03/01/19

"La Teoria del Tutto" una bellissima intervista di Laura Traldi al cosmologo Roberto Trotta. "Perché esistiamo?" è la domanda più difficile.

Senza Einstein, non avremmo il GPS. E niente WiFi, se Stephen Hawking non avesse scoperto i buchi neri. «La ricerca spaziale rivoluziona la vita di tutti i giorni», dice il cosmologo Roberto Trotta che abbiamo incontrato al Web Summit di Lisbona. «Ma potrà anche un giorno dare una risposta alla Grande Domanda: perché esistiamo?»

Roberto Trotta è diventato famoso un libro (The Edge of the Sky, Basic Books).che racconta come funziona l’universo usando le mille parole più comuni della lingua inglese, e ha un personaggio che sembra uscito da Harry Potter (The-All-There-Is, cioè “il-tutto-intorno-a-noi”). E, proprio grazie alla chiarezza del volumetto, la rivista americana Foreign Policy ha inserito il 41enne cosmologo teoretico ticinese, che insegna all’Imperial College di Londra, tra i cento Global Thinkers che cambieranno il mondo.
Eppure mentre parliamo con Roberto Trotta al Web Summit di Lisbona (di materia oscura, multiverso, monete che cadono misteriosamente tutte con la faccia all’insù) ogni tanto perdiamo il filo. Che vergogna. Putroppo le lezioni di fisica sono, per chi scrive, non un ricordo da rinfrescare. ma un incubo da dimenticare. «No, no, la colpa è mia», dice lui. Clemente.

Come mai è così difficile per gli scienziati spiegare quello che sanno?

«Perché devono considerare irrilevante il dettaglio. Che è l’opposto di quello che devono fare quando lavorano. Per essere comprensibili bisogna fornire uno sguardo a volo d’uccello e poi riportarlo a terra, chiarendo perché quello che sembra lontano e irrilevante non lo è».

Mi illumini, la prego. Mi sono sempre chiesta che senso avesse calcolare la differenza di età tra un gemello nello spazio e l’altro sulla terra.

«Il senso è capire che il tempo non è assoluto e il suo scorrere dipende dal sistema di riferimento con cui lo si misura. È una teoria – quella della relatività di Albert Einstein – che lei sfrutta ogni giorno senza saperlo. Stamattina, per esempio, ha probabilmente usato il navigatore satellitare per venire al nostro appuntamento. Senza Einstein sarebbe arrivata a 10 km di distanza. Perché il tempo, dove volano i satelliti, scorre in modo diverso rispetto a qui. E gli smartphone usano un algoritmo basato sulla teoria della relatività di Einstein per tenere conto dello scarto. Per questo ci portano a destinazione».

Senza Einstein niente GPS, dunque?

«Esattamente. Anche se Einstein non si sarebbe mai immaginato un’applicazione del genere. La storia della scienza è piena di scoperte all’aspetto puramente teoriche ma che poi portano – decenni più tardi – a innovazioni che rivoluzionano la vita di tutti i giorni».

Mi faccia un altro esempio.

«Non potremmo usare il wi-fi se Stephen Hawking non avesse predetto, nel 1974, che i buchi neri evaporano nel tempo». Roberto Trotta

Che c’entra il wi-fi con i buchi neri?

«Negli anni ’90 John O’Sullivan, un ingegnere australiano, ha sviluppato un algoritmo che eliminava le interferenze radio.mentre cercava un modo per “ripulire” i dati dei telescopi usati per individuare il segnale predetto da Hawking sulle esplosioni dei buchi neri. Senza questo algoritmo, non potremmo usare il wi-fi. E senza disturbare Hawking, anch’io, nel mio piccolo, sto applicando l’astrostatistica a problemi più terra-terra».

In che modo?

«Con la startup Utonomy, uso metodi che ho inventato per l’analisi di potenti esplosioni stellari (le Supernove) per predire le fluttuazioni nella richiesta di gas metano. Per chi lo distribuisce, adattare l’erogazione significa ridurre la pressione sulle tubature.e di conseguenza le fughe, che costano 200 miliardi l’anno nella sola Inghilterra. Senza contare l’effetto serra. Uso anche i metodi statistici che scoprono eventi anomali nell’universo per analizzare i dati sulle carte di credito. Così è possibile individuare le transazioni sospette». Roberto Trotta

Ci ha convinti. Ma perché è così importante per gli scienziati coinvolgere un pubblico allargato?

«Perché la ricerca spaziale è spesso accusata di irrilevanza. Soprattutto quando ci sono tematiche pressanti e complesse, come il Climate Change o la perdita di ecosistemi, che finalmente sono diventate di pubblico dominio. Perché dovremmo spendere risorse ed energie sullo spazio? Perché i giovani matematici dovrebbero perdere tempo con l’astrofisica, quando possono diventare ricchi usando la statistica nella finanza? La risposta a queste domande la devono dare gli scienziati. E una di quelle possibili è spiegare, come abbiamo fatto ora, che questa ricerca si è sempre rivelata fondamentale per migliorare la vita sulla terra».

Se questa è una delle risposte possibili, quali sono le altre?

«Quelle meno pragmatiche ma più affascinanti. Chi studia l’universo lo fa perché comprenderne la natura ci farà capire qual è il nostro posto nel cosmo. Ed è grazie a queste ricerche che un giorno, ne sono certo, capiremo perché siamo qui».

Quindi saremo in grado di spiegare il senso della vita?

«Fondamentalmente sì. In quanto fisici, la domanda che ci poniamo come punto di partenza è: com’è possibile che le leggi dell’universo siano tali da permettere l’evoluzione di entità biologiche come la nostra?».

E la risposta?

«Quella che sta prendendo sempre più piede, ora che siamo in grado di analizzare un numero enorme di dati che vengono dall’universo, è probabilistica. E detta anche del multiverso. Cioè che l’universo non sia unico ma una collezione di sfere, sotto-universi che funzionano ognuno secondo leggi differenti. E che questi siano così tanti da fare sì che, in base al calcolo delle probabilità, uno presenti esattamente le leggi fisiche che servono per la vita». Roberto Trotta

L’universo sarebbe cioè uno dei mille possibili ma anche l’unico in grado di farci vivere?

«Se dice mille per indicare un numero molto più grande, sì. Ma per farle capire di che cosa stiamo parlando le chiedo di immaginare di entrare in una stanza e trovare 400 monete su un tavolo, tutte con la “testa” in su. Penserebbe mai che siano state lanciate a caso? Ovviamente no. Le probabilità sarebbero infinitesimeMa le stesse che ha il nostro universo di avere parametri fisici come quelli che possiede. Viviamo quindi in un universo molto improbabile. E per spiegarlo abbiamo due vie. O poniamo che qualcuno – Dio – abbia messo tutte le monete a faccia in su sul tavolo seguendo un design precostituito. Oppure accettiamo l’alternativa probabilistica: un numero di stanze così enorme, che in ognuna di queste le monete siano state gettate in aria. Prima o poi ne troverai una con le 400 monete tutte rivolte nella stessa direzione».

A questo punto mi gira la testa.

«È normalissimo. Perché è stato calcolato che il multiverso contenga 10 alla 500 sfere. Cioè un numero di sfere pari a 10 seguito da 500 zeri, un numero inimmaginabile. Ma è quello che ci serve per poter garantire che almeno uno abbia le condizioni giuste per la vita».
Questo articolo è stato pubblicato su D la Repubblica il 22 dicembre 2018

02/01/19

Libro del Giorno: "Tutto quel che è la vita" di James Salter.




Raramente - quasi mai - capita di trovare un romanzo così perfetto come questo di James Salter (1925-2015), per me la più bella sorpresa dell'anno appena trascorso. 

Considerato il suo capolavoro, il capolavoro di uno scrittore che dopo la morte sta conquistando un sempre maggiore interesse (e successo) in America e in Europa, Tutto quel che è la vita racconta l'esistenza di Philip Bowman, un ordinary man (come cantavano i Pink Floyd di Us and Them), un uomo che attraversa la vita e la storia con passo discreto, con gli sbagli e la poesia quotidiana, gli amori, le passioni, i piccoli e grandi naufragi. 

Proprio da un naufragio, quello di una nave da guerra sulla quale il ventenne Bowman sta combattendo il suo conflitto, nell'estate del '44, prende il via il romanzo con un primo capitolo di eccezionale nitore che subito conquista la piena fiducia del lettore. 

Bowman - come fu lo stesso Salter - è un giovane ufficiale arruolato in Marina. Tornato a casa riesce a farsi mandare ad Harvard a studiare (performance notevole per uno come lui che viene da una normale famiglia di provincia) e in seguito viene assunto come editor di una piccola casa editrice che però diventa con gli anni importante. 

Gli anni del dopoguerra, i colleghi di lavoro, la frequentazione con gli scrittori, un matrimonio sbagliato, i viaggi in Europa, gli amori, le famiglie che si sfasciano, i genitori che muoiono: tutto quello che  - banalmente -  è la vita, appunto. 

Ma, proprio come avveniva in Stoner di John E. Williams, la forza di questo libro è nel far diventare la quotidianità, la banalità, epopea. 

Avviene per merito di una scrittura incredibilmente esatta, dove mai un aggettivo o una parola sono fuori posto, dove ogni compiacimento letterario, ogni abuso è bandito (che differenza con la quasi totalità della narrativa contemporanea!): e non è nemmeno un puro lavoro di sottrazione. Salter non si riserva il ruolo di autore della sordina. Le pagine sono piene di forza e di vita (raramente si sono letti brani erotici scritti con mano così felice, dove le cose sono chiamate con i loro nomi e per quello che sono), senza scivolare mai nel tono minore dell'umore dolente, vittimista o facilmente nichilista. 

Tutto quel che è la vita riluce così di un significato autentico, la letteratura si fa vita e viceversa. Senza orpelli e senza teorizzazioni o manipolazioni del lettore.  

Bowman non è Stoner. Il suo grado di innocenza è probabilmente minore rispetto a quello dell'eroe di Williams.  I suoi sbagli sono più evidenti e meno in buona fede (come esplicita tutta la parte della relazione con Anet, la giovane figlia di Christine, la donna con cui Bowman vive una relazione finita per il tradimento di lei). Ciò nonostante Bowman ha il passo del giusto e stoicamente sopravvive, affrontandoli, gli incerti della vita e soprattutto la sua solitudine. 

Sullo sfondo del romanzo, l'epoca felice in cui gli scrittori non erano macchine per far soldi o per vendere oggetti, e gli editors vivevano la suggestione dei luoghi e delle storie per rendere il loro lavoro pieno di senso. 

Un libro davvero bellissimo, che non si dimentica.

Fabrizio Falconi - 2019.





26/12/18

Torna a Recanati il Manoscritto Autografo de "L'infinito" di Giacomo Leopardi !




Acquistato nel 1869 dal Comune di Visso assieme ad altri scritti leopardiani venduti da Prospero Viani, studioso di Leopardi e primo editore del suo epistolario, per l'irrisoria cifra di 400 lire, il manoscritto autografo de L'Infinito torna ad essere esposto a Recanati, citta' natale del poeta, per la mostra 'Infinito Leopardi', allestita a Villa Colloredo Mels

Era stato esposto nel 1898, in occasione del centenario della nascita del poeta, e vi torna per celebrare i 200 anni della sua composizione.

Ma la contessa Olimpia Leopardi ricorda che e' stato esposto a Palazzo Leopardi, tra le cui pareti fu scritto nel 1818.

L'esposizione offre un significativo e ricco panorama sulla figura di Leopardi.

Curata da Laura Melosi in collaborazione con Lorenzo Abbate, abbina in due diverse sezioni la cospicua collezione di Visso a testimonianze e cimeli del poeta e della sua famiglia, che dopo il trasferimento a Villa Colloredo dalle sale del Comune di Recanati non venivano mostrati da anni. 

Correda l'iniziativa una suggestiva raccolta di 90 scatti del fotografo Mario Giacomelli, di Senigallia, dedicati all'Infinito e alla poesia A Silvia.

Nella prima sezione spiccano le cartelle degli Idilli, dei 'Sonetti in persona di ser Pecora Beccaio fiorentino' e l'Epistola al conte Carlo Pepoli, contenenti manoscritti donati a Viani da Pietro Brighenti, amico, corrispondente ed editore di Leopardi, il quale li aveva ricevuti dal poeta tra il 1825 e il 1826 per servire all'edizione dei Versi (Bologna 1826).

Ad esse si aggiunge la cartella della Prefazione al Petrarca contenente un autografo inviato da Leopardi all'editore fiorentino David Passigli nel marzo del 1837 per la stampa di una nuova edizione della sua interpretazione alle Rime di Petrarca, progetto che si sarebbe concretizzato solo due anni dopo la morte del poeta.

Ed infine una raccolta di 14 lettere inviate da Leopardi all'editore milanese Anton Fortunato Stella e a suo figlio Luigi nel periodo 1825-1831.

Nella seconda sezione figurano invece i ritratti della famiglia Leopardi: dai fratelli del poeta Pierfrancesco e Paolina, ai genitori, Monaldo e Adelaide Antici, fino a quello di Giacomo, basato su un disegno a matita realizzato da Luigi Lolli a Bologna nel 1826.

Ma c'e' anche il manoscritto del Saggio sugli errori popolari degli antichi (1815), donato dall'editore Le Monnier al Comune di Recanati, assieme ai materiali da questi ricevuti da Antonio Ranieri, amico e sodale di Leopardi per la stampa delle Opere leopardiane del 1845, come pure la maschera funebre del poeta, realizzata il 14 giugno 1847 direttamente sulla sua salma.

Infine la raccolta di scatti di Mario Giacomelli, curata da Alessandro Giampaoli e Marco Andreani, divisa in tre parti: due dedicate alla poesia A Silvia rispettivamente del 1964 e del 1988, corredate da un filmato di Luigi Crocenzi realizzato per la trasmissione della Rai Telescuola, e una all'Infinito del 1988.

Fonte: Federica Acqua per Ansa. 

25/12/18

Poesia di Natale: "Torna Gesù" di Luigi Pirandello.




Torna Gesù

La memoranda notte è ormai vicina
e mi risuona ancora negli orecchi,
eco gentil dell'età mia bambina,
la voce de' miei vecchi:
Candido roseo e biondo
come nato da giorni, eri anche tu,
vien questa notte al mondo
il Bambino Gesù !

Ogn'anno, ogn'anno in questo freddo mese,
per quanto stanca, l'anima risogna
la festa che a Gesù fa il mio paese.
Già suona la zampogna...
Ah che profonda, arcana
malinconia, che nostalgia m'assal
della casa lontana,
del villaggio natal !

Rigide sere della pia novena
in cui, sur ogni piazza, in ogni via,
fiamman, fuochi gregal, fasci d'avena:
mentre la litania
il vicinato intuona
raccolto innanzi a un rustico altarin,
e la zampogna suona,
tintinna l'acciarin.

Ed io fanciullo, alla finestra dietro
me ne stavo, e schiarendo con un dito
timidamente l'appannato vetro,
rimiravo smarrito,
in un'ansia segreta,
se in quella notte piena di mister
la fulgida cometa
apparisse davver... .

E dubitavo allora, e ho dubitato
sempre, dappoi. S'inaridì l'istinto
della fede nel cuore: errai bendato
per questo labirinto
della vita mortale,
e te pure chiamai causa, Gesù,
d'una parte del male
che si soffre quaggiù.

Ma santa adesso appar la tua follia
anche al mio sguardo, o dolce redentore.
E torna, io prego, a noi, torna, Messia,
a predicar l'amor!
Altri, del rosso tuo mantello avvolto,
d'odio nudrendo la gentil parola,
batte alle oscure case, e infosca il volto
de la miseria. Vola

il grido della guerra...
Pace tu sei, Gesù, tu sei pietà:
torna a rifare in terra d'amor la carità.

Luigi Pirandello (1867-1936)

24/12/18

"Racconto di Natale" di Paul Auster ("Il Natale di Auggie Wren") - il Video dal film "Smoke".




Nel 1990, a Paul Auster fu commissionato dal New York Times un racconto di Natale.

Il grande consegnò una novella intitolata Il Natale di Auggie Wren, ambientata nella vecchia Brooklyn, con due protagonisti - lo scrittore Paul Benjamin (alter ego di Auster), in crisi di ispirazione per un racconto di Natale che gli era stato commissionato dal Times, ed il tabaccaio Augustus - detto Auggie - Wren, appassionato di fotografia, che gli racconterà del Natale in cui per la prima volta è entrato in possesso di una macchina fotografica. 

La bellissima novella è diventata poi anche lo spunto per la trama di due film Smoke e Blue in the face, entrambi scritti e codiretti da Paul Auster insieme a Wayne Wang nel 1995 e nel 1997. 

In testa riporto il video integrale del racconto - sceneggiato nel finale del film Smoke (1995) e narrato da Harvey Keitel che impersona Auggie al suo amico William Hurt nei panni di Paul Benjamin, sulle travolgenti note della canzone di Tom Waits, You're Innocent when you dreams. 

Ecco il racconto integrale di Paul Auster

IL NATALE DI AUGGIE WREN

Ho sentito questa storia da Auggie Wren. Siccome Auggie non ne viene fuori molto bene, almeno non bene come egli avrebbe voluto, mi ha chiesto di non usare il suo nome vero. A parte questo, tutti i fatti sul portafoglio smarrito, sulla donna cieca e sulla cena di Natale sono come lui me li ha raccontati. Auggie ed io ci conosciamo da quasi undici anni ormai. Lavora dietro il bancone di una tabaccheria su Court Street a Brooklyn downtown, e visto che quello è l’unico posto che importa le sigarette olandesi che fumo io, vado lì abbastanza spesso.

Per lungo tempo non gli ho prestato molta attenzione. Era soltanto lo strano omuncolo che indossava una felpa blu sudata col cappuccio, che vendeva sigarette e riviste, il buontempone malizioso che aveva sempre qualche cosa spiritosa da dire sul tempo, i Mets o i politici di Washington, e questo era il limite.

Ma poi un giorno, diversi anni fa, gli capitò di stare a guardare una rivista del negozio, e fini per caso su una recensione di uno dei miei libri. Sapeva che ero io perché una foto accompagnava la recensione, e dopo questo le cose cambiarono tra di noi. Non ero più soltanto un cliente per Auggie, ero diventato una persona distinta. Alla maggior parte della gente non potrebbe interessare di meno libri e scrittori, ma venne fuori che Auggie considerava se stesso un artista. Ora che aveva rotto il secreto su chi fossi, mi considerò un alleato, un confidente, un commilitone. Per dire la verità, trovai questa cosa abbastanza imbarazzante.

Quindi, quasi inevitabilmente, venne il momento in cui mi chiese se avessi voluto guardare le sue fotografie. Considerato il suo entusiasmo e la sua buona volontà sembrava non esserci possibilità di scoraggiarlo. Dio sa cosa mi aspettavo. Tanto per cominciare non era ciò che Auggie mi mostrò il giorno seguente. In una piccola stanza senza finestre sul retro del negozio, aprì un cartone e ne tiro fuori dodici identici album fotografici. Questo era il lavoro della sua vita, disse, e non gli prendeva neanche cinque minuti al giorno per farlo.

Ogni mattina da dodici anni a questa parte, si era appostato all’angolo tra Atlantic avenue e Clinton street, alle sette precise e aveva scattato una singola fotografia a colori esattamente dallo stesso angolo. Il progetto è arrivato ora a più di quattromila fotografie. Ogni album rappresenta un anno differente, e tutte le fotografie sono ordinate in sequenza dal primo Gennaio al trentuno Dicembre, con le date meticolosamente segnate sotto ciascuna di esse. Mentre scorrevo gli album e cominciavo a studiare il lavoro di Auggie, non sapevo cosa pensare. La mia prima impressione fu che quello era la cosa più strana e più assurda che avessi mai visto. Tutte le foto erano identiche. L’intero progetto era un fredda scarica di ripetizioni, la stessa strada e gli stessi palazzi, ancora e ancora, un inesorabile delirio di immagini ridondanti.

Non potevo pensare a niente da dire ad Auggie così ho continuato a voltare le pagine, annuendo con la testa facendo finta di apprezzare. Anche Auggie sembrava imperturbabile mentre mi guardava con un largo sorriso sul volto, ma dopo aver visto che ero stato lì per diversi minuti, improvvisamente mi interruppe e disse: “Vai troppo svelto. Non ci arriverai mai se non rallenti.”

Aveva ragione, ovviamente. Se non ti prendi il tempo per vedere, non imparerai mai a guardare niente. Presi un altro album e mi sforzai di procedere più attentamente. Prestai maggiore attenzione ai dettegli, presi nota dei cambiamenti del clima, osservai le variazioni d’angolatura della luce con il procedere delle stagioni. In breve fui in grado di notare le differenze del flusso del traffico, di anticipare il ritmo dei giorni (il tumulto delle mattine lavorative, la relativa tranquillità dei fine settimana, il contrasto tra i Sabati e le Domeniche). E poi, poco alla volta ho iniziato a riconoscere i volti delle persone sullo sfondo, i passanti sulla loro strada per il lavoro, le stesse persone nello stesso punto ogni mattina, mentre vivono un instante delle loro vite nel campo della macchina fotografica di Auggie.

Una volta che li ho riconosciuti, ho iniziato a studiare la loro situazione, la maniera con cui si trascinavano da un giorno all'altro, cercando di scoprire il loro stato d’animo attraverso queste informazioni superficiali, come se potessi immaginarmi storie per loro, come se potessi penetrare nel dramma invisibile chiuso dentro i loro corpi. Presi un altro album.

Non ero più annoiato e neanche imbarazzato come ero all’inizio. Auggie stava fotografando il tempo, realizzai, sia il tempo naturale che quello umano, e lo stava facendo piantandosi in un minuscolo angolo del mondo, desiderando che fosse il proprio mentre vigilava nello spazio che aveva scelto per se stesso. Mentre mi guardava leggere attentamente il suo lavoro, Auggie seguitava a sorridere con soddisfazione.

Quindi, quasi stesse leggendo nei miei pensieri, cominciò a recitare un verso di Shakespeare: “Tomorrow and tomorrow and tomorrow,” mormorò sottovoce, “time creeps on its petty pace.” Capii che sapeva esattamente che cosa stava facendo. Questo è stato più di duemila foto fa. Da quella volta Auggie ed io abbiamo discusso molte volte del suo lavoro, ma è stato soltanto la settimana scorsa che ho saputo come si era procurato la macchina fotografica e come ha iniziato a fotografare la prima volta. E’ il soggetto della storia che mi ha raccontato e sto ancora sforzandomi di dargli un senso. Poco prima di quella settimana un tizio del New York Times, mi chiama e mi chiede se avessi voluto scrivere un racconto che sarebbe apparso nel giornale le mattina di Natale. Il mio prima impulso fu quello di dire di no, ma l’uomo fu ammaliante e persistente, e alla fine della conversazione gli dissi che avrei tentato.

Dal momento che riattaccai il telefono, mi sentii sprofondare nel panico profondo. Che cosa sapevo del natale? Mi sono chiesto. Che cose ne sapevo dello scrivere racconti su commissioni? Ho passato i successivi giorni nella disperazione, combattendo con i fantasmi di Dickens, O. Henry e altri campioni dello spirito natalizio. L’esatta frase Racconto di Natale comportava spiacevoli associazioni per me, evocando insopportabili sfoghi di miele e melassa. Anche nella migliore delle ipotesi i racconti natalizi erano non più che sogni di appagamento, favole per adulti, e che possa essere dannato se avessi permesso a me stesso di scrivere qualche cosa del genere. E ancora come potrebbe qualcuno prefiggersi di scrivere una storia di Natale non sentimentale?

Era una contraddizione in termini, un paradosso, un rompicapo vero e proprio. Si potrebbe immaginare meglio un cavallo da corsa senza gambe o un passero senza ali. Non sono arrivato da nessuna parte. Il martedì uscii per fare una lunga passeggiata, sperando che l’aria mi avrebbe schiarito le idee.

Appena passato mezzogiorno mi fermai al negozio di sigari per rifornire la mia scorta e li c’era Auggie, in piedi dietro la cassa come sempre. Mi chiese come stavo. Senza realmente volerlo mi ritrovai a sfogare i miei problemi con lui. “Un racconto di natale?” disse dopo che avevo finito. “Tutto qui? Se mi offri il pranzo, amico mio, ti racconterò il miglior racconto di natale che hai mai sentito. E ti garantisco che ogni parola di esso è vera. Camminammo verso il quartiere dove stava Jack, un buco allegro dove servivano degli ottimi sandwich e pieno di fotografie dei Dogers appese al muro.

Trovammo un tavolo in fondo, ordinammo da mangiare e quindi Auggie si lanciò nella sua storia.

“Era l’estate del settantadue” disse. ” Un ragazzino arrivò una mattina e iniziò a rubare dal negozio. Doveva avere circa diciannove o venti anni e credo di non aver visto mai un taccheggiatore più patetico nella mia vita. Stava vicino alla rastrelliera dei giornali vicino al muro lontano e si riempiva la tasca del cappotto di libri. Al momento attorno alla cassa era affollato così all’inizio non lo vidi. Ma quando ho notato che cosa stava combinando, iniziai a strillare.

Partii come un coniglio Ma nel tempo in cui mi sono districato per uscire da dietro la cassa stava già correndo a tutta velocità giù per Atlantic Avenue. L’ho inseguito per un po’ ma poi ho rinunciato. Aveva lasciato cadere qualcosa lungo la strada e siccome non me la sentivo più di correre mi piegai a vedere che cos’era. Risultò che fosse il suo portafoglio. Non c’erano soldi dentro, ma c’era la sua patente con tre o quattro fototessere. Penso che avrei dovuto chiamare i poliziotti e farlo arrestare. Avevo il suo nome e l’indirizzo dalla patente, ma mi sentivo un po’ dispiaciuto per lui. Era un piccolo misero punk, e una volta che avevo visto quelle foto nel portafoglio non riuscii ad essere veramente arrabbiato con lui. Robert Goodwin.

Era questo il suo nome. In una delle foto, mi ricordo, stava con il braccio intorno alla madre o alla nonna. In un’altra stava seduto all’età si nove o dieci anni, vestito con l’uniforme da baseball e un grande sorriso stampato in volto. Non né ho avuto il fegato, ecco. Era probabilmente drogato, ho immaginato. Un ragazzo povero di Brooklyn senza molta fortuna e chi se ne fregava di un paio di rivistacce, in ogni caso? “Alla fine mi tenni stretto il portafoglio. Di tanto in tanto sentivo l’impulso di spedirglielo indietro ma ho continuato a rimandare e non ho fatto mai niente. Quindi arriva il natale ed io non ho nulla da fare.Il capo solitamente mi invita da lui a passare la giornata ma quell’anno lui e la sua famiglia erano giù in Florida a far visita ai parenti.

Quindi sto seduto nel mio appartamento quella mattina sentendomi un po’ dispiaciuto per me stesso quando vedo il portafoglio di Robert Goodwin che giaceva in una mensola in cucina. Penso, cazzo perché non fare qualche cosa di carino per una volta così mi metto il cappotto e vado fuori per restituire il portafoglio di persona.

L’indirizzo era su a Boerum Hill, da qualche parte nei quartieri popolari. Si congelava quel giorno e mi ricordo di essermi perso diverse volte cercando di trovare il palazzo giusto. Tutto sembrava uguale in quel posto, tu continui ad andare intorno allo stesso posto pensando di essere altrove. In ogni caso raggiungo finalmente l’appartamento che sto cercando e suono il campanello.

Non succede niente. Deduco che non c’è nessuno, ma provo ancora giusto per essere sicuro. Aspetto un po’ di più e proprio nel momento in cui sto per rinunciare, sento qualcuno trascinarsi verso la porta. Una voce di donna anziana mi chiede chi è e io dico che sto cercando Robert Goodwin. ‘Sei tu Robert?’ dice la vecchia, e quindi da circa quindici giri alla serratura e apre la porta. “Doveva avere massimo ottanta, forse novant’anni e la prima cosa che ho notato di lei è che era cieca. ‘Sapevo che saresti venuto Robert’ disse ‘Sapevo che non ti saresti scordato di tua nonna Ethel a natale.

Quindi allarga le braccia come se stesse per abbracciarmi. “Non avevo molto tempo per pensare, capisci. Dovevo dire qualcosa velocemente e prima che sapessi che cosa stesse succedendo potei sentire le parole uscire dalla mia bocca. ‘E’ vero nonna Ethel’, dissi. ‘Sono tornato per venire a trovarti a natale.

Non chiedermi perché l’ho fatto. Non ne ho idea. Forse non la volevo dispiacere o qualcosa del genere, non lo so. Mi è venuto fuori così e dopo questa vecchia donna improvvisamente mi stava abbracciando davanti alla porta, ed io la stavo abbracciando a mia volta

“Non dissi esattamente che ero suo nipote. Non con molte parole in ogni caso ma questa fu la conseguenza. Non stavo neanche cercando di ingannarla. Era come un gioco che entrambi avevamo deciso di fare senza dover discutere delle regole. Voglio dire, quella donna sapeva che non ero suo nipote Robert. Era vecchia e mezza matta ma non era così andata da non poter distinguere tra un estraneo e il sangue del suo sangue. Ma la rendeva felice fare finta, e visto che io non avevo niente di meglio da fare comunque, ero contento di proseguire con lei. “

Quindi entrammo nell’appartamento e passammo la giornata insieme. Il posto era veramente un letamaio, potrei aggiungere, ma cosa puoi aspettarti da una donna cieca che fa da sola i lavori di casa? Ogni volta che mi faceva una domanda su come andava le mentivo. Le ho raccontato che avevo trovato un buon lavoro al negozio di sigari, le ho raccontato che stavo per sposarmi, le ho raccontato un centinaio di storie simpatiche, e lei si comportava come se credeva ad ognuna di esse. ‘Va bene, Robert’ diceva muovendo la testa mentre sorrideva. ‘Ho sempre saputo che le cose avrebbero funzionato per te.’ Dopo un po’ ho iniziato ad avere abbastanza fame. Non sembrava che ci fosse da mangiare a sufficienza in casa allora sono andato in un negozio in zona e ho portato un casino di cose. Un pollo precotto, una zuppa vegetale, una vaschetta di insalata di patate, una torta di cioccolato, ogni genere di cose.

Ethel aveva un paio di bottiglie di vino stipate in camera, e alla fine tra lei e me mettemmo decentemente insieme una dignitosa cena di natale Entrambi diventammo un po’ alticci dal vino, mi ricordo, e dopo che il cibo finì uscimmo per sederci in sala, dove le sedie erano più comode. Dovevo fare pipì, quindi mi scusai e andai nel bagno in fondo al corridoio. Questo è dove le cose fecero una nuova svolta. Era già abbastanza sciocco fare questo gioco del nipote di Ethel, ma quello che feci dopo fu assolutamente folle e non mi perdonerò mai per questo.

"Vado in bagno e ammassata davanti al muro vicino alla doccia, vedo una pila di sei o sette macchine fotografiche. Nuove trentacinque millimetri, ancora nelle scatole, merce di prima qualità. Immagino che quello è opera del vero Robert, un magazzino per i suoi ultimi furti. Non avevo mai fatto una foto in vita mia, e sicuramente non avevo mai rubato niente, ma nel momento che ho visto quelle macchine in bagno, ho deciso che volevo averne una per me. Così. E senza neanche fermarmi a pensarci, ho preso una di quelle scatole sotto il braccio e sono tornato in salotto.

“Non dovevo essermi assentato per più di tre minuti, ma in quel tempo nonna Ethel si era addormentata nella sedia. Troppo Chianti, immagino. Andai in cucina per lavare i piatti e lei dormì durante tutto il baccano russando come un bambino. Non c’era nessun motivo per svegliarla così decisi di andare. Non avrei neanche potuto scriverle un biglietto per salutarla, considerando che era ceca e tutto il resto, perciò me ne andai soltanto. Lasciai il portafoglio di suo nipote sul tavolo, presi di nuovo la macchina fotografica e camminai fuori dall’appartamento. E questa è la fine della storia.”

“Sei mai tornato a trovarla?” chiesi “Una volta” disse. “Circa tre o quattro mesi dopo. Mi sentivo veramente male per aver rubato la macchina fotografica, non la avevo neanche usata ancora. Finalmente mi misi in testa di restituirla, ma Ethel non era più lì. Non so che cosa le è successo, ma qualcun altro si era trasferito nell’appartamento, e non seppe dirmi dove era.

“Probabilmente è morta.” “Già, probabilmente.” “Questo significa che ha passato il suo ultimo natale con te” “Penso di sì. Non l’ho mai vista in questo modo.”

“E’ stata una buona azione, Auggie. E’ stata una cosa carina che hai fatto per lei.” “Le ho mentito, e dopo ho anche rubato da lei. Non vedo come tu puoi chiamarla buona azione.”

“L’hai fatta felice. E le macchine erano in ogni caso rubate. Non è come se la persona da cui le hai prese le possedeva sul serio.” “Qualsiasi cosa per l’arte, eh, Paul?” “Non lo avrei detto. Ma alla fine hai usato le macchine per un buono scopo.”

“E ora hai la tua storia di natale, no? “Sì,” dissi. “Penso di sì.” Mi fermai un momento per studiare Auggie mentre un ghigno malizioso si apriva sul suo volto. Non potevo esserne sicuro, ma i suoi occhi in quel momento apparivano misteriosi, così carichi di una specie di bagliore interiore, che improvvisamente mi venne in mente che avesse costruito tutta la storia.

Ero sul punto di chiedergli se mi avesse raccontando frottole, ma poi mi resi conto che non lo avrei mai fatto. Sono stato convinto a crederci e questo era l’unica cosa che contava. Fino a che c’è qualcuno che ci crede non esiste storia che non può essere vera. “Sei un asso, Auggie.” Dissi. “Grazie per essere così d’aiuto.” “Ogni volta” rispose, guardandomi ancora con quella luce maniacale negli occhi. “Dopo tutto, se non puoi condividere i tuoi segreti con gli amici, che razza di amico saresti?” “Mi sa che te ne devo uno.” “No, non devi. Buttala giù così come te l’ho raccontata io e non mi devi nulla.” “Eccetto il pranzo” “E’ vero. Eccetto il pranzo.” Contraccambiai il sorriso di Auggie con un sorriso dei miei, dopo chiamai la cameriera e le chiesi il conto.

Paul Auster

23/12/18

Poesia della Domenica: "Quei tuoi capelli" di Paul Eluard.




QUEI TUOI CAPELLI


Quei tuoi capelli d'arance nel vuoto del mondo,
Nel vuoto dei vetri grevi di silenzio e
D'ombra dove con nude mani cerco i tuoi riflessi,

Chimerica è la forma del tuo cuore
E al mio desiderio perduto il tuo amore somiglia.
O sospiri di ambra, sogni, sguardi.

Ma non sempre sei stata con me, tu. La memoria
Mia oscurata è ancora d'averti vista giungere
E sparire. Ha parole il tempo, come l'amore.


Paul Eluard


Ta chevelure d'oranges

Ta chevelure d'oranges dans le vide du monde
Dans le vide des vitres lourdes de silence
Et d'ombre où mes mains nues cherchent tous tes reflets.

La forme de ton cœur est chimérique
Et ton amour ressemble à mon désir perdu.
O soupirs d'ambre, rêves, regards.

Mais tu n'as pas toujours été avec moi. Ma mémoire
Est encore obscurcie de t'avoir vu venir
Et partir. Le temps se sert de mots comme l'amour.


Paul Eluard, tratta da Capitales de la douleur

21/12/18

TUTTI I MUSEI NELLE VACANZE DI NATALE A ROMA.


A Natale i Musei Civici fanno festa con mostre, eventi, spettacoli e attivita' didattiche con un ricco programma, promosso da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita culturale - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali, dal 22 dicembre 2018 al 6 gennaio 2019 e con l'apertura straordinaria del 1° gennaio dei Musei

Eccezionalmente, i Musei Capitolini, i Mercati di Traiano, il Museo dell'Ara Pacis, il Museo di Roma, il Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco, il Museo Napoleonico e il Museo di Roma in Trastevere saranno aperti il 1° gennaio 2019 dalle 14.00 alle 20.00 e l'area archeologica del Circo Massimo sara' aperta dalle 10.00 alle 16.00

I Musei Civici resteranno tutti chiusi il 25 dicembre mentre il 24 e il 31 dicembre saranno aperti i Musei Capitolini, i Mercati di Traiano, e il Museo dell'Ara Pacis dalle 9.30 alle 14.00 e, come ogni anno

Domenica 6 gennaio 2019 con ingresso gratuito per la prima domenica del mese per i residenti a Roma e nella Citta' Metropolitana per tutti i Musei e le mostre in programma, tranne le mostre Marcello Mastroianni in corso al Museo dell'Ara Pacis e Il Sorpasso. Quando l'Italia si mise a correre, 1946-1961, in corso al Museo di Roma. Sara' inoltre aperto al pubblico gratuitamente il percorso di visita nell'area dei Fori Imperiali dalle ore 8.30 alle 16.30, con l'ultimo ingresso alle 15.30

L'apertura straordinaria prevede l'ingresso in prossimita' della Colonna di Traiano e, dopo il percorso con passerella attraverso i Fori di Traiano e di Cesare, la prosecuzione attraverso il breve camminamento nel Foro di Nerva, che permette di accedere al Foro Romano mediante la passerella realizzata presso la Curia dalla Soprintendenza di Stato. 

Alle tante MOSTRE da visitare nei musei durante le festivita' si aggiungono come sempre al grande patrimonio di collezioni permanenti dei Musei, a cominciare dalle due esposizioni in corso ai Musei Capitolini, La Roma dei Re. Il racconto dell'archeologia e I Papi dei Concili dell'era moderna. Arte, Storia, Religiosita' e Cultura. 

Proseguendo con Balla a Villa Borghese e L'acqua di Talete. Opere di Jose' Molina, le mostre al Museo Carlo Bilotti di Villa Borghese, la prima incentrata sulle opere dipinte dall'artista nella villa e l'altra sulle origini del pensiero occidentale. 

Al Museo di Roma Paolo VI. Il Papa degli artisti, una mostra per ripercorrere la storia degli ultimi tre concili dell'eta' moderna che hanno determinato nella storia della Chiesa radicali cambiamenti. 

Nel chiostro della Galleria d'Arte Moderna di via Crispi, l'installazione etica di Antonio Fraddosio Le tute e l'acciaio, dedicata agli operai dell'Ilva e alla citta' di Taranto. 

Alla Casina delle Civette di Villa Torlonia Metamorfosi del quotidiano, il fascino dei materiali liberty e de'co nella la collezione romana di Francesco Principali, raffinato collezionista di arti decorative del XX secolo. 

Al Casino dei Principi Discreto continuo - Alberto Bardi. Dipinti 1964/1984, una mostra che ha ricevuto la Medaglia del Presidente della Repubblica. 

Oltre a Lisetta Carmi. La bellezza della verita', al Museo di Roma in Trastevere e' da vedere la mostra Vento, caldo, pioggia, tempesta. Istantanee di vita e ambiente nell'era dei cambiamenti climatici con la quale, attraverso un percorso di fotografie, Greenpeace racconta i cambiamenti climatici. 

Al Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco e al Museo Ebraico di Roma e la mostra sull'archeologo e mercante d'arte Ludwig Pollak (Praga 1868 - Auschwitz 1943), che ripercorre la storia professionale e personale del grande collezionista dalle sue origini nel ghetto di Praga, agli anni d'oro del collezionismo internazionale, alla tragica fine nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau.

Ai Mercati di Traiano Viaggio nel Colosseo - Magico fascino di un monumento, una mostra grafica sul fascino che "la magia" del Colosseo ha sempre esercitato sull'artista austriaco Gerhard Gutruf, attraverso una selezione delle sue opere realizzate in tecniche e formati differenti. Io So(g)no. Sguardi dei minori stranieri non accompagnati sulla loro realta' e i loro sogni e' la mostra fotografica al Museo delle Mura rivolta a minori stranieri non accompagnati accolti a Roma. 

Fino al 6 gennaio, i Musei faranno festa anche offrendo SPETTACOLI, CONCERTI E ATTIVITÀ per tutte le eta' e per ogni gusto. 

Con Musei in gioco, i protagonisti delle feste di Natale saranno bambini e ragazzi di ogni eta', dal 22 dicembre 2018 alla Befana 2019, che potranno scegliere tra le tante attivita' divertenti e formative organizzate per conoscere la storia di Roma e delle sue collezioni museali, in modo inusuale e divertente: dall'originale caccia al tesoro del Museo delle Mura, il 22 dicembre e il 5 gennaio, alla speciale tombola allestita al Museo di Casal de' Pazzi - 23 dicembre e 4 gennaio - con animali, piante e uomini del Pleistocene. 

E ancora, il Museo dell'Ara Pacis il 4 gennaio proporra' prove di abilita' e simpatici enigmi e al Museo Civico di Zoologia saranno molti i giorni dedicati al gioco - 22,23,27,28,29,30 dicembre e 2,3,4,5,6 gennaio - in cui i piccoli partecipanti potranno interagire con reperti naturalistici negli incontri della scienza divertente sulle orme di Babbo Natale e tra gli animali del ghiaccio. 

Anche al Museo di Roma, il 23 dicembre i ragazzi "vestiranno i panni" dei personaggi dipinti nelle opere attraverso oggetti - vestiti e gioielli - indossati nell'opera scelta. Non mancheranno cruciverba, puzzle, caccia all'opera d'arte misteriosa al Casino dei Principi di Villa Torlonia il 27 dicembre e il 6 gennaio, un "Mercante in Fiera" rivisitato in chiave napoleonica, naturalmente al Museo Napoleonico, il 3 e il 5 gennaio. Sabato 29 dicembre divertenti appuntamenti sia ai Musei Capitolini, con caccia all'opera e altri giochi di osservazione, sia alla Centrale Montemartini, dove melodie antiche e frastuoni moderni accompagneranno i bambini alla scoperta del museo. 

19/12/18

Eternità del Colosseo: Trip Advisor lo incorona attrazione più popolare del mondo.


Buone notizie per l'Italia dalla classifica delle "esperienze" su TripAdvisor: il Colosseo e' l'attrazione piu' popolare al mondo nel 2018 in base alle prenotazioni ricevute sul sito. 

Se si considera anche il secondo gradino del podio mondiale occupato dai Musei Vaticani (che tecnicamente si trovano nella Citta' del Vaticano) e il decimo con il Canal Grande di Venezia, l'Italia occupa ben 3 attrazioni tra le 10 piu' prenotate al mondo, primato che condivide solo con la Francia (che e' presente con Museo del Louvre 4/o, Torre Eiffel 5/o e Reggia di Versailles 9/o)

Le attrazioni italiane dimostrano quindi di essere tra le preferite dei viaggiatori globali quest'anno, superando icone internazionali come la Statua della Liberta' (3/a), la Sagrada Familia (6/a), il Golden Gate (7/o) e Stonehenge (8/o). 

Ecco la classifica delle 10 ATTRAZIONI PIÙ PRENOTATE DEL MONDO NEL 2018 

1. Colosseo, Roma, Italia 
2. Musei Vaticani, Roma, Italia 
3. Statua della Liberta', New York City, Stati Uniti 
4. Museo del Louvre, Parigi, Francia 
5. Torre Eiffel, Parigi, Francia 
6. Sagrada Familia, Barcellona, Spagna 
7. Golden Gate, San Francisco, Stati Uniti 
8. Stonehenge, Amesbury, Regno Unito 
9. Reggia di Versailles, Versailles, Francia 
10. Canal Grande, Venezia, Italia 

Ecco invece le 10 ATTRAZIONI PIÙ PRENOTATE IN ITALIA NEL 2018 

1. Colosseo, Roma 
2. Musei Vaticani, Roma 
3. Canal Grande, Venezia 
4. Pompei - Parco Archeologico, Pompei 
5. Galleria dell'Accademia, Firenze 
6. Galleria degli Uffizi, Firenze 
7. Cattedrale di Siena, Siena 
8. Torre di Pisa, Pisa 
9. Basilica di San Marco, Venezia 
10. Il Cenacolo, Milano 

18/12/18

Un paese più depresso (e nessuno se ne occupa) - Un bellissimo intervento di Franco Arminio.



Il nero dell’Italia di oggi non è il fascismo, ma la depressione. Forse sono depressi anche in Francia, ma lì ora è una depressione che si agita. Da noi è una cosa inerte, cupa. Tutti parlano di Salvini, ma il problema sono quelli che non escono di casa. Ci sono milioni di italiani in pigiama. C’è gente che finisce la sua giornata prima di cominciarla. Esistono i lavori usuranti, ma esistono anche i riposi usuranti. Abbiamo milioni di pensionati in buona salute, ma a cui nessuno sa cosa chiedere. Milioni di giovani senza lavoro e molto spesso senza utopie. Abbiamo un esercito di mutilati che non hanno partecipato a nessuna battaglia. La depressione degli italiani ovviamente non preoccupa nessuno perché i depressi in genere non danno fastidio. Anzi, uno dei motivi dell’assenza di conflitto sociale è proprio il dilagare della depressione. E ovviamente anche della paura.
Parliamo sempre della paura per i migranti. Ma forse la vera paura è il cancro. Siamo avvinti a questo nodo scuro che nessun uragano può sciogliere. Nessuno di noi, in nessun luogo può dire di non avere un parente o un conoscente ammalato di cancro. Anche la salute non è mai stata tanto grigia. Basta guardare le facce che ci sono in giro. È come se fosse sceso un velo grigio sulle facce. La scontentezza fa più danni del colesterolo. E poi c’è la lingua. Gli italiani non hanno mai parlato così male. Una volta c’erano i pastori, i barbieri che parlavano in rima. Anche chi non aveva studiato ti sapeva raccontare qualcosa. Ora si parla tanto di narrazioni, ma nessuno sa narrare niente. E ci si ammala anche per questo. C’è come un ristagno delle emozioni. La Rete ha creato un mondo di solitari che aspettano ogni giorno una parola che non arriva e se arriva non è mai bastevole. Primo e ultimo gesto della giornata: accendere e spegnere il telefonino. È come portarsi dietro una bombola di ossigeno vuota. Non c’è aria in Rete, è solo un traffico di ombre. E quello che una volta si chiamava mondo reale è un deserto. L’unico luogo dove si fa vita sociale ormai sono i ristoranti. Visti da fuori sembrano acquari dove ogni cliente è un pesciolino.

17/12/18

Vittorino Andreoli: "L'infelicità è la piaga della contemporaneità. Facebook andrebbe chiuso."



Vittorino Andreoli, psichiatra, scrittore, già Direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona – Soave e membro della New York Academy of Sciences ha raccontato di sé, del suo mestiere e della società in una lunga intervista che si può leggere anche sulla pagina di Huffington Post. 

Andreoli racconta la scelta della trama distopica, della solitudine di cui l'uomo avrebbe bisogno.

Siamo intossicati da rumori, parole, messaggi e tutto ciò che occupa la nostra mente nella fase percettiva. Il bisogno di solitudine è una condizione in cui poter pensare ancora. Oggi sono morte le ideologie, è morta la fantasia. Siamo solamente dei recettori. Ho proiettato il libro nel 2028, un giochetto per poter esagerare certe condizioni. Io immagino che ci sia un acuirsi della condizione di oggi per cui noi siamo solo in balia di un empirismo pauroso, dove facciamo le cose subito, senza pensarci. 

Lo psichiatra prosegue e punta il dito contro i social network (e, in generale, contro i simulacri del virtuale), vero e proprio male del nostro tempo. 

Facebook andrebbe chiuso. Lì abbiamo perso l'individualità, crediamo di avere un potere che è inesistente. L'individuo non sta nelle cose che mostra ma in ciò che non dice. Invece i social ci spingono a dire tutto, ci banalizzano. I social sono un bisogno di esistere perché siamo morti. Creano una condizione di compenso per le persone frustrate [...] Quando non si sa più distinguere tra virtuale e reale è pericoloso. Si estende l'apprendimento virtuale nella propria casa, nella propria vita.

I social network sono un pericolo anzitutto per i giovanissimi, i cosiddetti "millennials", per cui Andreoli esprime timore. 

Io sono molto preoccupato. Non siamo più capaci di aiutarli [...] Mancano gli esempi dei padri che, a loro volta, hanno bisogno di non essere frustrati. Il male non è mai singolo. C'è qualcosa che non funziona a livello sociale. 

Si dice spesso che il male più diffuso dei nostri tempi sia la depressione, ma il noto psichiatra contraddice e corregge l'affermazione. Per Andreoli, la piaga della contemporaneità è l'infelicità [...] 

Come si fa a essere felici? Noi viviamo nella frustrazione, che si accumula e genera rabbia e questa genera violenza. L'infelicità genera violenza che, a sua volta, può essere carica distruttiva. La distruttività è la voglia di rovinare e non riguarda solo l'altro ma anche se stessi. 

Tra le "patologie" che affliggono l'uomo, Andreoli annovera anche la smania di potere. 

Diciamo che se incontrassi Trump mi porterei dietro il camice. Il potere è una malattia sociale.

Durante la sua carriera, Vittorio Andreoli ha analizzato i profili dei peggiori criminali: Unabomber, Pietro Maso, Donato Bilancia, ecc. Ma in ognuno è sempre riuscito a trovare un lato umano. Confessa che l'eccezione fu incontrare gli imputati di Piazza della Loggia. 

La violenza organizzata è drammatica, è un unico corpo malato. Quando non c'è più il criminale isolato ma c'è il sistema, non puoi più valutare una testa. Il delitto non è legato a un uomo solo, quando vedevo gli imputati da soli erano del tutto diversi. Lì non ce l'ho fatta, non ho capito

E sui concetti di normalità e follia, Andreoli non ragiona per compartimenti stagni. 

Siamo tutti matti e tutti normali. Gli omicidi più efferati sono compatibili con la normalità. Significa che Bilancia avrebbe anche potuto non uccidere. E il signore per bene invece sì [...] Quando qualcuno non mi sta simpatico, dico: sa che lei è proprio normale? E lui si giustifica. Nessuno vuole essere normale. I normali sono noiosi. Normale vuole dire: equilibrio, coerenza, onestà, regole. Questi elementi sono visti male. 

Se la felicità è un obiettivo davvero arduo da raggiungere, Andreoli confessa di credere in un altro tipo di ricerca. 

Io ce l'ho con la felicità. Io sono un infelice gioioso. La felicità riguarda l'io, la percezione che un soggetto ha di fronte a qualcosa di positivo che lo riguarda. La gioia riguarda il noi, è corale [...] Collettivo, non egoista. Ecco, quello è possibile.

16/12/18

Poesia della domenica: " E' rimasta laggiù" di Cristina Campo.



E' rimasta laggiù, calda, la vita,
l'aria colore dei miei occhi, il tempo
che bruciavano in fondo ad ogni vento
mani vive, cercandomi...

Rimasta è la certezza che non trovo
più se non tra due sonni, l'infinita
mia sapienza in frantumi. E tu, parola
che tramutavi il sangue in lacrime.

Nemmeno porto un viso
con me, già trapassato in altro viso
come spera nel vino e consumato
negli accesi silenzi...

                             Torno sola
tra due sonni laggiù, vedo l'ulivo
roseo sugli orci colmi d'acqua e luna
del lungo inverno. Torno a te che geli

nella mia lieve tunica di fuoco.


Cristina Campo, da La tigre assenza, Adelphi, Milano, 1991 p. 22.

14/12/18

Le mille e misteriose storie dell'Appia Antica - da "Le rovine e l'ombra".


Lungo la Via Appia a Roma, tombe e lapidi formano l’inesauribile campionario delle cose e delle anime perdute. 

In un columbarium, su di una stele in onore della defunta, si leggono queste parole: 

Chiunque legga questa iscrizione, se è un giovane che ama la sua donna, si astenga dall’avvolgerle d’oro le braccia, anche se ella ti cinge il collo con le sue braccia adorne e ti supplica di poter indossare doni all’altezza dei suoi meriti, accontentala nelle vesti, ma lascia stare i gioielli: si terranno alla larga ladri e seduttori. Fu infatti un serpente vistoso sulle sue braccia a provocare la morte della mia signora, e a me il marito, ha colpito il cuore, e la ferita la porterò per sempre (1).

Perduta è questa donna, perduto l’uomo innamorato che ha lasciato questa orazione, perduto l’oggetto d’oro che causò una così dolorosa scomparsa

Le circostanze non sono chiare: per quanto ne sappiamo il bracciale d’oro fu probabilmente l’occasione di una rapina finita male: uccidere la donna per portarle via quel prezioso gioiello, andato anch’esso perduto. 


Trafugato dai ladri, forse venduto, finito in chissà quale tomba o disperso nell’oblio. 

Un epitaffio dunque che registra una doppia mancanza: della cosa e della persona. Allo stesso tempo è anche la testimonianza di qualcosa che non si è del tutto perso ed è ombra, cioè sopravvivente memoria

L’ombra dei morti che affollano le camere segrete della Via Appia, le catacombe, i tumuli e i mausolei tiene compagnia ai vivi, li scuote e li costerna, non li lascia in pace, ne reclama l’attenzione. Ogni rovina è fondata su una perdita. Ogni civiltà, ogni stirpe, ogni generazione sembra destinata a lasciare dietro di sé qualcosa che si perde, senza perdersi mai del tutto. Le ombre si allungano sulla civiltà occidentale, che molti oggi vedono al tramonto. D’altronde, come si sa, la stessa parola “occidente” rimanda al tramonto: occidente è il luogo dell’ombra, dove il sole va a tramontare. Il luogo dove i giorni e le cose finiscono e vanno a finire precipitando nell’ombra. In questa heideggeriana condizione, decadente e prolungata, gli spiriti più inquieti sono anche i più lucidi, i più profetici. Sono gli spiriti liberi che albergano ovunque e passano inosservati, oppure lasciano la fatica dell’opera.

(1) C.I.L. VI, 5302, da un Colombario di Roma