16/11/20

Come Sergio Leone trovò Clint Eastwood, da attore sconosciuto a icona del cinema


E' stato uno degli incontri più importanti della storia del cinema, non solo italiano. Quello fra Sergio Leone e Clint Eastwood, destinato a diventare il suo attore feticcio, e soprattutto - grazie a Leone - destinato a diventare una vera icona di Hollywood, non soltanto come attore, ma anche come autore e regista. Ma come andò veramente? 

Nel 1963 Sergio Leone era alla ricerca del protagonista per il suo primo "spaghetti western" (come il genere fu chiamato poi), "Per un pugno di dollari". Fu mandato il copione al manager di Henry Fonda, prima scelta di Leone. Questi però, non fece neanche vedere il copione a Fonda, e mandò un telegramma a Leone dicendo che: “Una cosa del genere non l'avrebbe mai fatta.”

Dopo il rifiuto di James Coburn e Charles Bronson, Leone, su suggerimento di Claudia Sartori, una dipendente della William Morris, visionò una puntata di una serie tv americana, Rawhide, nella quale recitava "un attore giovane e allampanato, che poteva forse interessare Leone."

Il regista infatti rimase folgorato.

«Ciò che più di ogni altra cosa mi affascinò di Clint," raccontò in seguito Leone, "era il modo in cui appariva e la sua indole. Notai il modo pigro e rilassato con cui arrivava e, senza sforzo, rubava a Eric Fleming tutte le scene. Quello che traspariva così chiaramente era la sua pigrizia. Quando lavoravamo insieme lui era come un serpente che passava tutto il tempo a schiacciare pisolini venti metri più in là, avvolto nelle sue spire, addormentato nel retro della macchina. Poi si srotolava, si stirava, si allungava…"

La Jolly Film dunque inviò una copia della sceneggiatura al giovane Clint Eastwood. L'attore rimase subito colpito dal linguaggio, un inglese tradotto decisamente male; nonostante ciò, Eastwood rimase colpito dallo script e decise di informarsi sul regista.

L'attore, spinto anche dalla moglie, accettò la proposta avanzata dalla Jolly Film, e dunque partì per Roma. Leone, sulle prime ancora diffidente, non si presentò all'aeroporto e mandò Mario Caiano al suo posto, il quale dovette scusarsi dicendo che il regista non era in ottima salute.



15/11/20

Poesia della Domenica - "Gli amanti" di Arturo Corcuera


Gli amanti 

Mentre cammini 
attraverso foreste e parchi 
solo per baciare i tuoi piedi 
l'autunno spoglia i suoi alberi 
solo per baciarti i piedi. 

Lui ti ama come me 
con occhi infiniti 
E come me 
gli piace
spogliarsi in autunno.

Noi amanti 
Sopra di noi 
la pioggia e l'amore 
la pioggia senza sosta 
amore incessantemente
Sopra di noi 
la pioggia che come l'amore
inumidisce gli amanti. 

- Gli innamorati, Arturo Corcuera - (traduzione Fabrizio Falconi) 


Los Amantes

Mientras caminas
por bosques y parques
sólo por besar tus pies
el otoño desnuda sus árboles
sólo por besar tus pies.

El te ama como yo
con ojos infinitos
y como yo
también quisiera
desnudarte de otoño.

Nosotros los amantes
sobre nosotros
la lluvia y el amor
la lluvia sin cesar
sin cesar el amor
sobre nosotros
la lluvia que como el amor
humedece a los amantes.

- Los amantes, Arturo Corcuera -

In testa: Les Amants di René Magritte

Questa poesia è stata magnificamente musicata da Susana Baca nel 2000:


14/11/20

La grafomania, ovvero l'ossessione di scrivere libri come epidemia di massa - Milan Kundera


 Suona come una profezia questa pagina scritta da Milan Kundera nel lontano 1977, in uno dei suoi romanzi più belli. La profezia di un mondo dove si diffonde sempre più una nuova epidemia: la grafomania di massa. Eccolo:

Questa conversazione mi ha di colpo chiarito la natura dell'attività di scrittore. 

Scriviamo libri perché i nostri figli non si interessano a noi. Ci rivolgiamo al mondo anonimo perché nostra moglie si tura le orecchie quando parliamo. 

... 

La donna che ogni giorno scrive all'amante quattro lettere non è una grafomane, è una donna innamorata. Ma il mio amico che fa le fotocopie delle lettere d'amore che spedisce per poterle un giorno pubblicare è un grafomane. 

La grafomania non è il desiderio di scrivere lettere, diari, cronache di famiglia (cioè scrivere per sé o per le persone a noi più vicine), ma lo scrivere libri (cioè avere un pubblico di lettori sconosciuti).  

In questo caso la passione dell'autista che scrive e quella di Goethe sono identiche. Quello che distingue Goethe dall'autista non è una passione differente, ma un differente risultato della passione. 

La grafomania (l'ossessione di scrivere libri) prende fatalmente le dimensioni di una epidemia di massa quando il progresso di una società raggiunge tre condizioni fondamentali:

1) l'alto livello del benessere generale che permette alla gente di consacrarsi a un'attività inutile;

2) l'altro grado di atomizzazione della vita sociale e il conseguente, generale isolamento degli individui;

3) la radicale mancanza di grandi cambiamenti sociali nella vita sociale della nazione (da questo punto di vista, mi sembra sintomatico che in Francia, dove non succede assolutamente nulla, la percentuale degli scrittori sia ventun volte maggiore di quella di Israele. Del resto Bibi si è espressa benissimo quando ha detto che, "visto dal di fuori" non ha vissuto nulla.  E' proprio questa assenza di contenuto vitale, è questo vuoto il motore che spinge a scrivere). 

Ma l'effetto si ripercuote di ritorno sulla causa.  L'isolamento generale crea la grafomania, ma la grafomania di massa generalizza e aggrava a sua volta quell'isolamento.  

L'invenzione della stampa permise un tempo agli uomini di comprendersi a vicenda.  Nell'epoca della grafomania universale, il fatto di scrivere libri assume un significato completamente opposto: ognuno si circonda dei propri segni come di un muro di specchi che non lascia filtrare alcuna voce all'esterno. 

Tratto da: Milan Kundera, Il libro del riso e dell'oblio, Bompiani 1980, traduzione di Serena Vitale, pagg.101 e 102


13/11/20

I retroscena sulle morti di 50 rockstar in un nuovo libro - da John Lennon a Jim Morrison e tanti altri




Retroscena e misteri sulla morte di 50 rockstar che hanno segnato la storia della musica. È disponibile in libreria e negli store digitali "Amore, morte e Rock 'n' Roll" (Hoepli), il nuovo libro dello scrittore e giornalista musicale, Ezio Guaitamacchi, dedicato agli ultimi istanti di vita di diverse icone del rock. Arricchiscono il volume le prefazioni di Enrico Ruggeri e di Pamela Des Barres (una delle groupie piu' iconiche negli anni Sessanta e Settanta).


Decano del giornalismo musicale, autore e conduttore radio/tv, scrittore, docente e performer, direttore di due riviste specializzate e di varie collane di libri, nonche' autore di una ventina di titoli sulla storia del rock, amante del "dark side" del mondo della musica, Ezio Guaitamacchi ha voluto in questo nuovo libro spingersi oltre, raccontando come le ultime ore di vita di cinquanta rockstar siano spesso intrecciate con i loro grandi affetti e come la mancanza dei medesimi possa essere, a volte, un killer spietato

"Io credo che sia la vita sia la morte dei grandi del rock continui ad affascinare innanzitutto perche' e' abbastanza normale che nessuno di noi voglia pensare che i propri idoli siano finiti anche se, come ricordo spesso, ci resta la consolazione che le voci di questi grandi artisti non verranno mai dimenticate e che le loro opere vivranno per sempre. In secondo luogo, visto che e' umano non voler credere alla fine di un sogno, e' altrettanto normale che lo si alimentino con ipotesi alternative, false leggende. C'e' chi immagina ad esempio Jim Morrison rilassato su un'isola tropicale a sorseggiare un cocktail di frutti esotici. Tuttavia, la verita' e' piu' semplice: la morte cosi' come l'amore, come racconto nel libro, fa diventare i grandi artisti piu' simili a noi comuni mortali. Detto cio', molte delle loro vicende sono ancora avvolte dal mistero e la spiegazione sta nel fatto che a volte sono state fatte delle indagini poco accurate per non dire farraginose, cosa che ha giustamente alimentato dubbi e sospetti. Oltretutto le morti di questi grandi personaggi fanno scalpore, per cui c'e' una forte pressione mediatica anche da parte dell'opinione pubblica che vuole conoscerne il perche' e spesso non accetta dei perche' che, inducendo un sentimento di tristezza, spengano la luce folgorante di questi personaggi" spiega lo scrittore. 

Per questo l`opera, Illustrata da Francesco Barcella, raggruppa per tipologia di "crimine" gli ultimi momenti di diverse leggende della musica, corredando ogni storia con immagini d`archivio, box di approfondimento, citazioni e canzoni che fanno da "colonne sonore" ai racconti.

"Esiste una lunga tradizione nella storia musicale anglo-americana che e' quella delle "murder ballad", ossia delle ballate di omicidio nelle quali c'e' sempre stata una fortissima liason tra amore e morte. 

Nei casi che ho raccontato forse solo quello di Sid Vicius e Nancy Spungen potrebbe essere veramente assimilabili a una murder ballad. 

In realta' durante la scrittura del libro ho scoperto che in quasi tutte le storie c'era questo fortissimo legame spiega Guaitamacchi. 

Ecco perche' queste storie, piu' che misteriose o tragiche, finiscono per essere estremamente commoventi: penso a Leonard Cohen e Marianne ma anche a John e Yoko perche' sara' proprio lei, la donna piu' odiata della storia del rock, a tenere fra le braccia il marito morente. 

Diciamo che nel libro ho poi voluto sottolineare anche come l'assenza dell'amore abbia creato un abisso interiore in alcuni di questi artisti famosi, una specie di solitudine fortissima che ha contribuito alla loro morte.

La solitudine e' stata quindi non un vero e proprio killer ma sicuramente un complice di omicidi". 

Scritto in modo originale e appassionato, documentato con puntualita' e rigore giornalistici, "Amore, morte e Rock 'n' Roll" presenta retroscena, curiosita' e aneddoti come: il mistero dei tre testamenti di Aretha Franklin, l`ipotesi di uno scandalo di pedofilia dietro la morte di Chris Cornell, l`inquietante "faccia a faccia" tra James Taylor e l`assassino di John Lennon poche ore prima dell`agguato al Dakota Building, lo strano giro di medici e psichiatri che circondava Prince e molto altro. 

Sono tante le storie che mi hanno colpito, vorrei dire quasi tutte, perche' le vite straordinarie di questi personaggi hanno avuto degli epiloghi altrettanto straordinari. Accanto alle morti come quelle di Bowie, Lou Reed e Aretha Franklin ci sono le morti assurde che solo il mondo del rock puo' regalare. 

Mi riferisco alla vicenda del furto di cadavere di Gram Parsons che viene portato da due suoi amici nel deserto del Joshua Tree. 

Penso anche a vicende molto piu' intricate come alla morte di Brian Jones con un piu' o meno diretto coinvolgimento dell'entourage dei Rolling Stones; alle morti piu' recenti su cui non si e' investigato abbastanza come quella del giovane trapper della Florida XXXTentation e del dj svedese Avicii morto nel Sultanato dell'Oman" conclude lo scrittore. 

11/11/20

La mania di scrivere libri (che nessuno leggerà) - Milan Kundera

 


Suona come una profezia questa pagina scritta da Milan Kundera nel lontano 1977, in uno dei suoi romanzi più belli. La profezia di un mondo sempre più sordo, dove tutti scrivono e nessuno legge. Eccolo:

Chi scrive libri è tutto (un universo unico per se stesso e per gli altri) o nulla.  E siccome a nessuno sarà mai dato di essere tutto, tutti noi che scriviamo libri siamo nulla.

Siamo sottovalutati, gelosi, feriti e ci auguriamo la morte dell'altro. In questo siamo tutti uguali: Banaka, Bibi, io, Goethe. 

L'irresistibile aumento della grafomania tra uomini politici, autisti di taxi, partorienti, amanti, assassini, ladri, prostitute, prefetti, medici e malati mi dimostra che ogni uomo, senza eccezione, porta in sé lo scrittore come sua potenzialità.  Tutta la specie umana potrebbe a buon diritto scendere in strada e gridare: siamo tutti scrittori!

Poiché tutti soffrono all'idea di scomparire senza essere stati visti, né uditi in un universo indifferente e vogliono, finché c'è ancora tempo, trasformare se stessi in un universo di parole. 

E il giorno (vicino) in cui dentro ogni uomo si sveglierà lo scrittore, saranno tempi di sordità e incomprensione generali. 

Tratto da: Milan Kundera, Il libro del riso e dell'oblio, Bompiani 1980, traduzione di Serena Vitale, pag.116


10/11/20

Juliette Récamier, la donna più bella di Francia - 14 (fine)

 



Juliette Récamier, la donna più bella di Francia - 14 (fine)

Dopo la morte di Chateaubriand e la pubblicazione delle sue Memorie dell'Oltretomba, in cui grande spazio aveva la sua relazione con Juliette, lo scrittore fu apertamente accusato da Sainte-Beuve in primis, di aver cercato di "risistemare la storia dalla tranquillità del sepolcro."
Sainte-Beuve accusò Chateaubriand con toni drastici: "E' freddo, pensa solo a se stesso, è simile a un rettile. I suoi amori sono "ardenti capricci". Quello che vuole dalle donne non è il tenero affetto che così spesso riceve, piuttosto un'occasione di tumulto interiore, di fantasie sensuali, e la cosa peggiore è che cerca di nascondere questa sensibilità erotica facendo della virginale Juliette l'unico affetto realmente elevato."
La sensibilità di Chateaubriand, scrive ancora Sainte-Beuve è ipercerebrale e troppo nervosamente anticipatoria: le sue fantasie prosciugano in anticipo l'esperienza riducendola a una specie di "grisaille" (chiaroscuro).
Oggi occorre un'ora circa per leggere le due parti delle "Memorie" dedicate a Juliette.
E oggi sappiamo che il resoconto fatto da Chateaubriand di quell'unione ha troppi punti oscuri ed elisioni.
L'opzione ad esempio di raccontare la sua infedeltà a Juliette è per lui inconcepibile.
La realtà è che il rapporto tra Chateaubriand e Juliette fu quello tra l'incantatore e l'incantata o se vogliamo tra l'ingannatore e l'ingannata e proprio questo faceva della relazione una relazione (anche) erotica.
Sicuramente con il passare degli anni, il loro legame lentamente maturò e diventò quello che la coppia aveva sempre sostenuto che fosse: la solidarietà più affettuosa e più esemplare.
Molti mesi dopo la morte della moglie Céleste, nell'inverno del 1847, Chateaubriand chiese a Juliette di sposarlo. Ella fu sopraffatta dall'emozione, tuttavia rifiutò e nessuna supplica riuscì a farla recedere. "Un matrimonio - e perché? A quale fine?", gli rispose.
Comunque sia, l'anno dopo la morte di Chateaubriand, nel 1849 anche Juliette morì, di colera all'età di settantuno anni.
Il suo corpo fu sepolto nel cimitero di Montmartre.

fonte: Dan Hofstadter - La storia d'amore come opera d'arte

09/11/20

In atto la criminale deforestazione dell'Amazzonia, un dramma mondiale - i dati


L'Amazzonia brasiliana ha registrato a ottobre 2020 più del doppio di incendi rispetto allo stesso mese dello scorso anno e il Pantanal, santuario della biodiversita', ha conosciuto il mese scorso il suo record di roghi.

Lo ha annunciato l'Istituto nazionale di indagini spaziali. 

L'Amazzonia brasiliana e' stata colpita da 17.326 incendi contro i 7.855 di ottobre 2019 e nei primi 10 mesi del 2020 i roghi sono stati 93.356, contro il totale del 2019 che e' stato pari a 89.176.

Il Pantanal, la piu' grande zona umida della Terra, ha registrato 2.856 incendi, un record mensile dall'inizio delle osservazioni nel 1998

Le fiamme hanno divorato piu' del 23% della zona brasiliana della riserva e la stessa percentuale della Bolivia e del Paraguay

Da gennaio a ottobre i roghi in questa zona sono stati 21.115, contro i 10.025 dello scorso anno.

Gli ambientalisti e le ong accusano il governo di Jair Bolsonaro noto scettico dei cambiamenti climatici che ha piu' volte sostenuto le attivita' di estrazione nelle aree protette dell'Amazzonia, incoraggiando la deforestazione.

06/11/20

La Regina degli Scacchi, una bella serie tv. Ma il romanzo è un'altra cosa.

 



La Regina degli Scacchi (The Queen's Gambit è il titolo originario anche del romanzo, cioè "Il gambetto della Regina", che è una celebre mossa del gioco degli scacchi), è la nuova serie Netflix che sta spopolando un po' in tutto l'occidente e anche in Italia, come successe un anno fa per Unhortodox, non a caso anche quella una storia tutta al femminile, di sottomissione e di riscatto. 

La serie, va detto subito, è un ottimo prodotto, in sette lunghe puntate (ciascuna più di un'ora), con straordinarie ricostruzione di interni, costumi (la storia è ambientata negli anni '60 negli USA) e ambienti, con una colonna sonora ottima (Carlos Rafael Rivera) e una interprete brava e adatta (Anya Taylor-Joy) nel ruolo di Beth Harmon, la ragazzina prodigio che scala le vette più alte della scacchistica nazionale e internazionale. 

Ciò che però stona, nella serie, è la profonda differenza rispetto allo straordinario romanzo da cui è tratta, scritto da Walter Tevis nel 1983. 

Il personaggio di Beth, nella serie, è trasformato in salsa glamour (vestiti elegantissimi, fascino, sicurezza, autocontrollo), completamente diverso dal personaggio immaginato da Tevis.   Per ovvie ragioni di appetibilità televisiva anche le competizioni, cioè le partite sono rese in modo del tutto inverosimile - con le mosse che vengono compiute dai giocatori praticamente in automatico, senza pensare nemmeno un decimo di secondo, quando chiunque sa che ogni mossa delle competizioni di alto livello è meditata a lungo - o a lunghissimo - e le partite durano ore intere - a volte giornate - proprio per questo.

Ma torniamo al romanzo.

The Queen's Gambit è considerato il capolavoro di Walter Tevis, morto l'anno seguente, e il suo penultimo romanzo. 

Autore raffinato e appartato Tevis ha scritto una raccolta di racconti e sei romanzi, i quali hanno avuto molta fortuna, con celebri adattamenti cinematografici, come quelli tratti da L'uomo che cadde sulla Terra, scritto nel 1963 e portato sullo schermo da Nicholas Roeg (con Bowie protagonista), Lo spaccone (1959), diventato un classico del cinema con Paul Newman protagonista e Il colore dei soldi (1984), il suo ultimo romanzo, trasposto al cinema da Martin Scorsese, ancora con Newman protagonista e il giovanissimo Tom Cruise. 

La Regina degli Scacchi però, merita un posto a parte. 

Si tratta di un romanzo perfetto, che ha come protagonista l'orfana Beth Harmon e ne segue passo passo le vicende dalle stanze dell'oscuro orfanotrofio cattolico nel quale viene accolta dopo la morte dei genitori, fino ai palcoscenici più esclusivi del gioco degli scacchi, nel quale si dimostra precocemente un puro genio.

Beth inizia a giocare quasi per caso, quando scopre nello scantinato della scuola, il vecchio e burbero custode giocare da solo davanti alla scacchiera al lume di una fioca lampada.

Come avviene per i colpi di fulmine della psiche descritti da James Hillman ne Il codice dell'anima, Beth si sente risucchiata da quello strano oggetto - la scacchiera - e dalla dinamica misteriosa del gioco. Impara in breve tempo, in breve tempo il suo cervello comincia a concentrarsi unicamente su quello. Riesce a battere in poco tempo il suo maestro, poi vola rapidamente sempre più alto, imparando da un manuale trafugato i rudimenti del millenario gioco.

Una volta adottata dalla stramba signora Withley e dal suo pessimo marito, Beth comincia a giocare ad alto livello: torneo dopo torneo, anche i media cominciano ad accorgersi di lei e negli anni '60-'70 in cui il libro è ambientato, Beth finisce addirittura per diventare - a soli sedici anni - l'orgoglio della nazione americana che ha finalmente un grande maestro da opporre agli invincibili dominatori sovietici.

Il pregio di questo meraviglioso libro è soprattutto nello stile e nella narrazione trasparente, sospesa ed essenziale che ricorda un altro capolavoro coevo, Stoner di  John Williams, da poco riscoperto e diventato un caso editoriale mondiale.

Non ha cadute, non ha pause, e tutto procede come un treno senza fermate fino alla fine. Beth è un commovente, vivo personaggio, che resta nel cuore di ogni lettore. Tevis riesce a mantenersi così neutro da evitare ogni smaccata empatia, ogni partecipazione eccessiva con il suo personaggio, che vive di vita propria e non ha bisogno di nessuna sovrastruttura, di nessuna costruzione narrativa.

Così anche il lettore è costretto ad osservarla, senza "tifare": per molte e molte pagine il lettore non sa anzi se sperare che Beth vinca o perda. E' chiaro che vincere per lei, e vincere fino alla fine, trionfando nella partita finale contro il campione del mondo russo Borgov sarebbe l'apoteosi di un riscatto esistenziale. Ma dietro questo successo si nascondono anche molte ombre e gli scacchi - come l'insegnamento universitario per Stoner - sono anche un modo per Beth per eludere la vita, per non affrontarla veramente, per attenuarne le feroci sofferenze.

Il fatto però che la ragazza sopravviva così strenuamente alla autodistruzione è plausibile e catartico.  E' una lezione anzi, che oggi sembra più che mai importante.

Anche i personaggi di contorno sono fenomenali: l'amica di orfanotrofio Jolene, la madre adottiva, così fragile e vera, la signora Withley,  il Signor Schaibel, il custode, e lo stesso Benny, ragazzo prodigio come Beth e come lui autisticamente isolato dal mondo.

Un romanzo veramente perfetto dunque, praticamente impossibile da trasporre nella fiction senza tradirne il nucleo originario: 

nella serie in particolare si è deciso di omettere quasi del tutto il cupio dissolvi della protagonista che, in particolare dopo la morte della matrigna, la avviluppa in una angosciosa autodistruzione e che nel romanzo occupa più della metà delle pagine, mentre nella serie è relegata appena ai margini.  

Si perde inoltre tutta la voce interiore che caratterizza il libro, la voce di Beth, il travaglio psicologico, la sofferenza, che è la grandezza del romanzo. 

E' ovvio che probabilmente non poteva essere diversamente da così, in una serie tv pensata per il grande pubblico onnivoro. 

Sarebbe però un bel successo se la serie televisiva riaccendesse l'interesse e la curiosità su questo libro e su questo autore, che meriterebbero davvero di essere conosciuti e letti in misura molto maggiore di quanto accade oggi.

Fabrizio Falconi - 2020  






Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia - 13


 Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia - 13

Juliette dunque, partita per la Svizzera nell'estate del 1832 (ha ora 55 anni), va a stare da una vecchia amica a Castle Arenenberg; Chateaubriand (che di anni ne ha 64), lascia la moglie con un conoscente a Lucerna, poi aspetta Juliette in una locanda di Costanza.
Poco dopo Juliette arriva, ma la locanda è addobbata per un matrimonio e i preparativi nuziali colmano la coppia di malinconia.
Decidono di andare sul Bodensee, noleggiano una barca, approdano su una spiaggia di ciottoli; attraversano una siepe di salici e scoprono un viottolo di sabbia che si snoda tortuosamente tra prati molto curati e arbusti ornamentali.
Un velo di crochi di fine estate copre l'erba inducendo nell'anziano cavaliere tristi riflessioni, dalla vicina casetta del custode fluttua una melodia incantevole suonata da un'arpa e da un corno che cessa non appena si fermano ad ascoltare.
Si siedono vicino a lago ed egli legge ad alta voce una composizione che ha scritto sulla gola alpina del Passo del San Gottardo, così cara ai romantici.
Juliette lo implora di scrivere qualcosa nel suo diario. Egli osserva che la pagina è già riempita per metà da una annotazione riguardante la morte di Rousseau e sotto questo appunto scrive:
"Non desidero, come Rousseau, morire. Per molti anni ancora voglio il sole, se posso continuare a stare al vostro fianco. Spero che i miei giorni spireranno ai vostri piedi, come queste onde il cui mormorio voi amate."
Queste righe stabiliscono esattamente lo spirito nel quale egli vivrà gli anni che gli restano: in un certo senso, sarà sempre suo.
Alla trionfante Juliette ormai non rimane che un ultimo girarsi, un'ultima occhiata all'indietro verso i morti: porta Chateaubriand a Coppet, poco distante, sulla tomba di Germaine M.me de Stael.
Chateaubriand muore nel 1848.
13-segue

Fonte: Dan Hofstadter, La storia d'amore come opera d'arte

05/11/20

Le strade del cuore di Gigi Proietti a Roma, la sua Roma.


Una città che e' tutto il mondo.
Gigi Proietti, figlio della capitale e del teatro, a cui la città oggi ha tributato l'ultimo saluto,  veva quel senso della romanità che mischia e rigenera, unisce e riassume tenendo insieme il verso piu' aulico e la battuta fulminante. 

La sua Roma era popolare ma gia' nobile come del resto le sue origini, nomadi tra la strada piu' rinascimentale della citta' e i quartieri piu' lontani dal centro. 

"Sono nato in una traversa di via Giulia, una strada bellissima, un tempo era il corso papale, ma a 10 mesi gia' avevo cambiato casa: ci trasferimmo dietro villa Celimontana, a via dei Santi Quattro. Poi sono finito in periferia, al Tufello, in una casa popolare", scrive lui stesso in una mini guida di Roma e dei suoi posti del cuore

Poi il Liceo Augusto a via Appia, dopo le elementari e le medie alla Vittorino da Feltre, e la Capitale notturna dei locali dove, ad adolescenza conclusa, tentava gia' la strada istrionica e l'urgenza dello spettacolo sebbene iscritto a Giurisprudenza alla Sapienza. 

Di quei night dove cantava , anche, con malinconia ricordava "non ne e' rimasto neanche uno, sono spariti tutti" ma la voce allenata in quei locali fumosi era gia' un ferro del mestiere affidabile che lo fara' essere persino chansonnier scanzonato e sentimentale all'occorrenza, perche' essere attore e' tutto, un po' come essere romano. 

E tra i posti del rimpianto giovanile, dell'eta' in cui sperimentava cosa sarebbe stato da Grande, Proietti ci mette non solo le serate con i "fagotti" e la famiglia nelle trattorie dell'Appio Latino ma anche il Tevere, ci mancherebbe. Ma quel fiume non e' quello di adesso, il fiume di allora viveva con Roma ora invece sembra una ferita che stenta

"Ora sopravvivono, invece, alcuni barconi sul Tevere: mi ricordo quanto erano affollati, ai romani piacevano molto, andavano, prendevano il sole e facevano il bagno. Oggi ce ne sono alcuni che cercano di rivitalizzare quella tradizione, ristoranti e locali anche molto carini, ma un tuffo non si puo' piu' fare, chi nuoterebbe mai in quello che un tempo era il "biondo fiume"? , chiede ricordando poi l'isola dei romani, cioe' Ponza dove aveva casa e li si' che andava a farsi tuffi e bagni, spingendosi col suo gommone fino a Palmarola "per alcuni ancora piu' bella". 

Ma poi, siccome e' un attore, la topografia personale inizia a confondersi con quella artistica, entrambe mappe sentimentali pero' e sempre, sempre, con la citta' policentrica e mai rilegata dentro le mura. 

E cosi' e' dal Flaminio che nasce Proietti, dal Teatro Tenda di piazza Mancini nel '76, da quel A me gli occhi, please dove si riversa mezza Roma, ma anche Eduardo, Fellini e l'allora sindaco Argan

E' il teatro, vero, popolare ma anche colto, da Shakespeare a Petrolini. Perche', artista e artigiano, Proietti mescola anche il romanesco con i versi, anzi ne fa poesia e proprio nella sua lingua madre che omaggia un altro immenso romano, Alberto Sordi che non era piu'. 

E sulla linea del tempo il Teatro Tenda, dopo il Brancaccio e il Brancaccino, porta dritto al Globe, fatto dopo la folgorazione del fratello londinese, che sboccia a Villa Borgese (dove da bimbo andava al Cinema dei Piccoli) e voluto sulla pianta del tempio shakesperiano: tutto in legno, prezzi pop e chi non sta nei palchetti "si deve portare i cuscini". 

Una visione, anzi "una mandrakata", come disse lui stesso (altro posto iconico l'ippodromo di Tor di Valle in Febbre da cavallo), che registra sempre il tutto esaurito e si affida a nidiate di attor e attrici giovani. 

Ma Proietti voleva ancora dare, i suoi progetti non si erano esauriti al Globe. 

In un'intervista a Gloria Satta al Messaggero confessa la sua inesauribile urgenza di dire e fare partendo sempre dalla romanita' universale: l'allestimento di Tosca e la riduzione teatrale di Casotto, il film di Sergio Citti. E non finisce qui. Pensava anche, e come sempre, ai giovani romani. 

"Voglio mettere in piedi Radio Raccordo Anulare, un progetto che mi frulla in testa da anni. Un'emittente gestita da giovani per tenere collegate e informate tutte le zone della citta', specie le periferie: il problema, in una metropoli come la nostra, e' la comunicazione. I romani devono conoscersi, non rimanere distanti come isole", diceva nella stessa intervista. 

E ancora per lo strano compleanno in lockdown della Capitale, 21 aprile 2020 in piena clausura causa covid, torno' sulla citta' stigmatizzando chi descriveva Roma vuota e chiusa come "spettrale". "Roma e' stanca e ha diritto di riposarsi", scolpi' lapidario con quella voce, vissuta ma granitica, che e' gia' un monumento ai Fori Imperiali. 

La voce di uno di Roma, figlio del mondo. 

03/11/20

Libro del Giorno: "Le cose dell'amore" di Umberto Galimberti

 


Quando dico “ti amo” che cosa sto dicendo di preciso? E soprattutto, chi parla? Il mio desiderio, la mia idealizzazione, la mia dipendenza, il mio eccesso, la mia follia? Non c’è parola più equivoca di “amore” e più intrecciata a tutte quelle altre parole che, per la logica, sono la sua negazione.

Tutti, chi più chi meno, abbiamo fatto esperienza che l’amore si nutre di novità, mistero e pericolo e ha come suoi nemici il tempo, la quotidianità e la familiarità. Nasce dall’idealizzazione della persona amata di cui ci innamoriamo per un incantesimo della fantasia, ma poi il tempo, che gioca a favore della realtà, produce il disincanto e tramuta l’amore in un affetto privo di passione o nell’amarezza della disillusione.

Qui Freud ci pone una domanda: “Quanta felicità barattiamo in cambio della sicurezza?”.

Umberto Galimberti ci consegna un volume in cui l’acutezza del pensiero penetra i meandri del sentimento e del desiderio, registrando i mutamenti intervenuti nelle dinamiche dell’attrazione, nel patto con l’amato/a, nei percorsi del piacere (dall’onanismo alla perversione). Sullo sfondo si muove, come un fantasma, continuamente evocato e rimosso, quello che propriamente o impropriamente gli uomini non smettono di chiamare amore.

In 19 capitoletti di poche pagine - originariamente articoli apparsi su La Repubblica -  densissime, la parola amore viene declinata con parole-corrispettivo, in un range che ne scandaglia ogni risvolto:  Trascendenza; Sacralità; Sessualità; Perversione; Solitudine; Denaro; Desiderio; Idealizzazione; Seduzione; Pudore; Gelosia; Tradimento; Odio; Passione; Immedesimazione; Possesso; Matrimonio, Linguaggio; Folli






Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (12)


 

Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (12)

Ma Chateaubriand rispose che quella proposta aveva risvegliato in lui "dolorose memorie" e che purtroppo non poteva accettarla.
Disperata, sentendo venir meno la determinazione, Juliette lasciò Roma poco dopo Pasqua e arrivò a Parigi alla fine di maggio.
Pochi giorni dopo il suo arrivo, Chateaubriand andò a farle visita nel piccolo appartamento all'Abbaye-aux-bois. Fu un incontro decisivo.
Non si vedevano da circa 20 mesi, tutti e due erano notevolmente invecchiati e dovevano essere pieni di timori. E secondo le testimonianze, non una parola di rimprovero comunque fu pronunciata da nessuno dei due.
Questo è molto credibile. Juliette aveva sempre avuto il dono di riuscire a trasformare in amicizia l'altrui desiderio e ora, rassegnandosi alla delusione permanente, si rese conto di dover applicare lo splendido incantesimo a se stessa.
Poteva essere per lui una cara amica, fargli da confidente, essere un'ame-soeur, ma nulla più: essere qualcosa di più era impossibile.
In quanto a Chateaubriand possiamo congetturare che il suo cuore fosse turbato dalla donna contenuta che gli stava davanti. Perché Juliette era ormai divenuta quello che lui amava e aveva sempre amato di più: era diventata un rudere, una rovina.
La loro vita insieme assunse dunque la sua ultima e mitica forma.
Nel frattempo Juliette era rimasta in ottimi rapporti col marito, Jacque Récamier; egli morì nel 1830, con gran dolore di lei.
Chateaubriand continuava ad andare da lei tutti i giorni alle due e mezza per prendere il tè insieme. E nel tardo pomeriggio se ne andava per cenare con la moglie.
Solo una volta Chateaubriand e Juliette furono insieme fuori di lì, il che avvenne durante l'estate del 1832 quando, all'inizio della grande epidemia di colera che si stava diffondendo per tutta Parigi, si accordano per incontrarsi in Svizzera.
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Fonte: Dan Hofstadter - La storia d'amore come opera d'arte

02/11/20

E' morto Gigi Proietti - Perché è stato grande e lascia un vuoto non colmabile


Definire Gigi Proietti un "comico", come stanno facendo molti in questi ore, è come definire Nabokov un "cacciatore di farfalle", ed è il più grande sgarbo che si può fare in mortem, a questo grande attore.

Proietti è stato un gigante e ha segnato le nostre vite in modo indimenticabile. Personalmente, non so davvero quante volte sono corso a vederlo a teatro, sin da quando avevo 16 o 17 anni, per "A me gli occhi, please", che recitava al mitico Teatro Tenda di Piazza Mancini per mesi interi di repliche continuamente super-esaurite. Il pubblico sembrava non averne mai abbastanza. Rideva a crepapelle, piangeva quando c'era da piangere (quando declamava "questo amore") soprattutto si interrogava, si indignava, si faceva domande sul testo che il grande Roberto Lerici gli aveva cucito addosso e che lui ogni sera trasformava, plasmava, ri-creava ex novo, grazie alle sue stupefacenti doti tecniche d'attore e al suo cuore grande, senza risparmiarsi.
In più Proietti è stato anche l'ultima incarnazione dello spirito popolare romano - quello vero - che affonda nel tormento e nel disincanto dei secoli, arrivando fino a Fregoli e a Petrolini (suo vero riferimento sempre).
Per fortuna, dunque, Proietti è nato a Roma e resterà un tesoro di questa città, di quel che ne rimane, ancora a lungo.
Se soltanto il destino gli avesse concesso di nascere a Londra, egli senza dubbio sarebbe stato riconosciuto come uno dei grandi attori di teatro (mattatori o non) della scena mondiale. Anche perché il suo enorme talento gli consentiva di passare senza fatica dalle mandrakate al Sogno di Una notte di Mezza Estate di Shakespeare con la stessa eccellente bravura.
La sua grandezza era anche - certamente - come quella dei veri grandi, di non avere un ego auto-riferito. Chiunque lo ha conosciuto, conserva ricordi nitidi della sua generosità e della sua disponibilità all'ascolto, sempre.
Proietti lascia un vuoto non colmabile, a Roma (ma non solo a Roma, naturalmente) e la più stupida crudeltà mi sembra quella che, a causa di questa contingenza sanitaria globale, la sua città non potrà nemmeno accoglierlo a braccia aperte, con un funerale degno, di grande e calorosa folla e un interminabile ringraziamento, come avrebbe meritato.

Fabrizio Falconi - 2 novembre 2020

Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia - 11


 Juliette Récamier, la Donna più bella di Francia (11)

Dal canto suo, Delécleuze si era infatuato in modo cupo e addirittura quasi autopunitivo di Amélie.
Nello stesso tempo Delécleuze presto inorridì perché Juliette incoraggiava avventatamente l'infatuazione del giovane Ampère.
Delécleuze si decise allora a scrivere una lettera di dura reprimenda a Juliette.
Secondo Delécleuze, quel pericoloso legame che si stava instaurando tra i due a Roma, permetteva a Ampère di mascherare il proprio desiderio fisico, mentre Juliette dissimulava il persistente accoramento per la rottura con Chateaubriand, adoperando per ripicca verso Chateaubriand, l'affetto di Ampère per il suo orgoglio ferito.
Ampère era sempre più pazzo di Juliette: inosservato dagli altri, come scoprì Delécleuze, prendeva gli abiti di Juliette strappandoli con i denti, pensando di baciarli.
La lettera di Delécleuze sortì qualche effetto: la donna chiese ad Ampère, per il suo stesso bene e anche per quello di lei, di darle un po' di respiro.
Per una apparente coincidenza, il padre di Ampère richiamò il figlio a Parigi. La partenza del giovane addolorò Juliette perché aveva bisogno dei suoi sospiri, della sua mano a sostenerla e disse poi a Delécleuze di aver provato un "terribile senso di vuoto" quando il giovane era partito.
Era terribilmente sola e, durante il secondo inverno passato a Roma, alla fine cedette alla nostalgia di Chateaubriand e lo invitò a raggiungerla.
11- segue

fonte: Dan Hofstadter - La storia d'amore come opera d'arte

01/11/20

Poesia della Domenica - "Incontro" di Karen Blixen

 


Incontro

Ah, quando sei lontano e nessuno
più nomina il tuo nome –
quando ovunque mi rechi sento
cupo e gelido un vuoto –

comincio a credere che tu sia solo un sogno
nato dalle brame della mia mente,
e a questo sogno ho dato vita e nome
e in ultimo il tuo aspetto –

– ma quando poi ti vedo e posso
sentire ancora le tue forti parole,
e posarti ancora il capo sulla spalla –
ascoltare ancora il suono della tua voce –

allora so che il resto è solo notte,
malvagi sogni che presto scorderò,
so che tu mi porti nella luce
e che in te dimorano la vita e il giorno

 

Tratto da: 

Poesie d’amore del ‘900 

Mondadori, 2001 (traduzione B.Berni)