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08/06/21

La storia degli incontri di Tarkovskij con Fellini nei diari del grande regista russo.

 


Rileggendo i fitti diari di Andrej Tarkovskij, si scoprono i diversi riferimenti a Federico Fellini.

La prima notazione è del 7 gennaio 1974. Tarkovskij scrive di qualcuno che gli ha raccontato di una intervista a Bergman nella quale il maestro svedese afferma di considerarlo il migliore regista contemporaneo, "persino migliore di Fellini". Tarkovskij se ne meraviglia al punto di scrivere una serie di !!?? tra parentesi dopo il nome di Fellini.

Fellini ritorna il 3 maggio dello stesso anno. Tarkovskij è in Italia per la seconda volta nella sua vita (dopo la prima, da giovanissimo, nel 1962 per ritirare il Leone d'Oro a Venezia per "L'infanzia di Ivan") per presentare "Solaris" e finalmente a Roma incontra Fellini. Lo scrive subito nel diario:

"Ho conosciuto Fellini. Ha una grandissima stima delle mie capacità artistiche. Ho visto il suo Amarcord. E' interessante. Ma è comunque un film per il pubblico. Fa il civettuolo e taglia corto: ha fretta di piacere. Ma lui è una persona meravigliosa e profonda."

La capacità di Tarkovskij di inquadrare con pochi tratti le persone che incontra ricorre in tutto il Martirologio: il ritratto di Fellini, in due righe, è mirabile. E raccoglie in due pennellate lo spirito del grande riminese.

Vien da pensare che, Tarkovskij non parlando una sola parola di inglese, né tanto meno di italiano, i due si siano espressi a gesti e/o con l'ausilio di un interprete. Forse dello stesso Tonino Guerra.

Inoltre la proiezione di "Amarcord" a cui Tarkovskij avrà assistito sarà stata sicuramente in italiano, al massimo sottotitolata in inglese, quindi il povero T. ne avrà capito ben poco. Non così poco da non poterlo apprezzare dal punto di vista cinematografico.

Ed è spettacolare come T. abbia anche descritto l'ambiguità del genio e del carattere felliniano nel semplice contrasto, così vero, della sua personalità: da una parte "civettuolo" e fatuo, o sbrigativo e certamente narciso. Dall'altra, meraviglioso e profondo.

Tutte le citazioni sono tratte dal Martirologio di Andrej Tarkovskij.

Fabrizio Falconi 

26/05/21

Bong John-ho: "Il cinema italiano è sorprendente" - L'amore per De Sica, Fellini e Visconti




"La storia del cinema italiano è davvero sorprendente. Quando ero piccolo, avevo circa nove o dieci anni, ricordo di aver visto alla tv il film di Vittorio De Sica 'Ladri di biciclette' che mi ha sorpreso molto. Ricordo che anch'io a quel tempo avevo chiesto a mio padre di comprarmi una bicicletta". 

Cosi' il regista Bong Joon-ho, premio Oscar e presidente della prossima Mostra del Cinema di Venezia, in un'intervista esclusiva realizzata per la 19/a edizione del Florence Korea Film Fest, a Firenze.

Dove è stato anche proiettato Barking Dogs Never Bite, il film esordio di Bong Joon-ho. 

"A causa dell'emergenza sanitaria - ha spiegato il direttore del festival Riccardo Gelli - non abbiamo potuto invitare i registi e gli attori e quindi abbiamo pensato di chiedergli di organizzare delle interviste da remoto cosi' da proiettarle al festival come se fossero con noi in sala". 

"Conosco anche diverse opere di Federico Fellini - aggiunge il regista nell'intervista - in particolare Amarcord e Le notti di Cabiria sono quelle che preferisco. Tempo fa ho visto di nuovo molti film di Luchino Visconti che sono stati rilasciati in Blu-ray, Il gattopardo, Le notti bianche e uno dei miei preferiti, Rocco e i suoi fratelli. Quel film, proprio come Parasite, racconta di una famiglia provata da problemi economici che si trasferisce dal sud nord Italia per iniziare una nuova vita. Alcuni registi italiani a cui mi sono interessato negli ultimi tempi e che ammiro molto sono Francesco Rosi, Ermanno Olmi e Marco Bellocchio. 

Recentemente - conclude - sono diventato fan della regista italiana Alice Rohrwacher e sono rimasto molto impressionato dal suo film d'esordio Corpo Celeste". 

Fonte ANSA

16/04/21

Carla Gravina e Gian Maria Volonté: il racconto di un grande amore

 



Carla Gravina, una delle migliori interpreti del cinema e del teatro italiano, giunta alla soglia degli 80 anni, ritiratasi dalle scene completamente dal 1994, racconta in una bellissima intervista a Maria Laura Giovagnini a IO Donna - Il Corriere della Sera ("Sono scomparsa perché volevo vivere") che trovate integralmente qui - la sua grande storia d'amore con Gian Maria Volonté. Pubblico l'estratto dell'intervista perché davvero rappresenta una bella fetta di anni d'oro del nostro cinema e del nostro spettacolo italiano, nel quale la Gravina parla di Volonté che chiama, con un misto di ironia e venerazione, "il mostro". 

Il mostro?

Gian Maria (Gian Maria Volonté, ndr). Un mostro-mostro, che ho amato tanto! Ho ancora qua davanti la foto del primo sguardo… Eravamo a Verona nel 1960, due pischelli che – durante le prove di Romeo e Giulietta – si stanno fissando. Ci siamo tanto amati, tanto detestati, tutto: però abbiamo messo al mondo una bella figlia e ora ho un bel nipote, che magari mi renderà bisnonna. Qui di fronte ho un’altra immagine…


Quale?

Sul palco a Vienna (ci applaudirono per 45 minuti!) dopo Le baruffe chiozzotte di Giorgio Strehler. Un incontro fondamentale, un maestro. Io… Insomma, gli piacevo e lui mi piaceva, ma stavo con Gian Maria e figurati se lo tradivo, sono corretta. Corretta e scema: mi ha tradito come un pazzo! E non mi ha neppure aiutato a mantenere la bambina.


Possibile?

Quando gliel’ho chiesto, mi ha ribattuto: «No». «”No” non è una risposta. Non importa: ce la farò». E ce l’ho fatta. Avrei dovuto svergognarlo: «Guardate il compagno Volonté, non si preoccupa della figlia…». In realtà, ce l’aveva con me perché non sono voluta tornare con lui.

Ha opposto il gran rifiuto?

E certo, cavolo! Una sera mi avverte: vado alla S.A.I., il sindacato attori. Ok, allora io esco con gli amici. Siamo al ristorante, una lunga tavolata, e a un certo punto uno mi avverte: «Carla, non ti voltare: nell’altra sala c’è Gian Maria». Mi giro, ovvio: era lì con Mireille Darc. Mano nella mano, occhi negli occhi.


Che colpo.

Ah, ma mi sono vendicata! Quando si sono alzati per uscire – tutti cipcip cipcip – li ho raggiunti fuori, erano davanti alla macchina (mia, peraltro) e si stavano baciando. Pensate al mio cuore! Però in questi casi divento di una freddezza pazzesca: ho fatto il nostro fischio (io e Gian Maria avevamo questo “segnale”). Non dimenticherò mai la faccia di lui quando mi ha visto! Mi sono avvicinata a passi lenti come nel Far West (so diventare sparviera!), ho preso fra le nocche la guancia della fanciulla e l’ho girata come faceva mio padre con me: «Carina, la ragazza…».

Finita così?

Non ancora. È partito per Parigi e quando è tornato – mi ero trasferita in una casina piccola – è venuto, si è messo a piangere. Sapete, gli uomini (e, per di più, attori) sono bravissimi. C’è stato un tira molla, però ormai ero troppo ferita… Eppure – parliamoci chiaro – è stato quello che ho amato di più. L’ho amato pazzamente, sennò non avrei mai messo al mondo una figlia a neppure vent’anni con uno sposato, bloccandomi la carriera.

“Bloccandola”?

L’ho pagata cara: eravamo nel 1961, ti chiudevano le porte, non ti facevano più lavorare. Per giunta, ero “specializzata” in ruoli da ragazzina, come quello di Esterina, scritto su misura per me: Esterina ero io, semplice, ingenua, buona. Ma dopo la storia con Gian Maria, Dino De Laurentiis rompe il contratto settennale e resto senza una lira (avevo uno stipendio, ero ben pagata). Ricevevo lettere di donne che mi insultavano e mi davano della prostituta. Però ne ricevevo altrettante in cui mi ringraziavano: «Carla, il tuo gesto è importante per noi…». Non c’era eroismo, in verità, non c’erano calcoli: ero come mi veniva.



11/03/21

Centenario di Nino Manfredi : Due libri ne raccontano i segreti

 

Nino Manfredi con Monica Vitti

A cento anni dalla nascita, Nino Manfredi viene festeggiato anche in libreria. 

Prezioso il ritratto inedito e commosso 'Un friccico ner core'  (euro18) del figlio Luca Manfredi, che esce l'11 marzo per Rai Libri, disponibile anche negli store digitali. 

 Entrato nelle case di tutti gli italiani con la naturalezza di un amico di famiglia, Nino Manfredi ci ha stupito, emozionato, fatto ridere e commosso in sessant'anni di carriera, dal primo trionfo a Canzonissima nel 1959 ai suoi cento e' piu' film, per il grande e piccolo schermo, da 'Il padre di famiglia' a 'Straziami ma di baci saziami' e 'Pane e cioccolata' all'indimenticabile Geppetto nello sceneggiato televisivo 'Le avventure di Pinocchio' di Luigi Comencini

Saturnino Manfredi, vero nome dell'attore, nato il 22 marzo 1921 a Castro dei Volsci, in provincia di Frosinone, aveva mille qualita', ma anche tante debolezze, fragilita' e paure: un "impasto" complicato di ingredienti umani, che hanno plasmato l'attore, il marito, il padre e il nonno

Come racconta il figlio Luca, regista e sceneggiatore cinematografico e televisivo, era un po' come il pane casareccio della sua terra ciociara: compatto e saporito fuori, ma con tanti "buchi" nascosti al suo interno. 

Dando voce ai 100 volti di suo padre Luca Manfredi ha mostrato un lato diverso, privato e intimo dell'artista a tutto tondo che e' stato Nino Manfredi. 

Alla riscoperta dell'uomo e dell'artista invita anche l'imponente biografia 'ALLA RICERCA DI NINO MANFREDI' (pp 448, euro 25) di Andrea Ciaffaroni, tra i maggiori esperti italiani di cinema comico italiano, che esce il 18 marzo per Sagoma editore ed e' stata realizzata grazie al prezioso supporto del Centro Sperimentale di Cinematografia e impreziosita da quasi 150 foto rare e molte inedite provenienti anche dall'archivio personale della famiglia Manfredi

Il libro e' il frutto di numerosissime interviste e lunghe indagini condotte in decine di archivi con il recupero di soggetti inediti e la voce della moglie Erminia Ferrari. Con la collaborazione di Carlo Amatetti, la biografia e' anche arricchita dai contributi dei critici Alberto Anile e Alberto Crespi. 

15/02/21

100 anni dalla nascita di Giulietta Masina: Un libro la ricorda

 



Giulietta Masina avrebbe compiuto 100 anni il 22 febbraio 2021. Per festeggiare il centenario dalla nascita della grande attrice, moglie di Federico Fellini, la casa editrice Edizioni Sabinae con il Centro Sperimentale di Cinematografia pubblica la biografia 'Giulietta Masina' di Gianfranco Angelucci, scrittore ed esegeta felliniano, che arriva in libreria il 20 febbraio.

Nata a San Giorgio di Piano, in provincia di Bologna il 22 febbraio 1921, Giulia Anna "Giulietta" Masina, morta il 23 marzo 1994 a Roma, ha conquistato le platee di tutto il mondo con personaggi indimenticabili come Gelsomina ne 'La strada' e Cabiria in 'Le notti di Cabiria' diretta da Fellini, che hanno vinto entrambi l'Oscar al miglior film straniero. 

Indelebile anche il personaggio di Fortunella nell'omonimo film del 1958 di Eduardo De Filippo. 

Oltre che dal marito, con cui ha formato una delle coppie piu' celebri del cinema italiano, e' stata diretta dai maggiori registi italiani e stranieri, da Roberto Rossellini in 'Paisa'' dove ha fatto la sua prima apparizione, ad Alberto Lattuada in 'Senza pieta'' e Luigi Comencini in 'Persiane chiuse'.

Durante la sua lunga carriera ha vinto numerosi premi tra cui un David di Donatello piu' due speciali, quattro Nastri d'Argento e un Globo d'oro. 

Una delle ragioni di questo libro e' che Giulietta "era davvero l'altra meta' del cielo di Federico Fellini, e se non si conosce lei, la sua vita, la sua vicenda, la sua arte, si rischia di non conoscere abbastanza da vicino neppure Federico" spiega la nota editoriale. 

"Questa creatura umana che Giulietta ha saputo incarnare e tratteggiare con tanta ammirevole precisione e trepidazione, e' semplicemente la donna portatrice di vita, senza la quale non esisterebbe nessuno di noi, ne' il popolo di questa terra, ne' il futuro che ci attende, ne' l'arte, ne' la creativita', ne' la memoria, ne' i viaggi interstellari che forse condurranno il genere umano a colonizzare nuovi mondi, chissa' in quali remote contrade del cosmo" dice Angelucci. 

Il volume contiene un ricco apparato fotografico che proviene dall'Archivio fotografico del Centro Sperimentale di Cinematografia - Cineteca Nazionale. 




GIANFRANCO ANGELUCCI 
GIULIETTA MASINA 
EDIZIONI SABINAE- CENTRO SPERIMENTALE DI CINEMATOGRAFIA 
PP 242, EURO 18,00

08/02/21

Alla Casa del Cinema di Roma una grande mostra su Mario Monicelli

 

Mario Monicelli al lavoro (alla sua sinistra si riconosce un giovanissimo Carlo Vanzina, assistente alla regia)



Debutta oggi,  lunedi' 8 febbraio alla Casa del Cinema la mostra "Mario Monicelli" realizzata dal Centro Sperimentale di Cinematografia.

La mostra e' allestita nelle sale della Casa del Cinema intitolate a due grandi sceneggiatori del cinema italiano come Sergio Amidei e Cesare Zavattini. 

Si tratta di una spettacolare galleria di immagini provenienti dall'archivio fotografico della Cineteca Nazionale, che ripercorrono passo passo tutta la storia artistica di Mario Monicelli, dagli esordi in coppia con Steno alla fine degli anni '40 (Toto' cerca casa) fino al film del commiato, Le rose del deserto (2006)

In attesa della riapertura degli spazi espositivi di Casa del Cinema sarà possibile "vedere" questa straordinaria storia artistica per immagini grazie alle riprese della mostra con la regia di Stefano Landini e agli approfondimenti su singoli momenti del cinema di Monicelli, accompagnati da un anomalo "Virgilio" come il critico Alberto Crespi che raccontera' insieme al direttore della Casa del Cinema, Giorgio Gosetti e ad altri ospiti - tra i quali lo scrittore Paolo Di Paolo, autore di un saggio presente nel numero di "Bianco e Nero" dedicato a Monicelli - alcuni titoli memorabili nella filmografia del regista, da "L'armata Brancaleone" a "La grande guerra", dagli esordi sul set alle collaborazioni con gli sceneggiatori, gli attori, i produttori, i tecnici di un cinema italiano applaudito in tutto il mondo. 

Appuntamento ogni lunedi', dall' 8 febbraio sui social network della Casa del Cinema (Facebook, Twitter, Instagram) e sui profili Facebook del Centro Sperimentale di Cinematografia e della Cineteca Nazionale, in attesa di una visita dal vivo della mostra.

05/02/21

Una nuova mostra a Roma su Federico Fellini, nella sua Cinecittà


Federico Fellini fotografato da Elisabetta Catalano


A suggello delle celebrazioni per il suo Centenario, Federico Fellini ritorna nella 'sua' Cinecitta', con una grande mostra fotografica e multimediale, all'interno dello storico Teatro 1, che si inaugurerà il 10 febbraio e sarà visitabile fino al 21 marzo 2021. 

Un inedito percorso iconico che racconta il rapporto elettivo tra il geniale regista ed Elisabetta Catalano, regina del ritratto fotografico

Curata da Aldo E. Ponis con la direzione artistica di Emanuele Cappelli, testi, ricerca scientifica e iconografica a cura di Laura Cherubini e Raffaele Simongini, la mostra e' stata realizzata da Istituto Luce-Cinecitta' con il contributo della DG Cinema e Audiovisivo, e vive delle immagini dello straordinario Archivio Elisabetta Catalano. 

Fellini, che per le questioni dello sguardo aveva una precisione pressoché infallibile, amò farsi fotografare da Elisabetta Catalano lungo tutto un arco della sua vita, tra il 1963 e gli ultimi anni, stabilendo un'affinità elettiva fondata sui clic, sulla capacità comune di afferrare l'anima di un personaggio (di una persona) in un rapido movimento di camera

Un percorso di oltre 60 immagini, videoproiezioni, oggetti, spiegano gli organizzatori, che non vuole essere il semplice racconto di Fellini al lavoro sul set, ma fa vedere piuttosto il regista che diventa lui stesso soggetto dell'arte nelle mani di un'artista che lo capi' come solo un'immagine puo' fare. 

Ne emerge il ritratto di un Fellini inedito insieme a quello di una fotografa straordinaria, ritrattista di tutti i piu' grandi da Michelangelo Antonioni ad Anouk Aimee, da Susanna Agnelli ad Alighiero Boetti, da Bernardo e Attilio Bertolucci a Italo Calvino , da Claudia Cardinale a Gerard Depardieu Giangiacomo ed Inge Feltrinelli, Amintore Fanfani. Dustyn Hoffman, Audrey Hepburn fino ad Andy Warhol e Zaha Hadid, solo per citarne alcuni. 

Occhi unici, quelli di Elisabetta, ai quali Fellini più di altri amò far vedere il proprio sguardo. 

25/01/21

E' morto Alberto Grimaldi, uno dei più grandi produttori del Cinema Italiano

Alberto Grimaldi con Marlon Brando ai tempi di Queimada, 1969


All’età di 95 anni è morto il produttore Alberto Grimaldi. Ritiratosi a Miami, era nato a Napoli nel 1925.

Fondatore della PEA, Grimaldi si affermò negli anni Sessanta con gli Spaghetti Western, realizzando quelli che ormai sono classici del genere come Per qualche dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966) di Sergio Leone, La resa dei conti (1966) e Faccia a faccia (1967) di Sergio Sollima.

Dalla fine degli anni Sessanta Grimaldi divenne uno dei principali produttori del cinema d’autore. Dal 1968, a partire dall’episodio Toby Dammit di Tre passi nel delirio, iniziò a lavorare con Federico Fellini, un sodalizio che proseguì con Fellini Satyricon (1969), Il Casanova di Federico Fellini (1976) e Ginger e Fred (1986). Fondamentale la collaborazione con Pier Paolo Pasolini, di cui Grimaldi produsse tutti i film da Il Decameron (1970) all’ultimo Salò o le 120 giornate di Sodoma (1975).

Un capitolo a parte merita l’avventura con Bernardo Bertolucci. Con la United Artists, Grimaldi realizzò Ultimo tango a Parigi (1972) e fu coinvolto, insieme a Bertolucci, nella lunga e tormentata vicenda legale, dal sequestro della pellicola alla condanna fino al rocambolesco salvataggio di una copia. Nonostante lo scandalo internazionale, il film riuscì a incassare 36 milioni sul mercato americano e oltre 90 in tutto il mondo, ottenendo due nomination all’Oscar. Nel 1976 fu la volta del kolossal Novecento.

Grimaldi produsse anche Un tranquillo posto di campagna di Elio Petri (1969), Storie scellerate di Sergio Citti (1973), Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi (1976), Viaggio con Anita di Mario Monicelli (1979). L’ultimo suo grande progetto è Gangs of New York di Martin Scorsese (2002).

fonte: il cinematografo.it

Alberto Grimaldi con Federico Fellini 



16/11/20

Come Sergio Leone trovò Clint Eastwood, da attore sconosciuto a icona del cinema


E' stato uno degli incontri più importanti della storia del cinema, non solo italiano. Quello fra Sergio Leone e Clint Eastwood, destinato a diventare il suo attore feticcio, e soprattutto - grazie a Leone - destinato a diventare una vera icona di Hollywood, non soltanto come attore, ma anche come autore e regista. Ma come andò veramente? 

Nel 1963 Sergio Leone era alla ricerca del protagonista per il suo primo "spaghetti western" (come il genere fu chiamato poi), "Per un pugno di dollari". Fu mandato il copione al manager di Henry Fonda, prima scelta di Leone. Questi però, non fece neanche vedere il copione a Fonda, e mandò un telegramma a Leone dicendo che: “Una cosa del genere non l'avrebbe mai fatta.”

Dopo il rifiuto di James Coburn e Charles Bronson, Leone, su suggerimento di Claudia Sartori, una dipendente della William Morris, visionò una puntata di una serie tv americana, Rawhide, nella quale recitava "un attore giovane e allampanato, che poteva forse interessare Leone."

Il regista infatti rimase folgorato.

«Ciò che più di ogni altra cosa mi affascinò di Clint," raccontò in seguito Leone, "era il modo in cui appariva e la sua indole. Notai il modo pigro e rilassato con cui arrivava e, senza sforzo, rubava a Eric Fleming tutte le scene. Quello che traspariva così chiaramente era la sua pigrizia. Quando lavoravamo insieme lui era come un serpente che passava tutto il tempo a schiacciare pisolini venti metri più in là, avvolto nelle sue spire, addormentato nel retro della macchina. Poi si srotolava, si stirava, si allungava…"

La Jolly Film dunque inviò una copia della sceneggiatura al giovane Clint Eastwood. L'attore rimase subito colpito dal linguaggio, un inglese tradotto decisamente male; nonostante ciò, Eastwood rimase colpito dallo script e decise di informarsi sul regista.

L'attore, spinto anche dalla moglie, accettò la proposta avanzata dalla Jolly Film, e dunque partì per Roma. Leone, sulle prime ancora diffidente, non si presentò all'aeroporto e mandò Mario Caiano al suo posto, il quale dovette scusarsi dicendo che il regista non era in ottima salute.



17/10/20

Nanni Moretti: Il ritorno di "Caro Diario" 27 anni dopo è già un grandissimo successo



Nanni Moretti concede il bis: A grande richiesta ci saranno repliche straordinarie dei diari di Caro Diario, il film miglior regia a Cannes nel '94, restaurato dalla Cineteca di Bologna recentemente e ridistribuito in sala. 

Dopo il tour in alcune citta' italiane e il tutto esaurito previsto a Roma il 18 e 19 ottobre, Nanni Moretti leggera' i diari di Caro Diario nel suo cinema Nuovo Sacher anche martedi' 20 e mercoledi' 21 ottobre alle ore 20.30.

Seguira' la proiezione del film restaurato. 

Caro Diario e' ormai un classico: diviso in tre capitoli autonomi e complementari (In vespa, Isole e Medici)

Per Moretti e' un punto di svolta: dopo la crisi ideologica di Palombella rossa, il "leone di Monteverde" abbandona il suo alter ego Michele Apicella e porta sullo schermo se stesso, senza filtri, dalle gite in vespa nella Roma agostana deserta fino alla sua, reale, malattia

Un'autobiografia profondamente collettiva, dove le ossessioni personali del regista - il passato, le case, il ballo, i (cattivi) critici - si fondono con quelle di un paese intero, incapace di ricordare, di comunicare, di ascoltare, di capire. 

Divertentissimo, colmo di indimenticabili tormentoni morettiani, ma capace anche di momenti di autentica commozione (la lunga scena del pellegrinaggio verso il luogo dove mori' Pasolini). 

05/10/20

Il destino tragico di Federico De Laurentiis, figlio di Dino e di Silvana Mangano, morto a soli 26 anni

 

Federico De Laurentiis (a sinistra nella foto), con un amico

Federico De Laurentiis era il figlio del grande produttore Dino De Laurentiis e di sua moglie, Silvana Mangano. Per l'esattezza il terzo figlio della coppia (ne ebbero quattro) e l'unico maschio, compresi anche i due figli avuti dalla seconda moglie di DDL (entrambe femmine).
Federico nacque il 28 febbraio del 1955.
Divenne un ragazzo meraviglioso, di cui veniva apprezzato il carattere buono e semplice.
Nel 1973, dopo le vicende tumultuose di Dinocittà, nel 1973 Silvana Mangano aveva seguito il marito (alle prese con problemi fiscali in Italia), trasferendosi insieme a lui e ai figli in California, (pronta a tornare indietro ogni tanto per fare i suoi film con Visconti), senza mai trovarcisi a casa.
Il matrimonio con Dino era già in crisi quando avvenne la tragedia.
Federico, che già era comparso spesso negli studi hollywoodiani a fianco del padre, voleva emanciparsi dalla figura di Dino. Cercava una strada sua, come autore. Era molto interessato ai temi ambientali.


Così decise di girare un documentario sulla vita dei salmoni in
Alaska. Nel 1981, mentre girava riprese aeree, il piccolo piper su cui era a bordo si schiantò per una sfortunata circostanza dovuta al pilota che, alla guida del velivolo sul crinale di una collina rocciosa, non si avvide della provenienza di un altro piccolo aereo e per schivarlo, si abbatté sulla roccia.
Federico, che morì sul colpo, aveva 26 anni.
Per la Mangano fu un colpo durissimo, dal quale non si riprese più. Nel 1983 fu ufficializzata la separazione da De Laurentiis, e poco dopo le fu diagnosticato un tumore allo stomaco; forse intuendo l'avvicinarsi della fine, la grande attrice accettò un ultimo ruolo accanto a Marcello Mastroianni nel capolavoro di Nikita Mikhalkov "Oci ciornie" (1987).


Il 4 dicembre 1989, coll'aggravarsi del cancro, si rese necessario un intervento al mediastino, eseguito alla Clínica La Luz di Madrid, dove viveva con la figlia Francesca;
al termine dell'operazione un arresto cardiaco e il coma. Morì il 16 dicembre, a 59 anni. Il suo corpo è sepolto nel piccolo cimitero di Pawling, nello stato di New York, accanto a quello dell'amatissimo figlio.

Fabrizio Falconi - 2020

Carlo Rambaldi (a sinistra), Federico De Laurentiis e John Guillermin (a destra) alla festa a Hollywood per il King Kong prodotto da Dino de Laurentiis, 1976

10/08/20

Terence Stamp, Fellini, Krishnamurti: un incontro magico (e inedito)



Che cosa hanno a che vedere tutti e tre insieme, Terence Stamp, il grande attore inglese oggi 82enne,  Federico Fellini e Jiddu Krishamurti, il grande filosofo del Novecento, grande anima che ha illuminato menti e cuore a Oriente (dove nacque, in India, a Madanapalle, nel 1895) e a Occidente, dove visse a lungo (in Gran Bretagna e in California)??

C'è un sottile fil rouge che lega queste tre grandi personalità, riemerso qualche anno fa in una intervista passata inosservata. 

Si sa che i destini di Stamp e Fellini si incontrarono proprio all'alba del 1968, quando l'attore inglese fu scelto come protagonista dal grande maestro riminese per il suo Toby Dammit, terzo episodio del film Tre passi nel Delirio, girato a 6 mani (3 episodi diversi, tutti tratti da racconti di Edgar Allan Poe) dai registi Roger Vadim, Louis Malle e per l'appunto Fellini. 

Per interpretare il personaggio maledetto dell'attore che scommette la sua testa col diavolo (Toby Dammit), Fellini aveva pensato in un primo momento a Peter O' Toole, che da tempo aveva fatto sapere di voler lavorare con Fellini. Il regista volò a Londra e dopo l'incontro tra i due, la trattativa sembrava andare a buon fine. 

O' Toole però ci ripensò dopo aver letto la sceneggiatura, preoccupato dall'aura sinistra del personaggio che avrebbe dovuto interpretare. 

La relazione tra O' Toole e Fellini finì malissimo, con un litigio e un reciproco mandarsi a quel paese. A quel punto Fellini virò su un'altra scelta e tra 3 nuovi pretendenti scelse Terence Stamp per il suo volto bello e allucinato e per il fatto che era già reduce dal Teorema di Pier Paolo Pasolini.

Stamp venne a Roma nell'inverno del '67/'68 e prima della primavera, in soli 26 giorni di riprese fu girato l'episodio - solo trentotto minuti - una delle pagine forse più geniali in assoluto della filmografia di Fellini. 

Stamp era in un momento molto particolare della sua vita: conduceva una vita sregolata, era sotto l'effetto di varie dipendenze.  E poco dopo questo film è noto che l'attore fuggì in India dove rimase per qualche anno a meditare sul suo futuro e sulla sua vita.  

Quello che non si sapeva finora era il motivo di questa improvvisa decisione.  E in questa intervista rilasciata a Maria Pia Fusco de La Repubblica nel 2013, Stamp racconta un interessantissimo retroscena, finora non conosciuto. Riporto per intero il passo:

Che ricordo ha di Teorema e di Fellini?
"Con Pasolini non è stata un'esperienza eccezionale: era un uomo riservato. Ma la verità è che sul set il mio interesse era tutto per Silvana Mangano: bellissima. Invece Fellini ha significato la svolta della mia vita. Lui aveva un rapporto amichevole con Peter O'-Toole, si vedevano quando veniva a Londra e Peter gli ripeteva "Voglio lavorare con te", finché capitò l'occasione diToby Dammit, uno degli episodi diTre passi nel delirio. Fellini mandò la sceneggiatura a Peter che, un mese prima delle riprese, una notte lo chiamò: "Quel Dammit è un vero bastardo, non voglio fare il tuo film. Goodbye". Fellini chiamòun agente a Londra, chiese di mandargli un attore decadente, stropicciato, bastardo. Io avevo appena fatto un western, avevo i capelli lunghi, scuri, ero sfatto, fumavo molto, di tutto allora. Fellini venne all'aeroporto, mi guardò, scoppiò a ridere, mi chiese di rimanere".


È vero che a Fellini deve anche la scelta dell'India?
"In una cena a casa di una contessa a Roma mi fece conoscere il maestro Krishnamurti, un piccolo indiano che diceva cose che non capivo. "Guarda quell'albero", lo guardavo, lui sorrideva. "Guarda quella nuvola". "Quando un'aquila vola non lascia tracce". Aveva uno sguardo magnetico, dolcissimo, mi sentivo inadeguato, troppo stupido per capire il senso delle sue parole e il desiderio di andare in India per avvicinarmi alla sua filosofia mi è rimasto dentro. Perciò dico che nella mia vita e nel mio lavoro c'è un prima e un dopo Fellini".


Insomma, che Stamp fosse diventato uno dei più famosi testimonals  della figura di Krishamurti era noto - riporto in calce a questo articolo uno dei molti interventi che l'attore ha fatto nelle diverse scuole e fondazioni intitolate a Krishnamurti nel mondo, che portano avanti i suoi insegnamenti - ma non era conosciuto che a presentare i due fosse stato proprio Fellini. 

Bisognerà approfondire. Sarebbe interessante conoscere l'opinione di Fellini a proposito di Krishnamurti e sarebbe anche interessante sapere chi era con esattezza quella contessa romana e quando si svolse esattamente la fatidica cena. 

Fabrizio Falconi -2020


03/08/20

Per i 100 anni di Federico Fellini, a Rimini si apre il "processo ai Vitelloni"



E' il Vitellone di felliniana memoria l' 'imputato' del tradizionale Processo del 10 agosto a San Mauro Pascoli (Forli'-Cesena) promosso da Sammauroindustria. 

Nomignolo nato dall'inventiva dello sceneggiatore Ennio Flaiano (spiego' la derivazione dall'abruzzese "vudellone", una budella da riempire), nel tempo ha assunto connotati controversi: positivi, del seduttore per eccellenza della Riviera romagnola; negativi, del maschilista tout court. 

A dibattere nel tribunale a Villa Torlonia, alle 21, saranno la giornalista de Il Manifesto Daniela Preziosi, che guidera' l'accusa, e Gianfranco Angelucci, stretto collaboratore del regista riminese, alla difesa. Presidente del Tribunale Miro Gori, fondatore del Processo; il verdetto sara' emesso dal pubblico munito di palette (400 i posti disponili causa restrizioni Covid). 

Il Processo e' un chiaro omaggio ai 100 anni di Federico Fellini. "Vitellone e' uno che non fa nulla e campa, anche in eta' da lavoro, sulle spalle della famiglia - spiega Gori -. Perfetta da questo punto di vista e' la rilettura felliniana di Amarcord dove in Lallo, zio del protagonista Titta, la figura del vitellone si fonde con quella del 'pataca'. Se questo e' un primo e assai grave capo d'imputazione in una Repubblica 'fondata sul lavoro', altri non mancano: dall'incapacita' di crescere, maturare, staccarsi dall'adolescenza, al maschilismo radicale che ha indotto nell'opinione comune l'analogia tra vitellone e seduttore da spiaggia, come racconta Sergio Zavoli, altro illustre riminese, nel documentario 'I vitellini'. 

Ma spettera' all'accusa definire con esattezza il capo dell'imputazione e alla difesa trovare attenuanti e reali motivi per l'assoluzione". 

Le prime schermaglie tra le due parti non mancano. Secondo l'accusatrice Daniela Preziosi "i Vitelloni restano un monumento alla peggio gioventu' maschile, regredita al comodo eterno stato infantile, mammoni e traditori, bandiere di un'inconcludenza che e' indifferenza. Bighellona, bovina, bulla, banale, irredimibile". 

Diverso il punto di vista del difensore Angelucci: "I luoghi comuni, le convenzioni, nascondono spesso pregiudizi che conducono verso una strada sbagliata. I Vitelloni sono ben altro da cio' che in molti pensano, e ci stupiremo insieme a scoprire quanto la loro natura, che ci appartiene cosi' da vicino, rappresenti forse la nostra parte piu' nobile". 

06/07/20

Ennio Morricone e Gillo Pontecorvo, l'amicizia di una vita

Gillo Pontecorvo e Ennio Morricone 



Sono moltissimi i registi che non sarebbero gli stessi se Ennio Morricone non avesse messo a loro disposizione le sue musiche, le sue intuizioni, la sua professionalita'. 

Solo alcuni pero' divennero amici veri, frequentati dentro e fuori dalla sala d'incisione. 

Uno di questi, forse tra i piu' intimi, e' stato Gillo Pontecorvo per cui Morricone scrisse le colonne sonore di "La battaglia di Algeri", "Queimada", "Ogro"

Considerata la leggendaria ritrosia del regista ad impegnarsi su un progetto (solo 5 film in tutta la carriera), si tratta del legame di una intera vita professionale visto che duro' dal 1966 (l'anno del Leone d'oro per "La battaglia di Algeri") fino all'ultimo film di Gillo, presentato sempre a Venezia nel 1979

Dopo di allora c'e' una storia privata, fatta di cene a casa, scherzi goliardici, intimita' tra le consorti (la moglie di Gillo viene da una grande famiglia di musicisti, i Ziino, e lei stessa e' stata una colonna della Filarmonica Romana) che non si e' mai interrotta. 

Tutto pero' comincio' proprio nel '66 quando Pontecorvo, che tornava alla regia sette anni dopo "Kapo'", cerco' Morricone che in quel momento collaborava con Pasolini ("Uccellacci e uccellini") e Carlo Lizzani (sodale all'Anac e amico a sua volta). 

Fu un avvio tempestoso perché il regista, grande appassionato di musica e autodidatta, aveva gia' firmato insieme a Carlo Rustichelli le musiche del suo film precedente e sapeva che emozioni voleva suscitare attraverso le note

Dopo un mese di lavoro non si trovava un punto d'incontro finché Pontecorvo una sera non sali' le scale di casa Morricone fischiettando la melodia che secondo lui andava bene. 

Il maestro Morricone aveva capito con chi aveva a che fare e lo accolse suonando al piano la stessa melodia sostenendo di averne avuto l'intuizione la notte prima. 

"Rimase basito - racconto' il musicista anni dopo - io gli dissi, con una calma olimpica, che dopo un mese passato a discutere di quel tema, evidentemente eravamo sulla stessa lunghezza d'onda."

29/06/20

29 giugno 2000 - 20 anni senza "Il Mattatore" - Ricordo di Vittorio Gassman






Ha scelto il giorno di San Pietro e Paolo, patroni di Roma, per andarsene nel sonno, giusto 20 anni fa il 29 giugno. 

Non era romano Vittorio Gassman, figlio di un ingegnere tedesco, passato per una breve stagione a Palmi, cresciuto a Roma e rivelatosi a Milano; non era romano, ma sapeva esserlo piu' di tanti suoi concittadini, capace pero' di mimetizzarsi in ogni regione per la sua maniacale precisione nel ripetere tutte le inflessioni dialettali e regionali. 

Ma alla fine e' stato tanto romano da meritarsi (come solo Anna Magnani e Marcello Mastroianni) una doppia targa stradale nelle vie della sua citta' adottiva

Del "mattatore", appellativo che lo ha sempre accompagnato dal 1959 quando ebbe grande successo televisivo in uno spettacolo dallo stesso titolo che poi trasloco' nella riuscita commedia di Dino Risi, non e' facile dare una sola definizione: gli riusciva tutto e apparentemente senza sforzo

Ma quando decise di mettersi a nudo, prima come attore e poi come uomo e svelo' nella sua autobiografia i tarli dell'anima, si scopri' la fatica della perfezione, l'infaticabile ricerca del dettaglio, la necessita' di superarsi ogni volta con precisione maniacale.

Si e' detto che aveva personalita' bipolare e si descrisse malato di depressione, nausea di vivere, fatica di convivere con la propria immagine pubblica. 

Eppure era felicemente ammalato di vita, sprizzava giovialita', fisicita', intelligenza e per questo fu sempre compagno e complice dei migliori registi, mai semplice esecutore

Aveva fin da giovane la presenza scenica del prim'attore, ereditava il piglio roboante della generazione di Renzo Ricci (padre della prima moglie di Vittorio), usava il corpo come strumento della sua arte. 

Prestante e bello, da ragazzo era arrivato a disputarsi lo scudetto del basket universitario con la societa' sportiva Parioli, ma il teatro ebbe presto la meglio, visto che gia' svettava tra i compagni di corso all'Accademia d'arte drammatica. 

In piena guerra, nel '43, debutto' a Milano con Alda Borelli nella "Nemica" di Niccodemi, ma fu all'Eliseo di Roma, in compagnia di Tino Carraro ed Ernesto Calindri che si fece notare svariando con naturalezza dal repertorio classico a quello contemporaneo

Se sul palcoscenico non ha mai avuto difficolta' a imporsi (tra i primi a riconoscere il talento ci furono Luchino Visconti, il compagno d'Accademia Luigi Squarzina e piu' tardi Giorgio Strehler), al cinema dovette passare per piccoli ruoli fino a costruirsi una certa fama da "villain" e seduttore pericoloso come in "Riso amaro" di Giuseppe De Santis nel 1949

Ma nel decennio successivo fu il teatro a mantenere alta la sua popolarita': fra il '52 e il '56 la sua lettura di Shakespeare (prima "Amleto" e poi "Otello") fecero storia cosi' come l'"Orestiade" di Eschilo con la regia di Pasolini. 

Gassman sembrava un dio greco, l'incarnazione del teatro, svettava in un'Italia ancora piegata sotto le conseguenze della guerra persa. 

Ma il cinema, nella persona di Mario Monicelli, gli offri' l'occasione di essere "altro". Ne "I soliti ignoti" (1958) incontro' il successo nel modo meno atteso: con Peppe "er Pantera", pugile suonato, dalla parlata incerta, ladro per caso, indosso' una maschera comica che lo avrebbe accompagnato per anni. 

Fu l'inizio di un'escalation inarrestabile che lo consegna alla storia della commedia all'italiana, uno dei "quattro colonnelli" della risata insieme a Sordi, Tognazzi, Manfredi

Questo nuovo registro espressivo lo rese complice di autori come Dino Risi, Luciano Salce, Luigio Zampa, Ettore Scola, con Monicelli in testa

Fu lui a disegnare il suo Brancaleone sul "Miles Gloriosus" plautino, cosi' come Risi gli offri' lo spaccone disperato de "Il sorpasso", mentre Scola fu suo complice in tutto l'itinerario della maturita' da "C'eravamo tanto amati" a "La famiglia"

Meno nota, ma non meno intensa e' la carriera internazionale di Vittorio Gassman: da sempre, grazie alla conoscenza delle lingue, lo cercano le produzioni internazionali e, dopo la rivelazione in "Guerra e Pace" (1956), dagli anni '70 in poi avra' i migliori registi: Robert Altman, Paul Mazursky, Alain Resnais, Andre' Delvaux, Jaime Camino, Barry Levinson. 

Si provera' anche come regista in proprio, riversando una buona dose di autobiografia in tentativi ambiziosi come "Kean" o "Senzafamiglia, nullatenenti cercano affetto" in coppia con Paolo Villaggio.

Chiudera' la carriera la' dove l'aveva iniziata, in palcoscenico, tra l'intensa recitazione di pagine poetiche, una memorabile edizione della "Divina Commedia" e lo spettacolo "Ulisse e la balena bianca" che e' una sorta di testamento artistico ed esistenziale. 

Nato nel 1922, sognava di morire in scena e per poco non ci e' riuscito. 

Spirito irregolare e controcorrente, ha dato scandalo nella vita privata con tre mogli e tre compagne, tutte molto amate, da cui ha avuto quattro figli, tre dei quali ne hanno seguito le orme.

Spirito inquieto, paradossalmente e' stato il meno "italiano" dei nostri grandi attori e forse per questo, pur tra tanti premi, non ha avuto quella gloria che, oggi lo scopriamo, meritava. 

Sognava un suo teatro ma solo dopo morto il Quirino di Roma gli e' stato intitolato; meritava l'Oscar ma lo prese Al Pacino al posto suo per il remake di "Profumo di donna" e si dovette accontentare di un premio a Cannes (per lo stesso film)

La Mostra di Venezia gli ha dato il Leone d'oro alla carriera nel 1996, ma poteva accorgersi di lui ben prima

E' stato un gigante solo e forse proprio questo enorme vuoto che lasciava ogni volta che usciva di scena lo rapiva e terrorizzava insieme. Di certo e' il sentimento che lascia nel cinema e nel teatro italiano anche oggi. Sulla sua lapide sta scritto: "Non fu mai impallato". 




26/06/20

Quando Fellini ingaggiò la donna più alta del mondo per "Casanova" - L'incredibile storia di Sandy Allen

Sandy Allen con Federico Fellini nell'estate del 1975 a Cinecittà

Per il suo Casanova, che ebbe vicissitudini produttive infinite, girato interamente a Cinecittà, Federico Fellini ingaggiò anche la gigantessa americana Sandy Allen, che il Guinness dei Primati riconosceva come la donna più alta del pianeta, misurando in altezza 2.31 metri (qui sopra in una rarissima foto durante le riprese). 

Sandy Allen interpretò il ruolo appunto di Angelina, la Gigantessa che Casanova/Donald Sutherland incontra a Londra.

La Allen - nome completo Sandra Elaine Allen era nata il 18 giugno 1955 e la sua incredibile altezza era dovuta a un tumore nella sua ghiandola pituitaria che gli aveva causato il rilascio incontrollato dell'ormone della crescita . All'età di ventidue anni aveva subito un intervento chirurgico, senza il quale la donna avrebbe continuato a crescere e soffrire di ulteriori problemi medici associati al gigantismo. 

Scoperta durante uno dei suoi casting leggendari, Fellini chiese subito di poterla avere nel cast e nell'estate del 1975 (le riprese iniziarono il 21 luglio a Cinecittà) la Allen arrivò a Roma con un volo speciale fatto venire dagli USA. 

Sandy Allen con Federico Fellini sul set di Casanova (agosto 1975)

Appena dopo il ritorno della Allen in America, intorno a Ferragosto un'altra sciagura si abbatté sulla lavorazione del film: la gran parte dei negativi già girati infatti vennero rubati dagli stabilimenti Technicolor di Cinecittà, insieme a delle pizze di Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini e Un genio, due compari, un pollo di Damiano Damiani.

Fellini si disse "rovinato" dal furto anche per la ragione pratica che le scene già girate e trafugate comprendevano i negativi girati con la gigantessa americana, per la quale un ulteriore ritorno in Italia avrebbe causato non pochi problemi organizzativi, visto che già la prima volta si era resto necessario lo smontaggio e l'adattamento dei sedili dell'aereo di linea. 

Fellini decise di proseguire comunque con il resto del film, riservandosi eventualmente di tagliare - con grandissimo dispiacere - le scene che riguardavano Angelina/Sandy Allen. 

Sandy Allen accompagnata sul set vestita da "Angelina", nell'estate del 1975 a Cinecittà

Le riprese, che da contratto sarebbero dovute durare 26 settimane, si interruppero bruscamente il 16 dicembre 1975 quando la produzione sospese le riprese licenziando il 21 tutta la troupe. 

Per il produttore Grimaldi la decisione era motivata dal fatto che il film invece di essere già stato completato con una spesa di 4,2 miliardi di lire, era già costato 4,8 miliardi e completato solo al 60%.

A quel punto Grimaldi si disse disposto ad investire un ulteriore miliardo a patto di ridurre i costi.

Fellini dal canto suo si sentì diffamato dal produttore e sostenne che l'accordo era di terminare le riprese il 21 gennaio 1976, ricordando che quattro settimane di lavoro erano sfumate a causa di scioperi, di una malattia del protagonista e di deficienze attribuibili alla produzione.

Quanto ai costi dell'opera Fellini in qualità di autore, e non di produttore associato, si dichiarò estraneo.

La querelle investì i media, che ovviamente ci andarono a nozze, e trovò soluzione solo quando Fellini si decise a trascinare Grimaldi in tribunale. 

Il 28 gennaio 1976 fu trovato l'accordo: Grimaldi avrebbe investito ulteriori 1,2 miliardi di Lire e gli attori sarebbero stati riconvocati a fine febbraio per terminare la lavorazione del film entro otto/nove settimane.

Il film venne ripreso dunque il 23 marzo. Quando tutte le riprese si erano ormai concluse e Fellini si era ormai rassegnato a fare a meno della parte relativa ad Angelina la Gigantessa, nel maggio 1976,  tutto il materiale trafugato fu ritrovato a Cinecittà, misteriosamente. 

Fellini ovviamente accolse la cosa con gioia, recuperando le scene perdute e potendo così procedere al montaggio completo del film.

Casanova uscì nelle sale a dicembre di quello stesso anno.

Ma che ne fu di Sandy Allen?

Sandy Allen

Colpita da improvvisa e provvisoria notorietà dopo la parte in Casanova, la Allen comparve sporadicamente in alcuni documentari.

Non si sposò mai. Con il passare degli anni, anzi, le sue condizioni di salute peggiorarono, essendo costretta ad usare una sedia a rotelle perché le gambe e la schiena non potevano sostenere la sua alta statura in posizione eretta. Infine, relegata a letto a causa di una malattia, per l'atrofia completa dei muscoli. 

Trascorse i suoi ultimi anni a Shelbyville, nell'Indiana.

Morì il 13 agosto 2008 a cinquantatré anni e da allora una borsa di studio è stata dedicata a suo nome alla Shelbyville High School.

Fabrizio Falconi 
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