Negli ultimi decenni si è assistito ad una diffusione del buddhismo in Occidente in una versione che l'Occidente - non so quanto consapevolmente o meno - ha notevolmente semplificato, rischiando di trasformare la teoria e la pratica millenaria del buddhismo in qualcosa di molto simile ad una disciplina new age.
Addirittura ho sentito ripetere spesso che il buddhismo, rispetto al Cristianesimo, è molto più semplice (!) e immediato. Credo che ciò dipenda, come sempre, da una mancanza di approfondimento e di consapevolezza delle cose.
Credo che questo breve passaggio del libro di Hervé Clerc, Le cose come sono (Adelphi edizioni, 2015), aiuti a rimettere un po' d'ordine.
Se il nirvana è un'esperienza universale, il buddhismo è una creazione indiana. A immagine dell'India, delle sue città, la sua vegetazione, le etnie, le lingue, gli dèi, il suo miliardo di abitanti e altrettante contraddizioni, il buddhismo prolifera in modo anarchico in una giungla di sutra che nessuna tasca potrà mai interamente contenere.
Il cristianesimo, religione del Verbo, si propaga grazie ai testi, il buddhismo malgrado i testi.
In totale il Buddha avrebbe comunicato ai suoi discepoli 84.000 insegnamenti, afferma suo cugino Ananda, uomo dotato di una memoria fenomenale, che nessuno poteva guardare senza provare un immediato sentimento di gioia (Mahaparinirvana sutra).
Questi insegnamenti sono contenuti o piuttosto arginati nei tre canoni.
Il solo canone pali, nella dotta edizione della Pali Text Society, comprende 57 volumi, indici inclusi.
Il canone tibetano Kangyur ne contiene un centinaio.
Secondo Arthur F. Wright il canone cinese presenta da solo 74 volte la lunghezza della Bibbia.
Nessuno quindi, conclude Clerc, può pretendere di possedere una conoscenza esaustiva di questo continente.
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