09/12/16

Una grande mostra alla Galleria Borghese, "L'origine della Natura Morta. Caravaggio e il Maestro di Hartford" fino al 19 febbraio, con aperture straordinarie.

il Cesto di Frutta di Caravaggio alla Galleria Borghese di Roma

A seguito della grande richiesta di prenotazioni per visitare la mostra "L'origine della Natura Morta. Caravaggio e il Maestro di Hartford", il Museo Galleria Borghese effettuerà delle aperture straordinarie.
A partire da venerdì 16 dicembre infatti, e per tutta la durata della mostra che si concluderà domenica 19 febbraio, il Museo rimarrà aperto sia il venerdì che il sabato fino alle ore 22, con ultimo accesso alle ore 20.30.

La Galleria Borghese di Roma presenta la mostra “L’origine della natura morta in Italia. Caravaggio e il Maestro di Hartford” con cui, proseguendo l’opera di valorizzazione del proprio patrimonio artistico, si analizzano le origini della natura morta italiana nel contesto romano della fine del XVI secolo, seguendo i successivi sviluppi della pittura caravaggesca nei primi tre decenni del '600.

La mostra è curata da Anna Coliva, storica dell’arte e direttrice della Galleria Borghese e da Davide Dotti, storico e critico d’arte che si occupa di barocco italiano e in particolare dei temi del vedutismo e della natura morta.

Da alcuni anni la Galleria Borghese porta avanti un programma di mostre, varie per argomento e approccio ma tutte orientate sulla sua natura, sulla sua perfetta e intensa storicità di edificio e di collezione. In ogni mostra la Galleria non è la location ma la protagonista indispensabile allo svolgimento del tema delle mostre stesse.

Quella che si inaugura oggi è l’occasione, prettamente storiografica e filologica, per inserirsi nei percorsi della Galleria narrando il tema dell’origine del genere pittorico che solo molto più tardi verrà chiamato “natura morta”. La critica d’arte seicentesca infatti denominava tali quadri come “oggetti di ferma”, con l’esatto moderno significato di “modelli immobili”, al pari della locuzione anglosassone still life.

La mostra vuole fare il punto sull’avanzamento degli studi critici ed esamina, con i contributi degli specialisti nei saggi in catalogo, questioni filologiche molto complesse che riguardano provenienze, autografie, appartenenze a gruppi stilistici di artisti di cui purtroppo non conosciamo l’identità anagrafi-ca a causa del silenzio delle fonti documentarie, ma che sono ben noti dal punto di vista dello stile, tanto da essere raggruppati dalla critica sotto name-pieces molto suggestivi: innanzi tutto il Maestro di Hartford, che è il soggetto principale poiché la sua produzione di still life si lega strettamente ad alcuni lavori di Caravaggio, tra cui l’Autoritratto come Bacco (Bacchino malato), il Ragazzo con cesta di frutta, il Suonatore di liuto e la Cena in Emmaus Mattei.

Per molto tempo inoltre, Federico Zeri ha ritenuto di identificare il Maestro di Hartford con Caravaggio giovane. Per attestare come la lezione del Maestro di Hartford e del primo Caravaggio fu raccolta dai pittori attivi a Roma nei primi due decenni del '600, sono esposte le opere del Maestro del vasetto, del Maestro delle mele rosa, di Pensionante del Saraceni, e di altri specialisti di primissimo piano.
Natura Morta del Maestro di Hatford

08/12/16

Una delle più grandi poesie d'amore di sempre - "Quando sarai vecchia" di William Butler Yeats.



E' una delle più grandi poesie d'amore di sempre.  

in questo video la lettura di "Quando tu sarai vecchia" di William Butler Yeats (1865-1939). 

questo il testo: 


Quando tu sarai vecchia
e grigia e sonnolenta,
Col capo tentennante accanto al fuoco,
prenditi questo libro,
E lentamente leggilo,
e sogna del tenero sguardo
Che gli occhi tuoi ebbero un tempo,
e delle loro ombre
Profonde; quanti furono a amare i tuoi attimi
Di grazia felice, e quanti amarono,
con falso o vero amore,
La tua bellezza; ma uno
solo amò l'anima peregrina
Che era in te, e il dolore
del tuo volto che muta.
Curva di fronte ai ceppi risplendenti mormora,
Con lieve tristezza,
come Amore fuggì, come percorse
Passando, i monti che
ci stanno alti sul capo,
E nascose il suo viso
fra un nuvolo di stelle.


William Butler Yeats (1865-1939)



07/12/16

Gianfranco Giustizieri nel suo nuovo libro indaga su D'Annunzio e quattro nobili città (L'Aquila, Penne, Orsogna e Leonessa).




è appena uscito in libreria il nuovo libro di Gianfranco Giustizieri che indaga nella storia del Novecento Italiano, con la recensione che ad esso ha dedicato Federico Mussano. 

Quattro località, un motto


di Federico Mussano
Non poteva esserci cornice migliore del 1° Raduno del Battaglione Alpini L’Aquila e dell’Auditorium del Parco nel capoluogo abruzzese per presentare l’ultima fatica editoriale di Gianfranco Giustizieri, cultore della vita e della cultura di tale regione, e pensiamo che – mai come questa volta – lo studioso si sia distaccato dal suo Abruzzo… non certo distaccato in termini affettivi (e come poteva essere? il motto dannunziano “d’Aquila penne, ugne di leonessa” non richiama forse le quattro località L’AquilaPenneOrsogna e Leonessa, adesso laziale ma un tempo abruzzese?) ma distaccato in termini di trasferte a Roma per svolgere una ricerca rigorosa, uno studio di fervore filologico e storico che doveva necessariamente condurre Giustizieri presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito.
L’attenzione dell’editore Carabba per i motti dannunziani si era già manifestata in altre occasioni, valga per tutte la citazione del saggio di Paola Sorge pubblicato nel 2010 con il titolo Motti Dannunziani in cui – lo ricorda Giustizieri – la studiosa romana sottolineava come ognuno di tali motti rispondesse a una funzione ben precisa e se alcuni esulavano completamente dalle tematiche dell’eroismo e dell’ardimento (è noto come il Vate fosse anche creatore di motti pubblicitari) altri nel solco patriottico erano pienamente calati.
Sfogliamo il libro per immagini e facciamolo per due motivi: per la suggestione della foto di copertina – stella alpina sì, ma stella alpina dell’Appennino – e per evitare di svelare al lettore il mistero del motto che tra «Storia, Poesia, Leggenda in terra d’Abruzzo e anche oltre», come recita il sottotitolo, conduce a svolgere una «indagine poliziesca alla Sherlock Holmes» per citare il presidente Capezzali della Deputazione di Storia Patria negli Abruzzi. Tra le immagini troviamo la copertina di Merope e vediamo d’Annunzio in divisa da aviatore, ma le imprese dell’aria non c’entrano con la localizzazione storica del motto: vediamo però anche uno scenario di mare, la foto di un cacciatorpediniere e notiamo come il capitolo a pagina successiva si intitoli “Il verso rivelatore”…



06/12/16

Dadi truccati romani e una trottola etrusca in mostra a Perugia.





C'e' anche una copia di dadi truccati di epoca romana, quando cioe' i giochi d'azzardo erano proibiti per ragioni di ordine pubblico, tra gli oggetti in mostra, a partire da mercoledi' prossimo 7 dicembre (alle 17 l'inaugurazione) al Museo archeologico nazionale dell'Umbria, a Perugia, nella rassegna dal titolo 'Giochi da museo'. 

Di particolare rilievo una piccola e rarissima trottola di epoca etrusca, in ceramica, dotata all'interno di piccoli sassi, tali da generare suoni durante la rotazione


Vi saranno esposti - annuncia un comunicato degli organizzatori - giocattoli antichi e moderni, insieme ad per adulti legati al gioco d'azzardo. 

Oltre quelli del Museo archeologico nazionale dell'Umbria, una serie di reperti riferibili al gioco in generale provengono dalla collezione Sambon di Milano, dal Museo del Vino di Torgiano e dai musei civici di Reggio Emilia, che hanno fornito uno straordinario corredo funerario composto da suppellettili in miniatura; una vera e propria casa di bambola, appartenuta ad una fanciulla, Iulia Graphis, morta in giovane eta'. 

Ci sono anche bambole snodabili in osso, pedine, animaletti e rappresentazioni di attivita' ludiche nei vasi dipinti. 

L'esposizione si avvale inoltre di inserimenti di epoca moderna, forniti dal Museo del giocattolo di Perugia, a suggerire nessi di continuita' con un'attivita' umana sostanzialmente immutata, almeno fino all'avvento delle realta' virtuali, tipiche dei giochi elettronici. Infine la rassegna ospita anche materiali provenienti dalle zone colpite dal sisma. 

 La mostra restera' aperta fino al 17 aprile prossimo.

05/12/16

Per la prima volta l'8 dicembre alla Basilica di Santa Maria in Montesanto "I vespri carmelitani", nel luogo dove Haendel li scrisse.





Haendel, la Basilica di Santa Maria in Montesanto ed i Vespri Carmelitani. 

C'è un “fil rouge” che lega un genio della musica come Haendel, la Basilica di Santa Maria in Montesanto, consacrata alla Vergine del Carmelo, ed i Vespri Carmelitani, festa mariana molto importante , in occasione della quale l’Ordine Carmelitano commissionava ai compositori più illustri dell’epoca le musiche per i Vespri Solenni da eseguirsi nell'attuale Basilica, conosciuta anche come Chiesa degli Artisti, nella festività più importante del Carmelo celebrata il 16 luglio.

Il “fil rouge” che intreccia la storia di un giovane e brillante “sassone” compositore di musica trasferitosi a Roma agli inizi del '700 che su commissione del cardinale Carlo Colonna, compose salmi, mottetti e antifone eseguiti in questa chiesa per il Vespro della Festa della Madonna del Carmelo è senz'altro intessuto dell'amore del popolo verso la Vergine Maria alla quale, secondo le ricerche storiche e musicologiche da parte di storici dell’Ordine Carmelitano come Padre Giovanni Grosso, e musicologi come il Prof. Della Libera ed il Prof. Kirkendale, veniva impetrata nelle Antifone Mariane una speciale “protezione” per il susseguirsi di terremoti che avevano devastato le regioni appenniniche del Lazio e dell’Abruzzo.


Oggi dunque è più che mai attuale l’esecuzione dei Vespri Carmelitani di Haendel: da un lato permette di “risentire” a livello collettivo la prospettiva e la complessità della vita barocca, dall’altro di cercare, nella e con la forza rituale della musica, di uscire dalla crisi esistenziale provocata dai grandi “terremoti” della natura.

Giovedì 8 dicembre alle ore 19.00 nella Basilica di Santa Maria in Montesanto sarà offerta a tutti la possibilità di partecipare all’ esecuzione moderna del capolavoro che Haendel compose per la comunità dei religiosi della Basilica di Santa Maria in Montesanto: il magistrale Dixit Dominus HWV 232. 

Un’opera costruita ricorrendo alle auliche norme del contrappunto ‘osservato’ unite alla modernità delle linee melodiche, delle sezioni concertante e dell’icasticità armonica. Accanto a questa icona del barocco si ponevano gli altri straordinari brani vocali-strumentali, tutti composti per la chiesa di Santa Maria in Montesanto. 

In basilica sarà esposto l’Antifonale del 1702 usato dai padri carmelitani per la preghiera dei Vespri che sicuramente Haendel ha consultato per la sua composizione.


Il concerto, che rientra negli eventi del Roma Festival Barocco, verrà eseguito da 5 eccelsi solisti (esclusivamente maschi sopranisti, come in uso nei Vespri di Haendel), i 16 cantori del Coro da Camera Italiano, e l’Orchestra barocca su strumenti originali di fama internazionale MUSICA ANTIQUA LATINA con la direzione del M° Giordano Antonelli.

ORCHESTRA BAROCCA
MUSICA ANTIQUA LATINA

SOPRANO I SOLISTA Paolo Lopez - SOPRANO II SOLISTA Antonio Giovannini - CONTRALTO SOLISTA Antonello Dorigo TENORE SOLISTA Riccardo Pisani - BASSO SOLISTA Mauro Borgioni
CORO DA CAMERA ITALIANO (CANTORI RIPIENISTI ) - 16 CANTORI
MAESTRO CANTORE GREGORIANISTA - M° Christian Almada
ORCHESTRA BAROCCA MUSICA ANTIQUA LATINA
4 VIOLINI PRIMI - Olivia Centurioni, Sara Meloni, Kasia Solecka, Alberto Tosi 3 VIOLINI SECONDI - Gabriele Politi, Alberto Caponi, Giacomo Venturoni 2 VIOLE - Gianfranco Russo, Emanuele Marcante 1 VIOLONCELLO - Adriano Ancarani 1 VIOLA DA GAMBA - Silvia de Maria 1 VIOLONE - Matteo Coticoni 1 ORGANO - Salvatore Carchiolo 2 TIORBE - Francesco Tomasi, Marco Restelli.

MUSICA ANTIQUA LATINA
L’orchestra barocca Musica Antiqua Latina e’ attiva sulla scena internazionale della musica antica, è stata ospite di numerosi Festival in tutta Europa, tra le quali la World Youth Orchestra Chamber Music Festival, Campus Internazionale di Latina, Goldberg Festival Danzica (Polonia) Notti d’Estate a Castel S.Angelo, Istituto Culturale Portoghese- Lisbona, Bologna International Process (Sala Nervi Vaticano), Festival Musica Reservata, Radio Vaticana, Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, Radio3-I concerti del Quirinale, Festival Divinamente, I Concerti nel Parco - Roma, Stagione Musicale Etnea, Festival Perla Baroku (Varsavia), IIC Istanbul, ARP Lazio, Roma Festival Barocco, SabirFest, Rai Radio 3 Suite, Innsbruck Festwochen.
Musica Antiqua Latina registra in esclusiva per SONY CLASSICAL.

GIORDANO ANTONELLI, DIRETTORE & VIOLONCELLISTA BAROCCO
Giordano Antonelli, violoncellista barocco di fama internazionale, e’ stato allievo del grande violoncellista russo Ivan Monighetti, e si è dedicato allo studio della prassi esecutiva nella musica antica e del violoncello barocco con Christophe Coin, presso la Schola Cantorum Basiliensis di Basilea. Dal 1998 al 2003 ha collaborato come violoncello solista dell’Orchestra Sinfonica di Granada (OCG, Spagna), realizzando registrazioni discografiche con Harmonia Mundi France, e tournèe concertistiche in Spagna, Francia, Germania, Belgio, Austria, USA. Giordano Antonelli ha ricoperto il ruolo di primo violoncello solista e continuista presso l’Orchestra del Theatre Royale La Monnaie – Bruxelles, Orquesta Ciudad de Granada, Orchestra Barocca di Sevilla, I Fiati di Parma, la Kammer Orchester Basel, Neues Orchester Basel, Orchestra Barocca di Granada, Prague Mozart Orchestra, Gustav Mahler Jugend Orchester (tutti); ha suonato come primo violoncello al fianco di direttori come C.Hogwood, G.van Waas, G.Carmignola, G.Antonini, B.Sargent, F.Brueggen, F.Biondi, K.Ono, P.Herreweghe, C.Abbado, G.Acciai.Il primo violoncello solista dei Berliner Philharmoniker, Ludwig Quandt, ha scritto: ‘Giordano Antonelli is one of the rare musicians, who are able to create links between active musicians and music scientists, as well as to build up and to lead ensembles who perform directly from the archieves’. Ha collaborato per diversi anni come violoncellista principale ne Il Giardino Armonico, e suona frequentemente il violoncello piccolo a 5 corde (P.A.Landolfi, Milano 1770 circa), largamente utilizzato nel XVII° e XVIII° secolo, per il quale ha realizzato un approfondito studio filologico e di repertorio. E’ fondatore e direttore dell’ensemble barocco Musica Antiqua Latina.

PAOLO LOPEZ, sopranista
Sarà il grande sopranista palermitano Paolo Lopez, dalla vocalità intensa, delicata ma anche corposa e vibrante, a restituire la vocalita’ sacra dei castrati utilizzata a Roma nel ‘700 da Haendel. Paolo Lopez svolge la sua attività con i più importanti direttori internazionali del repertorio barocco (Jordi Savall, William Christie, Fabio Biondi, Ottavio Dantone, Christophe Rousset, Diego Fasolis, Antonio Florio, Stefano Montanari, collaborando con Les Arts Florissants, Le Concert des Nations, Les Talens Lyriques, Accademia Bizantina, Europa Galante. Oltre che in Italia, svolge intensa attività concertistica in tutto il mondo (Cracovia, Vienna, Venezia, Nancy, Versailles).

03/12/16

Complessità del Buddhismo e semplificazioni occidentali.



Negli ultimi decenni si è assistito ad una diffusione del buddhismo in Occidente in una versione che l'Occidente - non so quanto consapevolmente o meno - ha notevolmente semplificato, rischiando di trasformare la teoria e la pratica millenaria del buddhismo in qualcosa di molto simile ad una disciplina new age

Addirittura ho sentito ripetere spesso che il buddhismo, rispetto al Cristianesimo, è molto più semplice (!) e immediato. Credo che ciò dipenda, come sempre, da una mancanza di approfondimento e di consapevolezza delle cose. 

Credo che questo breve passaggio del libro di Hervé Clerc, Le cose come sono (Adelphi edizioni, 2015), aiuti a rimettere un po' d'ordine. 

Se il nirvana è un'esperienza universale, il buddhismo è una creazione indiana. A immagine dell'India, delle sue città, la sua vegetazione, le etnie, le lingue, gli dèi, il suo miliardo di abitanti e altrettante contraddizioni, il buddhismo prolifera in modo anarchico in una giungla di sutra che nessuna tasca potrà mai interamente contenere. 

Il cristianesimo, religione del Verbo, si propaga grazie ai testi, il buddhismo malgrado i testi. 

In totale il Buddha avrebbe comunicato ai suoi discepoli 84.000 insegnamenti, afferma suo cugino Ananda, uomo dotato di una memoria fenomenale, che nessuno poteva guardare senza provare un immediato sentimento di gioia (Mahaparinirvana sutra). 

Questi insegnamenti sono contenuti o piuttosto arginati nei tre canoni. 

Il solo canone pali, nella dotta edizione della Pali Text Society, comprende 57 volumi, indici inclusi. 

Il canone tibetano Kangyur ne contiene un centinaio. 

Secondo Arthur F. Wright il canone cinese presenta da solo 74 volte la lunghezza della Bibbia. 

Nessuno quindi, conclude Clerc, può pretendere di possedere una conoscenza esaustiva di questo continente.

02/12/16

Finisce all'asta la pistola con cui Verlaine sparò a Rimbaud, venduta per mezzo milione di Euro!


La pistola più famosa nella storia della letteratura francese, il revolver con cui Paul Verlaine cercò di uccidere l'amante e collega poeta Arthur Rimbaud, è stata venduta per 434.500 euro a un'asta a Parigi.

Il prezzo per questa 7 millimetri a sei colpi è stato sette volte superiore alle stime, ha annunciato la casa d'aste Christie's. 

Verlaine acquistò l'arma a Bruxelles la mattina del 10 luglio 1873, determinato a mettere fine alla sua relazione, che andava avanti da due anni, con il ragazzo 19enne.

Il 29enne poeta abbandonò la moglie e il figlio per Rimbaud, che sarebbe in seguito diventato il simbolo della gioventù ribelle, idolatrata dai cantanti degli anni Sessanta come Jim Morrison. 

Ma dopo un periodo trascorso a Londra, caratterizzato da oppio e abuso di alcol, che avrebbe ispirato "Una stagione all'inferno" di Rimbaud, Verlaine decise di tornare dalla moglie

Fuggì nella capitale belga per stare lontano da Rimbaud, che però lo seguì

In una stanza d'albergo nel pomeriggio, dopo litigi, grida e alcol a fiumi - secondo la versione di Rimbaud - Verlaine tirò fuori la pistola

"Ecco come ti insegnerò come andartene!", urlò prima di sparare a Rimbaud. Un proiettile lo colpì al polso, l'altro centrò il muro prima di rimbalzare verso il camino. Rimbaud però rimase fedele all'amante. Bendato in un ospedale pregò di nuovo l'autore di "Poemi saturnini" di non lasciarlo. 

Verlaine - che sarebbe stato tormentato da problemi di droga e alcolismo per tutta la vita - tirò fuori ancora una volta la pistola e lo minacciò in strada. 

Fu arrestato da un poliziotto che passava per strada e condannato a due anni di lavori forzati in carcere dove - ancora una volta per il disappunto di Rimbaud - si sarebbe convertito al cattolicesimo. 

 In carcere scrisse 32 poemi che sarebbero in seguito stati pubblicati nelle sue più famose raccolte, "Saggezza", "Allora e ora" e "Invecttive". 

La pistola fu confiscata e finì nelle mani di un privato, secondo Christie's.


Verlaine e Rimbaud

30/11/16

Il fascino di Monte Mario -Storie di Nobili e di ... Ufo




Sulla sommità del Monte Mario, così amato dai romani tanto da affibbiargli l’appellativo di monte anche se si tratta di una altura che nel punto culminante raggiunge i 139 metri di altezza, sembra esista il più forte legame della città con le stelle e con i misteri dell’universo. 

In particolare nel parco della Villa Mellini, dal quale si gode un panorama unico sulla città, ogni anno frequentato da migliaia di turisti

La splendida Villa che risale al ‘500 fu costruita dal cancelliere Mario Mellini, come residenza extraurbana per la sua famiglia e proprio questo sarebbe all’origine del nome – Monte Marioconsegnato alla storia alla collinetta che sovrasta Roma

Abitata da principi e frequentata dalle più illustri personalità durante le loro visite a Roma - basti pensare tra gli altri a Goethe, Stendhal, Henry James e William Wordsworth (che dedicò ad un pino di quel parco uno dei suoi più celebri sonetti) – Villa Mellini alla fine dell’Ottocento divenne sede della Sezione Fotografica dell’Esercito Regio, inaugurando così la sua destinazione scientifica che sarebbe durata fino ad oggi: dapprima come sede dei primi esperimenti di volo e di fotografia aerea, poi, dal 1923, a seguito della chiusura degli Osservatori storici di Roma, quello del Campidoglio e quello del Collegio Romano, divenendo la sede dell’Osservatorio astronomico di Monte Mario (inaugurato ufficialmente nel 1938 e comprendente anche un museo di Astronomia) con la realizzazione di due cupole principali e di una Torre Solare all’interno della quale si seguono studi di fisica solare


Attiguo alla Villa Mellini, però c’è anche un altro luogo molto amato dai romani e dal nome suggestivo: Zodiaco. Si tratta di un celebre ritrovo, originariamente un semplice chiosco, divenuto con il tempo un elegante caffè e ristorante all’aperto, fondato nel 1956 da un personaggio divenuto famoso nelle cronache cittadine per la molteplicità dei suoi interessi, Eufemio Del Buono

Nato a Cetona, in provincia di Siena nel 1928 e scomparso pochi anni fa, Del Buono scoprì quel luogo ameno sul finire degli anni ’40, su invito di alcuni amici, peregrinando per la città alla ricerca di un posto panoramico dove realizzare un chiosco sul modello di quello già esistente sul Piazzale del Pincio

Giunto sul limitare del Parco di Villa Mellini, già divenuta sede dell’Osservatorio, e incantato dal panorama che si godeva dal piccolo sentiero che collegava alcune case fatiscenti ad un maestoso leccio secolare, Del Buono decise che quello sarebbe stato il posto giusto e dopo aver chiesto le necessarie autorizzazioni comunali, realizzò il suo sogno

Sullo Zodiaco, da quel punto del tutto privilegiato, Del Buono cominciò ad osservare il cielo e negli anni ’60 avvenne il suo primo avvistamento: un grande oggetto a forma di disco – secondo la sua testimonianza - apparve e stazionò nel cielo della capitale, episodio che Eufemio raccontò in diverse interviste televisive, trasformandolo in uno dei primi ufologi militanti italiani

 Monte Mario era stato fra l’altro teatro di un altro famoso avvistamento romano, che aveva avuto come testimone un giornalista, Bruno Ghibaudi il quale era convinto di aver ripreso un Ufo con la sua cinepresa super-8.

 Eufemio Del Buono, dopo questi episodi si dedicò alla divulgazione della ufologia, con attività instancabile, organizzando convegni, incontri, serate internazionali e scrivendo una gran quantità di libri, di cui il più famoso, resta Noi e gli Extraterrestri, che incontrò un notevole interesse anche perché, con un piglio comunque scientifico o para-scientifico, l’autore sosteneva che i Fratelli dello Spazio, cioè gli alieni, avessero edificato i libri sacri di tutte le religioni della terra, in attesa che l’evoluzione del genere umano giungesse ad un livello sufficientemente alto per poter comprendere realtà così impensabili. 

Del Buono ancora oggi è un punto di riferimento della comunità ufologica italiana e molti dei suoi libri campeggiano ancora oggi dietro le vetrine del Caffè Zodiaco che per così tanti anni ha ospitato questo controverso e simpatico personaggio che ormai fa parte a tutti gli effetti della storia recente della città. 

Panorama di Roma da Monte Mario, 1861

29/11/16

La Morte di Fidel - le reazioni della Cultura.



La morte di Fidel Castro è occasione di bilancio anche per il mondo della cultura internazionale.

Giudizi, pareri e ricordi personali:

"Era un uomo elegante, con le lunghe mani affilate da aristocratico spagnolo. Anche di primo mattino fumava dei sigari Cohiba molto sottili che ne accentuavano il fascino. La sua voce era invece deludente: una tonalità molto alta, quasi effeminata, che contraddiceva le pose da macho", ricorda intervistata da Repubblica Inge Feltrinelli, moglie di Giangiacomo, con cui negli anni Sessanta si recò a Cuba proprio per incontrare Castro in vista della pubblicazione delle sue memorie. 

Il lider maximo, ricorda la giornalista ed editrice, non amava parlare di sé, anzi, "la sua vita era la revolución. Parlava di economia e di marxismo ma non era un comunista teorico: al contrario appariva superficiale e velleitario".

All'epoca dell'incontro, nel 1964, Inge spiega che Castro "non sapeva nulla di letteratura. Un ruolo istruttivo importante l'avrebbe svolto García Márquez, che gli fece conoscere la narrativa sudamericana".

Lo stesso Gabo (scomparso nel 2014) che, qualche anno fa, parlava di Fidel così: "La sua visione dell'America Latina nel futuro, è la stessa di Bolivar e Martí, una comunità integrale ed autonoma, capace di muovere il destino del mondo. Il paese del quale sa di più dopo Cuba, sono gli Stati Uniti".

Dal mondo del cinema sono risuonate le parole dell'attore Andy Garcia, cubano naturalizzato statunitense, da sempre critico nei confronti di Castro. "Ho sempre detto che Cuba è stata tradita, mistificata, usata da Fidel. Un dittatore. Non una icona rivoluzionaria", dice in un'intervista pubblicata ieri dal Corriere della Sera.

"Penso che per anni e anni - aggiunge - la mia splendida Cuba sia diventata un Paese amletico e ferito per colpa di due regimi, quello di Batista e quello di Castro".

Forti i contrasti anche nella letteratura sudamericana. Mario Vargas Llosa, peruviano, naturalizzato spagnolo, premio Nobel nel 2010, ha definito Castro una "persona che ha abbagliato" la sua generazione perché "era come un eroe di un romanzo d'avventura", ma è stato responsabile di aver "mantenuto più o meno immobile la struttura del Paese".

A suo avviso, non ci sarà nessuno in grado di "sostituire Fidel come mito, leggenda o eroe" ed è per questo motivo che "le strutture di dominio e di controllo cominceranno a sgretolarsi lentamente". 

Luis Sepulveda ha invece voluto ricordare i meriti del Fidel 'rivoluzionario'. "Oggi - ha scritto dopo la notizia della morte di Castro - è il giorno del dolore di coloro che hanno osato fare il passo necessario di rompere con l'esistenza docile e sottomessa, e si unirono al cammino senza ritorno della lotta rivoluzionaria".

Parole riprese in Italia dal giornalista Gianni Minà, grande esperto di America Latina, che trent'anni fa lo intervistò per 16 lunghe ore. "Non sorprende - ha scritto Minà su il manifesto - che, in quasi tutto il mondo, la notizia della sua dipartita è stata trattata con assoluto rispetto, tranne forse da alcuni gruppuscoli di Miami, quelli che hanno favorito il terrorismo organizzato in Florida e messo in atto a Cuba, come Posada Carriles che continua a passeggiare tranquillamente per Miami".

 E poi ci sono le voci di chi Cuba e i suoi miti li ha raccontati nei libri, come Paco Ignacio Taibo II, autore di 'Senza perdere la tenerezza', straordinario racconto della vita di Ernesto 'Che' Guevara, che proprio nel giorno in cui Castro moriva stava presentando per la prima volta a Cuba la sua opera. "Fidel - dice in un'intervista pubblicata oggi da La Stampa - ha vissuto molte vite. C'è il Comandante della Rivoluzione, c'è il 'líder' della vittoria, quello della Baia dei Porci, della crisi dei missili e via dicendo. È finalmente arrivato il momento di metterle in ordine".

Secondo lo scrittore "sono state eliminate le zone oscure della sua biografia e le interpretazioni più partigiane, come quelle sulla morte del Che. Credo che oggi andrebbe sottolineato qualcosa di poco noto, come la guerra in Angola: una piccola isola dei Caraibi volle sfidare il regime razzista sudafricano a migliaia di chilometri di distanza".

fonte Lapresse

28/11/16

Marco Cicala intervista la vedova di Giuseppe Berto,mentre viene ripubblicato "Il male oscuro", romanzo capitale del Novecento italiano.



Giuseppe Berto con la moglie Manuela nell'appartamento alla Balduina

Pubblico l'incipit della bellissima intervista realizzata da Marco Cicala a Manuela, la vedova di Giuseppe Berto, sull'ultimo numero del Venerdì di Repubblica. 


ROMA. La letteratura come terapia è ormai una ricetta da corsi serali per signore ansiose. Non lo era nel 1958, quando Nicola Perrotti – luminare freudiano, tra i fondatori della Società psicoanalitica italiana – prese in cura quello che sarebbe diventato il suo paziente più famoso. Giuseppe Berto aveva 44 anni e stava malissimo. La nevrosi che da qualche tempo si portava appresso s'era andata acutizzando con effetti parecchio invalidanti. Nei momentacci di crisi, Berto non può più restare da solo in una stanza, attraversare una strada, salire oltre il quarto piano di un palazzo. Non prende ascensori, treni, aerei, navi. Se c'è traffico, anche spostarsi in auto lo getta nel panico. Ha dolori al colon, al torace. Vive nel terrore del cancro, dell'infarto, della pazzia. Soprattutto scopre una paura a lui finora sconosciuta: quella di scrivere. Dopo tre romanzi di varia fortuna, si danna alla tastiera, ma niente. A sbloccarlo, lentamente, saranno le sedute da Perrotti.


Sostenuto dal terapeuta, Berto torna al lavoro «come un paralitico che dopo l'attacco di trombosi rieduca a poco a poco gli arti immobilizzati e li riporta a compiere i movimenti» confesserà più tardi. Rimette mano a roba abortita, rimasta nei cassetti, ma Perrotti gli consiglia di buttare via tutto per tentare qualcosa di totalmente nuovo. Non importa il risultato: basta che Berto arrivi fino alla fine senza fermarsi mai. È quanto Bepi farà in due mesi di autoreclusione nella casupola che s'è comprato in cima allo sperone calabrese di Capo Vaticano. Ne verrà fuori «il malloppo», cioè la prima stesura grezza, torrenziale del Male oscuro, suo magnum opus (1964), «che è press'a poco il racconto della mia malattia».



Adesso il romanzo torna in libreria da Neri Pozza, con una bella postfazione di Emanuele Trevi (bella postfazione è formula di prammatica nelle recensioni, però questa è bella davvero) e con il testo di sperticato encomio che nel ‘65 Carlo Emilio Gadda dedicò al libro dai microfoni radio della Rai. Del resto, sin nel titolo – tratto da un passo della Cognizione del dolore citato in esergo – Il male oscuro si situa sotto l'astro saturnino di Gadda, altro nevrotico leggendario. E leggenda è anche quella che ha finito per avvolgere l'exploit di Berto, il suo libro del riscatto e del successo. Hanno raccontato quell'impresa come matta e disperatissima, e magari lo fu, ma nello stile di Bepi: anticonformista disciplinato.



«Scriveva solo al pomeriggio, con due dita. Scriveva e si liberava. Lo vedevi scrivere e liberarsi» ricorda la moglie Manuela nell'appartamento romano alle pendici della Balduina dove si stabilì con il marito a fine anni ‘50. Mi avevano descritto la signora Berto come una tipa battagliera. È di più. Classe 1933, in due ore e fischi di conversazione mi offre vino e sigarette; oltre che di Berto, mi parla di Lawrence d'Arabia, dell'altare di Pergamo, del genocidio armeno e della sua famiglia allargata assai, inclusa quella moglie di suo padre che discendeva da una dinastia russa citata addirittura in Guerra e pace. In vita sua Manuela ha concesso poche interviste; questa l'ha accettata a due sole condizioni: «Non la scriva a domanda e risposta. E non mi chiami La vedova Berto». Obbedisco.



Con Bepi, che per lei era Beppi  si conobbero a Roma, piazza del Popolo, nei primi anni ‘50. Sono belli tutti e due, lui più âgé di 18 anni. «Mi agganciò bussandomi sulla spalla. Era affascinante. Ma non so perché l'occhio mi cadde sui suoi calzini corti e la camicia di nylon». Nel ‘54 convolano. Avranno un'unica figlia, Antonia, che oggi vive tra Italia e Stati Uniti. Siccome nell'atto del concepimento il padre ebbe un problema, volevano chiamare la bambina Colica: «Parola sdrucciola, bellissima, a Beppi piaceva tanto. Però all'anagrafe rifiutarono».



A quell'epoca Berto non sta ancora male, ma nemmeno benissimo.«Prima che ci sposassimo era stato ricoverato d'urgenza per un attacco di calcoli ai reni. Pensavano fosse un cancro, lo aprirono. E da lì ne fecero un ipocondriaco». Berto entra in depressione. Passa dall'agopuntura alla chiropratica, all'omeopatia. Dorme con due vocabolari sotto le gambe per favorire la circolazione. Le tenta tutte: «A un certo punto gli dissero di curarsi con una strana scatoletta di legno da attaccare ogni mattina alla corrente elettrica. Gli prescrissero anche di lavarsi i denti con il sapone di Marsiglia e aspettare».



Ma i placebo fanno tutti cilecca. Arrivano le prime crisi: «Un giorno uscendo da una banca vicino via Veneto lo ritrovo abbracciato alle ginocchia di un vigile urbano». Attacco di panico: «Nel pizzardone riconosceva l'ordine: lo rassicurava. Lo spostammo in farmacia per un calmante». Profondo buio. Finché qualcuno non gli segnala Nicola Perrotti, «uomo buono, intelligente, comprensivo, attento, amoroso» lo definirà Berto. «Per lui» dice Manuela «fu il vero padre». Quello biologico invece si chiamava Ernesto, da Cologna Veneta (Verona), ex carabiniere reinventatosi venditore di cappelli. «Ma tutt'al più era buono a piantare il radicchio. Una carogna» è il ricordo affettuoso della nuora che non lo conobbe mai.



Il male oscuro è anche una guerra di liberazione da quel padre: «Spedì Beppi in collegio. E non lo rivoleva in casa né a Natale né a Pasqua, solo d'estate. Si infuriava quando lui gli spettinava il riporto. Non faceva che ripetergli: Ti sarà un delinquente! Lo fece crescere nel senso di colpa». Colpa di che? «Di non essere all'altezza delle aspettative del papà». E così, per risollevarsi l'autostima, Berto parte due volte volontario in guerra: campagna d'Abissinia (1935) e ancora Africa settentrionale (1942). Doppiamente medagliato, finirà prigioniero negli Stati Uniti e in campo di concentramento scoprirà la scrittura. In seguito avrebbe sconfessato l'allucinazione fascista, migrando verso posizioni anarco-liberali.



Ma mettetevi nei panni di uno come lui: ex prode venuto su tra i miti virili del Ventennio che a quarant'anni si ritrova tremante e denudato dalla nevrosi: «Una malattia basata sulla paura. Paura di tutto» scriverà, con un certo coraggio. Oltre al rapporto col padre, aveva sofferto l'ostracismo della society letteraria di sinistra («La mafia di Moravia» la definisce Manuela per direttissima), e a metterlo k.o. s'era aggiunto pure il flop di Il brigante (‘51), romanzo con il quale Berto contava di ritrovare il successo di Il cielo è rosso, suo fiammeggiante esordio (‘46).



È questo l'uomo diminuito che torna metodico al lavoro sul tavolinetto di Capo Vaticano e, ticchete tacchete, dà la stura al groppo che lo opprime. Scrive come un beat, erutta frasi fluviali, se ne infischia della punteggiatura: «Era come se avessi scoperto il bandolo d'un filo che mi usciva dall'ombelico: io tiravo e il filo veniva fuori, quasi ininterrottamente, e faceva un po' male, si capisce, ma anche a lasciarlo dentro faceva male».
Pensava al Prometeo incatenato di Eschilo, pure lui citato sul frontespizio del romanzo: Il racconto è dolore, ma anche il silenzio è dolore.

27/11/16

"La comparsa" di Abraham Yehoshua (Recensione).



Noga è una musicista particolare. Interprete di uno strumento raro, l'arpa. Pur essendo nata in Israele, dopo il divorzio è andata a vivere in Olanda, dove suona nella locale orchestra di Arnhem. 

Dopo molti anni di distacco, deve tornare al suo paese, richiamatavi da una decisione che deve prendere l'anziana madre: lasciare o meno il vecchio appartamento di Gerusalemme, ormai circondato da invadenti ortodossi e trasferirsi a Tel Aviv, la città dove vive il suo figlio maggiore, Honi, con la sua famiglia. 

Le clausole contrattuali del vecchio appartamento prevedono però che esso non possa essere lasciato disabitato nemmeno per brevi periodi, nemmeno per i tre mesi del periodo di prova in una casa di riposo a Tel Aviv, che Honi ha chiesto alla madre di sperimentare. 

Noga dovrà dunque impegnarsi a stare nell'appartamento materno nell'attesa che maturi la decisione. 

Durante queste lunghe settimane Noga ritrova il suo passato, accetta un piccolo lavoro di comparsa - procuratole dal fratello - per sostenersi nelle spese, finisce per rincontrare il marito Uriah, che non ha mai smesso di amarla e che non ha mai accettato la vera causa per cui Noga l'ha lasciato: quella di non volere un figlio, e anzi di aver abortito il loro figlio senza dir nulla al compagno. 

L'inquietudine di Noga si snoda attraverso lunghe passeggiate nella vecchia Gerusalemme, negli incontri con i personaggi che si trovano come lei a sopravvivere accettando il lavoro di comparsa, nella trasferta nel deserto dove finisce per ricoprire il ruolo di figurante in un allestimento della Carmen.

Passate le tre settimane, e maturata la decisione della madre, Noga fa ritorno, con una dose supplementare di amarezza, in Olanda, dove si trova a fare i conti con la preparazione del nuovo concerto e di un tour organizzato nel lontano Giappone. In questa trasferta si aprirà forse una luce inaspettata, che rimetterà tutto in gioco. 

Yehoshua, in questo ultimo romanzo del 2015, si conferma un maestro della narrazione, qui tutta giocata nella terza persona al tempo presente; e maestro della descrizione dell'animo femminile, del suo territorio umbratile e inaccessibile. 

Un romanzo moderno, perfettamente leggibile.  Dalla scrittura piana e avvolgente, dal quale ci si separa a malincuore. 

Fabrizio Falconi







23/11/16

23 novembre - "Fibonacci day", una giornata dedicata al grande genio matematico pisano.



Oggi, 23 novembre si celebra il Fibonacci day, una giornata dedicata a Leonardo da Pisa, detto Fibonacci,mercante e matematico, che nel 1202 con il suo Liber Abaci introdusse in Europa il sistema numerico decimale e i principali sistemi di computo. 

La data scelta non è casuale. 

Nella scrittura anglosassone si scrive 11.23 e questi quattro numeri sono l`inizio della celebre successione di Fibonacci, in cui ogni cifra, intera e positiva, è la somma dei due precedenti e il rapporto tra un numero e quello che lo precede è un numero irrazionale che tende a 1,618 che è lo stesso della sezione aurea.


La successione di Fibonacci ha trovato applicazioni in ogni ramo delle scienze umane, dalla matematica alla botanica, dall`economia all`arte. 

Alla vita e ai viaggi di Fibonacci, l`uomo che ha portato i numeri arabi in Occidente, è dedicato L`UOMO CHE CI REGALÒ I NUMERI, il nuovo libro di Paolo Ciampi (Mursia, pagg. 192, euro 17,00. In libreria). 

Una biografia in cui la matematica si incrocia con la Storia e le vicende dei mercanti del Medioevo con una riflessione sulla diffusione delle idee e la magia dei numeri, linguaggio segreto della natura e della vita. 

 Paolo Ciampi, scrittore e giornalista, si muove tra le poche e frammentarie notizie sulla vita di Fibonacci, del quale per secoli si è perso il ricordo e restituisce al lettore non solo il ritratto di un uomo ma l`affresco di un`epoca, quella a cavallo tra il XII e il XIII secolo, in cui le idee viaggiavano insieme alle merci seguendo itinerari imprevedibili come quello che portò il giovane Fibonacci in Cabilia dove vide un maestro che tracciava nella sabbia alcuni strani segni: erano i numeri che arrivavano dall`India e che un giorno noi avremmo chiamato arabi.



22/11/16

Decalogo giapponese dell'amore.





Decalogo giapponese dell'amore
(mia libera traduzione)


1. L'amore perfetto non si raggiunge mai attraverso il possesso. Il sesso perfetto non arriva mai attraverso il possesso.

2. L'amore perfetto non arriva mai attraverso uno sfogo o una frustrazione. Il sesso perfetto non viene mai per la via di uno sfogo o di una frustrazione.

3. Mai cercare l'amore perfetto per trovare il sesso perfetto.

4. Mai cercare il sesso perfetto per trovare l'amore perfetto.

5. L'amore perfetto non chiede nulla.

6. Il sesso perfetto non chiede nulla.

7. L'amore perfetto è come un fiore che si apre al mattino.

8. Il sesso perfetto è come un fiore già aperto che riceve la luce perché è aperto.

9. Il sesso perfetto è l'immobilità del torrente che trova il mare.

10. L'amore perfetto è il mare che tu sei. E dentro di te, tutto.



21/11/16

100 anni dalla morte di Jack London - Le celebrazioni in Italia.


La vita breve ma intensa, il vitalismo incontenibile, rivoluzionario, di Jack London rimangono, a cent'anni dalla morte dello scrittore, "un monito a non darsi mai per vinti o sconfitti"

E i suoi scritti, dei quali non c'e' ancora certezza sul numero esatto, da 'Zanna Bianca' a 'Il richiamo della foresta' a 'Martin Eden' a 'Il tallone di ferro' hanno ancora molto da dirci sul rapporto tra uomo e natura, sulle conseguenze del capitalismo e il futuro della società. 

 A tutto questo e molto di piu' rende omaggio il Jack LondonTribute, tre giornate, dal 22 al 24 novembre a Trieste, di racconti, aneddoti, omaggi e testimonianze, a cura del regista e autore Massimo Navone e dello scrittore Davide Sapienza, tra i principali esperti e traduttore italiano di London

E arrivano in libreria per Chiarelettere 'Il senso della vita (secondo me)', con introduzione di Mario Maffi e per Orecchio Acerbo tornano 'L'ombra e il bagliore' con le illustrazioni di Fabian Negrin, il racconto prediletto da Borges e 'Il richiamo della foresta' in grande formato con le illustrazioni di Maurizio A.C. Quarello. 

Nato il 12 giugno 1876 a San Francisco e morto il 22 novembre 1916 a Glen Ellen, London resta ancora una figura da esplorare

Figlio di un astrologo ambulante che si rifiuta di riconoscerlo, con un padre adottivo che passava da un fallimento commerciale all'altro, London e' cresciuto insieme a compagnie poco raccomandabili. 

Leggendario scrittore di inizio Novecento, si e' misurato in mille mestieri. "Prima che mi dessero tutti questi titoli, ho lavorato in una fabbrica di conserve, in una di sottaceti, sono stato marinaio, ho trascorso mesi fra le schiere di disoccupati a cercar lavoro; ed e' questo lato della mia vita che io venero di piu', e a cui voglio restare attaccato finche' vivo" spiega London ne 'Il senso della vita'. 

 Il tributo si apre il 22 novembre al Teatro Miele di Trieste all'insegna di "Jack London, l'uomo venuto dal futuro" dove e' atteso un intervento in video realizzato per l'occasione dall'attore Marco Paolini, che con il suo "Ballata di uomini e cani" ha portato in scena con grande successo in questi ultimi anni alcuni racconti brevi di London sul rapporto uomo-natura. 

Fra gli altri contributi quelli di Claudio Bisio, Marco D'Amore, Paolo Pierobon, Gigio Alberti, Antonio Catania, Massimo Cirri, Giampiero Solari, Matteo Caccia, Nuzzo Di Biase, Cristina Dona' ed Eleonora Giovanardi. 

Al centro della seconda serata invece lo spettacolo ideato e firmato da Massimo Navone, 'Come il cane sono anch'io un animale socievole', ispirato a 'La peste scarlatta' con cui nel 1912 London sperimenta uno dei primi prototipi di narrativa 'post-apocalittica' e 'La forza dei Forti'.

 Lo spettacolo coinvolge gli spettatori in una 'performance letteraria interattiva'. In chiusura del Jack London Tribute, l'affabulazione/spettacolo 'Il Richiamo di Zanna bianca' di e con Davide Sapienza per la regia di Umberto Zanoletti e le canzoni di Francesco Garolfi. 

 E, all'ora dell'aperitivo, ogni giorno il Jack London Drink, reading di brani da 'John Barleycorn, memorie alcoliche' e altri racconti sorseggiando alcuni dei cocktail preferiti da London. Come dice Maffi nell'introduzione a 'Il senso della vita': "In un panorama editoriale che sembra continuare a privilegiare il ripiegamento su se stessi, il narcisismo e l'individualismo, le piccole tempeste nella tazzina da te', il rifiuto dell'impegno e dello schierarsi, l'accettazione del 'come e" e l'ossessiva ricerca in esso d'una piccola (e illusoria) nicchia personale, ben venga l'aria pura, piena d'ossigeno e di vita, che spira ormai da cent'anni da questi testi, da queste parole". 

20/11/16

La poesia della domenica - "Sotto un abietto salice" di W.H.Auden




Sotto un abietto salice

Sotto un abietto salice
non ti affliggere più, innamorato:
segua al pensiero rapida azione.
A che serve pensare?
La tua incessante prostrazione
mostra quanto sei freddo;
alzati, su, e ripiega
la tua mappa di desolazione.

I rintocchi che scorrono sui prati
da quella fosca guglia
suonan per queste ombre senza amore
che all'amore non servono.
Ciò che è vivo può amare: perché ancora
piegarsi alla sconfitta
con le braccia incrociate?
Attacca e vincerai.

Stormi di anatre in volo sul tuo capo
e sanno dove andare,
freddi ruscelli in corsa ai tuoi piedi
e vanno verso l'oceano.
Cupa e opaca è la tua costernazione:
cammina, dunque, vieni,
non più così tarpato
in preda alla tua soddisfazione.


Underneath an Abject Willow

Underneath an abject willow,
Lover, sulk no more:
Act from thought should quickly follow.
What is thinking for?
Your unique and moping station
Proves you cold;
Stand up and fold
Your map of desolation.

Bells that toll across the meadows
From the sombre spire
Toll for these unloving shadows
Love does not require.
All that lives may love; why longer
Bow to loss
With arms across?
Strike and you shall conquer.

Geese in flocks above you flying.
Their direction know,
Icy brooks beneath you flowing,
To their ocean go.
Dark and dull is your distraction:
Walk then, come,
No longer numb
Into your satisfaction.


traduzione di Gilberto Forti

tratto da W.H.Auden 
La verità, vi prego, sull'amore
Adelphi, 1994.