Mi è capitato, proprio ieri, di partecipare ad una funzione funebre, per una persona amica, che ci aveva lasciato pochi giorni prima. E, come mi capita spesso, ho assistito - come gli altri convenuti - ad una omelia, da parte dell'officiante, un anziano sacerdote, che mi ha messo a disagio.
Mi capita abbastanza spesso, infatti, da praticante cristiano, di assistere a cerimonie funebri, durante le quali il sacerdote, preoccupato evidentemente dall'urgenza di dover consolare i parenti più stretti, gli amici, i conoscenti, ecc.. sfodera una omelia "tutta in positivo", puntando esclusivamente sul mondo dorato - il paradiso - che attende il defunto, le braccia del Signore che lo accoglieranno, la beatitudine che finalmente troverà dopo tante angosce terrene; e, quel che è più fastidioso - almeno per la mia sensibilità - accompagnando questo racconto, tutto volto al futuro della resurrezione, con sorrisetti compiaciuti.
Credo che - scontate le buone intenzioni che muovono di volta in volta questi sacerdoti - vi sia però, di fondo, una mancanza di sensibilità, e anche di opportunità.
Chi celebra dovrebbe ricordarsi sempre, soprattutto in momenti come questi, che il Cristianesimo è proprio quella religione che - molto e più delle altre - racconta, ben prima della gloria della Resurrezione, la Morte. E non la morte qualsiasi, ma una morte orribile, una delle più orribili e infamanti, quella per mezzo di Croce, destinata a Colui che si è proclamato Figlio di Dio.
Il Cristianesimo, fra l'altro, racconta questa Morte, nei Vangeli, senza risparmiare nulla del dolore, dello strazio, della disperazione di coloro che sono intorno a questa Morte, e che questa Morte vivono - prima di sapere qualcosa su quel che verrà dopo - come una perdita definitiva e terribile. Il pianto di Maria ai piedi della Croce (ricordate la scena del Gesù di Zeffirelli ?) è un urlo contro l'ingiustizia terrena, l'ingiustizia del mondo, un urlo che esprime il dolore dell'intero universo.
Quando si celebra la funzione funebre, dunque, si dovrebbe secondo me ricordare sempre, anche e soprattutto in ottica cristiana, che prima viene sempre il dolore.
Chi ha appena perduto una madre, o un padre, o un figlio, seppure armato di una fede ferrea nella resurrezione, non sa che farsene in quel momento dei sorrisetti compiaciuti, e dei voli pindarici per descrivere le meraviglie della vita ultraterrena: in quel momento, l'unica urgenza è quel vuoto che resta. Quell'affetto che non c'è più, quello strappo che brucia, quel dolore che niente e nessuno può lenire.
Ci vorrà il tempo, ci vorranno le preghiere silenziose, ci vorranno le notti insonni, ci vorrà la vicinanza di chi saprà esserci veramente. Di chi aiuterà a portare il dolore. Ci vorrà la fede, che lentamente verrà a rischiarare il fondo del tunnel.
Ma, di fronte alla lacerazione della Morte non servono sorrisetti, servirebbe soprattutto il silenzio, il rispetto, l'esempio di quelle poche e forti parole, che risuonano, dalle notte dei tempi, per darci una ultima e buona speranza.
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... mi piace pensare a quelle pietre che sono lasciate sulle tombe ebraiche, alle pendici del Monte degli Ulivi e al loro significato profondo ... la parte di me che tu hai riempito con ogni tuo gesto e pensiero nessun altro potrà mai occuparla e,come carne irrigidita, lascio sui resti del tuo corpo questo pezzo del mio cuore ... il vuoto lasciato da una persona amata è una fenditura perenne nella parte più intima e profonda del nostro animo. Non si ha confidenza con la morte. Per questo molti predicatori ne scansano il significato e l'angosciante prospettiva. Eppure dovremmo abituarci a frequentare quotidianamente il pensiero della nostra morte.Personale, unica e irripetibile come la nostra vita. E',la morte, la cornice del limite che segna la vita. La conoscenza, di cui tanto ci vantiamo che è l'infima parte del conoscibile e polvere rispetto all'inconoscibile. L'orizzonte che il nostro sguardo è capace di contenere: 180 gradi, bidimensionale nient'altro che un punto di vista che con arroganza trasformiamo sempre in verità proclamate. I confini del nostro corpo, l'usura dei nostri organi, il logorio dei nostri neuroni, l'ingorgo delle sinapsi: questo corpo così fragile e caduco che imbellettiamo e copriamo di arazzi per illuderci di una forza e durata inesistenti. Non vogliamo pensare alla morte perché rifiutiamo di misurarci con il limite ma è solo attraverso questa consapevolezza che possiamo scoprire la bellezza del chiacchierare e ridere insieme,scambiarci delle gentilezze, insieme leggere dei libri piacevoli, insieme essere allegri e insieme essere seri, dissentire anche, ma senza rancore, come facciamo con noi stessi, cercando in questi contrasti le ragioni che riportano all'armonia assaporata, attendere con impazienza le persone amate e accoglierli con gioia al loro arrivo e imparare ad esprimersi e ascoltare tramite la bocca, la lingua, gli occhi e i mille altri gesti di benevolenza di cui sentiamo il bisogno e dei quali siamo così parchi.Agostino ha scritto pagine bellissime sull'amore. Imparare a godere veramente della vita assaporarla attraverso i tanti dettagli che fanno il vero stile delle persone e ne definiscono il segno unico e irripetibile che lasciano in noi. Questo dovremmo ricordare quando ci lascia una persona amata. Nessuno sa come sarà la vita eterna, il nostro corpo, il Creato quando Dio sarà tutto in tutti. No, non è pensando all'eternità e immaginando che in essa i nostri sentimenti avranno il medesimo peso che hanno per noi oggi, che possiamo consolarci delle nostre perdite. Ma ritrovandole dentro la propria storia, nel Tempio intimo che ognuno ha nel profondo del suo animo. E ringraziando Dio di avere amato e conosciuto proprio quell'essere, di esserci lasciati contaminare dalla sua unicità che sola ci fa percepire, oltre il limite e la caducità, la pienezza a cui siamo destinati e che, forse, conosceremo.
RispondiEliminaE' bellissima, Alessandro questa tua condivisione.
RispondiEliminaE sono molto contento di ritrovarti, al termine delle ferie (almeno le mie) che spero siano state per te proficue e serene (direi di sì, leggendo questo commento, che almeno a me appare come una meditazione molto profonda, molto vera, molto toccante).
La rimozione della morte è IL tema della nostra vita attuale, del nostro momento storico di fine occidente. La rimozione della morte e il suo viverlo come nevrosi è la causa della nostra incapacità di vivere (come molto bene tu spieghi, l'amore è una diretta discendenza di questa consapevolezza).
Temo che spesso anche da parte dei sacerdoti - che dovrebbero saperne più di noi di cose "dell'altro mondo" - ci sia una tendenza, a volte a "liquidare" l'argomento morte, e a privilegiare quel che verrà dopo.
Ma se non si passa da quelle "forche caudine", nessuna conoscenza e nessuna consapevolezza è possibile, credo.
Grazie,
F.
Come sempre ciò che ha più importanza nella comunicazione verso il prossimo non è quello che si dice ma il modo, la forma che si usa. Se tutto questo per me è vero per ogni persona, lo è, o lo dovrebbe essere,ancor di più per un cristiano.
RispondiEliminaA mio avviso un sacerdote in un funerale se conosceva il defunto dovrebbe ricordarne i tratti salienti della sua vita; se non lo conosce, come succede nella maggior parte delle volte, dovrebbe affrontare il tema della morte in termini cristiani. In ogni caso però, a mio avviso, non può esimersi dal parlare della resurrezione. Mi domando se avesse senso parlare della morte di Cristo senza parlare della resurrezione. Ma soprattutto mi e vi domando se ha senso parlare della vita di Cristo, e io dico anche dei nostri cari e di tutti i defunti, senza fare riferimento alla resurrezione di Cristo!
Ecco questo è per me il nocciolo della questione. Non si tratta di by-passare la morte di una persona, la morte di Cristo, la nostra morte ma di vederla, concepirla e viverla nel progetto che Dio ha per ognuno di noi come lo ha avuto per suo Figlio.
Tutto questo passa attraverso quella che è la comunicazione umana, per default limitata e povera, che può presentarci anche, ma non sempre fortunatamente, dei sacerdoti che nel convincimento di fare il loro dovere si presentano con dei sorrisetti compiaciuti.
Caro Angelo,
RispondiEliminagrazie.
sì probabilmente hai ragione, e il mio giudizio è troppo severo.
Vorrei però soltanto spiegare che anche a me sembra del tutto giusto che un sacerdote officiante "non possa esimersi dal parlare della resurrezione."
Questo mi sembra scontato.
E se questo si evinceva dal mio pezzo, non sono stato chiaro.
Io dico soltanto che non mi sembra 'sensibile' che si parli SOLO della resurrezione, cioè della vita futura, e si parli SOLO di aspetti consolanti.
Secondo me non si può - non si dovrebbe - esimersi, dal parlare, anche, soprattutto, in quelle circostanze, della morte. Del dolore, del lutto, dell'assenza, della mancanza, del vuoto.
Che forse è l'urgenza primaria, più bruciante, di chi rende l'ultimo saluto a una persona cara.
F.
... anche per me Faber è un piacere ritrovarti, in verità almeno su questo luogo virtuale non ho mai smesso di frequentarti...da una decina di anni ho l'abitudine, quotidiana, di pensare e meditare ,per molti minuti, sulla mia personale morte fisica e faccio scorrere nella mia mente le persone che hanno lasciato un segno nella mia vita e quelle che ora la riempono di senso e significati, elenco tutto ciò che mi piace e sono contento di possedere, anche facezie e soprammobili, scorro i luoghi che più ho frequentato e amato...ci sono panorami, immagini e quadri che nella mia mente sono più chiari e nitidi della fotografia più perfetta... penso a tutto quello che vorrei vedere e forse potrei, alla storia che andrà avanti dopo di me e alle infinite possibilità dell'uomo nel bene e nel male...penso a tutto ciò e... amo.... amo Dio, le sue creature e di alcune lo ringrazio che abbia consentito ai nostri sguardi di incrociarsi.. e amo il creato come mai ho saputo fare prima....
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RispondiEliminaAlessandro,
RispondiEliminache bello. Devo dire che forse anch'io sto un po' maturando, nell'invecchiamento. Prima, pensavo alla morte solo con repulsione, rabbia, oppure semplicemente rimuovevo il pensiero.
Da un po' di tempo, amo sempre più disperatamente la vita, ma questo non mi porta a detestare la morte.
Comincio piano piano a realizzare che tutto quanto - morte e vita - fa parte di qualcosa più grande, di immenso, di misterioso e di paterno.
Credo davvero che l'unico grande dispiacere della morte sia lasciare le persone amate, le cose amate.
Non è poco. Ma quel vuoto, quello che oggi appare vuoto, domani potrebbe essere un 'pieno' inaspettato, finalmente sensato e giusto.
D'altronde a un feto che sta per abbandonare la vita intrauterina cosa deve apparire il parto se non una lacerazione immane, la fine irreparabile di tutto ???
Invece, là fuori, c'è la luce, ci sono voci umani, ci sono braccia pronte ad abbracciarlo, teneramente, e un misterioso e dolce liquido biancastro, il più incredibile elisir mai immaginato.
F.