progetto di adattamento cinematografico che suo padre Kirk aveva avuto un decennio prima: Kirk Douglas si fa avanti per interpretare McMurphy.

Quando finalmente Miloš Forman riceve il romanzo, è entusiasta: "Per te, questo libro è letteratura, ma per me è vita! Ho vissuto questo libro. Il Partito Comunista era la mia infermiera Ratched 2 ! "

Il film resta uno dei più forti e dirompenti della cinematografia americana e internazionale.  Vinse 5 premi Oscar e 6 Golden Globe più innumerevoli altri riconoscimenti in tutto il mondo.

E con il passare degli anni non ha perso la sua forza rivoluzionaria, e niente della sua perfezione stilistica, dovuta alla maestria e al talento puro di Milos Forman e a un cast fenomenale, azzeccato in ogni personaggio, in ogni singolo caratterista.

Qualcuno volò sul nido del cuculo
(One flew over the cockoo's nest)
di Milos Forman
con
Jack Nicholson, Louise Fletcher, William Redfield, Billy Bibbit, Will Sampson, "Chef" Bromden, Danny DeVito, Christopher Lloyd, Taber Sydney Lassick 
Durata 134 minuti
USA, 1974 





17/10/19

"Le storie sono come falò nelle caverne" - Murakami in Italia


"Se con le storie che ho scritto sono riuscito, anche solo un pochino, a illuminare gli angoli oscuri di tante caverne in tanti posti del mondo, e se potessi continuare a farlo d'ora innanzi, non ci potrebbe essere per me gioia piu' grande". 

Chiude cosi' la sua lezione magistrale lo scrittore giapponese Haruki Murakami, uno dei piu' grandi autori della narrativa mondiale, vincitore della sezione La Quercia del Premio Lattes Grinzane 2019.

Ad ascoltarlo al Teatro Sociale di Alba - una inedita apparizione pubblica in Italia, dove non era mai venuto per ricevere un premio - ci sono 900 persone, tra le quali il presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio, i due traduttori italiani Giorgio Amitrano e Antonietta Pastore e molti studenti. 

La scena e' particolare perché il palco è al centro tra l'ala vecchia e quella nuova del teatro, aperte entrambe per l'occasione. Il titolo della lezione è 'Un piccolo falo' nella caverna', un richiamo agli uomini della preistoria che si radunavano attorno al fuoco per ascoltare o raccontare delle storie in grado di tenere lontane la fame e le paure. 

E' la magia del narrare. 

"Nei romanzi siamo discendenti dei narratori nella caverne" e scrivere serve "a illuminare gli angoli oscuri di tante caverne in tanti posti del mondo. Le storie sono come dei piccoli falo'", dice Murakami che legge in giapponese con traduzione simultanea in italiano. Racconta come nascono i suoi libri, da anni in testa alle classifiche.

"Le storie affiorano in modo del tutto spontaneo. Cose che emergono in maniera naturale dal profondo di me, come l'acqua sotterranea sgorga in superficie diventando una fonte". spiega lo scrittore. Nel teatro, mentre parla, c'e' un religioso silenzio. 

"Per uno scrittore e' fondamentale sentirsi libero, provare un sentimento di solidarieta' con i lettori. Non stabilisco un piano prima di iniziare un nuovo romanzo - racconta Murakami - nella maggior parte dei casi comincio col buttare giu' alcune pagine. In questa fase non ho quasi idea di quale sara' la trama della storia, non ci ho ancora pensato. Ma non ha importanza, basta che descriva le scene e le immagini che si formano nella mia testa man mano che si manifestano"

A Murakami, di cui Einaudi ha appena pubblicato l'ultimo libro Assolutamente musica, piace scrivere di getto su fogli di carta che conserva nel cassetto. 

Molti brani "fermentano felicemente", altri "restano dimenticati li' dentro", ma e' impossibile saperlo a priori. 

Occorre fare del tempo il proprio alleato: "A me piace creare le storie liberamente, senza avere in testa un progetto. Procedo incalzato dalla curiosita' di sapere come andra' a finire. E sono convinto che anche i lettori andranno avanti, una pagina dopo l'altra, per trovare risposta alla stessa domanda 'E poi cosa succede?' Se l'autore, fin dall'inizio, stabilisse la trama e il finale, scrivere un romanzo non sarebbe affatto divertente"

Murakami vuole non sentirsi "legato da una qualsivoglia scaletta, dalla logica o dall'abitudine, non essere limitato dalla necessita' di preservare l'armonia del progetto". 

L'importanza di sentirsi liberi e' uno degli insegnamenti della musica, spiega Murakami che da giovane ha gestito per tanti anni un Jazz bar: libera improvvisazione, importanza del ritmo e nella misura del possibile una bella melodia che animi la scrittura. Murakami, nonostante i milioni di fan nel mondo, e' schivo, riservato, non vuole foto ne' riprese video mentre legge il suo testo. E al termine della lezione non si concede al firma-copie. Il pubblico pero' lo ama e lo dimostra con la standing ovation finale.

Fonte: Amalia Angotti per ANSA

15/10/19

Libro del Giorno: "Bugie e altri racconti morali" di J.M.Coetzee




Il nuovo libro di J.M. Coetzee appena pubblicato dai Supercoralli di Einaudi è una raccolta di sette racconti sette (alcuni consistenti di pochissime pagine), che si riduce a una novantina di pagine e rappresenta probabilmente un bottino piuttosto modesto (considerando anche il prezzo del volume, 15 euro) per i numerosi appassionati della letteratura del Premio Nobel sudafricano (ricevuto nel 2003). 

E però, c'è da dire subito, la qualità di Coetzee, la sua qualità di scrittura e la sua qualità morale (visto che egli stesso definisce nel titolo della raccolta questo appellativo per i sette racconti) è sempre altissima.  Anzi, il tono estremamente distillato di questi racconti, ha il pregio di rendere ancora più nitida, essenziale, la prosa di Coetzee. 

Di cosa parlano questi racconti ?

Una donna che va e torna dal lavoro in bicicletta, ogni giorno facendo la stessa strada, avverte tutta la ferocia del mondo nel ringhiare di un cane che puntuale la minaccia. Provata da questa quotidiana, ingiustificata esplosione di violenza decide di bussare alla porta dei padroni del cane: ma negli esseri umani troverà una violenza ancora piú profonda e impenetrabile di quella animale. Una madre e nonna, in cui i lettori di Coetzee riconosceranno Elizabeth Costello, decide nel giorno del suo sessantacinquesimo compleanno di accogliere figli e nipoti con un taglio alla moda e i capelli tinti di un biondo sgargiante. Poi ancora Elizabeth, qualche anno piú avanti, che vive ritirata in una casa nella campagna spagnola. Sola con i suoi gatti e l’amara consapevolezza che a regolare la vita non sia tanto l’amore quanto il dovere. E infine suo figlio, che la va a trovare per cercare di farle accettare la verità ultima, quella da cui, a un certo punto, non potrà piú nascondersi… 

Sette storie esemplari dunque, che hanno l’asciuttezza della parabola e l’intensità della rivelazione, J. M. Coetzee affronta tutti i temi della sua letteratura: il rapporto tra l’umano e l’animale, l’ipocrisia che cela l’ingiustizia, l’universale bisogno di perdono. 

Sono «racconti morali» perché non sono mai moralisti, e alla consolazione di una «morale della favola» oppongono sempre il turbamento del dubbio

14/10/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. "La Famiglia" di Ettore Scola, Italia (1987)


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. "La Famiglia" di Ettore Scola, Italia (1987)


Dal punto di vista del professore in pensione Carlo, il percorso a ritroso, attraverso memorie, nostalgie e lacrime e sorrisi, della storia di una buona famiglia italiana di ceto medio da 80 anni in movimento, iniziata con il battesimo di Carlo nel 1906, quando la sua famiglia posa per un ritratto comune per il fotografo.

Zie, zii, cugini e fratelli - vivono tutti in un grande appartamento a Roma, dove si può godere ancora l spensieratezza della Belle Époque . Ma poi inizia la prima guerra mondiale e i tempi cambiano.

Il nonno, il patriarca della famiglia, muore e Carlo e suo fratello Giulio litigano regolarmente. 

All'inizio dei suoi vent'anni, Carlo è già professore di letteratura, come lo era suo nonno. Si innamora della pianista Adriana, ma alla fine ne prende in sposa la sorella Beatrice, una decisione che rimpiangerà per anni.

Anche se la generosa Beatrice è una buona moglie e una madre amorevole dei suoi figli, Carlo interiormente desidera sempre Adriana, rimesta negli stessi ricordi, specula mentalmente su ciò che poteva essere e non è stato, cerca nuove possibilità, nuovi incontri, ma sempre indeciso sul da farsi.

Col passare degli anni, i singoli membri della famiglia attraversano la Seconda Guerra Mondiale , il difficile periodo postbellico, il boom economico; si provano amore, amicizia e delusioni; si aspettano figli, ci si affligge per i defunti.

E il teatro è sempre l'appartamento di Carlo, dove le anime si incontrano, stanno insieme e si dividono, quasi fosse essa stessa un essere vivente. Dopo la morte di Beatrice, Carlo realizza di aver probabilmente sposato la donna giusta.

Non sarebbe stato contento di Adriana, perché nonostante l'amore passionale, la loro unione sarebbe stata eternamente combattuta, una eterna competizione, fatta di sfide, di gelosie e sofferenze.

Per il suo ottantesimo compleanno nel 1986, l'intera famiglia si riunisce per celebrare il compleanno di Carlo. I suoi figli, i suoi nipoti, suo fratello Giulio e anche Adriana sono venuti e ora posano con Carlo in mezzo a loro per una nuova foto per l'album di famiglia.

La grande saga della famiglia di Ettore Scola, che si svolge per otto decenni esclusivamente nella casa della famiglia, uscì il 22 gennaio 1987 in Italia. Il film ottenne successo in tutto il mondo e fece incetta di premi, tranne di quello più importante, l'Oscar.

Con pura maestria, nell'ambiente privato rappresentato, Ettore Scola dipinge lo sfondo di un mondo interpretato e messo in scena con attenzione alle singole psicologie, e ai rapporti familiari, in continuo contrasto tra aspirazioni personali e legami di sangue.  La struttura della famiglia, e delle sue dinamiche virtuose e patologiche, forse non è mai stata così bene illuminata, nella storia del cinema, risultando La Famiglia, un  grande affresco o un prisma in cui nascita e morte, felicità e dolore si alternano costantemente al cambiamento della società, come colori prodotti da una medesima fonte d'origine.


La Famiglia
di Ettore Scola
Italia, 1987
Con Vittorio Gassman, Stefania Sandrelli, Fanny Ardant, Carlo Dapporto, Ottavia Piccolo, Jo Champa, Massimo Dapporto, Athina Cenci, Alessandra Panelli, Monica Scattini, Memè Perlini, Ricky Tognazzi, Philippe Noiret, Sergio Castellitto, Cecilia Dazzi, Dagmar Lassander.
Durata 162 minuti


13/10/19

Poesia della Domenica - "Ah! Quante cose perdute" di Pedro Salinas


(X)  Ah! Quante cose perdute
che perdute non erano.
Tutte le serbavi tu.
Minuti grani di tempo,
che portò via un giorno il vento.
Alfabeti nella spuma,
che un giorno il mare travolse.
Io li credevo perduti.
E perdute le nubi
che pretendevo fermare
nel cielo
fissandole con occhiate.
E l’allegria alta
dell’amore, e l’angoscia
di non amare abbastanza,
e l’ansia
di amare, di amarti, di più.
Tutto perduto, tutto
nell’essere stato un tempo,
nel non esistere più.
E allora tu sei venuta
dal buio, radiosa
di giovane pazienza profonda,
agile, perchè non pesava
sui tuoi fianchi snelli,
sulle tue spalle nude,
il passato che tu,
così giovane, portavi per me.
Ti guardavo alla luce dei baci
vergini che mi hai dato,
e tempi e spume
e nubi e amori perduti
furono salvi.
Se da me fuggirono un giorno,
non fu per morire
nel nulla.
In te contiinuavano a vivere.
Ciò che io chiamavo oblio
eri tu.
Pedro Salinas 



12/10/19

Sabato d'Arte: "L'omelia di San Giovanni Battista" di Jan Brueghel



Il meraviglioso dipinto è conservato al Kunstmuseum di Basilea, acquisito con fondi dal legato Rudolf Bleiler ed è una copia (eseguita dopo il 1565) di Jan Brueghel (il giovane) dello stesso soggetto dipinto dal padre, Pieter Bruegel (il vecchio) e conservato attualmente a Budapest. 

La data proposta da Klaus Ertz per la datazione dell'immagine di Basilea nel 1598 risulta dalle partite con la replica designata e datata intorno al 1598 a Monaco anche dalla mano Jan Brueghel.

Le versioni di Jan Brueghel sono leggermente più grandi del modello del padre nella parte superiore dell'immagine e mostrano corrispondentemente un più cospicuo fogliame.



Omelia di Giovanni Battista 
Jan Brueghel (il giovane) (Bruxelles 1568-1625 Anversa)
copia da Pieter Bruegel 
intorno al 1598
Olio su legno di quercia114,6 x 165,2 cm
Non firmato

11/10/19

Lasciarsi. Da "Cieli come questo" di Fabrizio Falconi





Il venerdì seguente Giorgio partì per il congresso nazionale del sindacato, in programma per tre giorni a Torino.
Isabella si organizzò. Annunciò a Lorenzo che dovevano assolutamente vedersi, quella sera stessa.
“ Brutte notizie ? “
Lei non rispose. E non disse niente nemmeno quando lo passò  a prendere con la macchina in una piazza del centro dove si erano dati appuntamento.
Lorenzo salì con la sua aria sorridente, percependo l’atteggiamento ostile di lei. 
Arrivarono in un posto subito fuori dalla tangenziale, chiamato Monte Antenne. Al termine della breve salita alberata, Isabella parcheggiò nel grande spiazzo dove altre coppie si appartavano in macchina, coi vetri appannati.
Spense il motore.
“ Che c’è ? Che è successo ?" chiese il ragazzo, sforzandosi di continuare a sorridere.
“ Cosa viene in mente al tuo amico ? “ disse subito lei, aggressiva, “ chiamare mio marito... per cosa poi ? Per proporre un seminario di Sri Rajakrishna patrocinato dai... sindacalisti. Ma dico, ma come gli viene in mente una cosa del genere, è ammattito?”
“ Stai calma, io non ne sapevo niente. Me lo ha detto solo a cose fatte.  E’ stata una sua idea, ne avevamo già discusso e a me pareva una stronzata. Valdemar lo sai com’è fatto, che c’entro io?“
“ E’ semplice. E’ un tuo amico. Dovresti vigilare su di lui. “
“ Ma che dici ? Io non sono il suo tutore. Stai scherzando, spero... Vigilare, vigilare su cosa ?  E perché, poi ? Cosa è successo di tanto grave ? “
“ Certo, niente per te è grave, tu vivi così, tu sei... completamente fuori. Non sai nemmeno cos’è la vita… “
Lorenzo rise amaro:
“ Già, infatti. E tu invece. Tu per fortuna lo sai... “
“ Esistono delle responsabilità. “
Il ragazzo voltò la testa dall’altra parte.
“ Questa parola mi fa orrore, “ disse, “ anzi meglio, non mi fa orrore la parola, mi fa orrore il mondo in cui la pronunciate. E’ il paravento dietro il quale nascondete il vostro lato oscuro, le vostre debolezze. “
“ Perché parli al plurale ? A chi ti riferisci ? Faccio parte di una categoria ? “ Isabella cercava il suo sguardo.
“ Non ti ho mai messo in una categoria, se è questo che intendi. Forse l’hai fatto tu con me. “
Lei per un po’ non rispose. Disegnò un triangolo col dito sulla condensa formata all’interno del parabrezza.
“ Lorenzo, io non ti amo, “ disse alla fine, “ io amo un altro uomo. So perché succedono queste cose, e lo sai anche tu, succedono per mille motivi... Si scambia per amore, ... Si fraintende… Ogni tanto piace a tutti far finta che le cose stiano così. Ma è solo finzione. Io mi fermo qui. “
“ Cosa è l’amore per te ? “ chiese Lorenzo gelido.
“ Che vuol dire ? Io Giorgio lo amo da ventitré anni. So di amarlo. “
“ Lo sai ? Buon per te. Perché invece mi sembra così difficile dirlo. Io non lo dico mai. Ci puoi arrivare solo  per sottrazione.“
“ Cioè ? “
“ Quando sei sicuro di aver tolto ogni artificio, ogni resistenza, ogni negazione dentro di te. “
“ Lorenzo tu vivi in un mondo irreale, inventato. Non è la realtà. E poi non sei sincero, quel giorno, a Bagno Vignoni anche tu hai parlato di amore… Cosa volevi dire se non che mi amavi  ? ”
“ Io ti ho solo detto di essere innamorato. Era una constatazione. Amare non è quello che tu pensi: lo squalifichi al prezzo più triste. Congiunzione carnale, attrazione, convenzione, contratto. Niente di tutto questo. “
“ Straparli. Fai distinzioni di comodo. Io ti dico cose concrete e tu non ascolti neanche. Così diventa tutto difficile. “
Lorenzo guardava fuori dal finestrino. Fece un sospiro, poi disse, come se parlasse da solo:
“ Io so che tu mi ami. L’ho sempre saputo. “
Isabella aprì lo sportello della macchina e scese, incamminandosi per la discesa buia. Lorenzo, dopo qualche secondo, la seguì, le corse dietro, la afferrò per un braccio. Lei si voltò di scatto:
“ Non sai nulla. Non sai quello  che dici. “
“ Dimmi una parola sola. Dimmi quella parola che non riesci a dire. Ma dimmela ora. Solo ora puoi dirmela, “. Isabella non l’aveva mai visto così: sembrava un folle, un invasato, i fari di una macchina gli illuminarono gli occhi in un  lampo.
“ Vattene via. “
“ Quella parola vera. Solo quella mi serve. “
“ Sei solo un povero esaltato. “
Si liberò dalla morsa della sua mano, tornò indietro, salì in macchina e partì con una sgommata.
Lorenzo rimase lì, mentre la macchina gli sfrecciava davanti.
Si accovacciò per terra, poi dopo un po’ si incamminò su per la salita, lungo  il sentiero che conduceva in cima alla collina, dove c’erano i ripetitori. Mucchi di spazzatura, muriccioli sbrecciati, pieni di scritte, profilattici per terra.
Si affacciò dal parapetto, da cui si scorgeva la città illuminata. Pensò alla sua vita, e alle altre vite che scorrevano lì sotto, nel fiume della tangenziale.
Poi guardò in alto, e così, senza un motivo preciso, gli affiorarono sulle labbra alcune parole: “ Mi affido comunque. Mi affido alle tue mani generose. “



Tratto da Fabrizio Falconi, Cieli come questo, Fazi Editore, Roma, 2002 (in edizione Kindle 2014)

09/10/19

Canova a Roma: Una grande mostra a Palazzo Braschi



Prendere in mano un candela per cercare, con la sua luce fioca e fragile, la perfezione delle forme, la leggerezza dell'armonia e la profondità del sentimento ripercorrendo i gesti di un maestro insuperato: c'e' anche questa tra le suggestioni offerte dalla grande mostra "Canova. Eterna bellezza", in programma a Palazzo Braschi dal 9 ottobre al 15 marzo. 

A cura di Giuseppe Pavanello, l'esposizione indaga il lungo e proficuo rapporto che tra '700 e '800 lego' il grande scultore veneto alla citta' di Roma attraverso ben 170 opere - del maestro e di artisti a lui contemporanei - distribuite in 13 sezioni. 

Sculture in marmo ma anche disegni, bozzetti, modellini e gessi si susseguono nelle sale del museo, per ripercorrere gli itinerari che Canova segui' con l'obiettivo di conoscere Roma e coglierne i misteri. 

Del resto quella tra l'artista, miglior interprete degli ideali di bellezza di Winckelmann, e la citta', dove egli giunse nel 1779 all'eta' di 22 anni, fu davvero una storia d'amore, fatta di ispirazione e ammirazione, studio e impegno, domande e risposte finalmente trovate, accanto alla conquista di una bellezza che raggiunge la perfezione: una relazione affascinante, che il percorso puo' raccontare anche grazie a importanti prestiti, come quelli provenienti dall'Ermitage di San Pietroburgo, dai Musei Vaticani, dai Musei Capitolini, dal Museo Correr di Venezia, dal Museo Archeologico di Napoli e dall'Accademia Nazionale di San Luca e la Gypsotheca e Museo Antonio Canova di Possagno che insieme con il Comune di Roma, Arthemisia e Ze'tema hanno collaborato alla realizzazione del progetto. 

Da non perdere, l'omaggio, al termine della mostra, che Mimmo Jodice ha voluto offrire allo scultore: due sale in cui, attraverso 30 scatti d'autore, i marmi di Canova vengono riletti in modo inedito, per esaltarne la maestosita' ma anche l'emozione e il dinamismo. 

"E' la prima volta che Canova e Roma si sposano in una mostra", ha detto il curatore Pavanello, che ha voluto porre l'attenzione anche "su cio' che non si vede, ossia i tanti restauri fatti per questa occasione" e sulla particolarita' dell'allestimento, con "alcune opere che si trovano su supporti girevoli e la possibilita' di osservare le sculture anche a lume di candela, perche' era cosi' che Canova voleva si guardassero"

Dalla nascita del nuovo stile tragico al rapporto con la Repubblica Romana, dal legame con l'Accademia di San Luca all'impegno nella difesa del patrimonio dopo la nomina a Ispettore delle Belle Arti nel 1802 fino alle ultime opere realizzate a Roma, sono tanti i temi che la mostra indaga, primo fra tutti la volonta' di Canova di far rinascere l'antico con il moderno e plasmare il moderno attraverso l'antico: se nei tanti gessi esposti questo appare smorzato, nei marmi la forza dell'arte canoviana si esprime nella sua totale pienezza, come dimostrano i tre gioielli provenienti dall'Ermitage, la Danzatrice mani sui fianchi, il Genio della Morte e l'Amorino alato, perfetti nella loro bellezza immortale.

08/10/19

Quando Costantino incontrò Silvestro sul Monte Soratte


La donazione di Costantino negli affreschi medievali alla Basilica dei Ss. Quattro Coronati a Roma

Quando Costantino incontrò Silvestro, sul Monte Soratte 
    
       
     Circa venti chilometri più a nord di Malborghetto il panorama della campagna di Roma è  dominato, lungo il tracciato della via Flaminia dalla imponente mole del monte Soratte, un massiccio calcareo di circa 700 m. dai pendii molto ripidi che si staglia in modo inconfondibile  sulla sottostante valle del Tevere .

      Visibile da grandi distanze, e addirittura anche da Roma nei giorni di cielo particolarmente limpido,  il Soratte ha, nel corso dei secoli, fornito una notevole varietà di reperti archeologici che ne attestano la frequentazione umana sin dai primordi.

      E’ stata con ogni probabilità proprio la sua peculiare morfologia a stimolarne l’utilizzo come luogo di culto da parte di antiche popolazioni come i Sabini prima,  e poi Falisci, Capenati, Etruschi, fino ai  Romani. 

      Ed è ancora oggi molto semplice constatare come – dopo aver percorso l’antico sentiero che parte dal villaggio di Sant’Oreste - dalla sua vetta si possa godere di un incredibile campo visivo a 360° che permette di spaziare nei giorni di nitidezza da un lato fino al mare, e dall’altro fino alle vicine vette dell’Appennino Sabino, alla valle del Tevere, al lago di Bracciano, e perfino ai confini di Roma.  

     Ma soprattutto il Soratte si evidenzia subito come un naturale osservatorio celeste.   Dalla sua cima, infatti, di notte è possibile ammirare la volta celeste senza ostacoli che ne limitino la visione. E di sicuro fu proprio questa peculiarità a giustificarne l’utilizzo sacrale sin dai tempi più remoti. Anche oggi, per chi visiti questo luogo, specialmente di notte,  si realizza la suggestiva sensazione di trovarsi proiettati verso il cielo, come se ci si trovasse sul vertice di una piramide.
     
       Ed è facile intuire come,  dopo l’incomparabile visuale di cui si poteva godere durante le ore di luce, al calare delle prime ombre della notte fino al sorgere di una nuova alba,  lo spettacolo del cielo stellato e dei suoi moti si prestasse in modo del tutto naturale  alla funzione di divinazione delle cose umane, in base agli eventi astronomici che si scorgevano nel cielo;  o ad accompagnare la scansione del tempo per le preghiere notturne.
      Come abbiamo detto, questa circostanza favorì l’edificazione di un certo numero di edifici sacri, sin dagli albori dell’umanità.  L’ultimo in ordine di tempo, nell’era della nostra indagine, fu un tempio dedicato a Soranus Apollo. Si trattava non di un particolare appellativo di Apollo, ma di  una divinità che in epoca imperiale ne congiungeva due diverse: Apollo, appunto, e Sorano, al quale si associava un culto pagano in quei luoghi.

       Una suggestiva ricostruzione  virtuale del Tempio di Apollo è stata realizzata dai prof. Marco e Alberto Carpiceci dell’Università di Roma, i quali, sulla base di rilievi topografici, analisi delle proporzioni architettoniche, e reperti archeologici,  hanno sostenuto che tale tempio fosse strettamente legato al culto del dio sole, proprio quel sol invictus, cioè  al quale era assai devoto il futuro – e per il momento ancora pagano - imperatore Costantino.
    
     Sulle  fondamenta di questo antico tempio di Apollo, fu poi edificato, a partire dal sesto secolo dopo Cristo, un nuovo edificio che oggi – come nell’antichità – è conosciuto come Eremo di San Silvestro, che ancora oggi fa splendida mostra di sé sulla cima della montagna sacra.  Il nome di questo eremo – oggi una Chiesa sottoposta a numerosi e recenti restauri  - ha resistito nei secoli ed è presto spiegato: all’epoca della discesa di Costantino verso Roma, viveva infatti in eremitaggio, sulla cima del monte Soratte, l’episcopo Silvestro, personaggio destinato ad avere un ruolo di primissimo piano  nella edificazione della chiesa di  Roma divenendo il trentatreesimo Papa,  e nel processo di cristianizzazione dell’Impero, voluto da Costantino.

  
L'eremo di San Silvestro sulla cima del Monte Soratte, oggi

    Ricostruire con esattezza la figura e il profilo biografico di Silvestro è impresa oggi piuttosto ardua, perché le scarne notizie su di lui sono fornite solo dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine, dal Liber Pontificalis e da altre fonti apocrife o leggendarie come l’Actus Silvestri, un documento databile IV-V sec.  di paternità ignota del quale si trova menzione per la prima volta nel Decretum Gelasianum anche questo di attribuzione controversa.

     Quel che sappiamo è che Silvestro, la cui data di nascita è ignota, era figlio di un certo Rufino, romano, e probabilmente di una certa Giusta. Divenuto presbitero,  Silvestro divenne il rappresentante di quella parte dei cristiani rimasta ostile a Massenzio.  L’usurpatore  dapprima impedì per anni l’elezione del Vescovo, poi favorì l’elezione di Milziade, un presbitero nordafricano ritenuto fedele alla sua causa che però non fu riconosciuto da Silvestro e dalla sua fazione.   Il mancato sostegno a Milziade suscitò l’ira di Massenzio che minacciò a tal punto Silvestro da costringerlo a fuggire nella capitale e a nascondersi nei territori vicini.
   
     Ai fini del nostro discorso, è importante comunque sottolineare che fu proprio l’Actus Silvestri ad ispirare, parecchi secoli più tardi, e precisamente nel Duecento, uno dei capitoli di quel testo su cui torneremo molto più diffusamente in seguito, quando parleremo di Piero della Francesca e della sua versione del Sogno di Costantino, e cioè La Leggenda Aurea,  di Jacopo da Varagine.    In questa famosissima opera, destinata a segnare la storia delle credenze cristiane per molti secoli, il frate domenicano, vissuto nel Duecento descrive effettivamente un incontro tra Silvestro e Costantino, anche se lo colloca non sul Monte Soratte ma a Roma, parecchio tempo dopo la battaglia di Ponte Milvio.  Secondo Jacopo, infatti, l’incontro avvenne dopo il 313, quando Silvestro già divenuto papa, si era dovuto rifugiare sul monte Soratte con tutto il clero romano a causa delle persecuzioni iniziate da Costantino. Questi, secondo il racconto di Jacopo,  per punizione divina si era ammalato di lebbra e i suoi sacerdoti lo avevano consigliato, per guarire, di bagnarsi in un catino riempito da sangue di fanciulli. L’imperatore però si impietosì al pianto delle madri e decise di risparmiare il sacrificio di quegli innocenti ricevendo come  premio in sogno, il consiglio da parte dei santi Pietro e Paolo, di richiamare Silvestro dal suo eremitaggio. I due apostoli dissero anche a Costantino che Silvestro gli avrebbe indicato la fonte giusta nella quale immergersi tre volte per essere guarito. Suggestionato da questo sogno, al risveglio Costantino mandò dei messaggeri da Silvestro per chiedere un immediato incontro a Roma. Silvestro accettò, fu condotto al cospetto di Costantino e dopo aver mostrato all’imperatore una effige raffigurante i due apostoli (che Costantino riconobbe come quelli visti in sogno)  lo guarì, immergendolo nelle acque del Battesimo, in un fonte che una tradizione perdurante identificò nei secoli nel Battistero Lateranense, i cui resti archeologici sorgono al fianco della Basilica di San Giovanni a Roma.

      Ed è il caso di ricordare che proprio questa guarigione miracolosa ispirò intorno all’VIII sec. dopo Cristo, ad opera di un chierico romano, la cosiddetta Constitutum Constantini ovvero la Donazione di Costantino, quella formidabile invenzione medievale per giustificare il potere temporale della Chiesa , secondo la quale l’Imperatore grato per la guarigione, nella circostanza dell’incontro con il capo della chiesa cristiana di Roma,   avrebbe concesso in cambio al papa Silvestro I e ai suoi successori il primato e la sovranità su Roma, l'Italia e l'intero Impero Romano d'Occidente

Tratto da B. Carboniero, F. Falconi, In Hoc Vinces, Edizioni Mediteranee, Roma 2011



07/10/19

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. Un Americano a Parigi ("An American in Paris") di Vincent Minnelli, 1951


Questo blog dedica, ad appuntamenti fissi - ogni lunedì e ogni venerdì - un catalogo personale dei miei 100 film da salvare "alla fine del mondo".  Non saranno ovviamente vere e proprie recensioni, ma un piccolo campionario degli affetti per queste opere che hanno segnato epoche e vite di molti, se non di tutti. 

100 film da salvare alla fine del mondo: 42. Un Americano a Parigi ("An American in  Paris") di Vincent Minnelli, 1951

Vincitore di 6 Oscar e di innumerevoli altri premi in tutto il mondo, nell'anno di grazia 1951, nella piena euforia del dopoguerra, Un americano a Parigi (An American in Paris), diretto da Vincente Minnelli, celebrò il trionfo del musical, che accordava la joie de vivre con la formale perfezione della tradizione del balletto e delle musiche americane.

Il film prende infatti nome dall'omonimo poema sinfonico di George Gershwin, contenuto nelle musiche dell'opera insieme al Concerto in fa, dello stesso Gershwin. 

La trama, esile quanto basta diede modo di esprimere il meglio al talento apollineo di Gene Kelly e a quello della sua partner, l'esordiente francese Leslie Caron. 

A Parigi, nel secondo dopoguerra, si ritrovano vicini di casa due americani: Jerry è un pittore mentre Adam suona il piano. Il duo, rinforzato da Henri, un cantante francese grande amico di Adam, esegue alcuni numeri nel caffè sottostante. Henri confessa felice all'amico di aver incontrato la donna della sua vita e di essere sul punto di sposarsi. 

Jerry, intanto, prepara una mostra dei suoi quadri, finanziato da Milo Roberts, una ricca americana. Incontra Lise, una giovane orfana francese, che non gli rivela niente di sé stessa. La ragazza è ingenua ma vitale e Jerry non può fare a meno di innamorarsene.

Lascia Milo e si ripromette di dichiarare il suo amore a Lise. Al ballo delle Belle Arti, annuale appuntamento durante il quale si dovrebbe coronare il sogno dei due giovani, Lise rivela a Jerry il suo segreto: durante la seconda guerra mondiale, poiché i suoi genitori erano nella resistenza, era stata affidata alle cure di un uomo che si è occupato di lei anche dopo. In pratica quest'uomo le ha salvato la vita rischiando la propria e con il tempo è nato un sentimento che dovrebbe portarli all'altare. Quell'uomo è Henri. Jerry e Lise perciò si lasciano. La notte d'incanto sta finendo. 

Dall'alto di una terrazza, Jerry la vede giù in strada che sta per andarsene su un taxi con l'amico. Ma Henri, resosi conto che la ragazza accetterebbe di sposarlo solo per gratitudine, la lascia libera. Dal balcone, Jerry vede finalmente Lise che corre su per le scale verso di lui.

In una trama così concatenata, Vincent Minnelli ebbe modo di intrecciare i temi fondamentali dell'epoca: la riscoperta dell'Europa, liberata finalmente dall'incubo nazista, le ferite della guerra dalla parte degli occupati e da quella dei liberatori; la rinascita della vita bohèmienne, della creatività artistica, dopo gli anni di buio, l'emancipazione del modello femminile che finalmente cominciava a uscire dai cliché (Nina Foch incarna il ruolo della ricca mecenate, Leslie Caron quello della giovane che riesce a liberarsi del suo passato). 

Minnelli regista e Kelly ballerino-cantante-attore-coreografo, costruiscono non solo un capolavoro del cinema, ma un'opera composita che figura benissimo nell'arte del Novecento. Naturalmente è determinante la musica di George Gershwin che compose forse la sua più importante sinfonia, fatta apposta per far brillare le prerogative del cinema. Tutte le canzoni (cantate oltre che da Kelly anche dallo "chansonnier" Paul Guétary, idolo parigino) sono classici indimenticabili.

Un Americano a Parigi 
(An American in Paris)
Regia di Vincente Minnelli. 
Usa 1951 
con Nina Foch, Gene Kelly, Leslie Caron, Oscar Levant, Georges Guétary, Mary Young. 
durata 105 minuti.