10/10/18

L'amore calpestato.





Lo invochiamo sempre, ma quando l'amore arriva, non si è quasi mai all'altezza. 

Regna nell'animo umano una spinta cieca, distruttrice, che quasi mai riesce a resistere alla tentazione di arginare, profanare, umiliare, dissipare quel che è puro e che non si sa gestire, vivere naturalmente, felicemente. 

Si allontana da sé l'amore, come fosse un reietto, e ci si dilegua in mare aperto come un naufrago, sentendosi inutili protagonisti. 

Lo si allontana in spregio a quanto dice Pound: "Quel che ami veramente, rimane" e a quanto aggiunge Simone Weil: "I beni più preziosi non devono essere cercati ma attesi come dono".

L'uomo è fondamentalmente stupido.

Preferisce comunque, con ebbrezza, la rovina di una cosa, alla cosa.

Dimenticando la lezione della vita breve, della vita che è importante. Perdiamo l'amore di chi ci ama, perdiamo le cose che non sappiamo coltivare e non sappiamo nemmeno apprezzare, come dono immeritato.




Spunta una Colonna dei tempi di Erode con la scritta: "Gerusalemme" !




Una rara scritta in caratteri ebraici del nome esteso di Gerusalemme (Yerushalaim) incisa su una pietra cilindrica e' stata scoperta l'anno scorso da archeologi israeliani all'ingresso occidentale della citta' e presentata oggi alla stampa.

"E' estremamente raro trovare in reperti di quell'epoca la scrittura completa del nome di Gerusalemme" ha osservato l'archeologo Ilan Baruch. "Inoltre e' molto emozionante imbattersi in caratteri chiaramente decifrabili oggi da qualsiasi bambino israeliano", ha aggiunto il direttore del Museo Israele, prof Ido Bruno. 

Alta quasi un metro e lavorata in apparenza all'epoca del re Erode, la pietra era stata asportata dall'edificio originale e riutilizzata poi per la costruzione di un edificio romano

Il testo e' in aramaico e contiene la dicitura: "Hanania figlio di Dodlos di Gerusalemme"

Secondo gli archeologi e' presumibile che Hanania fosse un artigiano del posto e che 'Dodlos' fosse un riferimento di ossequio alla figura di Dedalo. 

09/10/18

Libro del Giorno: "Bartleby lo scrivano e altri racconti" di Herman Melville.



Tornano, in nuova e bellissima edizione, nella traduzione di Alessandro Roffeni, 5 racconti di Herman Melville, tra cui il famosissimo Bartleby, pubblicato per la prima volta nel 1853 sul "Putnam's Monthly Magazine", due anni dopo il clamoroso insuccesso si Moby Dick che, uscito nel 1851, non portò al suo autore né vendite né riconoscimenti. 

Prossimo alla rovina finanziaria e dopo che un incendio aveva distrutto molte copie dei suoi libri nella sede della casa editrice di New York, Melville a 33 anni avvertiva la propria carriera di scrittore già volta al termine.

Eppure, non interruppe del tutto la sua produzione, tornando a lavorare in solitudine ai racconti e a L'uomo di fiducia, l'ultimo romanzo (pubblicato nel 1857) che avrebbe visto le stampe mentre l'autore era in vita, cioè fino al 1911, anno della morte di Melville. 

Lo scrittore dunque decise, pochi anni dopo averlo creato, di imitare il suo Bartleby, il protagonista del suo celebre racconto: come lo scrivano "preferisce" non scrivere più scegliendo in pratica il suicidio, così lo scrittore deluso - come scrive Alessandro Roffeni  nella nota alla traduzione - "preferisce anch'egli sottrarsi allo sguardo dei lettori, scegliendo di suicidarsi come figura pubblica".

Anche Melville terminerà i suoi anni da vecchio brontolone: come uno dei personaggi di questi racconti. 

Rileggere oggi Bartleby ci fa apprezzare ancora di più il manifesto esistenziale di Melville, quello di un rifiuto sostanziale e radicale dei meccanismi di complicità e di sottomissione su cui si basa la società civile.  Ma una lettura ancora più attenta, oggi, ci aiuta a sfrondare questo gigantesco racconto dalla prosopopea "politica" che gli è stata attribuita nel corso dei decenni: quella cioè di un semplice proclama a favore della disubbidienza (politica).  In realtà il finale patetico del racconto, con la "voce" raccolta dal narratore, a proposito del misterioso Bartleby prima del suo apparire sulla scena, prima perciò di essere assunto a servizio come scrivano dall'avvocato-narratore, ci illumina sul fatto che Bartelby è sostanzialmente un tragico deluso dalle cose del mondo: la sua occupazione (precedente) all'ufficio postale delle "lettere smarrite" (vero colpo di genio di Melville), ci fa intuire che Bartleby  ha sperimentato grazie a quel surreale impiego, l'inutilità di ogni cosa - passioni, interessi, faccende, litigi, ecc.. - umana.  Tutte quelle cose incompiute e perse, mai consegnate, mai recapitate, mai portate a termine, suggellano il fallimento di ogni aspettativa umana.  

La sua protesta dunque - "preferisco di no" - è dunque una ribellione nei confronti della condizione umana tout-court piuttosto che una ribellione/rivendicazione sociale. 

Meno fulminanti, ma ugualmente magistrali sono gli altri quattro racconti presenti nel volume: Il tavolo di melo, dove il narratore è un uomo sconvolto dall'apparizione di un elemento misterioso e inesplicabile:  il rumore di un ticchettio proveniente da un vecchio tavolo in legno di noce trovato in una soffitta, dal quale scaturirà un insetto meraviglioso; anche in Io e il mio camino si parla di mistero, perché c'è chi vuole sondarlo, violarlo e metterlo a nudo: cioè un presunto scomparto segreto nel vecchio camino della casa, che invece l'anziano proprietario vuole difendere a ogni costo; infine ne Il violinista e in Jimmy Rose Melville torna sui temi del successo e del fallimento e della decadenza, di cui i due rispettivi protagonisti sono in diversi modi l'incarnazione.

Si tratta comunque di cinque perle di grande valore, che meritano di essere riscoperte e ammirate nuovamente. 

08/10/18

Quanto amore c'è in una passione ? Umberto Galimberti.




Il matrimonio è l'impresa più difficile che si possa intraprendere, perché in ciascuno di noi c'è un conflitto tra il nostro bisognodi "individuazione" e il nostro bisogno di "coesione", che sono tra loro in un rapporto inversamente proporzionale, perché a un aumento di individuazione corrisponde una diminuzione di coesione e viceversa. 

Se il bisogno di individuazione raggiunge una sua maturità e si emancipa dal tratto infantile di chi vuol essere semplicemente diverso dagli altri fino al punto di assumere un atteggiamento reattivo nei confronti degli altri, e se il bisogno di coesione compie lo stesso processo di maturazione, emancipandosi dal bisogno simbiotico con l'altro che ricalca il rapporto infantile che ciascuno di noi ha avuto con la madre, allora ci sono le condizioni per un felice matrimonio e una sua lunga durata, garantita dal fatto che ciascuno dei due ha bisogno dell'altro per lo sviluppo delle rispettive potenzialità. 

Tutti capiscono che una condizione del genere è un'opera d'arte.

E non tutti siamo artisti, anche se non sarebbe male che ciascuno, prima di unirsi in matrimonio, esaminasse con cura di che natura è il suo bisogno di individuazione e il suo bisogno di coesione. 

A differenza che in passato quando la famiglia, le condizioni di ceto o di classe, le condizioni economiche, le leggi dello Stato, le norme del diritto, i precetti della Chiesa avevano una notevole influenza sulla scelta matrimoniale, oggi questa scelta è del tutto individuale, come se l'amore, rispetto a tutte le leggi che governano la nostra quotidianità, reclamasse una sua assoluta autonomia e non riconoscesse altra autorità che non sia la propria decisione soggettiva. 

Ma se le cose stanno così, allora quell'esaminare se stessi prima di inaugurare una vita in comune con un'altra persona assume una rilevanza ancora maggiore. Soprattutto se questo essere padroni assoluti della propria scelta si vincola all'essere padroni assoluti della propria felicità. 

In questo caso se la felicità è misurata esclusivamente sull'intensità della passione (e questo non è difficile da riconoscere), allora è ovvio che il matrimonio, oltre a non prevederlo come una scelta irrevocabile, diventa come scriveva Tolstoj "un inferno". 

Ma la passione è l'unico modo in cui si può declinare l'amore?

La passione come diceva Stendhal "non è cieca, è visionaria". E di visione in visione si può arrivare anche all'allucinazione. E' vero che senza idealizzazione non nasce nessun amore, ma non dobbiamo dimenticare che la passione ci rende passivi, perché è lei a condurci in quella condizione caratterizzata dal "patire l'altro", mentre l'amore non si accontenta di "patire" perché vuole agire, e perciò col tempo rifiuta di declinarsi sul solo versante della passione, trascinato dalla discontinuità delle sue oscillazioni. 

E rifiutandosi di subire, l'amore crea, come un artista, la sua opera d'arte. 

Se poi l'opera d'arte non riesce e la relazione si chiude, ascoltiamo i consigli di James Hillman che ci invita ad evitare la vendetta che è una risposta emotiva che non emancipa la coscienza, a non cadere nel cinismo che nega il valore dell'altro che un tempo avevamo sopravvalutato, e ci induce a concludere che i grandi amori sono per gli ingenui.  Non ridicolizziamo i sentimenti più profondi per evitare di vergognarci di averli un giorno provati.  Ed evitiamo infine di diventare paranoici pretendendo da un nuovo amore che dovesse sorgere, prove di devozione, giuramenti di mantenere la promessa, dichiarazioni di fedeltà eterna. 

La fedeltà in sé non è un valore.

Un valore è l'amore, perché quando si è innamorati non c'è bisogno di imporsi alcuna forma di fedeltà.

Umberto Galimberti, da Lettere a Galimberti, D di La Repubblica 29 settembre 2018, p. 126

Il nuovo libro, "Nessun pensiero conosce l'amore", è pronto. Già in spedizione per chi lo ha ordinato.


I libri sono arrivati in Casa Editrice  e sono bellissimi !

Sono in partenza e tra qualche giorno arriveranno alle destinazioni. Grazie mille a chi li ha acquistati in prevendita ! Mancano ancora 2 giorni per i ritardatari. Il link per ordinare  è sempre lo stesso: 

https://internopoesialibri.com/libro/nessun-pensiero-conosce-lamore/

07/10/18

Poesia della Domenica - "Distacco" di Evgenij Evtusenko.


Distacco

Chissà da dove
approdava un soffio
di fresca estate
tra il lungo gemito dei respingenti
e i secchi contraccolpi delle ruote,
e a un tratto - un dialogo:
"Indovina, amico mio, indovina
che ragazza ho incontrato!
Se solo potessi fare amicizia,
conoscerla meglio,
rivederla almeno una volta..."
"Ma piantala con queste assurdità!
Ma dove credi che la rivedrai?"
"La rivedrò"
"Ma davvero pensi che la ritroverai?"
"La ritroverò"
Ascoltavo, come una corda vibra al suono;
come un'eco, ascoltavo
le confidenze di sconosciuti.

Scusate.
Anch'io lasciavo qualcuno,
anch'io mi separavo
dalla mia ragazza.
Sì, mia brava ragazza,
che senso
ha lamentarsi perché ci attende
un nuovo disagio,
una nuova inquietudine?
Non te ne vai forse anche tu?
Ma tu, soltanto,
da una stazione diversa per diversa strada...
Non m'importa che la gente
di casa
dica di me:
"Quando si stancherà,
alla fine,
di ripartire, di andar lontano, sempre ?..."
Si, andarmene lontano, questo per me ci vuole,
correre col treno,
rotolare con la neve,
incontrarti di nuovo
e poi di nuovo -
via! partire.
A ogni nuova separazione,
sempre più ti avvicini.
A te
io vengo
per sentieri di cerca.
"Ma dove credi che la rivedrai?"
"La rivedrò!"
"Ma davvero pensi che la ritroverai?"
"La ritroverò!"


Evgenij Evtusenko
tratta da: Poesie, Traduzione di Alfeo Berdin, Garzanti 1970, p. 10.


05/10/18

Pompei non finisce mai di stupire: Spunta "La casa del Giardino Incantato"!



Un grande larario vegliato da beneauguranti serpenti, un pavone che fa capolino nel verde, fiere dorate che si battono contro un cinghiale nero come i mali del mondo. E poi ancora cieli baluginanti di cinguettanti uccellini, un pozzo, una vasca colorata, il ritratto di un uomo-cane


Visitato in esclusiva dall'ANSA, eccolo l'ultimo tesoro di Pompei: un giardino incantato, "una stanza meravigliosa ed enigmatica da studiare a fondo", spiega il direttore del Parco Archeologico, Massimo Osanna.




03/10/18

Torpignattara e le Spoglie di Elena. Una storia millenaria.




Torpignattara e le spoglie di Elena.

I romani di oggi, perfino quelli che abitano in quel popoloso quartiere, ignorano che il nome Tor Pignattara deriva da quella torre cilindrica, oggi in stato di semi-abbandono, e quasi invisibile passando su quel tratto della Via Casilina (al terzo miglio di quella che una volta si chiamava via Labicana e il cui tracciato è ai tempi odierni limitato alla zona di San Giovanni), nell'interno della quale, per lungo tempo, hanno riposato le ossa di Elena, la madre dell’imperatore Costantino, artefice, insieme al figlio e al Papa Silvestro della cristianizzazione dell’impero e dunque anche di Roma.

Sul luogo dove fu edificato il Mausoleo dedicato ad Elena, sorgeva un tempo il sepolcreto dei cosiddetti equites singulares, il corpo dei potenti cavalieri che tra le altre funzioni militari svolgevano anche il ruolo di proteggere la persona dell’imperatore. 

Una teoria, piuttosto ben accreditata, vuole che sia stato proprio Costantino a decidere la distruzione di quel sepolcreto, come vendetta per l’appoggio che gli equites avevano concesso all’imperatore Massenzio, schierandosi al suo fianco nella Battaglia di Ponte Milvio.

Alla morte della madre di Costantino, nel 328 d.C., l’imperatore scelse dunque questo luogo, nella località chiamata Ad duas lauros, per l’edificazione del Mausoleo a lei dedicato.

Elena, infatti aveva avuto un ruolo importantissimo nella vita dell’Impero e in particolare nello sdoganamento della religione cristiana.

In mancanza di fonti precise, si presume che Elena sia nata in una cittadina della Bitinia, chiamata Drepanum (più tardi ribattezzata da Costantino Heliopolis, ovvero città del Sole, in sua memoria)  nel 248 o 249 d.C.

Elena partorì Costantino quando aveva ventiquattro o venticinque anni. I genitori di Elena gestivano un albergo, titolo che le valse, soprattutto da parte dei detrattori di Costantino, il titolo di stabularia (addetta alle stalle), qualcosa che non era molto lontano dal termine di prostituta.

Sant'Elena 

Gli storici non sanno con esattezza, ma suppongono che Elena abbia incontrato Costanzo Cloro (padre di Costantino) in questo albergo, e che lo abbia seguito come concubina, come si usava all'epoca,  fino a Naisso, dove nacque il futuro imperatore.

Di come questa donna si sia potuta trasformare da stabularia alla magna femina di cui parla il vescovo Ambrogio non molti anni dopo (395), si è molto scritto nei secoli, nella ristrettezza di fonti storiche certe: le notizie su Elena, comunque già esigue, diventano infatti nulle dal 289 (anno in cui viene allontanata dal marito, Costanzo, il quale sposerà per ragioni di rango Teodora, figlia di Massimiano), fino al 306, quando Costantino viene proclamato imperatore a York, e colma la madre, sua madre, fino a quel punto dimenticata, di onori, ma sembra certo che la Elena abbia accompagnato il figlio in tutti i suoi spostamenti.

Anche nelle cronache seguenti il 306, comunque, in tutti i racconti su Costantino imperatore, le sue conquiste, le sue difficoltà, i suoi grandiosi progetti, le sue realizzazioni, le notizie su  Elena restano poche e frammentarie, a parte il suo essere proclamata Augusta nel 324.

E ben poche sono le notizie riguardanti il famoso viaggio di Elena in Terra Santa, durante il quale, secondo il racconto della tradizione, guidata dallo Spirito Santo, Elena rinvenne addirittura la Sacra reliquia della Croce, e il luogo esatto della morte di Cristo, ovvero la collinetta del Golgota, presso Gerusalemme, dove fu edificato, per ordine del figlio Costantino, la Basilica del Santo Sepolcro, che ancora oggi è su quel luogo.


Quel che si sa è che questo viaggio ebbe luogo sicuramente dopo il Concilio di Nicea (325 d.C.) e che Elena morì poco dopo il suo ritorno.   

Qualche storico ha messo in relazione, in modo suggestivo, questo viaggio di Elena con il suo desiderio di espiazione di un rimorso collegato ad una vicenda molto oscura: un vero thrilling, un dramma familiare di corte esploso nel 326, quando Costantino fece uccidere il figlio di primo letto Crispo, per poi uccidere con le sue mani la moglie Fausta, con la quale l'imperatore era sposato da 19 anni, annegandola nell’acqua bollente. 

Sembra dunque che Elena, in questo dramma possa aver recitato una figura importante (forse riferendo al figlio ciò che accadeva in sua assenza, ovvero l'esistenza di una relazione tra Fausta e il suo figliastro Crispo ?).  Motivo che avrebbe dunque generato quel desiderio di espiazione, all'origine del viaggio.

Tre anni dopo Elena morì a Treviri, in Germania, verso la fine del 328.   

Il suo corpo per volere del figlio imperatore, fu inumato in un magnifico sarcofago di porfido rosso (oggi nei Musei Vaticani),  e poi sepolto nel Mausoleo fatto costruire sulla Via Labicana, che Costantino aveva originariamente immaginato per sé.


L’edificio a pianta circolare, è costituito da due cilindri sovrapporti, con diametri giganteschi, quello interno di venti metri e quello esterno di ventotto, per un altezza che in origine era di quasi ventisei metri.

All’interno, il cilindro assume poi una forma ottagonale con nicchie e finestre ad arco, che ricordano vagamente la struttura di Castel del Monte, in Puglia.

Il nome dato alla costruzione deriva, oltre che dalla forma dell’edificio, dalle anfore vuote (dette in modo popolare pignatte)  che furono inserite per alleggerire il peso della cupola e che a causa del crollo della cupola sono oggi ben visibili.

In una di queste nicchie, probabilmente quella di fronte all'ingresso, era ospitato il sarcofago in porfido rosso di Elena. 

Il sarcofago di Elena ai Musei Vaticani

Le spoglie della madre dell’imperatore rimasero comunque in questo luogo soltanto per ottocento anni. Attualmente i resti di Elena sono conservate in un'urna di porfido nella Cappella di Elena o Cappella Santa,  in Santa Maria in Aracoeli, dove furono traslati nel 1140.

Sacello di Sant'Elena nella Basilica dell'Ara Coeli


Fabrizio Falconi


L'uomo e la donna in amore - Maupassant.



Qualunque sia l'amore che li unisce, per quel che concerne l'animo e l'intelligenza, l'uomo e la donna restano sempre estranei uno all'altra, due belligeranti, di razza diversa; deve sempre esserci chi domina e chi è dominato, un padrone e uno schiavo; una volta l'uno, una volta l'altro; non sono mai, comunque, sullo stesso livello. 


 Maupassant , La Buche.

02/10/18

Libro del Giorno: "L'anulare" di Yoko Ogawa.




La fama di Yoko Ogawa, nata a Okoyama nel 1962, si è rapidamente diffusa in occidente, dopo che in patria ha vinto tutti i principali premi letterari con brevi e intensi romanzi come Una perfetta stanza d'ospedale (2009) o questo L'anulare, pubblicato nel 1994 e tradotto in Italia da Adelphi nel 2007. 

La scrittura della Ogawa, perfetta e levigata e piena d'ombra, come le stanze delle antiche case giapponesi (si ricordi Elogio dell'Ombra di Tanizaki), in sole 100 pagine allestisce la quinta metafisica di un misterioso laboratorio immerso nel verde al limite della città, ex educandato, dove sono rimaste a vivere solo due ormai vecchie ex alunne.   In questo luogo sospeso nel tempo e nello spazio, la Ogawa fa muovere due personaggi, una giovane protagonista e il signor Dashimaru, che è il direttore del laboratorio e che la assume come assistente, segretaria. 

Solo il signor Dashimaru ha accesso al laboratorio sotterraneo dove vengono confezionati gli esemplari: si tratta di oggetti dal particolare valore affettivo che diverse persone si presentano per far conservare.  Così la ragazza scopre lentamente che le teche delle stanze del laboratorio sono colme degli oggetti più disparati: tre piccoli funghi, gusci di tartarughe, ombrelli, ossa di uccelli, perfino parti perdute del proprio corpo. 

Anche la giovane apprendista, neoassunta, nel suo lavoro precedente ha perso qualcosa: un pezzetto di carne a forma di conchiglia della punta dell'anulare sinistro - staccatosi in un incidente durante il turno di lavoro. 

Lentamente - tra silenzi, frasi e lenti movimenti nello spettrale laboratorio - la ragazza viene irretita dal signor Dashimaru, che prima le regala un paio di scarpe nere, poi inizia ad avere con lei rapporti sessuali - quasi pietrificati - nel grande bagno dell'ex educandato. 

E' un universo straniato e straniante, ossessivo e feticista quello nel quale si muove la giovane donna, che proprio come gli esemplari collezionati minuziosamente nel laboratorio, finisce lentamente per diventare un esemplare. Ritornano gli echi della antica sottomissione femminile, dei riti silenziosi dell'antico Giappone, modulati sul registro della contemporaneità assente e fragile delle nuove generazioni.   

Se l'esemplare creato ogni volta dal signor Dashimaru è una sorta di - perfino macabra - cerimonia di distacco da ciò che si è perduto, la figura della giovane assistente incarna la volontà inconscia e ineludibile, di distaccarsi dalle illusioni del futuro con un ripiegamento all'indietro, ad una storia che non ha catarsi e non ha forse nemmeno soluzione. 


Yoko Ogawa
L’anulare 
Traduzione di Cristiana Ceci
Piccola Biblioteca Adelphi 2007,
4ª ediz., pp. 103
Euro 10,00

01/10/18

A Roma in Mostra per la prima volta il grandioso "Ecce Homo" di Mantegna !



L'"Ecce Homo" (1500 circa) di Mantegna, capolavoro assoluto del maestro del Rinascimento, e' in mostra a Palazzo Barberini dal 27 settembre 2018 al 27 gennaio 2019, frutto di uno scambio con il Museo Jacquemart-Andre' di Parigi: e' l'attrazione principale de "La Stanza di Mantegna", mostra curata da Michele di Monte e incentrata su un ristretto numero di opere di notevole qualita' e grande importanza, come spiega la direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma di Palazzo Barberini e storica dell'Arte Flaminia Gennari Santori

"Abbiamo scelto di presentare un nucleo di opere padovane, realizzate nella seconda meta' del '400-fine 400, collezionate da Edouard e Nelie Jacquemart-Andre', due collezionisti molto importanti attivi alla fine-seconda meta' dell'800 a Parigi, che hanno creato una casa museo dedicata in gran parte a opere del Rinascimento italiano, ma non solo. Abbiamo tentato di mantenere in questa mostra quest'idea di stanza", ha spiegato. "Abbiamo delle opere straordinarie come l'Ecce homo di Mantegna, che e' un'opera assolutamente incantevole, un capolavoro assoluto del maestro. 

Abbiamo accanto una Madonna, che e' attribuita a Mantegna e testimonia un momento molto anteriore della sua carriera, 1455, momento di grande legame con Bellini", ha sottolineato. 

"Abbiamo una Madonna di Cima da Conegliano, abbiamo un ritratto di Squarcione (di cui Mantegna e' stato allievo, ndr), che e' straordinario, perche' e' una pergamena e dunque e' una miniatura in forma di ritratto. Abbiamo un 'Riccio' che era un briosco, uno scultore che lavorava quasi esclusivamente in bronzo, che e' esponente della cultura intellettuale padovana", ha aggiunto. 

Assieme alla "Stanza di Mantegna", apre al pubblico "Gotico Americano. I maestri della Madonna Straus", resa possibile grazie a uno scambio con il Museum of fine Arts di Houston, che ha prestato due delle tre tavole del Trecento italiano (in cambio le Gallerie Nazionali invieranno in Texas il Ritratto di Enrico VIII per una mostra sui Tudor): la Madonna con il bambino del Maestro Senese della Madonna di Straus - per la prima volta esposta in Europa - e la Madonna con il Bambino del Maestro della Madonna Straus che per la prima volta vengono accostate alla Madonna di Palazzo Venezia, appartenente alle collezioni Gallerie Nazionali. 

Dietro il prestito di Houston un aneddoto: "I genitori del collezionista che ha acquistato queste due opere negli anni '30, che era un collezionista raffinatissimo, che poi ha donato la sua collezione a Houston, erano due signori, imprenditori ebrei-newyorkesi, proprietari di grandi magazzini, che si rifiutarono di scendere dal Titanic, per lasciare il posto ad altri passeggeri e morirono nel naufragio del Titanic", ha rivelato. 

Fonte: askanews

30/09/18

La Poesia della Domenica - "La mia ospite di novembre" di Robert Frost.





La mia ospite di novembre
Quando lei, mio Dolore, è qui con me,
pensa che questi giorni melanconici
e piovosi d’autunno sono splendidi
come possono essere i giorni; ama
la nuda pianta che appassisce, e va
sull’umido sentiero in mezzo all’erba.
Il suo piacere m’inquieta: parla
e stupito l’ascolto; ed essa lieta
è della fuga degli uccelli e gode
se l’abito di lana, grigia e pura,
le inargenta la nebbia che l’avvolge.
Questi alberi deserti, desolati,
la terra illanguidita, il cielo cupo,
sono la vera bellezza che ammira:
per loro pensa ch’io non abbia sguardi
e mi chiede, insistente, la ragione.
Non è da ieri che imparai a conoscere
l’amore per i giorni desolati
di novembre, al presagio della neve;
vano sarebbe stato dirlo a lei
perché con la sua lode li migliora.
My November Guest
My Sorrow, when she’s here with me,
Thinks these dark days of autumn rain
Are beautiful as days can be;
She loves the bare, the withered tree;
She walked the sodden pasture lane.
Her pleasure will not let me stay.
She talks and I am fain to list:
She’s glad the birds are gone away,
She’s glad her simple worsted gray
Is silver now with clinging mist.
The desolate, deserted trees,
The faded earth, the heavy sky,
The beauties she so truly sees,
She thinks I have no eye for these,
And vexes me for reason why.
Not yesterday I learned to know
The love of bare November days
Before the coming of the snow,
But it were vain to tell her so,
And they are better for her praise.
(da A Boy’s Will, 1915)

29/09/18

Libro del Giorno: "Forte come la morte" di Guy de Maupassant.



Che grande romanzo, Forte come la morte, a tutti gli effetti un classico, la cui fama risulta offuscata dagli altri romanzi più popolari di Maupassant: Bel-Ami e Une vie, e dai racconti che sono giustamente considerati tra i più alti della letteratura di sempre.


Forte come la morte è l'ultimo romanzo scritto da Maupassant, edito per la prima volta nel 1889, quattro anni prima della prematura morte (avvenuta a soli 43 anni di età) e prima del crollo mentale e nervoso che accompagnò lo scrittore negli ultimi anni ormai demente, in una clinica psichiatrica.

Protagonista del romanzo è il pittore di successo Olivier Bertin, affermato e adorato sulla scena parigina, single incallito e viveur - si pensa subito a Baldini - legato sentimentalmente da anni alla moglie di un conte, la signora Any Guilleroy.

La relazione extraconiugale viene rivissuta interamente nella prima delle due parti in cui è suddiviso il romanzo che si apre su una delle consuete visite che Any fa in casa del pittore, annunciandogli che il giorno dopo ci sarà un pranzo perché torna la figlia, Annette, che da diversi anni e per diverse ragioni, risiede in campagna, fuori da Parigi, nella dimora della donna.

Da qui si dipana il virtuosistico racconto a ritroso in cui Maupassant passa indifferentemente dal racconto della storia vista da Olivier, a quella vista da Any: dal momento in cui i due si sono conosciuti a causa del ritratto che il pittore doveva realizzare dell'allora giovane contessa Guilleroy fino al momento in cui i due diventano amanti e solidali: Olivier ha trovato nella donna probabilmente la relazione ideale, l'unica che può sopportare: una donna che lo ami, anzi che lo adori, senza tenerlo nei rigidi confini di una relazione fatta di obblighi. Any, bella ma insicura, narcisista quanto basta, ha trovato in Olivier il suo specchio, l'uomo che la guarda e che la ammira, eternamente. L'uomo che sa e può guardarla diversamente da tutti gli altri, in primis dal marito, un eminente uomo politico il cui amore per la moglie è semplicemente un dato di fatto, fondato sulla convenienza e sul ruolo sociale.

Anche se i due forse non se ne sono accorti, però, il loro rapporto, nel corso di quasi vent'anni, è cambiato. Olivier si sente sempre devoto ad Any e felice della sua totale libertà. Any invece, complice il passare del tempo comincia a sentirsi sempre più insicura.

E il destino, sempre implacabile nel mondo di Maupassant, arriva a presentare il conto: prorompe sulla scena infatti Annette, la figlia della contessa, esattamente identica a lei, a parte l'età. Più bella perché più giovane, la giovane donna ha talmente tanto della madre che le signore dell’alta società la adulano paragonandola alla madre, immortalata all’acme della sua giovinezza proprio da Bertin. La madre ne diventa presto gelosissima e assiste con strazio al nascere della passione del pittore, che ritrova nella figlia, immutato, l'incanto esercitato da lui anni prima, dalla madre.

La seconda parte del romanzo è la descrizione minuziosa e terribile del cammino di consapevolezza di Bertin che fa di tutto per rifiutare l'idea di essere innamorato di Annette, salvo capitolare drammaticamente; e di quello di Any verso la completa rovina.

L'inconsapevole Annette finirà sposata ad un marchese. Il teatro del mondo proseguirà la sua corsa in modo imperturbabile.  Ma la tragedia dei cuori umani, persi dietro al canto di sirene di passioni effimere che nulla hanno di consistente se non il compimento di un destino, getta una luce macabra - come sempre in Maupassant - sul sogno della felicità umana. 

Non c'è salvezza, c'è soltanto un dirsi addio, doloroso e senza conforto. 

Forte come la morte, come recita il titolo che riprende uno dei versi del Cantico dei Cantici, l'amore non conosce pensiero, non conosce ragione e non conosce senso.  Si nutre dell'inconsistenza interiore degli uomini, che bruciano su quell'altare velleità e illusioni.

Fabrizio Falconi

Guy de Maupassant
Forte come la morte
Garzanti, Milano, 2003 Pagine:XVI-264
Traduzione:Adalberto Cremonese
10 Euro. 

27/09/18

Basta con le sciocchezze. Nutriamo la vita interiore !



Quanto tempo disperdiamo in inutili sciocchezze. Quanto scialo nelle nostre vite. Di quanta stupidità ricopriamo le nostre giornate, le nostre frequentazioni, il nostro tempo. Siamo una razza accecata, scrive Carl Gustav Jung nel Libro Rosso, viviamo solo in superficie, solo nell'oggi e pensiamo solo al domani. Trattiamo brutalmente il passato, perché non ci prendiamo cura dei morti. Vogliamo fare soltanto lavori che assicurino un successo visibile. Soprattutto vogliamo essere pagati. Non v'è dubbio che le necessità della vita ci hanno costretto a preferire frutti tangibili. Ma chi soffre di più di coloro che si sono smarriti alla superficie del mondo ?

Jung non intende solo pagati nel senso di uno stipendio, ovviamente.  Non sta parlando di monete. Sta parlando di frutti tangibili. Siamo diventati tutti così materialisti - vogliamo solo "frutti tangibili" - così aridi anche nei rapporti, nelle relazioni, nel tempo che passiamo durante la giornata, perfino nelle nostre solitudini. 

Cerchiamo di stordirci, di esercitare il nostro spasmodico bisogno di sedurre, cerchiamo l'ora libera, l'ora d'aria, riempiamo la nostra vita di intervalli inutili, che non riempiono niente. 

Ci perdiamo dietro relazioni narcisistiche, dove si spera di colmare il proprio vuoto con l'amore che l'altro ha o sembra avere per noi, senza accorgerci che anche lì c'è solo vuoto. Perché tutti sono interessati solo a prendere, non a dare.  E purtroppo, o per fortuna, è solo dando, offrendo che si riempie veramente la nostra vita interiore. 

Offrendo attenzione, disponibilità, curiosità, generosità, attenzione, attenzione. 

Cose che costano fatica.

Per questo preferiamo vivere vite stupide, fatte di niente, fatte di ore passate sulla superficie del mondo. 

Solo la vita interiore offre una buona causa per vivere. 

Essa ci chiede continuamente nutrimento, che noi ignoriamo. Per questo soffriamo, per questo ci ammaliamo, per questo ci innamoriamo delle persone sbagliate, per questo continuiamo a perdere tempo sulla superficie del mondo.

E' solo ascoltando se stessi veramente, è solo nutrendo costantemente quell'essere interiore che ci abita e che vuole soltanto crescere, vivere, prosperare per renderci pienamente felici, che possiamo trovare le forze che vogliamo, i desideri che vogliamo, la felicità vera che inseguiamo. 

La vita interiore è silenzio, è sincerità, è generosità, è passione, è curiosità, è attenzione. 

Attenzione vera che è cura costante. Cura di ogni lacrima, cura di ogni gioia. 


Fabrizio Falconi 

26/09/18

Apre a Roma l'11 Ottobre "Rhinoceros" un meraviglioso nuovo spazio per l'arte contemporanea e il bel vivere, in pieno centro a San Giorgio al Velabro.

Caviar Kaspia a Roma al Palazzo Rhinoceros. Terrazze mozzafiato, caviale e respiro internazionale
Aprirà a Roma il prossimo 11 Ottobre un nuovo bellissimo spazio nel pieno centro della città grazie al mecenatismo di Alda Fendi. 3500 metri di ex case popolari nel cuore della Roma classica sono stati interamente ripensati con 8 anni di lavoro e un progetto di architettura d'autore. e un nuovo nome: Palazzo Rhinoceros. 
Sarà museo, residenza culturale, e ospiterà anche caffè e ristorante (separata la gestione): l'esordio in Italia di Caviar Kaspia, storica maison del caviale parigina.
Si tratta di un palazzo storico che affaccia sulla splendida piazza di San Giorgio al Velabro, dove l’arco quadrifronte di Giano (che di recente è stato con sicurezza attribuito definitivamente all'Imperatore Costantino) segna il confine dell’antico Foro Boario. Poco più in là l’area dei Fori, il Palatino e il Circo Massimo, nel cuore della Roma classica, tra gli scavi archeologici più celebri del mondo
3500 metri quadri da vivere e abitare, destinati a diventare polo d’attrazione culturale della Capitale (la quale, amministrativamente, risponde voltando le spalle: tutta l’area circostante rimane immersa nel degrado più inaccettabile), ospitando una collezione permanente ed esposizioni temporanee (il primo anno la programmazione declinerà proprio il tema del rinoceronte, simbolo di forma e anticonformismo, nelle arti visive e performative); ma pure - con gestione completamente separata -  un’esclusiva struttura di ospitalità da 25 unità abitative destinate ad artisti, mecenati, collezionisti (appartamenti curati nel minimo dettaglio) e un’offerta di ristorazione altrettanto peculiare, ai piani più alti del palazzo, con vista incredibile sulla città e tripudio di terrazze.

In questi anni si è lavorato sull’intera struttura (in realtà tre grandi palazzi accorpati), ripristinando l’aspetto originale del palazzo laddove le preesistenze potessero raccontarne la storia, e muovendo dal principio di un restauro filologico degli spazi verso la concezione di un’architettura nuova, che stupisse il visitatore senza cedere al decorativismo che mal avrebbe sposato lo spirito dell'operazione, con soluzioni inaspettate e raffinate, specie nella progettazione degli appartamenti, letteralmente incastonati tra i piani superiori del palazzo. 

Dall'11 ottobre Rhinoceros aprirà le porte alla città, invitandola a entrare e farsi scoprire: sviluppata in altezza attorno a due corti interne (il bianco e il nero; la notte e il giorno), il percorso espositivo lascerà spazio man mano che si sale alle residenze, anch’esse pronte a inaugurare alla metà del mese sotto la gestione del gruppo internazionale di ospitalità Room Mate di Kike Sarasola; già presente in molte città del mondo, a Roma il brand fa il suo debutto sotto il marchio The Rooms of Rome, con 24 appartamenti uno diverso dall’altro. Ma nel progetto c’è stato spazio sin dall’inizio per un’area dedicata alla ristorazione, aperta a romani e turisti al quinto e sesto piano del complesso. Spazio ricettivo e spazio ristorativo sono parte integrante del progetto del palazzo, e funzionali al suo racconto complessivo.

Anche in questo caso la scelta è ricaduta su un format già presente all’estero, e anzi particolarmente antico per fondazione, Caviar Kaspia, nato a Parigi nel 1927. Sull’addomesticamento della formula al mercato romano ha lavorato Dario Laurenzi, consapevole di poter scommettere su un asso nella manica di non poco conto: due saranno le terrazze a disposizione degli ospiti per tutta la bella stagione – da marzo a ottobre, e con un po’ di fortuna anche nelle giornate più miti d’inverno – più come se non bastasse un’altana qualche metro più su, allestita con divani e uno spazio più rilassato per l’aperitivo. Tutte affacciate a 360 gradi sulla Roma classica vista qui da un punto di osservazione inedito e ammaliante, costituiranno il cuore del ristorante, che vivrà 7 giorni su 7, dalle 8 alle 24, e disporrà anche di uno spazio all’interno da circa 50 coperti (fuori i numeri triplicano, arrivando fino a 150). L'idea è quella di proporre una formula variabile che rappresenti una novità, ma senza spaventare. 

La sera del 19 tutto questo contribuirà a realizzare un menu che per la prima volta nella storia di Caviar Kaspia introduce pietanze più cucinate, come primi piatti di pasta – lo spaghetto al caviale omaggio a Gualtiero Marchesi, da subito in carta, o i ravioli ripieni di granchio – e pietanze legate alla cucina mediterranea, in aggiunta al consueto trionfo di tartare, salmone fresco e affumicato, patate con caviale. A prezzi di posizionamento adeguati alla piazza romana. Un modo, a detta di chi ha ripensato la formula, per esaltare il concept all'insegna dell'italianità. In abbinamento carta di vini e champagne, da circa 70 etichette. Durante tutta la giornata, invece, sarà disponibile l'offerta della caffetteria internazionale, con proposte per la colazione dolce (c'è la firma di Marco Rinella) e salata e poi un menu agile che spazia dal club sandwich con salmone selvaggio alla Caesar Salad con astice. Per l'aperitivo si cambia ancora: drink list e tapas in abbinamento, fino a tarda sera per chi volesse cenare al cocktail bar. Esperienza vivamente consigliata vista la spettacolarità dell'allestimento, con due banconi in marmo e acciaio (uno per ogni terrazza), da 10 e 5 metri. Anche in questo caso saranno i prodotti della casa a dettare la linea, ma l'alternativa cocktail e selezione di tapas sarà decisamente più informale rispetto alla proposta del ristorante (dove si stima una spesa che parte dai 50-60 euro per salire fino a picchi più che vertiginosi, in base a quanto amate il caviale). Italiano lo staff, tutto inviato nei mesi scorsi a formarsi sul campo, a Parigi. A dirigere la squadra sarà Alessia Meli, in cucina, invece, si muoverà Giovanni Gianmarino.
Roma acquista uno spazio culturale – unico! - di respiro internazionale, frutto di un'operazione mirata di mecenatismo artistico. 
 Palazzo Rhinoceros - Roma - Cancellata Arco di Giano, via di San Giovanni Decollato - dall'11 ottobre 2018

Fonte Livia Montagnoli per Gambero Rosso

25/09/18

Insonnia. Da "Nessun pensiero conosce l'amore".




sto ad un certo punto del sonno
tra sonno e veglia
ad aspettarti e puntualmente arrivi
a sbarrare la porta,
non vuoi tenermi e non vuoi
lasciarmi andare, senza dire
e senza tacere, come un sibilo
di vento trattenuto dalle onde
tutto è lucente e spazioso
ma non appare nulla di atteso,
copro la testa col cuscino
spingendo via il resto di te
che rimane e resto indeciso
se entrare, resto in bilico
come un geranio sul balcone
come una vela prima dell’orizzonte,
nessuno mi ha avvertito
che avrei solamente sognato
avrei solamente dormito
avrei vegliato
come solo gli insonni e i morti
possono fare.



Fabrizio Falconi


Tratto da: www.internopoesia.com


Il nuovo libro è in prevendita qui.

24/09/18

Cosa lascia una madre - Una pagina da "Forte come la Morte" di Maupassant.




Si ama la propria madre quasi senza saperlo, senza comprenderlo, perché è naturale come vivere; e avvertiamo la profondità delle radici di tale amore solo al momento della separazione finale. 

Nessun altro affetto è paragonabile a questo, perché tutti gli altri sono incidentali, mentre questo è innato; tutti gli altri ci vengono portati più tardi dagli eventi della vita, questo invece vive sin dal primo giorno nel nostro stesso sangue. 

E poi, e poi, non è soltanto una madre che si perde, è tutta la nostra infanzia che scompare per metà, perché la nostra breve vita di bambini apparteneva tanto a lei quanto a noi. 

Essa soltanto la conosceva come noi, sapeva una infinità di cose lontane, insignificanti e care, che sono, che erano le dolci prime emozioni del cuore.

A lei solo potevo ancora dire: "Ti ricordi, mamma del giorno in cui ? ... Ti ricordi, mamma, la bambola di porcellana regalatami dalla nonna ?"

Potevamo sussurrare insieme un lungo e dolce rosario di piccoli e maliziosi ricordi, che nessun altro sulla terra più conosce, tranne me. 

E' dunque morta una parte di me stessa, la parte più vecchia, la migliore.

Ho perduto il povero cuore nel quale, la bambina che sono stata, viveva ancora tutta intera.

Ora nessuno la conosce più, nessuno si ricorda la piccola Anne, le sue sottane corte, le sue risa, le sue moine.

E verrà un giorno, forse non molto lontano, nel quale a mia volta me ne andrò, lasciando sola al mondo la cara Annette, come oggi mia madre mi ha lasciata. Come tutto ciò è triste, duro, crudele !

tratto da: