07/10/09

L'attenzione e la cognizione del reale - Simone Weil.

Ci sarebbe un'altra qualità - cristiana - da aggiungere a quel 'poco' e a quella 'cura' di cui parlavo nel post precedente. L'attenzione fa parte della cura, ma si riferisce più esattamente alla cura di un altro essere umano, all'ascolto di lui/lei - e quindi alla fratellanza - che in qualche caso autentico può portare all'aiuto risolutivo, cioè alla guarigione.

Di questo parla, la lettera che pubblico oggi, scritta da Simone Weil a Joe Bousquet nel 1942, un anno prima di morire. Bisogna leggerla con attenzione, appunto. Come tutte le cose scritte da Simone, contiene un tesoro che si svela mano a mano, che rivela sempre ulteriori profondità.

Inserisco la lettera in una doppia versione - video, e nella trascrizione letterale.

Mi ha profondamente commossa constatare che ha dedicato una viva attenzione alle poche pagine che le ho mostrato. Non ne traggo la conclusione che meritino attenzione. Considero tale attenzione come un dono gratuito e generoso da parte sua. L’attenzione è la forma più rara e più pura della generosità. A pochissimi spiriti è dato scoprire che le cose e gli esseri esistono. Fin dalla mia infanzia non desidero altro che averne ricevuto, prima di morire, la piena rivelazione. Mi sembra che lei sia orientato verso questa scoperta. In effetti, ritengo di non aver conosciuto, da quando sono giunta in questa regione, nessuno il cui destino non sia di gran lunga inferiore al suo; tranne un’eccezione. (L’eccezione, lo dico di sfuggita, è un domenicano di Marsiglia quasi completamente cieco, di nome padre Perrin. Deve essere stato nominato da poco, credo, priore in un convento di Montpellier; se capitasse a Carcassonne, ritengo che varrebbe la pena di organizzare un incontro tra voi.)

La scoperta che le dicevo è in fondo il soggetto della storia del Graal. Solamente un essere predestinato ha la facoltà di domandare ad un altro: «Qual è dunque il tuo tormento? ». E non gli è data nascendo. Deve passare per anni di notte oscura in cui vaga nella sventura, nella lontananza da tutto quello che ama e con la consapevolezza della propria maledizione. Ma alla fine riceve la facoltà di rivolgere una simile domanda, nel medesimo istante ottiene la pietra di vita e guarisce la sofferenza altrui.

E questo, ai miei occhi, l’unico fondamento legittimo di ogni morale; le cattive azioni sono quelle che velano la realtà delle cose e degli esseri oppure quelle che assolutamente non commetteremmo mai se sapessimo veramente che le cose e gli esseri esistono. Reciprocamente, la piena cognizione che le cose e gli esseri sono reali implica la perfezione. Ma anche infinitamente lontani dalla perfezione possiamo, purché si sia orientati verso di essa, avere il presentimento di questa cognizione; ed è cosa rarissima. Non v’è altra autentica grandezza. Parlo di tutto questo non propriamente come un cieco, ma come un quasi cieco potrebbe parlare della luce. Almeno penso di vedere abbastanza per avere potuto riconoscere in voi questo orientamento.

E un regno in cui opera il semplice desiderio, purché autentico, non la volontà; in cui il semplice orientamento fa avanzare, a patto che si resti sempre rivolti verso lo stesso punto. Tre volte felice colui che è stato posto una volta nella direzione giusta. Gli altri si agitano nel sonno. Colui che procede nella giusta direzione è libero da ogni male. Benché sia, più di chiunque altro, sensibile alla sventura, benché la sventura gli procuri soprattutto un sentimento di colpa e di maledizione, tuttavia per lui la sventura non costituisce un male. A meno che non tradisca e non distolga lo sguardo, sarà sempre preservato. Anche quando si sente completamente abbandonato da Dio e dagli uomini, è comunque preservato da ogni male. Per aver parte a questo privilegio basta desiderarlo. E' proprio questo desiderio a essere cosa estremamente difficile e rara. La maggior parte di coloro che sono convinti di averlo, non l’hanno.

Tutta la parte mediocre dell’anima si rivolta e vuole soffocare il desiderio da cui si sente minacciata di morte, e riesce il più delle volte a raggiungere il suo scopo attraverso qualche menzogna. Allora si sente al sicuro. Gli sforzi, la tensione della volontà non la turbano. Si sente unicamente minacciata dalla presenza nell’anima di un punto di desiderio puro. Quanto prima le manderò la copia di alcuni versi di Eschilo e di Sofocle con il mio tentativo di traduzione. Anche un Nuovo Testamento in greco. Mi rimprovero di non averle detto una cosa a Carcassonne. Questa. Poiché lei ha bisogno di far venire un farmaco da Marsiglia, se in qualche modo posso esserle utile, disponga di me. Non tema di causarmi disturbo, se sarà necessario.
Creda alla mia amicizia.

3 commenti:

  1. ... e alla fine le dice...si lasci aiutare, non tema di arrecarmi disturbo... perché questo è il punto, non ci accorgiamo veramente degli altri e di quanto ci circonda perché concentrati su noi stessi, i pensieri, le paure,le ansie, i desideri, i pregiudizi che aggrovigliano la mente e il cuore e ci impediscono di sciogliere l'inquietudine che ci accompagna giorno e notte e di uscire dalla continua ricerca di compensazioni e conferme; perché non vogliamo riconoscere limiti e fragilità e il desiderio che abbiamo di uno sguardo benevolo; perché siamo sommersi e soffocati da un terribile egocentrismo narcisista... tutto questo e molto altro ci impedisce l'attenzione, quella che permette di fermarsi e dire a se stessi... adesso mi concentro su chi ho davanti..il suo nome, il suo sguardo, la sua storia, i suoi desideri, le sue lamentela e frustrazioni e sto attento per capire ciò che mi vuole, o tenta, o desidera o non riesce a comunicare... mi interesso a lui perchè lui, proprio lui, mi interessa... ecco...lui o lei mi interessa..il suo mistero, la sua umanità, qualcosa che mi è sconosciuto e, per questo, aggiunge un pezzo alla mia umanità...Avevo letto, in gioventù, questa lettera di Simone Weil, oggi forse la capisco un po' di più..bisogna veramente desiderarla quella vista del cuore e chiederla e ...poi sopportarne la luce e la solitudine....

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  2. Faccio mio il bellissimo e profondo intervento di Alessandro che ha colto nella nostra limitatezza e nel nostro peccato il più grande ostacolo alla vera comunicazione con il prossimo, all'"attenzione" per lui.
    Leggendo la lettera della Weil quasi automaticamente mi è venuto da pensare all'attenzione che mettiamo agli estremi della vita - la nascita e la morte - e alla totale incapacità di usarla nella nostra vita quotidiana. Non lo so forse se provassimo a pensare ad ogni istante della nostra vita come ad un nascere per qualcuno e ad un morire a noi stessi, forse, riusciremmo a porre la giusta "attenzione". Ma temo che da soli e senza chiedere umilmente l'aiuto di Dio siamo destinati a fallire e a non cogliere appieno quella grandezza che abita in noi.
    Grazie ancora comunque ad Alessandro e a te Faber per i tuoi continui stimoli alla riflessione.

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  3. Caro Alessandro,

    sì è proprio così. L'egocentrismo e il narcisismo sono i pilastri di quella "cultura dell'io" che da un secolo a questa parte sembra averci resi im-permeabili (con le dovute eccezioni, anche eroiche) alle esigenze dell'altro (una volta si chiamava 'prossimo), alla sua voce, alla sua richiesta di aiuto o più semplicemente di attenzione.

    Angelo, ti ringrazio per questo preziosissimo riferimento - che fai - agli estremi della vita, che mi ha molto colpito.
    In effetti, in 'quelle' circostanze noi, per una volta, ci facciamo da parte, facciamo spazio, ci interroghiamo e ci lasciamo interrogare.
    Che è esattamente quello che dovremmo saper fare anche nella faticosa vita di tutti i giorni.

    F.

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